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Autore: paige95    11/08/2020    5 recensioni
La guerra in Afghanistan è il filo rosso che lega il destino di due uomini e due famiglie, due mondi distanti che non sanno di essere molto vicini tra loro.
Nell'estate del 2018, in pieno conflitto, il tenente comandante dei Navy SEALs Christian Richardson e l'inviato speciale del Los Angeles Times Samuel Clark verranno chiamati al fronte, lasciandosi alle spalle vissuti, affetti e i vasti territori californiani.
[Questa storia partecipa al contest "Chi ben comincia è a metà del prologo" indetto da BessieB sul forum di EFP]
Genere: Angst, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Destino'
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La necessità del ricordo
 
 


 
New York, 5 settembre 2018
 
New York ad una settimana dall’11 settembre era avvolta da una nebbia di atroce ricordo. Nel cuore del World Trade Center erano iniziati i preparativi per la commemorazione annuale; nonostante la metropoli fosse protagonista della triste ricorrenza, la Nazione intera e buona parte del resto del mondo si sarebbe stretta intorno al dolore delle famiglie delle vittime nel massimo rispetto per una terribile parentesi storica.
Katherine stava percorrendo le strade limitrofe al centro di Manhattan su un taxi giallo newyorkese, scomodo tanto quanto la sua posizione. Stava tornando a casa dopo quindici anni; lei avrebbe specificato casa dell’infanzia, un mondo a cui non apparteneva più ormai da diverso tempo. Non era più tornata nella Grande Mela; negli ultimi anni erano stati i suoi genitori a raggiungerla a San Diego, quando Alisia era troppo piccola per poterlo ricordare, da allora i loro unici rapporti erano stati telefonici. Senza Christian al suo fianco non era certa di riuscire ad affrontarli. Stringeva a sé la loro bambina avvolgendole dolcemente le spalle; la piccola fremeva, era eccitata ed intimorita nel medesimo frangente, mentre Katherine si sentiva solo spaesata. Una fitta nebbia era scesa su New York, era la nebbia di settembre che preannunciava la fine dell’estate; era ancora visibile il museo a cielo aperto che aveva rimpiazzato le Twin Towers a Ground Zero e che concretizzava la dolorosa ferita mai rimarginata. Il memoriale ai caduti scorse in successione rapida davanti agli occhi della newyorkese prestata al caldo oceano della California; erano per lei nomi sconosciuti, eppure, come per ogni altro testimone del tragico evento, anche per Katherine quel maledetto giorno il tempo si era fermato per infiniti minuti. Aveva compiuto da un mese diciotto anni, quando un boato squarciò il cielo sopra le loro teste; aveva appena terminato il suo ultimo anno di liceo con ogni buon proposito per il futuro. Erano state evacuate tutte le scuole e tutti gli edifici pubblici; era scattato l’allarme in ogni distretto cittadino, buona parte degli abitanti aveva pensato al peggio, fino ad ipotizzare ad una vera e propria guerra. Il conflitto era scoppiato davvero, da quell’11 settembre 2001 niente era più stato lo stesso per migliaia di famiglie. Non avrebbe mai creduto che il suo destino un giorno si sarebbe intrecciato all’attentato che all’epoca aveva sconvolto l’anima di molti; sposare Christian aveva donato splendore alla sua vita, ma suo marito non era solo un uomo, era un Navy SEAL, lo era diventato prima che si conoscessero. Ricordava solo un’unica e insolita occasione in cui lui ammise quanto il suo lavoro fosse inappropriato per una famiglia; era successo al ritorno dall’Afghanistan, prima della nascita di Alisia. Non so come potrei riuscire ad impugnare un’arma se ad aspettarmi a casa ci fosse mio figlio, le aveva confidato; Christian aveva raccontato a sua moglie che combattere accanto a padri di famiglia aveva mostrato a lui un possibile futuro prossimo. Alisia era stata inaspettata, eppure quando Katherine annunciò al marito lo stato di gravidanza un sorriso commosso si era dipinto sul volto del seal. Nonostante la loro bambina fosse nata, nonostante venisse amata e protetta da entrambi i genitori, Christian non aveva abbandonato il porto d’armi, aveva continuato ad essere ciò che era diventato all’età di vent’anni e, come di consueto ricordava alla moglie, non si smetteva mai di servire la Patria una volta iniziato. Katherine non avrebbe potuto rimproverargli nulla, non faceva mancare loro niente. Il Navy SEAL ripeteva spesso a sua moglie di non angustiarsi, perché da ogni pericolo lui sarebbe uscito indenne; lo aveva promesso, eppure sentiva che qualcosa gli avrebbe impedito di tenere fede alla sua promessa.
