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Autore: Master Chopper    11/08/2020    1 recensioni
[Shūmatsu no Valkyrie]
[Shūmatsu no Valkyrie]Per decidere le sorti dell'umanità, gli dèi di ogni pantheon si riuniscono e, disgraziatamente, la loro decisione è unanime: distruggere il genere umano. Una voce però si leva in opposizione, ed è quella di un dio misterioso di cui nessuno sa niente, ma che sfida dieci dèi ad affrontare dieci umani prima di poter accettare quel destino crudele.
Dieci esseri umani provenienti da qualsiasi epoca affronteranno dieci dèi provenienti da qualsiasi cultura: questo è il Ragnarok.
Genere: Azione, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Chapter 31: Curse of the Womb

Un carro è un mezzo di trasporto.

Dunque, non può venir sollevato con una sola mano. Dunque, non può essere usato per schiacciare o colpire. Dunque, non è un’arma.

Eppure, il modo in cui Boudicca faceva vorticare quell’enorme biga attorno al suo corpo, quasi come se si stesse rapidamente passando un pezzo di stoffa da una mano all’altra, davanti al petto o dietro la schiena, andava a rompere proprio quelle leggi dell’impossibile.

La Regina degli Iceni stava creando una pozza di sudore esattamente al di sotto dei suoi stivali, ormai immobili, come del resto erano le sue gambe. Ferma dal busto in giù, continuava a vorticare le sue braccia senza interrompersi nemmeno un po’ nemmeno per un secondo. Senza la sua forza fisica sovrumana tutto ciò sarebbe stato impossibile, ciò nonostante non si trattava affatto di un’azione semplice.

-Eppure…- pensava -…questa è l’Arma che quel Merlino dice di essere adatta a me. Se è ciò che il destino mi ha affidato, non posso che metterci tutta me stessa nel padroneggiarla al meglio!-

In quel momento fece il suo ingresso una persona, la quale sussultò per la sorpresa.

“Oi, Vlad!” Lo salutò Boudicca, senza però fermarsi. Non vedendo però l’altro combattente risponderle, si insospettì.

Vlad III, detto Ţepeş, si era bloccato sullo stipite della porta, volgendo lo sguardo altrove da lei e frapponendo davanti al suo viso una mano. Stava bofonchiando tra i denti stretti, e la regina poté giurare che persino la sua pelle cadaverica si fosse colorata di rosso per un istante.

Abbassò il capo, intuendo che il motivo di tutto ciò fosse che si stava allenando a petto nudo, mettendo così in mostra i suoi possenti muscoli, ma anche altro.

“Oooh, andiamo! Non fare il vecchio bavoso!” Lo schernì allora, ridacchiando come una bambina dispettosa.

Una maglietta le venne lanciata direttamente sulla faccia, seguita da un grugnito: “Se mi impedisci di allenarti, ci vai a perdere solo tu! E poi sono quasi mille anni più giovane di te!”

“E allora sei proprio un ragazzino!” Al che lei obbedì, finalmente appoggiando il carro al suolo ed indossando quel top sportivo. Solo allora il voivoda la guardò, o meglio, la scrutò fin nel profondo dell’anima.

“C’era davvero bisogno di farmi vestire, se poi è come se mi spogliassi con gli occhi?”

Non rispondendo direttamente a quella battuta, lui disse: “Sei migliorata.”

“È solo merito tuo. Ma quindi, sei davvero sicuro di non voler fare uno sparring con me?”

“Sai bene che se scontrassimo le nostre armi, la mia Absolute Pierce distruggerebbe all’istante il tuo carro. E le nostre Sefirot non sono fatte per affrontarsi tra di loro: devi preservare il Carro di Andraste per l’avversario.”

Come al solito il voivoda parlava in modo serio, severo, come se nessun’altra emozione lo toccasse. Eppure, Boudicca l’aveva visto combattere nell’arena: aveva pianto, sofferto, ed il suo cuore era esploso in un grido di speranza e vittoria che aveva influenzato non solo lei, ma tutta l’umanità.

Uno come lui non poteva che essere il maestro perfetto per insegnarle a combattere, anche con un’arma non-convenzionale come quella che si era ritrovata.

“Tu sai che…” Non era tutto lì, però: “Non ti ho chiesto di aiutarmi solo a padroneggiare la mia Arma.”

Quando i loro sguardi si incrociarono, parvero brillarono anche nell’oscurità in cui si trovavano.

