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Autore: Ste_exLagu    12/08/2020    2 recensioni
Dal testoSono insensibile, me lo ripetono tutti, me lo ripetono tutti i giorni, e forse un po’ è vero, forse no, forse è solo la mia difesa contro il mondo, questo posto oscuro dove ci troviamo a dover vivere e crescere, questo posto dove tutti pretendono che tu sia te stesso, ma se lo sei troppo non va bene, è proprio frustrante questa cosa. Sono antipatico perché non rido, questo mi viene ripetuto mille volte al giorno dalla voce sgraziata del Do'hao, nei suoi strepiti vengono fuori tutte le mie mancanze verso il mondo, ma quelle del mondo verso di me? Non rido per niente, non so come muovermi, non voglio farmi coinvolgere, cosa c’è di sbagliato in questo? [...]
Quando mi sono diplomato mia madre ha pianto di felicità, quando ha capito che sarei potuto andare all’università mi è sembrata ringiovanita, ha ritrovato la sua giovane età, quella che aveva perso quando avevo perso la mia strada. La nostra famiglia è sempre stata quella di due bambini che sono cresciuti insieme, e non siamo riusciti insieme a mantenere la via. Lei era al liceo quando si è accorta di aspettare me, non ero in programma.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Hisashi Mitsui, Kaede Rukawa
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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- Due Anime -

Siamo due anime cadute
Mille milioni di anni fa

[Due Anime – Max Pezzali]



Sono insensibile, me lo ripetono tutti, me lo ripetono tutti i giorni, e forse un po’ è vero, forse no, forse è solo la mia difesa contro il mondo, questo posto oscuro dove ci troviamo a dover vivere e crescere, questo posto dove tutti pretendono che tu sia te stesso, ma se lo sei troppo non va bene, è proprio frustrante questa cosa. Sono antipatico perché non rido, questo mi viene ripetuto mille volte al giorno dalla voce sgraziata del Do'hao, nei suoi strepiti vengono fuori tutte le mie mancanze verso il mondo, ma quelle del mondo verso di me? Non rido per niente, non so come muovermi, non voglio farmi coinvolgere, cosa c’è di sbagliato in questo? Non riesco a capire questa voglia di tutti di dover avere un sacco di amici, di dover per forza piacere a tutti, e poi le pressioni, trovati un lavoro alla fine dell’università, puoi giocare ai sogni solo fino alla laurea. Siamo cresciuti, non siamo più i ragazzini dello Shohoku, siamo studenti universitari e stiamo arrivando alla data di scadenza, quella in cui dovremo essere quello che ci impone la società. Vogliono i lavoratori delle società, vogliono che tu diventi uniformato alla massa, che trovi l’amore, che tu sia socievole. Il tempo delle follie, il tempo delle risse è finito, anche il Do'hao ha trovato la sua dimensione, il suo posto chiassoso, una società che si occupa di design, si è scoperto, quando ha smesso di fare lo spaccone anche il talento nel disegno di oggetti di arredamento e design, così per caso quando eravamo al secondo anno, dopo che i senpai ci hanno lasciato nelle mani di Miyagi definitivamente il capitano ci ha imposto, e si è auto imposto l’obbligo di andare bene, nessun corso di recupero all’ultimo minuto, non avremmo avuto nessuno che avrebbe potuto aiutarci, come quella sera a casa di Akagi. Abbiamo cominciato a studiare insieme, dopo gli allenamenti, durante le pause dalle lezioni, ed eccoci tutti e tre ad eccellere a scuola e nel basket. I miei genitori continuano a dirmi di smettere di sognare l’NBA non ci andrò mai, loro non lo permetteranno, non mi manterranno, che questa università mi servirà per avere un buon lavoro. Manca ancora qualche mese alla laurea, io mi sto specializzando in lingue straniere, alla fine ho preso la sfida dell’inglese e l’ho portata ai massimi livelli, dover imparare più lingue, perché quando ascolto gli altri sembra sempre di ascoltare una lingua sconosciuta, una radio mal sintonizzata, che va a scatti. Qua in Giappone servono le persone che sappiano le lingue straniere, siamo notoriamente indietro in questo campo, siamo isolani, e come isolani