Katherine non aveva perso alcun caro nel tragico crollo delle Torri, ma era comunque in lutto da quando Kabul era diventata una delle destinazioni predilette dei SEALs americani e da quando si era unita in matrimonio con uno di quei soldati. Le provocava ipossia allontanarsi in quel giorno grigio da San Diego, la lontananza dalla sua attuale dimora rendeva ancora più viva l’assenza del marito. Non era certa di aver compreso il motivo che l’aveva spinta al confine diametralmente opposto degli Stati Uniti d’America, i suoi genitori non sopportavano Christian e lei per questa ragione - e altre meno recenti - li odiava. Non sarebbe stato un incontro semplice; aveva deciso di partire con la sola compagnia di Alisia, aveva sperato che le liti senza uno dei motivi fondanti sarebbero state ridotte al minimo, eppure Christian non era solo un motivo di scontro per i signori Scott, era anche un supporto per Katherine che in quel preciso momento sarebbe venuto tristemente a mancare.
Il suggestivo clima già piuttosto autunnale le impedì di scorgere la Dalton, il liceo privato nel qualche aveva trascorso qualche anno della sua vita, si era formata e relazionata con i coetanei; tra quelle mura aveva stretto amicizie e vissuto un giovane amore, ma tutto si era spezzato molto prima che lei lasciasse New York, era partita senza rimpianti e con la voglia di ricominciare una nuova vita. Nell’Upper East Side era situato il lussuoso grattacielo, per la precisione sulla 5th Avenue tra il Museum Mile e Central Park, nel quale vivevano i suoi genitori e suo padre intratteneva i numerosi rapporti aziendali. Non riuscì a discernere l’aria viziata dallo smog e dalla boriosità, uno dei quartieri più ricchi di Manhattan le infondeva ancora più soggezione da quando aveva sperimentato altri mondi: luoghi più semplici e genuini, abitati da persone più affini al suo animo. I signori Scott abitavano al trentaduesimo piano; per Katherine il pensiero di dover salire in ascensore quegli infiniti piani dopo quasi cinque ore di volo era insopportabile. La vera fatica era mentale e dovuta all’incontro; traeva tutta la forza possibile dalla mano della figlia intrecciata alla sua. Alisia continuava ad essere pervasa da uno stato di eccitazione; anche Katherine avrebbe voluto vivere un simile stato di euforia, tutto sarebbe stato più semplice se l’illusione del mondo dal quale era fuggita non fosse svanita.
L’accoglienza fu migliore di quanto avrebbe sperato. La governante che l’aveva cresciuta era forse l’unico aspetto positivo del suo ritorno; l’anziana donna le aveva spalancato la sontuosa porta con un sorriso. Il cuore della bagnina fece un tuffo nel passato, grazie alle sensazioni di pace infuse dalla sua balia; si riscoprì malinconica rispetto al passato, ad una fetta di vissuto non del tutto trascurabile e piacevole da ricordare.
«Signorina Scott! Scusami, ti vedo così di rado che dimentico il tuo nuovo stato sociale»
«Non preoccuparti, Beulah»
Katherine era davvero lieta di rivederla, aveva immediatamente ricambiato il sorriso con un cenno della mano come era solita fare da bambina, la sua apparizione le fece per qualche istante dimenticare il vero motivo della sua presenza: affari, un capitolo che non sarebbe mai riuscita a chiudere finché avesse portato il suo cognome da nubile accanto a quello da sposata; la riportò indietro nel tempo, quando la repulsione verso quel luogo era ancora assopita e lei riusciva a vivere serenamente tra quelle mura insieme alla sua famiglia. La governante aveva riservato una dolce carezza sui capelli di Alisia; conosceva solo il nome della bambina, non aveva avuto l’opportunità di incontrarla prima di allora, eppure le era così familiare.
«Ti somiglia, Katherine»
«Ha gli occhi di suo padre»
La piccola si lasciò cullare dalle coccole di Beulah; diede fiducia alla donna anche se la conosceva solo da pochi minuti. Il sorriso della governante si spense incrociando lo sguardo della sua protetta; era diventata seria, come se stesse per affrontare un tema delicato.
«Katherine, immagino tu conosca il motivo della tua convocazione»
Beulah desiderava offrire la sua prospettiva neutrale, le voleva bene, le era affezionata e non voleva soffrisse; era stata una madre acquisita per Katherine, l’aveva trattata come se fosse sua figlia, aveva avuto l'occasione di conoscere Christian e sapeva quanto fosse felice con lui. Non ebbe modo di parlare oltre, un uomo slanciato dalla carnagione chiara si era affacciato sul salone dell’appartamento e osservava con interesse la nuova arrivata; era quasi intimidito dalla presenza di Katherine, non sembrava contento di trovarsi in quella casa e di respirare la sua stessa aria, anzi l'abbigliamento troppo elegante e tirato lo stava privando del poco ossigeno che gli era rimasto nei polmoni.