“Ma ho bisogno del tuo aiuto anche per controllare i demoni che mi tormentano!”

 

La Boudicca del presente, invece, emanava una luce del tutto diversa dalle sue iridi: era brillante come quella di una stella e, Hel se ne rese conto, stava guardando dritta dentro di lei.

“Ho capito cosa mi hai fatto, con quel ghiaccio.” La donna sollevò la mano libera, fino a poco prima avvolta da un blocco freddo. Ora, esattamente come le gambe, era stata liberata.

La contrasse in un pugno, e quando la riaprì, qualcosa di piccolo e bianco si dissolse. Erano minuscoli vermi pallidi, i quali emettevano grida di dolore come lamenti di anime dannate.

“Questi cosi erano attaccati a te, quando prima ti ho colpito direttamente.” Disse, riferendosi al pugno in faccia che le aveva sferrato, lo stesso che era stato congelato.

“E anche su quelle anime che mi hai mandato addosso.” Accennò ai corpi travolti dal suo drop kick “Mentre non c’erano sull’anima con la quale ti sei scambiata d’improvviso per allontanarmi, scelta dalle tribune a caso.”

E ora si guardò la mano che aveva usato per colpire quell’innocente, la quale ora brandiva il Carro di Andraste senza alcuna ripercussione.

“È ovvio che tu non abbia potuto mettere i tuoi vermi su di lui, mentre invece su quei corpi, che prima si trovavano qui… sì!”

Era atterrata proprio da dove si erano scagliati su di lei quella massa di marionette, poco fa, e come poté constatare semplicemente abbassando lo sguardo, c’erano delle gocce di sangue per terra. Era il segno innegabile che Hel, la quale stava ancora perdendo sangue dal naso, si fosse trovata lì.

“Mi basterà soltanto evitare di toccare i corpi con i quali entrerai in contatto per evitare di congelarmi ancora!” Asserì la regina icena, per poi sollevare il carro e poggiarselo sulla spalla come se fosse stato un bastone.

La dea dei morti, per quanto ora si trovasse lontana dalla sua avversaria, percepì il pericolo sulla sua pelle sottoforma di un caldo respiro. Era un predatore con le fauci spalancate, pronto a serrarle attorno alla sua gola.

-Ha già scoperto che posso utilizzare gli Éljúðnir’s Parasites solo trapiantandoli a mano dentro dei bersagli, che poi possono infettare lei a loro volta… e da ora in poi li terrà a distanza con quel carro.-

Una goccia di sudore freddo le percorse la tempia, e odiò il suo stesso corpo per aver espresso così palesemente la sensazione di insicurezza in cui ora era piombata.

-Rimani calma, dannazione!- Si disse, utilizzando l’odio per sovrastare qualsiasi altra emozione o sensazione. Strinse i denti, si conficcò le unghie nei palmi, e a petto in fuori, ritta ed orgogliosa come una regina, smise di tremare.

I suoi occhi lanciavano bagliori gelidi.

-Però, non ha ancora capito… che il vero pericolo dei parassiti non è affatto quello.-

 

Boudicca si fiondò in avanti, non esitando neppure quando un muro di corpi di vari umani si sollevò da ogni gradino degli spalti per fermarla. Dapprima fendette l’aria orizzontalmente con la sua Arma, coprendo una superficie abbastanza grande da spazzare via gli ostacoli più vicini, dopodiché lo impugnò a due mani come uno scudo.

Gli umani si ammassarono sul legno, venendo respinti come gli spruzzi delle onde una volta infrante sugli scogli. Ciò che accadeva una volta che entravano in contatto con il carro, era però ancor più degno di nota: i loro corpi venivano investiti della stessa luce che avvolgeva l’Arma, e di colpo perdevano i sensi senza riportare danni.

Perché un carro è una forma di armamento militare superato? Per la sua inadeguatezza a percorrere qualsiasi tipo di terreno, poca maneggiabilità e limitazione ad un piano di spostamento orizzontale.

Invece, maneggiato da due mani che lo potevano brandire come una qualsiasi arma, diventava la rivoluzione nel sistema di combattimento che nessuno avrebbe mai potuto immaginare: pesante, ampio abbastanza da coprire una larga superficie ed inarrestabile come se ogni suo singolo spostamento fosse davvero sempre e comunque trainato da i più veloci cavalli del mondo. A tutti gli effetti, quando impugnato da Boudicca, si trasformava in una gigantesca estensione dei suoi arti.