ci isoliamo, e forse questo è il mio tratto più autentico, mi isolo in questo mondo di luci e colori, io e Sakuragi studiamo insieme in un’università di Tokyo ed è tutto a sua misura, ma non a mia misura, colorato, rumoroso e veloce. Io ho i miei tempi, e lui, con cui divido anche l’appartamento mi dice spesso che dovrei cercare un lavoro, che dovrei smettere di farmi illusioni, che chi vorrà mai un giapponese secco per giocare a basket negli Stati uniti, fosse stata pallavolo e l’Italia si, visto che ci sono Ishikawa e Nishida*, ma non ci sono scontri con centri con il fisico di un armadio a quattro ante, e poi parla lui che è diventato ancora più muscoloso rispetto alle superiori? Mi è tornata la voglia di prenderlo a pugni, la stessa che ho avuto quel giorno sulla terrazza, quella che mi ha spinto alla rissa per un anno, poi le cose sono cambiate, per me è nato un sentimento che lui non ha mai ricambiato, ma per lui sono diventato l’amico, quello strano, quello che lo ha ascoltato per notti intere quando la sua storia con l’Akagi è andata a rotoli, e tutto perché innamorarsi delle illusioni è da ragazzini, ma fa male ugualmente. Spesso mi critica perché non mi sono mai aperto con nessuno, che non ho mai cercato una ragazza, e rispondo che non sono interessato a nessuno, e mi illudo di non essermi mai innamorato di lui, di averlo sognato per notti intere, di averlo ascoltato e consolato perché il solo saperlo felice mi rischiarava la giornata. Ma ora anche lui è diventato un numero, nonostante il suo fisico non sia conformato al Giappone lui è un tipico giapponese, di quelli che presto si sposerà con la ragazza giusta e che farà famiglia e che lavorerà in azienda fino al calare del sole*. Rimango immobile in questa frustrazione e non so come venirne fuori, so che dopo la laurea riempirò finalmente la mia application per il camp dove sceglieranno i partecipanti alla draft, non posso fare in nessun altro modo. I miei hanno sempre detto che se non avessi chiuso con i miei sogni di bambino che vuole calcare parquet americani mi avrebbero tagliato i fondi, ed io ho cominciato a lavorare, lavoro la notte, e no non faccio il gigolò come insinua sempre Hanamichi, lavoro come barman, in un locale gay, almeno posso illudermi che ci possa essere qualcuno per me, qualcuno che cerchi me come compagno. Pagano bene perché il notturno è sempre il turno più stressante, e molti se ne vanno dopo pochi mesi. Il capo mi prende in giro, dice che potrebbe mettermi come statua in un angolo e avrebbe comunque il pienone solo per vedere i miei occhi.


Quando mi sono diplomato mia madre ha pianto di felicità, quando ha capito che sarei potuto andare all’università mi è sembrata ringiovanita, ha ritrovato la sua giovane età, quella che aveva perso quando avevo perso la mia strada. La nostra famiglia è sempre stata quella di due bambini che sono cresciuti insieme, e non siamo riusciti insieme a mantenere la via. Lei era al liceo quando si è accorta di aspettare me, non ero in programma, e non aveva un fidanzato, era successo qualcosa ad una festa, ma lei non ha mai saputo raccontarlo, adesso ne parla come il suo miracolo, lei era poco più che bambina, un’anima ardente come la mia e abbiamo imparato che questo mondo fa schifo, purtroppo l’ambiente in cui siamo cresciuti insieme, quando io a sedici anni ho perso la bussola lei ne aveva una trentina, ma non i trenta di chi ha avuto una famiglia che la guida nell’imparare a giostrarsi nel mondo, i trenta di chi ha combattuto contro il mondo giorno dopo giorno, e io come lei sono un guerriero, dalle mille guerre. Lo so che mi ha sempre amato, e quando mi sono perso lo ha fatto anche lei, anche per lei è stato un periodo pessimo, un compagno pessimo, che era di un giro ben peggiore del mio, e poi quel giorno ho deciso di far chiudere il club di basket, e devo ringraziare di averlo fatto, quel giorno ho incontrato la mia chiave per scardinare questo mondo, ho trovato le mie armi, ho trovato una guerra ben più facile. Il ginocchio che non funzionava, e quell’eccitazione per i ragazzi, quell’infatuazione