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Autore: L_White_S    10/08/2020    0 recensioni
" Non sempre gli angeli nascono con le ali "
Quando i nazisti portano gli ebrei nel campo di concentramento di Auschwitz, il loro scopo non è solo quello di ucciderli…
Quando il re inglese attacca la Francia per riprendersi il trono, la guerra “dei cent’anni” diverrà il pretesto per celare le vere motivazioni del conflitto. Ma cosa hanno in comune questi avvenimenti storici?
Ice – il protagonista – è un ragazzo che si sveglia in un laboratorio ultratecnologico senza memoria. Gli esperimenti condotti lo hanno privato dei ricordi e solo dopo un accurato incidente, studiato – se vogliamo – inizia finalmente a trovare nel buio della sua mente quei flashback che faranno riaffiorare la verità, oltre che la luce.
La saga inizia con la ricerca delle origini di uno “dei dieci”, con un debutto fenomenale.
Si introdurranno domande che sorgeranno spontanee al lettore, quali la nascita del conflitto delle parti, sia di esseri
sovrannaturali che non, e di quanto possa un amore condizionare la vita…
Ice, durante il viaggio dettato dai ricordi, scoprirà una visione demoniaca che lo perseguiterà per tutto il tempo, manovrandolo come un burattino. Ma perché accade questo?
L’amore potrà riportarlo sulla retta via, perché la strada del male, è solo un bivio…
Genere: Fantasy, Sentimentale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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CAPITOLO      1.4
 
 
 
 
 
   I raggi solari entrarono nella stanza.
    Angeline, ancora rannicchiata sotto le morbide coperte, sembrava una principessa: il suo viso era più rilassato che mai, raggiante come il sole.
   Dormire con il suo Philip dopo aver fatto l’amore, non c’era niente al mondo di più bello.
   Il caldo respiro sul suo collo, le giganti braccia che la avvolgevano dandogli quel senso di protezione di cui aveva bisogno, la sua schiena poggiata contro il muscoloso petto e gli addominali scolpiti…
   Distesi su un fianco, uniti, erano una cosa sola.
   E lo amava, lo amava alla follia.
   Però quel ragazzo moro che aveva incontrato la faceva sentire “diversa”; c’era qualcosa che la attirava a lui.
   Quando si voltò, baciata dalla luce, aprì gli occhi nerissimi e scintillanti ma non lo vide.
   La morbida chioma bionda e arruffata che si aspettava di vedere non c’era.
   Alzandosi di scatto prese il corpetto e dopo qualche minuto si rivestì, passò davanti al camino oramai spento e si affacciò sul fitto bosco.
   Era una giornata buia, nuvolosa e fredda, ciò che più odiava Philip; ma allora dov’era?
   Era sicura che con quel tempo fosse rimasto senz’altro sotto le coperte con lei, eppure non c’era; scrutando bene tra gli innumerevoli tronchi vide in lontananza una macchia scura muoversi e agitarsi tra i rovi del bosco e spaventata, vide ai suoi lati che gran parte degli imponenti alberi, erano stati abbattuti.
  “Mi hanno trovata”.
   Improvvisamente la figura tenebrosa d’innanzi a lei svanì nel nulla e subito dopo, spaventata, chiuse la porta; fu a quel punto che si allontanò barcollando con il cuore a mille e indietreggiando, sentì chiaramente qualcuno bloccargli la strada: gli era andata addosso senza nemmeno vederlo.
   « Ehi, tutto bene? ».
   « Aiu… aiuto, Philip! ».
   Senza rendersi conto di chi avesse urtato, incominciò a battere pugni e calci contro il petto di un energumeno alto almeno due metri, pronto per ucciderla a sangue freddo.
   « Angy, calmati sono io! ».
   A quelle parole si bloccò improvvisamente e alzato il capo, vide i delicati lineamenti di Philip muoversi per sorriderle: era tornata in paradiso soltanto vedendolo.