«Sebastian»
Gli occhi dei due si sfiorarono; le iridi smeraldine della bagnina erano cariche di accuse e di curiosità, lui fece un certo sforzo per reggerle. Katherine avrebbe dato inizio ad un confronto con quell’uomo, a parere della donna la sua presenza era alquanto inopportuna. I signori Scott anticiparono ogni possibile reazione; oscurarono Sebastian, togliendolo dall’impiccio del confronto, ma non riuscì a risparmiarsi lo sguardo accigliato di Katherine addosso. La voce cordiale della signora di casa accolse la figlia e la nipote con gioia.
«Tesoro, che bello vederti. Alisia, posso offrirti la merenda? Sarete stanche per il viaggio. Piccola, sei bella proprio come mi immaginavo che fossi diventata»
L’affetto che la madre stava ostentando verso la nipote infastidì Katherine, sapeva quanto non fosse sincera, non poteva esserlo nei confronti della figlia di un uomo che non sopportava e a parer suo aveva strappato Katherine dalla sua città natale.
«Merito di Christian, mamma»
La donna le gettò un’occhiata contrariata, prese per mano la bambina e la attirò verso di sé. Alisia si voltò titubante verso la madre, la quale le rivolse un sorriso di approvazione, sapeva di potersi fidare di lei, nonostante le circostanze. La merenda era solo una scusa per allontanare la figlia, ne era sicura; avrebbe dovuto affrontare il padre e l’ex con la sola forza del suo cuore.
«Grazie, Beulah, ora penso io a Katherine»
Gli occhi di ghiaccio di suo padre si erano posati su di lei, li resse; sapevano di accusa, tradimento, come ormai accadeva da diverso tempo. Gli avrebbe voluto domandare quale fosse l’utilità della presenza dell’uomo che l’aveva così ferita in passato, ma era convinta lo avrebbe scoperto presto.
«Spostiamoci nel mio ufficio, saremo più tranquilli»
Katherine seguì suo padre con un sospiro, anche Sebastian fece qualche passo tagliando per errore la strada alla donna. Gli era vicino, provò ad ignorarlo, ogni sorta di promiscuità con quell’uomo le era sgradita; per lui continuava ad essere un terreno imbarazzante, ma la vicinanza con la fidanzata della sua adolescenza non lo infastidiva, tormentava solo la sua coscienza, quella era un'altra questione. L’ufficio di suo padre era esattamente come lo ricordava, non era cambiato, rispecchiava in miniatura lo sfarzo nel quale era cresciuta e che tanto odiava; era tutto così costruito, pomposo, rappresentava tutto ciò da cui era fuggita e in cui si era ripromessa di non rimettere più piede. Non era più la signorina Scott, figlia di uno dei rampolli dell'Upper East Side, era l'orgogliosa signora Richardson, una moglie e una madre qualunque che viveva per la sua famiglia e così sarebbe sempre stato; se doveva essere ricordata, voleva che fosse solo per i meriti di guerra di suo marito. Si accomodò nella convinzione che avrebbe dovuto affrontare una lunga conversazione; venne affiancata da Sebastian, un ragazzo dall’eleganza tipica di quei borghi altolocati, non sarebbe mai potuta funzionare tra loro. Non riusciva a comprendere come avesse fatto in passato ad innamorarsi di lui, non era ciò che cercava in un uomo, non riusciva a riscoprire la stessa spontaneità di Christian in lui, la stessa umiltà e genuinità.
«Papà, risparmiami i convenevoli, perché sono qui?»
Il manager aveva estratto alcuni documenti dal cassetto della scrivania e aveva recuperato una biro da un piccolo portapenne in argento lucido.
«Vuoi che io sia diretto? Va bene. Ti offro l’ultima possibilità per decidere il tuo futuro, però ti chiedo di riflettere attentamente, perché non si tratta solo di te, ma anche del futuro di tua figlia»
«Perché mi stai dando un ultimatum?»
«Ho necessità di garantire un futuro all’azienda. Sebastian avrà una quota con o senza di te. Per quanto tu creda il contrario, è stata una cortesia da parte nostra convocarti»
Conosceva suo padre, sapeva quanto bramasse un piccolo segno di apertura, sapeva che non sarebbe stato uguale un rifiuto o un'accettazione da parte dell'unica erede di sangue, lo leggeva oltre i suoi occhi, impenetrabili per tutti, ma non per la sottoscritta; il fatto che li avesse delusi in passato negando il suo posto nell'azienda di famiglia, i cui guadagni erano stati estesi dagli antenati remoti e prossimi con grandi sacrifici, li aveva feriti e solo accettando avrebbe potuto curare il loro dolore. Leggeva questo tormento soprattutto in suo padre, aveva da sempre il desiderio di lavorare accanto a sua figlia, trasmetterle il suo sapere e un giorno lasciare a lei le redini di quell'impero commerciale.