per Kogure, io che lo sognavo ogni volta, e dopo siamo stati insieme per un po’, fino al diploma, e poi lui è andato dall’altra parte del Giappone a studiare, ed io ero a studiare e giocare a basket come se fosse il mio pane, e per questo che adesso questo sport sta pagando le mie bollette. Dopo una laurea attinente alla meccanica, sono stato preso in uno studio di progettazione di motori, e gioco in una squadra di Tokyo, il mio capo vorrebbe che lasciassi il basket, ma non posso, andrei di nuovo alla deriva, sono da solo, ora che la mamma ha trovato la sua strada e un fantastico compagno. Lei si è risposata prima del campionato invernale del mio terzo anno allo Shohoku, con un mio professore, quello che più mi ha aiutato a riprendere in mano la mia vita, e adesso hanno tre figli, una villetta, tre cani e due gatti, sono il benvenuto da loro, ma sono come una nota distorta in una bella musica, non faccio parte della loro canzone, posso passare come un jingle alla TV ma non posso rimanere. Non ci comprendiamo più con mamma, siamo due pianeti opposti, ora lei vorrebbe che io fossi come tutti gli altri, calmo, tranquillo, un impiegato, e non uno che si barcamena tra un lavoro e il gioco professionistico. Parliamo lingue diverse pur parlando Giapponese, non riesce più ad essere quella bambina che ha cresciuto un bambino, ora è una donna che crede di aver a che fare con un adolescente, la sua anima ardente si è quietata, la mia si è infiammata, devo avere tutto il pacchetto, amore, lavoro, passione, e deve essere con un uomo degno di questo appellativo uno con le palle di seguire i suoi sogni, uno la cui anima non sia grigia come quella di questi impiegatucci, tutti presi dalla loro routine nasci, studi, lavori, fai una famiglia, vai in pensione e dopo un po’ muori, ma non fai il lavoro che ami, ti accontenti di diventare l’impiegato dell’azienda x, un numero tra i numeri, una macchia in giacca e cravatta tra macchie uguali a te, no non mi avranno mai, farò le cose alle mie condizioni, non voglio perdere di nuovo la mia anima dietro a cose che non fanno per me. Tetsuo, ride di me, lui ha la sua officina, un ritrovo per motociclisti ormai famoso per tutta la nazione, dice che sono rimasto l’animaletto selvatico che ha raccolto una notte in strada, e che mi capisce, e che lui ha trovato la sua metà, la donna più assurda che abbia mai incontrato, una donna che smonta una moto con una mano e la rimonta con l’altra, uno spirito libero, sono contento, loro si sono trovati e vorrei qualcuno affine a me che non sia banale, che non sia povero di contenuti, che non abbia paura ad alzarsi in piedi e dire io farò quello che mi farà felice.


Una nottata al lavoro come tutte le altre, questi uomini in giacca e cravatta che cercano uno svago proibito, nonostante questa nazione sia uscita dal medioevo, nonostante adesso uno possa essere pubblicamente omosessuale molti si nascondono, quante fedi brillanti vedo alle dita di questi impiegati, quanti vedo sparire nel privé con ragazzi che si vendono per pochi soldi, oppure con i loro veri amori, nascosti, sposati, mi fanno arrabbiare, non riescono a dire la verità nemmeno a se stessi, non riescono ad urlare “Io esito, io sono gay” io l’ho fatto un giorno a quattordici anni a casa durante un pranzo delle feste con tutto il parentado, quando una delle zie mi fa “allora Kaechan la fidanzatina?” io mi sono alzato di scatto e ho detto con tutta la voce che avevo in gola “Basta, non avrò mai la fidanzata, sono gay”, per me che amo il silenzio è stato uno dei pranzi più piacevoli della mia vita, nessuno è riuscito a parlare per la mezz’ora successiva, non si sentiva nemmeno il suono delle bacchette e questo mi ha permesso di finire di mangiare e congedarmi da loro prima che passasse lo shock. Sono poi stato vittima di tentativi di riconversione all’eterosessualità e altre cose aberranti del genere, con loro non ho mai avuto un gran rapporto, sono sempre stato indipendente, e per mia fortuna la mia indipendenza mi ha salvato dalla loro mentalità retrograda. Se continuare con il basket prevede il