Ciò nonostante, non era un’arma per uccidere gli umani, e questo lei lo sapeva bene: i poteri della Sefirot erano fatti per ferire solo e soltanto gli dèi.

 

Intanto, le divinità osservavano come la battaglia imperversasse sulle tribune davanti ai loro occhi, dall’altro lato dell’arena. La sola vista di tutti quei corpi scagliati ovunque da lampi di luce bastava a pietrificarli per lo sgomento.

“È assurdo…” Sibilò Jormungandr, preoccupandosi per la sorte dei suoi nipoti, e per questo stringendoli tra le braccia.

“Nah.” Sbottò Loki, suo padre: “È solo la fine del mondo.”

 

Per quanto gli umani provassero a scappare in ogni direzione, terrorizzati dalla furia distruttiva della loro paladina, non potevano scappare al controllo di Hel: di colpo le loro urla di paura si mozzavano, i loro occhi divenivano vacui, ed erano costretti ad unirsi a quell’esercito di burattini.

Il cuore di Boudicca piangeva per tutta la sofferenza che stava provocando il suo scontro, ma sapeva di non essere lei la causa. Le sarebbe bastato fermare l’artefice, e non ci sarebbe stato più alcun dolore.

Ad un certo punto però iniziò a rallentare. I suoi movimenti si facevano più imprevisti, ed era sempre più faticoso muoversi.

Guardò le proprie gambe, poi la mano destra. Erano bluastre, del colore della morte.

Proprio come prima, non rispondevano davvero ai suoi comandi, ma venivano mosse soltanto dai muscoli adiacenti. Erano come dei cadaveri animati, e non potendo affatto indurirsi, tutti quegli sforzi sovrumani iniziavano a distruggerli. La carne si lacerava, sentiva le ossa rompersi, eppure non usciva sangue.

Nessuna coagulazione. Assenza di calore. Parametri vitali quasi del tutto assenti.

La temperatura corporea di Boudicca non accennava a risalire, neppure dopo tutto il movimento fatto nella foga della battaglia. E, ciò che era ancor più preoccupante, era come il suo sangue congelato stesse risalendo lungo le vene, contagiando in fretta altre parti del corpo.

-Ma allora… se questo è il vero effetto dei parassiti…?!- La regina si voltò rapidamente per scandagliare tutti i suoi avversari respinti. Con orrore constatò come si fossero trasformati in lastre di ghiaccio così spesso da eclissare completamente i loro corpi originali.

-Se non riescono a trasmetterli istantaneamente su di me, e vengono resi incoscienti… finiscono congelati!-

Si sentì immediatamente colpevole di star condannando quegli umani ad una sorte ben peggiore di quanto pensasse. Nemmeno il potere della sua Sefirot bastava per curare se stessa, o gli altri, dalla magia di Hel.

 

“Sei un mostro!” Urlò, fermando però i suoi attacchi.

Quel grido feroce risuonò in tutta l’arena, paralizzando gli dèi sul posto.

Boudicca non vacillò e non si mosse neppure quando tutte le marionette di Hel le furono addosso, addentandola, mordendola, e trasmettendo dentro la sua pelle tutti quei parassiti glaciali di cui disponevano. I suoi occhi stavolta erano serrati, ma bastava il volto contratto dalla rabbia per far trasparire quanto il suo cuore stesse continuando a gridare a più non posso.

“Che cosa sta combinando?!” Si domandarono gli annunciatori, esterrefatti: “Boudicca si lascia colpire?!”

Persino Hel rimase ferma a guardarla, per poi accorgersi di un dettaglio spaventoso: attorno a lei rimanevano poche marionette per difenderla e nasconderla, ma il resto delle tribune degli umani ormai erano state evacuate dai civili non sotto il suo controllo.

Ciò significava che era rimasta a corto di potenziali anime da controllare, e sugli spalti vuoti, la sua posizione era ormai resa palese. Non si sarebbe potuta nemmeno scambiare di posto con un’altra anima per allontanarsi, perché tutte quelle che rimanevano erano addosso a Boudicca.

-Senza che me ne accorgessi ha decimato le mie riserve… e ora non ho più modo di difendermi!-

Fu allora che Boudicca attaccò.

 

Dopo aver afferrato a due mani il suo carro, lo fece vorticare attorno a sé per creare un tornado, con il quale sbaragliò in un secondo tutti coloro che la circondavano. Il vortice però non si fermò, ed anzi continuò ad accumulare energia cinetica.