«Ho già deciso il mio futuro. Alisia sarà altrettanto libera di scegliere quando sarà abbastanza grande per poterlo fare. Mi dispiace mi abbiate chiamato per questo, credevo aveste accettato le mie aspirazioni»
«Sposarti con un Navy SEAL da un giorno all’altro non è un’aspirazione! Speravamo che ti realizzassi, portassi avanti il nostro lavoro e onorassi il tuo cognome»
«Christian rappresenta il miglior futuro a cui potessi aspirare e se Dio ha intenzione di riportarlo a casa sano e salvo, ti giuro che non ho alcuna intenzione di lasciarlo per la tua azienda o per qualsiasi tua altra scelta sulla mia vita»
Si alzò dalla sedia dai filamenti in avorio con la stessa determinazione impiegata il giorno in cui aveva deciso di salire su un volo diretto verso lo Stato della California; la scelta di Katherine era radicata nel suo cuore, era consapevole, non era mai stato un capriccio e non rappresentava l'incoscienza della giovane donna inesperta del mondo che era stata in passato. Lanciò uno sguardo sprezzante in direzione di Sebastian e uscì con l'eleganza di chi non si faceva sopraffare dalla rabbia, ma la conteneva nell'anima e la impiegava al fine di imboccare la strada migliore per spendere la propria vita. L’uomo che aveva assistito in silenzio alla breve discussione tra padre e figlia la seguì; non si era intromesso, non lo aveva ritenuto opportuno, lui non era di famiglia, era doveroso entrare in affari privati, che fossero di lavoro o affettivi, in punta di piedi.
«Alisia»
Katherine aveva chiamato sua figlia impaziente di uscire da quella reggia tanto disprezzata da lei, attendeva la bambina sulla soglia della porta principale con la speranza che lei non indugiasse un minuto di più a seguirla; la piccola stava tardando, offrendo a Sebastian l’occasione per raggiungerla.
«Qualsiasi cosa tu debba dirmi, lascia perdere»
L'uomo si era avvicinato a lei con cautela, entrambi nutrivano insicurezze nei confronti dell'altro.
«Tuo marito è partito?»
«È in Afghanistan»
Lo informò distrattamente, non smetteva di gettare occhiate in direzione del punto oltre il quale la figlia era scomparsa insieme alla madre.
«Credo sia uno dei motivi per il quale non riescano a vedere di buon occhio quell’uomo»
«Non sei nella posizione migliore per fare la morale a Christian»
La donna lo aveva fulminato con disprezzo, lui non avrebbe potuto aspettarsi altro da un antico amore ferito e risentito.
«Grazie per non aver detto ai tuoi cosa ha posto fine alla nostra relazione. Ne avresti avuto tutto il diritto»
«Forse perché non sono schifosa quanto te. Sebastian, non mi importa più nulla che tu mi abbia tradita con una delle mie più care amiche, non mi importa né di te né di lei e tantomeno dell’azienda, è tua, la puoi tenere. Non sto giudicando le tue doti manageriali, sono certa che mio padre abbia preso la decisione migliore, ma tenetemi fuori»
Sebastian incassò il colpo, la comprendeva, anzi condivideva il giudizio che aveva maturato nei suoi confronti nel corso degli anni. Katherine aspettava solo sua figlia, non vedeva l’ora di tornare a San Diego, del resto non le importava.
«Alisia. Dobbiamo andare»
«Te ne sei andata perché ti ho tradita?»
Katherine rifletté sulla domanda inaspettata che le era stata posta, stavolta gli rispose catturando i suoi occhi.
«Ora capisco perché tra noi è finita, non sei mai stato in grado di capirmi»
La bambina giunse in compagnia della madre; la signora di casa non osò proferire parola, ma era dispiaciuta che la permanenza della figlia si fosse conclusa così presto. Sebastian catturò l'attenzione della bagnina sfiorandole un braccio prima che se ne andasse insieme ad Alisia e senza porgere loro un saluto.
«Kathe. Non sei dell’umore per decidere, parlane con tuo marito, prendete insieme una decisione»
Solo in quel momento, con quel gesto azzardato che la riportò prepotentemente indietro nel tempo,  la donna si accorse che all’anulare di Sebastian vi era infilata una fede; aveva trascorso quel breve incontro a disprezzarlo implicitamente e esplicitamente, ignorando il resto e tutto il contesto che ruotava intorno a loro e che con gli anni era mutato, non solo per lei. Sussurrò la sua ipotesi, aveva timore di sapere, paura che un dolore sopito potesse riemergere, come se le persone in cui aveva riposto la sua più sincera fiducia non avessero terminato di infierire sul suo cuore.