taglio ai fondi, l’avere un compagno prevede l’essere diseredato, ma che si fottano, che si tengano la loro azienda, la loro fabbrica di impiegati tutti uguali. Che parlino tra loro di cose che capiscono solo loro, io vivrò in un mondo diverso, e forse sono troppo romantico, perché credo al mio sogno, penso di essere abbastanza forte per riuscirci, penso di essere abbastanza pazzo da poter dividere la mia vita con qualcuno che come me ami quello che fa o vole fare. Sono voltato di spalle quando sento una voce, una voce che sa di casa, che sa di Kanagawa, ma non so perché associo le due cose, non ho mai sentito Kanagawa la mia casa. “Scusi vorrei un Long Island*” mi volto e rimaniamo entrambi immobili come se il mondo si fosse fermato, conosco quest’uomo sono quasi sei anni che non ci vediamo, lui ha evitato le varie rimpatriate che ci sono state dopo il suo diploma, e io ho evitato di uscire a bere qualcosa con gli amici del rosso, loro sono amici, lo vedo in lui, vedo l’anima ardente, vedo ancora quel ragazzino ribelle, e non è solo perché indossa un paio di jeans skinny e una camicia con tre bottoni slacciati e un giacchetto di pelle che lo fa sembrare una divinità scesa dall’olimpo del metal, non è per i suoi capelli che incorniciano disordinatamente la sua testa, non è per il profumo che emana la sua pelle, o sono io che ho deciso di associare un odore a lui, non lo so, il mio cuore ha cominciato a battere ad una velocità diversa, ho come la sensazione di aver ritrovato le chiavi di casa. La sensazione piacevole, quando in mezzo a qualche libro ritrovi un tuo pensiero, come se quelle parole fossero state scritte solo per te, magari le ha scritte una donna nell’ottocento dall’altra parte del mondo, o forse un poeta in una lingua che non parla più nessuno o quell’haiku che hai sempre ignorato e che poi ti fulmina appena sveglio, o come le parole di quella canzone che ami tanto e che credi che siano le tue, personali e non dell’autore, del cantante o del pubblico, solo tue. Abbiamo smesso di trasgredire, di infrangere le regole, io mi sento stupido a farlo, ma è giusto così si cresce anche per questo, per seguire alcune regole, ma forse è il momento di fregarsene. Veniamo interrotti da un altro cliente “Cocco” la voce quattro ottave troppo alta per essere vera “Posso avere un appletini?” odio quel cocktail e adesso ho un motivo in più. Lui si siede al bancone e io riprendo a respirare, riprendo a lavorare, faccio il cocktail alla mela per la diva del locale, cercando di non far tremare le mani, e poi mi occupo del Long Island*, dopo aver messo il bicchiere con il ghiaccio davanti a questo giovane uomo che mi sta scrutando dentro, parto tagliando la fettina di limone, me ne servono tre per farne uscire una bene, il suo deve essere perfetto, e poi 1/10 di succo di limone e giù 2/10 di Gin, Vodka, Triple sec e Rum e poi vai di shaker, e stavolta niente giochini, nessuna acrobazia, non riesco a tenere ferme le mani, farei solo una brutta figura, mi sento come se fossi nudo davanti a lui, e se ci ripenso lo sono stato in altri momenti, e non mi son sentito così. Gli servo la bibita, decoro il bicchiere aggiungo la coca cola e metto le cannucce. Sento i suoi occhi su di me, ed è come se questo posto fosse silenzioso, come se ci fossimo solo io e lui, ma ci sono questi fastidiosi clienti che richiamano la mia attenzione. Una ragazza mi chiede un invisibile e io le chiedo il documento, e quando lei, che si trova proprio a fianco di Mitsui me lo porge sento una mano grande e calda sfiorare la mia, e avvampo come una dodicenne quando vede la sua pop idol preferita. Restituisco il documento e mi metto a fare il cocktail, e vengo interrotto dall’arrivo del capo “Kitsune” mi richiama e io roteo gli occhi al cielo facendo ridere l’anima ardente “La gente paga anche perché tu faccia bene il tuo lavoro” sbuffo creando ancora più ilarità nel mio ex compagno di squadra. “Ok capo” cerco di far smettere di tremare le mie mani, e comincio con un po’ di giochini acrobatici per i cocktail che mi vengono chiesti, mentre la guardia della