Hel era nel panico più totale, non sapendo più come difendersi, né evitare il colpo che le sarebbe stato scagliato.

-Calmati Hel! Calmati!- Ma, anche nella sua ora più buia, riuscì a riportare la sua mente fredda come le profondità di una mare artico.

I suoi fratelli e suo padre sarebbero rimasti delusi da lei, se non fosse riuscita a sviluppare un piano geniale, degno della sua stirpe di ingannatori. E lei credeva fortemente nella sua astuzia: i potenti che ignorano il pericolo e non sanno cosa voglia dire sollevarsi dal fango non l’avrebbero mai compresa, e per questo lei sarebbe sempre stata un passo avanti a tutti loro.

Come si era aspettata, infatti, Boudicca procedette con lanciare il carro alla velocità di una meteora.

“ANDRASTES STEORRA!”

Come non si sarebbe mai aspettata, invece, quell’attacco non fu indirizzato a lei.

Tutte le sue convinzioni crollarono quando vide il carro percorrere una linea retta che attraversò il campo di battaglia, al centro dell’arena. Nel campo visivo di Boudicca, che lei non aveva potuto vedere, non c’era affatto lei.

“L’attacco è diretto verso la tribuna delle divinità!” Urlarono St.Peter e Adramelech, e fu lo stesso pensiero che attraversò la mente della Regina dei Morti. Proprio come ormai il carro stava attraversando l’aria, scagliandosi dritto su…

-NO!!-

Suo fratello, i figli di Fenrir e Loki vennero travolti da quella luce intensissima, ovvero l’ultima cosa che si riflesse nelle loro iridi prima di un impatto tale da far tremare l’Arena del Valhalla.

Le tribune degli dèi, colpite da quell’attacco distruttivo, si accartocciarono come carta e poi crollarono su loro stesse in un’esplosione di detriti e fumo nero.

Un evento del genere non era stato mai minimamente pensato dagli organizzatori del torneo, ed infatti persino loro non poterono rimanere impassibili davanti a tutto questo.

Ptah e Baal si sporsero giù dalla balconata, così in alto che per fortuna non aveva risentito danni, mentre Gaia si era sentita sprofondare sulla sua poltrona per lo shock. Il volto di Merlino si era irrigidito di colpo, come tutte le volte che qualcosa non andava secondo i suoi piani.

 

I cancellieri cercavano di contenere il panico che imperversava tra le divinità, constatando anche a quanto ammontassero i feriti. Lentamente il fumo si diradò dalle macerie, o meglio, dal cratere apertosi tra gli spalti.

Terrorizzati, tutti i presenti nei dintorni si sporsero con preoccupazione per osservare cosa ci fosse nella voragine. Ciò che vi trovarono fece mancare il respiro a chiunque.

“H-Hel ha…”

La Regina dei Morti era lì, stramazzata al suolo di fianco ai resti distrutti del carro. Alle sue spalle, i suoi parenti la guardavano sbigottiti, ancora senza essersi resi conto di quanto fosse accaduto.

“Hel ha parato il colpo diretto alla tribuna degli déi!”

St. Peter e Adramalech dovettero rivedere i filmati delle telecamere di sicurezza per accertarsi di quanto fosse accaduto:

Poco prima che l’Andrastes Steorra impattasse contro la tribuna, la dea aveva scagliato un’anima umana davanti alla sua famiglia, per poi scambiarsi di posto ed intercettare il colpo a mezz’aria. In questa maniera non aveva potuto erigere in tempo alcuna difesa, e la meteora di luce l’aveva centrata in pieno con tutta la sua potenza.

Ora dal suo abito nero e bianco si sgretolavano brandelli ardenti, svelando la pelle segnata da un’ustione spaventosa. Un sussulto l’animò, facendo staccare un pezzo della sua maschera d’oro, la quale si infranse al suolo.

“Hel!” Suo fratello Jormungandr fece per soccorrerla, ma lei sollevò una mano per tenerlo a distanza.

“È… la mia battaglia.” Rantolò, con un rivolo di sangue che le colava lungo la mascella. Si alzò con grande sforzo: “Quando avrò finito, voi… voi… non dovrete più preoccuparvi di niente.”

Le divinità impallidirono di fronte a quella forza di volontà dimostrata. Persino Loki aveva perso ormai il suo caratteristico ghigno, e non riusciva a far sparire dai suoi occhi quella sensazione di bruciore, e di bagnato.