«L’hai sposata»
Non la riguardavano più le loro vite, chi frequentassero, quale relazione intrattenessero tra loro, eppure si sentì tradita di nuovo da lei e da lui, come se il suo mondo non fosse davvero mai stato a New York, come se tutto sotto il cielo fumoso della metropoli non le desse valore; se n'era andata, ma ciò non li autorizzava a svalutare l'amore e l'amicizia che avevano condiviso, le avevano dimostrato per l'ennesima volta quanto i loro sentimenti nei suoi confronti non fossero mai stati sinceri. Non li sentiva nemmeno lei da diverso tempo, non avrebbe potuto sapere quanto i due si amassero, tanto da pensare di ufficializzare la loro unione, non era stata quindi solo un'infatuazione come avevano voluto ingenuamente farle credere. Lo sguardo imbarazzato di Sebastian le diede la conferma.
 
 
Los Angeles, 5 settembre 2018
 
Margaret non era una donna dedita all’attesa. L’attesa la uccideva, la accendeva, la logorava, le mostrava di non essere nel giusto, come se in qualche modo non riuscisse a mostrare vicinanza all'amato. La realtà era diversa, era lei ad avere bisogno del più piccolo indizio della sua presenza. Scoprì la sua debolezza, quando l’istinto la guidò nella stessa redazione in cui lavoravano il padre e il fidanzato. Si era accomodata alla scrivania di Samuel e aveva lasciato che il suo profumo la inondasse; il suo ricordo veniva emanato da ogni oggetto, carta, biro. Aveva lasciato tutto rigorosamente in ordine come se dovesse partire per un lungo viaggio. Lui era partito per un lunghissimo viaggio in un luogo remoto.
Aprì con attenzione uno dei cassetti; non scelse il primo, sicura che fosse dedicato a documenti di lavoro, ispezionò il terzo e ultimo, il meno scontato. Lo conosceva, sapeva che in quell’angolo di mondo, del suo mondo, avrebbe trovato gli effetti più personali, ciò che riguardava anche la loro relazione. Qualche foto riposta gelosamente sul fondo rivelava l’uomo dietro il giornalista; la loro felicità si respirava attraverso le istantanee che sfiorava con le dita, erano solo due giovani innamorati desiderosi di trascorrere qualche ora insieme, lontani da ogni sorta di incombenza. Le responsabilità sarebbero sopraggiunte con il matrimonio, si ripeteva Margaret, non avrebbe mai creduto che un viaggio di una simile entità potesse allontanarli bruscamente. Nelle sue vene non scorreva nemmeno la più piccola percentuale di serenità, eppure davanti agli occhi del fidanzato ritratti nei loro ricordi le sfuggiva più di un sorriso. L’ambiente in cui si trovava le trasmetteva una malinconica sensazione di casa; lo aveva conosciuto sotto le luci al neon di una redazione mediamente frenetica, gestita da un direttore intransigente che, se tutto fosse andato per il verso giusto, sarebbe diventato suo suocero.
Non aveva sue notizie da qualche giorno, le mancava sentire la sua voce, poche sillabe, anche solo un sospiro dall’altra parte della cornetta, sarebbero state un inequivocabile segnale di vita. Niente, vuoto totale e il tempo scorreva sempre troppo lentamente. L’Inferno dantesco era nulla in confronto a ciò che stava patendo il suo cuore sotto una velata patina di disillusione; non ostentava mai le emozioni, ma le provava, forse addirittura amplificate, tanto che un giorno il petto le sarebbe scoppiato, sempre in silenzio, ma difficilmente avrebbe potuto resistere ad una pressione così intensa.
Era conservato qualunque tipo di ricordo nel cassetto, rappresentavano attimi che Margaret era riuscita a strappare alla frenesia di Samuel, sempre attivo nel campo in cui amava prestare servizio. Tra gli oggetti era spiccato un foglio, una fotocopia, che evidentemente non serviva più, utilizzata sul retro; la calligrafia del giornalista solcava il lato bianco e intonso dai segni di inchiostro meccanici, a caratteri grandi in cima vi era scritto:
 
Promesse
 
Il cuore della giovane iniziò a pompare rapido nella gabbia toracica, era indecisa se proseguire o se fermarsi e risparmiarsi un ennesimo dolore. Non poteva sapere a quando risalisse quello scritto, era certa però della sua autenticità. Si convinse che non fosse giusto anticipare i tempi, le avrebbe lette lui nel giorno del loro matrimonio; magari le avrebbe anche modificate, dopo un viaggio in territorio bellico si faceva ritorno sicuramente diversi. Ripose il foglio nell’esatto punto in cui lo aveva trovato con un unico pensiero: la spaventava immaginare cosa stesse vivendo, quali situazioni fosse costretto ad affrontare. Nell’esatto istante in cui richiuse il cassetto, una voce dai toni possenti richiamò la sua attenzione.
«Margaret. Cerchi tuo padre?»