squadra di Tokyo mi continua a ridere in faccia, cosa che mi fa riprendere la mia solita calma interiore. “Che ridi anima ardente?” gli chiedo mentre lui si nasconde dietro la cannuccia bevendo il liquido dal colore del te freddo. Consegno qualche cocktail prima di ricevere una risposta “Kitsune? Non te ne sei sbarazzato?” scuoto la testa “Ne del soprannome ne dell’autore” vedo l’ilarità del suo volto scemare, mentre prende il portafoglio, non capisco che stia succedendo ma sembra che lui voglia andarsene, lo blocco. “Offro io” e proprio mentre lo dico con la mano su quella di lui, arriva quella disgrazia del mio coinquilino con la sua ragazza vestita da Drag King*. “Micchi” interpella il nostro ex compagno di squadra che lo guarda male perché è mano nella mano a quello che sembra un ragazzino. “Kit, il solito” dice Sumire in arte Hiro, che così conciata sembra proprio suo fratello al liceo. Vedo la confusione sul volto di Mitsui “Koshino?” chiede e lei comincia a ridere una risata femminile e sonora “Si Koshino Sumire” si presenta dopo essersi inchinata non lasciando la mano del rosso, che ora lo è anche in volto. “Baciapiselli” un’uscita del genere in un locale del genere la poteva avere solo il Do'hao “la mia ragazza, il mio ragazzo, è che…” non riesce a spiegarsi, e sarebbe una scena comica, ma non riesco a ridere di lui che si è uniformato, ma ha trovato una persona che di giorno è la classica impiegata con la crocchia e menate simili e la notte si trasforma in Hiro, uno spogliarellista. “Ma… cioè” ora sono in due a non riuscire a parlare. “Tra cinque minuti stacco” annuncio dopo aver servito i due nuovi arrivati. Quando esco da dietro il bancone sento nuovamente gli occhi di Mitsui su di me, la divisa lascia poco all’immaginazione, non mi ha mai dato fastidio, sono allenato, il mio fisico è quello di un giocatore di basket, ma adesso mi sento come quel ragazzino con un accenno di muscoli che giocava alle scuole medie e aveva appena capito che gli piacessero i ragazzi. La sensazione di essere inadeguato è riapparso con un solo sguardo su di me. Sumire prende le redini della conversazione. “Bene ragazzi andiamo al mio tavolo riservato” ci incita a seguirla “Anche tu ragazzo di cui non so il nome, ma che conosce il mio Sakuchan” l’anima ardente si gira verso di me “L’ha appena chiamato scimmiotto?” annuisco, sono ancora allibito da quella coppia, e soprattutto a volte sono oltre il livello massimo di sopportazione, visto che entrambi sono i miei coinquilini, e sono una di quelle coppie che litigano e poi fanno pace facendo sesso, e non voglio soffermarmi su questo pensiero. Ci sediamo ad un tavolo, loro si sono portati i drink, mentre io non ho niente da bere, la figlia del padrone fa un cenno ad un cameriere ancora meno vestito di me “Un long island” e lo congeda con un gesto. “Sono confuso” la voce di Hisashi è diventata ancora più bella nel tempo, calda come una coperta d’inverno, quella che ti riscalda il cuore, la tua preferita, potrei ascoltarlo per ore e non annoiarmi. “Piacere sono Hiro il Drag King, faccio due spettacoli a notte, e sono la figlia del proprietario, sono fidanzata con questo pesce lesso che ha perso la facoltà di parola e adesso sembra assomigliare al suo migliore amico, il mio scimmiotto del cuore non riesce a parlare di me a quelli della sua vita a Kanagawa. Ma sono così come sono un po’ Sumire un po’ Hiro.” Sono seduto accanto all’anima ardente che fa un profondo sospiro, come prima di uno dei suoi tiri da tre, quelli perfetti quelli che a malapena sfiorano la retina tanto son precisi “Quando hai detto che non ti sei sbarazzato del soprannome e del rosso pensavo…” lo interrompo “Quando ti sei diplomato siamo diventati amici, e quando siamo stati ammessi alla stessa università abbiamo deciso di dividere un appartamento” si è voltato a guardarmi in faccia, e avvampo di nuovo, quegli occhi scurissimi riescono a farmi sentire sotto sopra, senza un vero motivo. “Il capo è il padre di lei” indico col mento il ragazzino che abbiamo di fronte “quindi il soprannome è passato dall’essere il modo