   Il cuore continuava a pompare nel piccolo petto e i nervi tesi a mille la irrigidirono come una statua di marmo; gli occhi gli si fecero più pesanti…
   Poi pianse.
   Piangeva e singhiozzava.
   « Tesoro sono qui  ».
   « Prometti di non lasciarmi più ».
   « Te lo prometto ».
 
 
 
 
   Anche Ice aveva aperto gli occhi e con aria sorpresa, aveva notato che era tutto intero. Le braccia e le gambe sembravano funzionare perfettamente; solo un dolore più interno lo disturbava.
   Il labbro era gonfio e lo stomaco, sottosopra, gli faceva un male cane; così come il palmo della mano.
   Si alzò lentamente aspettandosi di esser circondato ma non successe nulla.
   Zoppicando camminò per tutta la stanza, la stessa in cui si era svegliato due giorni prima, non notando alcun cambiamento: il tappeto era in terra, le librerie in ordine e San Michele cacciava ancora i peccatori dal paradiso; uscì ed intraprese il corridoio che con molta probabilità era lo stesso percorso dal killer poche ore prima.
   Era tutto in ordine, il profumo d’incenso era buono e non troppo forte, la cera delle candele dolce e tropicale, niente di anormale.
   Si diresse alla navata principale quando un odore, vomitevole, lo bloccò.
   Proveniva da un battente diverso, non era la stanza dove la sera prima Maurice era morto.
   Piegò lentamente la maniglia e vi entrò.
  “Oddio”.
   Non appena mosse un piede, ebbe la sensazione di camminare su una piccola superficie liquida, come la sera prima, ma non era acqua.
   Un lago rosso faceva da contorno a un quadro assai più raccapricciante: sul letto una monaca era stata letteralmente strappata alla vita, gli occhi completamente rossi così come il vestito bianco, le lenzuola, le gambe, il collo e le mani.
   Non c’era niente che non fosse del suo colore naturale, persino il viso sembrava esser stato dipinto, ma non era vernice, stessa sorte era toccata ai lunghi capelli, non più neri.
   Avvicinandosi, più per curiosità che per altro, Ice notò uno squarcio nel vestito partire dall’altezza dell’ombelico fino ad arrivare al collo; ma non si sporse ulteriormente, non voleva vedere cosa vi fosse stato sotto.
   Lentamente indietreggiò per l’odore sempre più pesante e per la paura di esser scoperto ma non appena fu a pochi passi dal corridoio, un’altra sorella, che passeggiava per di là, incappò nel fiume di sangue che aveva invaso velocemente l’esterno della stanza.
   Si mise a urlare.
   La voce squillante richiamò l’attenzione di tutti, dai religiosi ai francesi, per arrivare anche agli inglesi, tutti accorsero immediatamente nella cattedrale abbandonando le strade; in poco tempo una folla immensa si accalcò negli alloggi di Notre-Dame.
   Ice fortunatamente, vista la reazione della monaca, corse all’esterno e raggiunto l’amico purosangue, rimasto al palo tutta la notte, salì in groppa senza dare troppo nell’occhio.
   Se lo avessero fermato, con molta probabilità, sarebbe stato giustiziato.
   Ma cosa era successo? Maurice era stato ucciso e fatto sparire, ma quella monaca non aveva avuto lo stesso trattamento? Perché? Cosa c’entrava?
   Il cielo, divenuto completamente scuro, copriva i caldi raggi solari che di tanto in tanto, aiutati da qualche folata di vento, aprivano le pesanti nubi lasciando spazio per qualche breve minuto alla luce.
   Ice correva ancora una volta sul destriero attraversando tutta la periferia della città; in poco tempo aveva raggiunto il bosco ricordando, più o meno, la strada per la casaccia di Philip ed Angy.