«Signor Clark. Mi scusi, mi sono presa la libertà di …»
La ragazza si era alzata in segno di rispetto, quasi intimorita per l’azione che si era permessa di compiere.
«Resta, non credo che a mio figlio dispiaccia. Stavo scendendo per un caffè. Ti va? Posso offrirtelo?»
Non era certa di aver compreso le parole del suocero, ma si affrettò ad accettare un evento così raro. Il loro rapporto era sempre stato piuttosto inesistente, eppure l’aveva scortata con risolutezza e abitudine alla macchinetta che avevano a disposizione in redazione e si era premurato di preparare due tazzine, per sé e la sua ospite.
«Mi raccomando, non dire a Delilah che ho preso un caffè ristretto»
Le aveva addirittura accennato un sorriso, era leggero ma per nulla forzato. Daniel si era seduto al tavolo davanti alla ragazza, aveva indugiato sullo zucchero, infine lo aveva scartato.
«Signor Clark, si sente bene? Mi scusi se mi permetto, ma la trovo strano oggi, come se qualcosa la preoccupasse. Ha ricevuto notizie da Samuel?»
«Desideravo parlarti proprio di lui, ma non per angustiarti con notizie nefaste»
Margaret non seppe se rallegrarsi o spaventarsi, il cuore le era salito fino alla carotide, bloccandole respiro e circolazione. 
«Mio figlio sarà a Kabul per qualche mese, io non ho mesi a disposizione. Mia figlia sostiene che se non affronto un’operazione chirurgica nei prossimi giorni, potrei avere gravi complicazioni e la situazione potrebbe non essere più recuperabile»
La ragazza fu colta alla sprovvista, era inconcepibile e impensabile ciò che le aveva appena comunicato; non poteva essere vero, non poteva un'ennesima preoccupazione colpire la loro famiglia. Aveva così strenuamente giudicato quell'uomo, il rapporto che teneva nei confronti del figlio non le piaceva, ricadeva sul fidanzato e sulla loro relazione sentimentale, ma ciò non metteva in discussione il rispetto che nutriva nei confronti del direttore e che aveva sempre mantenuto fin dalla loro conoscenza.
«Mi sta dicendo che è malato?»
«Ti sto chiedendo di restare accanto a Samuel quando farà rientro e di non informarlo delle mie condizioni di salute. A Delilah ho già chiesto riservatezza. Ti chiedo scusa, Margaret, ti stava per sposare ed io gli ho proposto un servizio in Afghanistan. Mi rendo conto ora di aver sbagliato, non ho dato valore al vostro legame»
 
 
Base militare americana – confine Nord/Est di Kabul, 6 settembre 2018
 
Il generale Flores protestava contro il vento di scirocco per i chiari risultati dell’avventatezza dei suoi soldati. Aveva chiesto a Richardson e a Ward di effettuare una semplice ronda di perlustrazione tra le vie cittadine e di rientrare subito alla base, invece avevano intrapreso uno scontro a fuoco non organizzato con i talebani; non gli importava troppo il motivo dell’impresa, la questione più rilevante era che non fosse stato autorizzato da alcun loro superiore, men che meno da lui. Il risultato per Christian era uno stato di coma pesante dal quale non si era ancora ridestato. Gwendoline aveva rifiutato il soggiorno in ospedale, aveva chiesto di lasciarlo riprendere alla base, sotto le sue cure non sarebbe mai rimasto solo. Il rigido generale aveva concesso la richiesta della recluta, ma non aveva ancora accettato il comportamento irresponsabile dei due; in poche ore stavano rischiando di mandare a monte un’importante operazione di salvataggio.
Avrebbe voluto e dovuto affrontare il tenente Richardson, ricordargli la sua posizione in quanto veterano di guerra; era davvero cambiato, si faceva distrasse dai dettagli, aveva salvato una vita e messo a repentaglio quella di centinaia di persone che attendevano solo di essere salvate da lui. Non avrebbe mai compreso la mentalità di un Navy SEAL sempre troppo avventato, cauto allo stesso tempo ed estremamente sensibile di fronte alle problematiche umane. Era giunta l’occasione per Flores di mostrare la sua umanità, la stessa di cui accusava spesso il capitano, la stessa che era riaffiorata quando tra le sue mani era passata una lettera spedita da San Diego e scritta dalla signora Katherine Richardson. Non rimase impassibile davanti alla busta e a quel nome, si era concretizzato in un istante il passato del seal, come se volessero insinuargli i sensi di colpa per le decine di chiamate a cui non aveva voluto dare risposta. Stavolta però Flores non si sentì di voltare le spalle a quella donna; era tardi, sapeva di consegnare una lettera ad un uomo la cui mente era sopita, ma confidava che il soldato Ward avrebbe fatto tutto il possibile per recapitare al tenente le parole della moglie. Tra il generale e la recluta nel momento del passaggio ci fu un brevissimo dialogo; il superiore agli occhi di Gwendoline parve quasi mortificato, ma oltre la ragazza non riuscì a scorgere, teneva inusualmente il capo chino verso il basso. La giovane era devastata dagli ultimi eventi, il suo volto era segnato da solchi profondi di sale; la lucidità l’aveva abbandonata già da diverse ore, si impegnava a ripulire le ferite minori sul volto del capitano, teneva fresca la sua fronte, il caldo della divisa e dell’esplosione avevano infiammato la sua pelle. Non stava bene, ma era stabile, così le avevano riferito i medici, motivo per il quale era necessario attendere il suo risveglio e constatare in seguito i danni provocati dalla granata.