fastidioso in cui mi chiama lui, al mio nome d’arte.” lui ride e io non posso fare a meno di sorridere “Ricordati ti è andata bene, mi chiama baciapiselli”. Il rosso si è rilassato “E dai Micchi, è un soprannome che ti ho dato prima che sapessi che ti piace il pisello” la sua ragazza lo prende per un braccio. “Andiamo a casa che domattina devo andare a lavoro, e tu all’università e non possiamo fare tardi” ci salutano mentre arriva il mio drink. “Long Island?” mi chiede e io annuisco “A fine serata mi rilassa, e così arrivo a c…” non riesco a finire la frase mi ritrovo le labbra di questa statua greca contro le mie, e ricambio come se fosse una cosa naturale, il posto è protetto, non è una strada, è un posto per quelli non proprio a posto con la società. Mi siedo sulle sue gambe, le sue cosce tornite mi fanno da cuscino perfetto e riprendo a baciarlo, e lui mette le mani sul retro delle mie anche mentre la mia mano destra va sulla sua guancia e con la sinistra mi puntello al divanetto per non crollargli addosso. Sono stordito dalle emozioni che mi passano dentro, non ho mai permesso a nessuno di trovarmi niente meno che indifferente, ma è bastato qualche secondo per crollare una costruzione protettiva durata anni e anni, che mi ha salvato spesso dal soffrire. Sento come se lo avessi ritrovato, come se io e lui fossimo legati da sempre, eppure ci siamo rivisti dopo sei anni di silenzio. Le emozioni che riempono il mio cuore sono sconosciute, e contemporaneamente così familiari, come se in un altro tempo le avessi già provate, forse eravamo uniti in un’altra vita.


Il locale dove ho incontrato Rukawa sta chiudendo, e veniamo invitati ad uscire, e lo facciamo, insieme, come se non lo avessi baciato mentre parlava perché il mio corpo fremeva e la mia mente continuava ad urlarmi di baciare quelle labbra, siamo cresciuti, e il tempo con lui è stato scultore, ha cesellato ancora i suoi lineamenti, li ha resi mascolini e perfetti nello stesso tempo, e lui ha capito di dover cambiare parrucchiere, ora ha un taglio che mette ancora più in risalto il mare blu dei suoi occhi, il naso perfetto, le labbra che urlano di baciarle mentre lui è in silenzio. Quando l’ho visto al bancone ho come avuto una scossa, come nei film quando usano le piastre per rianimare le persone, quando passa la corrente il corpo si scuote da solo, e la sua vista ha fatto lo stesso con me, nel mio corpo è passata una scarica elettrica e il mio sguardo è rimasto incollato a lui, e mi sono sentito come quelle ragazzine che al liceo avevano fondato il suo fan club, quelle ragazzine adoranti me lo hanno fatto odiare, il campione di basket, e sempre il basket a cui non potevo giocare, e il luogo dove avevo conosciuto Kogure, quello che Kimi credeva la sua salvezza dalla mediocrità, alla fine è diventato un mediocre impiegato nell’azienda di suo padre, con una moglie e due figli, abbiamo ventiquattro anni non mille e lui è già l’uomo di casa, non si è goduto la vita al primo anno di università era fidanzato con me e al secondo era sposato con lei, la ragazza che i suoi hanno scelto per lui. Ora con la bocca di Kaede sulla mia è come se avessi trovato il mio posto nel mondo, quello che sto inseguendo da anni, come sentire una canzone che suona perfetta e struggente, e la consapevolezza di non voler cambiare e di aver trovato qualcuno che non vorrei cambiare, so che sarà un uomo spigoloso, si ha solo ventuno anni ma siamo dei sopravvissuti, lo vedo nei suoi occhi, in realtà l’ho visto anche quel giorno quando è svenuto sotto un colpo a tradimento. Lui pensa di essere impassibile, ma non può celare il suo mondo, quel mondo che passa a colori nei suoi occhi, li guardi e vieni travolto da emozioni, e sai che sono le sue. Sarò folle ma vorrei entrare nel suo mondo, ma sarà difficile, siamo come gatti randagi, diffidenti sempre sulla difensiva, anche se stasera ci siamo buttati in area, abbiamo provato quel canestro impossibile, quello sul filo della sirena, quello che capovolgerà il risultato, che porterà alla vittoria, quello in cui non credi nemmeno tu, lo fai per istinto, ed