   Ciò che lo stupiva era il feeling che stava acquisendo con il passar del tempo con il mammifero; ora, a ogni galoppata, riusciva ad alzarsi e abbassarsi senza disturbare la corsa scatenata del purosangue.
   Era eccitante cavalcare quell’animale.
   Dopo esser penetrato nella boscaglia, però, era stato costretto a rallentare, il terreno era impervio e pesante: la pioggia della serata precedente lo aveva disconnesso e sfortunatamente, quando oramai mancava poco all’arrivo, il temporale tornò a fargli compagnia.
   Da quel momento il cavallo sembrò non ascoltarlo più, era nervoso, e anche il giovane lo era.  
   Raggiunto il nido d’amore dei due, Ice scese al volo abbandonando il fido destriero: la porta si spalancò.
   Era Philip.
   Aveva uno strano odore femminile addosso ma non era imbarazzato, Angy invece dormiva; quello sarebbe stato il loro primo discorso faccia a faccia.
   Ci fu silenzio però, i due si studiarono per qualche istante mentre la pioggia, mossa dal vento, bagnava entrambi i ragazzi: erano completamente fradici.
   Ice notò subito le condizioni del biondo.
   Era in buono stato, non sembrava nemmeno esser stato sfiorata dalla freccia che poche ore prima aveva rischiato di ucciderlo; anzi, era sereno e calmo.
   Era guarito magicamente.
   Il moro invece era chiaramente esausto e spaventato, una differenza abissale risiedeva nei loro caratteri e quella ne era una piccolissima prova.
   Ice, sfinito, boccheggiava d’innanzi agli occhi glaciali di Philip che non fece una piega; poi prese parola.
   « È successo… è successo…».
   Il biondo lo fissava.
   « Ieri hanno provato ad uccidervi e stanotte è morto Maurice, l’ho visto ».
   Quasi fosse a conoscenza dell’accaduto, il biondo non si scompose e attento, sembrò sul punto di addormentarsi per la concentrazione mostrata. L’aria superiore con la quale squadrava Ice era letale, fiera, aveva in mano la situazione, o almeno così sembrava.
   Nonostante lo nascondesse, Ice odiava quell’atteggiamento.
   « Non mi sorprende che le dominazioni lo abbiano fatto ».
   Ice parve confuso, che cavolo erano le dominazioni?
   « Cosa? ».
   «È l’esercito privato del re inglese, si vocifera che siano uomini con poteri sovrannaturali; cosa avete fatto al volto? ».
   « Ho avuto un semplice battibecco con il loro capo ».
   « E non vi siete fatto nient’altro? ».
   Scuotendo il capo, Ice fece capire che quel brutto segno all’altezza delle labbra era l’unica prova della sua lotta con l’incappucciato, eppure ancora sentiva un vuoto allo stomaco…
   « Ci sarà un modo per fermarli? Dobbiam...».
   « Noi non faremo un bel niente! ».
   A quel rimprovero Ice rimase frastornato, successivamente però perse il controllo, non tollerava quello stupido atteggiamento.
   Philip, più freddo che mai, si accorse del repentino cambiamento d’umore del suo interlocutore, intravedendo nei suoi occhi una piccola scintilla rosso fuoco; fu a quel punto che chiuse la porta per non destare l’amata e sicuro di esser seguito s’incamminò nel bosco.
   « Perché non dovremmo agire? ».
   « Moriremmo ».
   « Che state dicendo, prima o poi vi troveranno, tanto vale combattere, non vi importa per la sorte di Maurice? ».
   A quella domanda Philip si assestò saldo sui due piedi bloccando la lenta camminata, fermando così anche l’agitato passo di Ice; si voltò e rispose con una calma tutt’altro che normale.
   « A Maurice è toccato ciò che non potevamo prevedere, ora è in pace; se lo merita ».
   Ice non ci vide più dalla rabbia.