Gwen sapeva che il capitano era l'unica speranza per i soldati e per i civili ancora nel nosocomio che lottavano giorno dopo giorno tra la vita e la morte; prima dell’eroe però, lei scorgeva l’uomo, l’uomo che non aveva indugiato ad anteporre la vita di una donna e di sua figlia alla sua, l’uomo che aveva risparmiato un piccolo nemico perché ancora così ingenuo da non sapere verso quale direzione si trovasse il bene, l’uomo che temeva di aver eliminato un talebano che non si poneva alcun problema ad uccidere a sangue freddo chiunque si fosse frapposto sul suo cammino. Era un onore ricevere ordini da lui; il cuore di Christian era sempre animato da buone intenzioni, anche – e spesso – a discapito della sua stessa vita. Rashid e Nazaha avevano pregato Gwendoline di ringraziare il tenente per ciò che aveva fatto per loro. La recluta aveva legato al collo del superiore il pendente della sua fede nuziale, il ragazzino l’aveva restituita, sottolineando quanto fosse stato un uomo di parola; aveva consentito ad una bimba di sorgere alla vita in mezzo ad un campo di morte, aveva donato speranza alle donne e alla Nazione intera, aveva consentito alla figlia di un amore sincero di non venire soffocata da assurde regole che offuscavano il cuore umano.
Il Navy SEAL aveva garantito a Gwendoline che avrebbe salvato il suo Alex. Non aveva trasgredito a quella promessa, aveva trascorso giorni a dettagliare il piano definitivo. Non si sentiva di rimproverargli qualcosa, era in quelle condizioni solo per colpa della sua bontà e lei era molto orgogliosa di lui. Non era certa fosse corretto da parte sua aprire la lettera di sua moglie e leggerla ad alta voce, sperando che ciò lo stimolasse a reagire e accompagnasse il suo auspicabile risveglio. Aprì con facilità la busta, troppa, stava violando un’area riservata che in condizioni usuali era sempre opportuno rispettare; non stavano vivendo però una situazione normale. Vi era contenuta una missiva e in allegato una foto; era la prima volta che Gwen scorgeva i volti di Katherine e Alisia, fu un momento commovente, una semplice istantanea aveva reso reale la famiglia del superiore. La recluta comprese facilmente l’amore che professava per quella donna; era molto bella e dal sorriso traspariva dolcezza, teneva stretta al petto la figlia – così somigliante ad entrambi i genitori –, anch’essa sorrideva verso l’obiettivo con la convinzione negli occhi di poter raggiungere con un semplice sguardo il padre e coprire gli infiniti chilometri che li dividevano. La ragazza ripensò alla scelta del capitano di restare, di aiutarli e quindi di aiutare anche lei, a discapito di tutto, della sua famiglia; si sentì morire nell'anima, lei non aveva più nulla da perdere, ma Christian rischiava di rovinare un bene troppo prezioso e fragile – lei sapeva quanto lo fosse –, non poteva pensare di togliere il padre a quella bambina o un marito alla propria moglie, Gwen lo aveva già vissuto all’interno della sua famiglia e sarebbe stato terribile per loro provare un simile dolore.
Dispiegò la lettera, convinta che quella lettura l’avrebbe devastata, ma era certa fosse necessaria.
«Ciao, amore mio. Non ho osato chiamarti, né tantomeno cercare di organizzare una videochiamata, anche se avremmo voluto tanto poterti rivedere. Ho preferito scriverti, spero per te possa essere più comodo trovare un po’ di tempo per leggere queste poche righe …»
Alla ragazza servì qualche istante per riprendere fiato. Si accomodò con leggiadria accanto al fianco del capitano, su quel materasso così scomodo da sembrare pietra e ricominciò la lettura, quasi sussurrando le parole - era molto vicina al capitano, le avrebbe percepite ugualmente - di una moglie affranta ma innamoratissima. Il tratto di inchiostro era tremolante, le parole erano profonde e rese ancora più sofferte dall'agitazione che traspariva dalla mano che le aveva prodotte; dava l'idea di voler mostrare più serenità di quanta non ne provasse realmente.