è stato come una scossa, è andato. Il canestro è entrato, ho solo una paura, lui deve finire l’università e poi? Poi si omologherà anche lui? Perderà questo suo essere selvatico, trasformandosi in un docile e domestico cagnolino? I cani sono carini, ti aspettano a casa scodinzolando, venerando il loro umano, non fanno per me, danno amore per amore, danno amore anche se non gli dai amore, e non mi piace questo squilibrio, ho sofferto fin troppo per aver amato senza essere realmente ricambiato. Non capisco questo mondo, non sono adatto a viverci, gli altri sono felici con i loro paraocchi, nella loro noia, nei loro abiti eleganti, nei loro uffici gabbie. Cosa sogna la notte Kaede, io stanotte sognerò le sue labbra sognerò questo suo profumo, ha un retrogusto di bergamotto, non yuzu, è diverso speziato, un ricordo d’estate, un viaggio che uno dei primi fidanzati di mamma ci ha fatto fare, per me lui era vecchio, ma avrò avuto una decina d’anni, ci ha portati al mare, al sole, e la gente prendeva il sole in costume per avere la pelle più scura, sono rimasto shockato e poi ci ha portato nel suo agrumeto e ci ha fatto annusare diversi frutti, e adesso lui sa di momenti felici, sa d’estate, di mare e di risate. Volevo bene a quell’uomo è stato quello più vicino ad un padre, ma da un giorno all’altro è sparito senza una parola, senza un saluto, e io ora non voglio questo con questo giovane uomo, con il barman che mi ha fatto uno dei migliori cocktail di Tokyo. Mi stacco dalle sue labbra e socchiudo gli occhi e la visione che ho è quella che vorrei avere per sempre, lui con le guance rosse e un sorriso che gli increspa quelle labbra peccaminose. Sto per dire qualcosa ma è lui che per primo “Voglio rivederti, per bene” il fiato corto, gli occhi lucidi, se qualcuno mi chiedesse di spiegare la bellezza descriverei quello che ho appena visto, l’anima legata alla mia dall’inizio dei tempi racchiusa in un corpo umano, con gli occhi lucidi d’eccitazione le labbra gonfie di baci e le guance arrossate, la bellezza è il suo profumo di bergamotto e di qualcosa di avvolgente. Quella sensazione che mi trasmette, calma e frenesia, qualcuno con cui il silenzio non è solo silenzio, ma tempo ben speso, tempo di battiti di cuori, tempo di mani che parlano e di occhi che ridono. “Ti aspetto da sempre” riesco a dire, non riesco a dargli una risposta coerente, ma penso che la mia coerenza sia scappata quando sono entrato qua dentro, così come il buon senso. Lui mi bacia nuovamente, ma adesso non c’è quella passione travolgente di prima, l’urgenza, come se ne andasse del nostro respiro, c’è una dolcezza che non penseresti di trovare in uno che ha fatto dell’indifferenza la propria corazza, un bacio lento ad occhi chiusi, una mano sulla mia guancia e l’altra dietro la nuca, quando si stacca poggia la testa sulla mia spalla tiene ancora la sua mano sulla mia guancia, e solo ora mi rendo conto di quanto stia tremando, lui non perde la calma, domina il suo corpo e i nervi. Un suo collega gli batte sulla spalla “Kitsune, su andate”. Non gli risponde, alza la testa gli fa un cenno, e poi si stacca da me e sento freddo, mi sento sbagliato, sento come se le pretese del mondo possano colpirmi, ma lui mi salva di nuovo, con fare quasi casuale prende il mio indice e il medio nella sua mano e delicatamente mi guida fuori dal locale, siamo di nuovo alla luce impazzita dei neon, che viene affievolita dall’alba che da est rischiara il cielo. “Vieni” mi dice, e io sembro docile alla sua richiesta, lo seguo e mi porta in una caffetteria in stile occidentale con un dehor che da verso est, ci sediamo all’esterno e lui si siede a fianco a me poggiando la testa sulla mia spalla come se tra noi ci fosse qualcosa da sempre. “dove andiamo per l’appuntamento che mi hai chiesto prima” gli rispondo a scoppio ritardato, e lui con entrambe le mani mi prende il volto e mi fissa “Davvero?” chiede ed è incredulo anche nel tono e io annuisco e colmo la distanza con le sue labbra, ma siamo fuori e siamo due uomini e non so cosa pensa, ma lui risponde al bacio con naturalezza.