   « Se lo merita! Se vi sentisse Angy vi schiaffeggerebbe; quell’uomo è stato come un padre per voi! E lo ricambiate in codesto modo? So tutto! Angeline mi ha raccontato la vostra storia ».
   Il tono tagliente del giovane Ice era affilato come una lama e per quanto fossero buone le sue intenzioni, aveva scavato ulteriormente nella voragine di dolore che logorava il povero Philip. Forse era per quel motivo che chiuso in se stesso sembrava non soffrisse ma dentro, un fuoco ardeva pronto a esplodere, pronto a colpire chiunque.
   « Non ho intenzione di continuare questo discorso. La nostra conversazione finisce qui ». Si voltò e s’incamminò intenzionato a tornare dalla sua principessa.
   Su tutte le furie Ice lo prese per un polso cercando di farlo ragionare ma non appena allungò il braccio, Philip lo afferrò e torcendolo come un panno, lo costrinse a girarsi con la faccia contro il tronco di un albero.
   Lo attaccò alla corteccia schiacciandogli la testa senza esitazione.
   « Se vi hanno preso, vorranno qualcosa anche da voi; sbaglio? Non lasciano nessuno in vita, tantomeno libero. Pensate a voi e vivrete più a lungo, non vi voglio più vedere ».
   Quando la pressione travolgente si annullò, Ice si voltò.
   Philip era già distante.
   Forse chiedere il suo aiuto era stato un errore, un madornale errore.
   Era scosso, non si sarebbe mai aspettato una simile reazione da parte del suo “amico”.
   D'altronde però, non aveva tutti i torti, non aveva motivo di fidarsi di lui, era stato risparmiato e il trattamento subito non era certo riservato a tutti.
   Le dominazioni volevano qualcosa da lui; ma anche dal biondo a quanto sembrava.
   Ice era stato risparmiato, ma Philip? Che motivo avevano di ucciderlo? C’erano troppe domande e nemmeno l’ombra di una risposta.
   “Maledizione”.
   Doveva avvicinare l’esercito privato inglese e sterminarlo. Doveva vendicarsi; l’incappucciato l’avrebbe pagata.
   Ma come?
   Non era in grado di duellare e vincere da solo era un’impresa più utopica che impossibile.
   E quel mostro nella stanza di Maurice? Che diavolo era?
   Eppure, nonostante non avesse la benché minima idea sul da farsi, fu illuminato improvvisamente; “la resistenza”.    
   Poteva entrarne a farne parte e portare a termine la sua missione.
   Angy gli aveva parlato della setta di contadini…
   Forse Philip lo avrebbe aiutato in seguito ma per il momento doveva semplicemente cavarsela da solo; la sensazione che aveva non era delle migliori; inconsciamente sapeva che entrare nella resistenza sarebbe stato difficile, se non impossibile.
   Seduto ai piedi dell’albero, quello su cui Philip lo aveva sbattuto, il povero ragazzo guardava la verde chioma sulla sua testa e cercando di riprendersi, si faceva lambire il viso dalla pioggia.
   Era rilassante, un vero e proprio massaggio.
   Di sfuggita notò la mano con cui la notte precedente aveva impugnato il ferro rovente: era normale, non c’era niente d’anomalo, non sentiva più nemmeno dolore. Forse sapeva perché le dominazioni lo avevano risparmiato.
  “ Chi sono io…”
   Improvvisamente il dolore allo stomaco divenne più forte del solito tanto che rimettersi in piedi fu un’impresa. 
   Incamminandosi lentamente riuscì a raggiungere il fienile ma non vi riposò; prese il cavallo e decise di esaudire la richiesta di Philip.
   Avrebbe combattuto da solo.
   Il sole non accennava a manifestarsi e quella giornata, per quanto ricca d’avvenimenti, doveva esser dimenticata il più in fretta possibile.
   Aveva scoperto di avere qualche strano potere, ma a che prezzo: si era ritrovato nuovamente solo… e Angy, chissà se l’avrebbe mai più rivista.