«… Non ho idea di quando ti sarà recapitata questa busta, ma immagino dopo il 4 settembre, quindi buon compleanno Chris, prego ogni giorno il cielo che ti preservi in salute. Sono quasi certa tu abbia dimenticato i tuoi quarant’anni, ami molto di più festeggiare il compleanno degli altri. Alis però non è del tuo stesso avviso, è indaffarata in questi giorni, vorrebbe tanto mostrarti un piccolo regalino che ti sta costruendo, ma penso che riuscirà a consegnartelo non prima di maggio. Nei prossimi giorni partirò per New York, mi stanno aspettando i miei, stai tranquillo non ho alcuna intenzione di cedere alle loro richieste, ma ciò non toglie che affrontarli senza te al mio fianco mi renda spaesata, non riesco a nascondertelo. Quando torni, pensiamo ad allargare la nostra famiglia (Will se lo è fatto sfuggire). Ti amo tanto. Sempre tua, Kathe»
Aveva letto le parole di una donna piena di speranza con lo sguardo rivolto al futuro; la ammirava molto, più di quanto non facesse già. Gwendoline piegò con cautela la lettera e la fece scivolare sotto le dita di Christian.
«Auguri, capitano. Le auguro ogni bene possibile»
 
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Samuel era stanco nel corpo e nello spirito; soffriva di una spossatezza che non sapeva attribuire ad una causa specifica. Negli ultimi giorni aveva riposato poche ore, aveva completamente dimenticato le avvertenze della sorella, nonostante la debolezza fisica lo rendesse più suscettibile alla malattia. Non aveva abbandonato Karim, si impegnava affinché la tubercolosi non lo logorasse, sperava sempre di allontanare la morte di un altro passo, si augurava di guadagnare tempo nell’attesa del farmaco dall’Occidente. In quel Paese dimenticato dal buon Dio, gli antibiotici erano rari, più miracolosi della manna dal cielo, le risorse non coprivano il fabbisogno della popolazione. Samuel, da buon americano nato e cresciuto con ogni comodità, non riusciva ad accettare che la vita di un uomo scivolasse così facilmente dalle mani senza la possibilità di impedirlo. Lo aveva vegliato con coraggio, interrompeva la sua accorata veglia solo per cercare il farmaco che, se somministrato in tempo, avrebbe salvato la vita all’amico. Si occupava lui soltanto di quel medico, impediva a chiunque altro di avvicinarsi.
L’ardua impresa del giornalista era stata bloccata quando venne informato da Gwendoline delle condizioni di Christian. La recluta aveva spiegato a Samuel le dinamiche dell’incidente; da parte del reporter non ci fu alcuna comprensione, era corso alla base americana arrabbiato, era poco comprensivo nei confronti di scelte così avventate, non aveva pensato quanto avrebbero potuto ferire sua figlia; Samuel aveva fin troppa esperienza sulla poca attenzione ai sentimenti da parte di padri superficiali, Christian non era altrettanto insensibile, ma al contrario troppo altruista verso chicchessia.
Si imbatté nella recluta in lacrime al capezzale del seal; pregava e vegliava, un’attività che lei e Samuel avevano condiviso negli ultimi giorni ai piedi di giacigli differenti. Gwendoline non aveva alzato lo sguardo dal tenente, ma aveva avvertito la presenza amica dell’ultimo arrivato.
«Dicono sia normale, è stato un evento traumatico per il suo fisico. Sostengono che potrebbe avere disturbi all'udito»
Il giornalista si avvicinò a lei di qualche passo, era intenzionato a confortarla; il volto ferito del capitano scorto a pochi centimetri fu un pugno nello stomaco per lui, ma non era il caso di abbandonarsi allo sconforto, non era nella sua indole.
«Ehi. Andrà tutto bene, Chris si sveglierà»
«Sono stanca, chiunque entri nella mia vita soffre, mi chiedo se non sia io il problema, Samuel»
Non la abbracciò solo per paura di contagiarla con la stessa malattia di cui soffriva Karim.


 

 
Ciao ragazzi!
Finalmente ho avuto la possibilità di aggiornare ^^, in ritardo ovviamente, scusatemi.
È faticosissimo documentarmi su ciò che rimane oggi del World Trade Center e sulla sua ricostruzione, navigo su un terreno difficile da rivivere, la rete è piena di materiale informativo strappalacrime. Spero di aver scritto l’essenziale e di non aver infuso troppa tristezza anche a voi <3. In questo capitolo ho cercato di raccontarvi come se la stia cavando buona parte dei personaggi della storia senza dilungarmi troppo (intenzione fallita, me ne rendo conto), nei prossimi capitoli ci sarà occasione per sciogliere la suspance su ogni aspetto.
Grazie di cuore a tutti gli intraprendenti che seguono con passione le avventure di questi ragazzi <3
Alla prossima!
Un grande abbraccio
-Vale
 
 
   
 
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