“Niente più lotte… niente più conflitti… niente più sofferenze.” Infine la Regina delle Anime Dannate si alzò, fiera, guardando davanti a sé. La sua avversaria la attendeva, e l’esito dello scontro pure.

“Niente più dèi ingiusti!”

 

“Mi parli… di giustizia… proprio tu?” Le rispose una voce lontana.

Dall’altra parte dell’arena, Boudicca fremeva dalla rabbia.

“Ma se nemmeno gli umani conoscono la vera giustizia, cosa ne possono sapere gli dèi?!”

 

Al seguito della conquista delle isole di Britannia da parte dell’Impero Romano, c’erano state non poche ribellioni da parte delle tribù. Queste, per la prima volta dopo secoli vissuti divise, si erano coalizzate per fronteggiare un nemico che, da oltremare, minacciava la loro vita ed il loro credo.

Inutile dire che, a causa della superiorità nel piano militare dell’impero che stava lentamente conquistando il mondo allora conosciuto, tutte le insurrezioni furono placate con il sangue ed il ferro. Dopo la rivolta del 43 d.C, Boudicca comprese che non avrebbe mai voluto vedere la sua gente in quelle stesse condizioni.

Così, pochi anni più tardi sposò un uomo altrettanto desideroso di pace. I due capotribù regnavano indisturbati, dichiarando al loro popolo che non avevano nulla da temere.

Una notte di qualche tempo più tardi, però, mentre il cielo ruggiva imprecazioni tra i lampi e la pioggia, un manipolo di guerrieri si muovevano nell’oscurità con intenti tutt’altro che pacifici.

“Ma sei sicuro che sia qui?” Domandò uno, accennando al luogo impervio dove si trovavano: in cima ad una collina, dove una capanna solitaria sfidava i fulmini che piombavano al suolo non molto distanti.

“Certo! È venuta fin qui a partorire per la seconda volta… è davvero come si dice: per quanto sia forte come una dea, nel momento del parto è vulnerabile come una normale donna.”

“Hanno predetto che anche questa figlia sarà una femmina. Non può andare avanti così! Se non è capace di dare a Prasutago un erede maschio, allora i romani non manterranno mai il patto di alleanza!”

Nel buio della notte, quegli uomini con le spade sguainate, erano pronti a macchiarsi del peggior crimine possibile perché temevano per la propria vita.

Eppure, quando alle loro spalle qualcosa che non si sarebbe dovuto trovare lì si mosse, temettero ancor di più, come mai avrebbero creduto fosse possibile. Si voltarono appena per vedere la tremenda figura illuminata da un lampo: vestita da un solo abito fradicio, aveva la sua chioma rossa sciolta, che tuttavia in quel secondo non riuscì a nascondere un volto di disumana collera.

Mentre le loro urla si perdevano tra i tuoni, i soldati vennero sbaragliati da una donna sola, disarmata, ma non per questo meno forte dell’essere più forte che avrebbero mai incontrato sulla faccia della terra.

Poco dopo, nella capanna entrò quella stessa figura, venendo accolta da un’occhiataccia severa, ma apprensiva, da parte di un gigantesco uomo dall’aspetto grezzo ed intimidatorio.

“Boudicca…” La richiamò grave, ma la donna gli rispose con uno sbuffo, prima di rimettersi stesa sul tappeto di pelli animali.

“Prasutago.” Disse dopo un lungo silenzio, con una voce che non sarebbe mai potuta appartenere alla stessa bestia feroce di prima. Aveva un tono sognante, perso in un mondo immaginario che solo lei riusciva a vedere: “Secondo te cosa vorrà fare nostra figlia? Vorrà bene a sua sorella? Litigheremo mai, un giorno, fino a piangere e poi riabbracciarci con ancora più amore di prima nel cuore?”

Il marito incrociò le braccia, per poi lanciare un’occhiata ad una bambina, anch’essa dai capelli rossi e selvaggi, che dormiva da un pezzo.

“Quale figlio non litiga con i suoi genitori almeno una volta? Certo che litigheremo, specie se anche lei eredita il tuo carattere forte. Sicuramente litigherà anche con sua sorella, ma le vorrà bene. E poi… qualsiasi cosa volesse fare, lo potrà fare perché sarà la regina.”

La magia negli occhi di Boudicca svanì: “Lo sai che i romani non accetteranno mai che i loro alleati siano governati solo da una capotribù femmina. Questo ovviamente vale anche per i tuoi eredi.”