   A rimetterci, povero, era stato soprattutto il cavallo che ancora una volta lo aveva trasportato in città; era stanco, bagnato e faticava molto, persino il respiro non era più regolare come prima e sicuramente aveva fame.
   Fame?
   Fame.
   Forse era quello il dolore allo stomaco.
   Per sicurezza, raggiunta Parigi, Ice si tenne ben lontano dalla cattedrale, era troppo pericoloso.
   Scese da cavallo e lo guidò per tutto il tempo a passo d’uomo, finché, non trovò un maneggio.
   Fece entrare l’animale e richiuse il recinto in legno.
   Era incustodito, “meglio così”, qualora avessero richiesto del danaro per il servizio offerto, se non con gli stracci che indossava non avrebbe potuto pagare il conto. E l’idea di indebitarsi non lo allettava.
   In seguito, non badando alla pioggia che finalmente stava cessando, alzò il cappuccio e decise di trovare un “pastore”.
   In realtà il suo scopo era di seguire qualche membro di quella fantomatica resistenza, ma sapeva bene che qualora avesse sbagliato, si sarebbe ritrovato solamente in una chiesa, e il tempo perso pedinando la preda era irrecuperabile.
   Finalmente, dopo qualche minuto di ricerca, ne comparve uno: aveva una tonaca scura, cappuccio sulla fronte e mani in preghiera; senza pensarci due volte, tenendosi a debita distanza, lo seguì come un’ombra.
   C’era gente in strada, ma si aprì il varco giusto ignorando la maleducazione con la quale si scontrava con la folla.
   Gli inglesi continuavano a spadroneggiare, mentre i francesi erano costretti ad assistere inermi ai soprusi commessi sugli indifesi: non era un quadro felice.
   Il popolo era visibilmente esausto, forse doveva fermare il re straniero prima delle previsioni che si era fatto…
   Come il senso innato di coprirsi, aveva l’obbligo di metter fine a quelle sofferenze. Era un dovere che sentiva nascergli da dentro.
   In ogni caso, superò quegli scempi e raggiunse una piccola chiesa con il tetto di legno e un porticato in stile gotico. Era piccola, molto più di Notre-Dame, un rifugio adatto alla resistenza; peccato che entrando non vide altro che una semplice cappella.
   Allora, uscendo, ne seguì un altro ancora. Per le strade parigine non si parlava d’altro che della sparizione del vescovo Maurice e della morte inspiegabile di madre Madrienne.
   Per quanto potesse percepire, aveva capito che persino l’esercito inglese non era a conoscenza dell’accaduto, ciò scagionava una possibile loro manovra.
  “E di chi è la colpa allora?”. Si aggiunse l’ennesima domanda nella già affollata mente di Ice.
   Perse tutto il pomeriggio seguendo una decina di frati ma nessuno sembrò qualcosa di più di un semplice pastore.
   Era possibile che la resistenza avesse cessato di muoversi dopo gli avvenimenti successi la sera prima? E se la colpa era proprio la loro? Poi Philip sembrava essere più a disagio che in lutto; qualcosa non tornava.
 
 
 
 
   La fame, se quello era, stava letteralmente divorando il povero ragazzo. Aveva passato tutto il pomeriggio alla ricerca di qualche indizio ma sfortunatamente con esiti negativi. Il tramonto era oramai prossimo e Ice era esausto: la postura di penitenza era micidiale. Come facevano i frati a praticarla per giornate intere?
   Fu quando persino gli occhi iniziarono a fare cilecca che decise di fermarsi appartandosi in una delle cappelle lì vicino; una delle tante che aveva visitato quel giorno.
   Era l’ora del pasto serale e nessun credente era presente; nemmeno la liturgia era celebrata. Il silenzio regnava nella chiesa e il giovane, sul punto di svenire, guardava il volto del Salvatore alle spalle dell’altare.
   Era crocifisso, i chiodi lo univano alle tavole di legno eppure era serio, non provava dolore e quel suo sguardo fermo gli faceva accapponare la pelle; i due si guardavano fissi, tanto che il ragazzo percepì una presenza. Qualcosa che lo raggiunse penetrandolo fin dentro l’anima.
   L’incontro con il signore però s’interruppe non appena un uomo, silenziosissimo, lo avvicinò toccandogli la spalla. Ice, con la guardia abbassata, fu preso dal panico e alzatosi di scatto si voltò pronto per combattere.
   Era un frate, sui quarant’anni, ma aveva un non so che di combattivo: una cicatrice tagliava per metà il suo zigomo sinistro fino ad arrivare al sopracciglio, un orecchino, un naso aquilino, labbra dure, occhi truci e neri, capelli corti ai lati e più lunghi sopra. Tutto sembrava fuorché un pastore.
   I due si studiarono per qualche secondo sotto l’attento sguardo del Nazareno poi, intento ad avvicinarsi, il quarantenne fu subito allontanato da Ice che lo sfilò tra le panche consumate della chiesa.
   Era proprio stanco.
   Fu a quel punto che l’uomo decise di rivelarsi.
   « Non dovete temermi, oggi vi abbiamo sorvegliato e siete stato all’altezza delle aspettative ».
   «Chi siete? ». Domandò direttamente il ragazzo, per niente in vena di iniziare un discorso con giri di parole.
   « Alexandre Leroy, membro della resistenza, piacere di conoscervi ».
   Non era possibile, quasi un sogno ad occhi aperti, dopo tutta quella fatica e sangue freddo mantenuto per le strade della città, ce l’aveva fatta.
   Era reale? O un’allucinazione?
   Il pomeriggio in penitenza era stato ripagato, Dio lo aveva forse aiutato?
   Il Nazareno sembrò sorridergli sulla croce.
   L’uomo non parve capire l’iniziale atteggiamento del giovane che, preso dall’euforia, lo escluse tornando con lo sguardo fisso verso l’altare.
   « Come mi avete trovato… io, io non ho saputo trovare nessuno di voi…» disse avvilito Ice.
   « Certo che lo avete fatto! Tra tutti quei frati in penitenza avete seguito per la maggior parte membri della resistenza. Quando entravate nelle cappelle, non avete mai sbagliato. Pedinavate sempre uno dei miei fratelli ».
   Era vero, quasi avesse avuto un sesto senso; Ice aveva seguito ogni frate, ma alcune volte si era spinto persino nelle chiesette della città per controllare meglio; purtroppo però non aveva trovato nulla di particolare.
   Comunque non avrebbe mai immaginato di seguire le persone giuste senza rendersene conto.
   Ice, soddisfatto, non seppe cosa rispondere.
   « Voi seguivate noi…».
   « E voi seguivate me ».
   Appagati, entrambi accennarono un lieve sorriso finché, finalmente vicini, non tesero entrambi le braccia per stringersi la mano. « Ice ».
   Sorpreso, Alexandre sbarrò gli occhi, non si aspettava di certo un nome del genere.
   Da quanto ne sapeva, erano solo gli immortali a possedere quei nomignoli.
   C’era qualcosa di diverso in lui però; non era malvagio, anzi sembrava non conoscesse nemmeno il significato di quella parola per quanto sembrasse puro il suo volto.
   Doveva portarlo con sé.
   Con un cenno fece a Ice di seguirlo e proprio dietro il piccolo altare, sotto l’attento sguardo di Gesù, si piegò, spostò un tappeto rosso con impressa la croce latina e scoprì una botola: era in legno e un manico dorato era pronto per esser afferrato.
   Una scalinata marmorea si gettava nell’oscurità di quel sotterraneo e i due, attenti a non esser osservati, vi entrarono silenziosamente.
   
 
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