Prasutago sorrise tristemente, per poi stendersi per terra, con la testa accanto a quella della moglie.

“Le nostre figlie non saranno mai grandi abbastanza per sposarsi quando io morirò. Quindi, a meno che tu non ti voglia risposare…”

“Sta zitto, idiota!” La rossa si posò un braccio davanti agli occhi.

“Ecco. Quando mai ti sei fermata davanti a qualcosa, o a qualcuno? Ricordi quando da giovani ti presi in giro perché ritenevo impossibile che una donna potesse essere davvero forte come dicevano di te? Mi ci vollero settimane intere per riprendermi dopo quei pochi colpi con i quali mi stendesti…”

Tra le lacrime, iniziarono a ridere.

“Per favore, non morire.”

“Non posso andare contro al volere degli dèi.”

Quella notte, tra il pianto del cielo e di due umani, nacque l’ultima erede della tribù.

La pervenuta morte di Prasutago, a causa di un male incurabile, lasciò gli Iceni comandati solo dalla forte Boudicca. Tuttavia, da quando ella aveva partorito solo due figlie femmine, la gente iniziò a credere che la Benedizione di Andraste fosse soltanto una maledizione in incognito.

Nella sua determinazione, la regina stava gettando un’ombra di pericolo sulla sua intera tribù. La minaccia sopraggiunse, infatti, quando i romani vennero a pretendere ciò che non potevano avere.

 

Quel giorno capanne e raccolti vennero bruciati, mentre soldati su cavalli bardati scorrazzavano gridando che quella terra non sarebbe più stata governata da braccia barbare.

La sua gente sarebbe stata risparmiata, perché i lavoratori senza dubbio non dovevano mancare all’Impero. Ma a quale prezzo?

L’indipendenza non gli sarebbe mai più stata concessa, al che tutti i loro terreni sarebbero diventati proprietà di un signore romano assegnato al controllo della tribù.

Boudicca strinse i denti. Suo marito non avrebbe tollerato che i rapporti, seppur fragili, tra loro e i romani si fossero spezzati.

Per questo non batté ciglio quando, in pubblica piazza, venne frustata nuda. Cosa sarebbe mai potuto essere tutto ciò? La frusta non scalfì nemmeno il suo corpo, né il suo orgoglio.

Piuttosto, nemmeno lei si spiegò mai perché non si fosse mossa di un millimetro neppure quando vide le sue figlie, ormai bellissime donne, venir brutalizzate mentre invano imploravano pietà e chiedevano il suo aiuto.

No, non se lo spiegò affatto, e per questo non riuscì mai più a guardarle negli occhi.

Lei amava la sua famiglia, era tutto ciò che aveva giurato di proteggere con la forza che le era stata donata dalla nascita. Eppure, in quel momento così buio da parere l’inferno in terra, quella benedizione fu del tutto inutile.

 

E fu inutile persino rialzarsi, e ribellarsi.

Migliaia di tribù in tutta Britannia unite per respingere gli invasori. Tutto inutile.

Avamposti rivendicati, con innumerevoli vittime per dimostrare al nemico che non li avrebbero mai e poi mai risparmiati. Tutto inutile.

Una superiorità numerica e la conoscenza del territorio? Tutto inutile.

Né gli dèi, né la sua forza, le erano state utili. Fu così che, immersa nel suo sangue, su di un carro distrutto, guardò il cielo in tempesta e pensò che l’amore della sua vita non avrebbe mai voluto niente di tutto ciò da lei.

Aveva solo perso in una battaglia inutile, come inutile era stata la sua esistenza fino a quel momento.

 

Per questo motivo, ora che l’occasione di strappare la vittoria più importante della sua vita si era palesata davanti ai suoi occhi, Boudicca non se la sarebbe mai lasciata scappare.

“L’unica giustizia che dovrai rispettare, ora… SARÀ LA MIA! È il momento del mio giudizio!!”

 

 

Angolo Autore:

Welcome back!

Siamo arrivati al penultimo capitolo di questo ottavo scontro! Questo capitolo, assieme al seguente, sono stati scritti di fila in una nottata andata avanti fino alle 5 del mattino perché al momento mi trovo in viaggio. Quindi, non preoccupatevi: non dovrete aspettare molto per avere la conclusione della battaglia, però poi per una decina di giorni la storia non andrà avanti.

Al prossimo capitolo, dopodomani (giovedì 13 Agosto)!

   
 
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