Qua in Giappone i fuochi d’artificio sono una tradizione per festeggiare che risale a secoli or sono, e sento come se fossero appena esplosi per me, come se il fatto che Hisashi abbia accettato un appuntamento mi avesse spedito in orbita, l’ho dovuto guardare in volto, quel viso che porta ancora la cicatrice del suo passato, ma le nostre cicatrici le portiamo appuntate sul nostro cuore, come medaglie al valore, come se il dolore fosse un premio. Un paio di anziane signore sbuffa al nostro bacio, e un ragazzo che avrà la nostra età ci addita “Ah froci di merda” questo mondo fa schifo e sono tutti omologati in basso, omologati alla mediocrità e all’inutilità, nonostante studi lingue non li capisco, come se parlassero una lingua diversa da me, una lingua arcaica fatta di cose monotone e noiose. Lui si sta scaldando, e io lo fermo, col tempo ho imparato che le parole fanno più male dei pugni, che se dovessero essere utili so ancora tirare con precisione, sono io quello che va a giro con il faccino da bravo ragazzo, quello che piace alle donne, alle ragazze ed anche alle nonne, che aria da bravo ragazzo, e non sono riuscito nemmeno alle superiori a sembrare qualcosa di diverso del bravo e bello, che spesso viene accostato al debole. “Problemi?” chiedo e lui inveisce ancora “invertiti di merda” lo guardo dall’alto in basso “ho un problema con te, vuoi sindacare sulla mia vita, ma io non posso dire niente di te, solo che sei mediocre e privo di ogni attrattiva, forse perché ti senti solo vieni a sindacare su chi solo non lo è più” boccheggia, e le due anziane stanno guardando come farebbero con la loro soap opera preferita. Quello che pretendeva di fare il bullo si trova privo di una risposta e boccheggiante, non mi risponde e perde di importanza, e non ne aveva, ma aveva fatto perdere la pazienza a Mitsui, la sua anima ardente è calda avvolgente e sono lieto di potergli stare vicino almeno una volta ancora. “Comincia qua l’appuntamento?” Mi chiede rido leggermente, “Si comincia qua, considerati rapito” aggiungo, ho imparato che delle volte bisogna esprimere la propria opinione, facciamo una colazione leggera e poi lo trascino in un piccolo garage dove tengo la mia macchina, e lo faccio salire, comincio a guidare in testa ho solo un posto, metto della musica dall’autoradio, in realtà è una compilation che mi sono fatto, musica rock, partendo dai The Gazzette, a passare dai Radiohead, per mischiarci le sonorità più psichedeliche dei Pink Floyd, ci sono le sonorità dei Sum 41 che si mischiano con i Queen, che si intrecciano in una folle accozzaglia con i Led Zeppelin, e cose del genere, sembra apprezzare i miei gusti musicali, alcune canzoni le canta insieme ai cantanti, di alcune segue solo il ritmo con le dita sul finestrino, io sono concentrato sulla guida quando sento la sua mano sulla mia coscia. “Penso di sapere dove mi stai portando” mi dice e io sorrido “Lo spero, è una cosa che mi è passata per la testa quando ti ho visto al bancone” dico, per poi prendere a cantare a mia volta, non sono eccelso, ma non faccio nemmeno piovere, invece lui è proprio bravo, cantiamo insieme, e lui non sposta la mano e per cambiare marcia devo toccare il suo braccio e questo mi da i brividi, quelli piacevoli, quella pelle d’oca eccitante. Dopo un’oretta di viaggio arriviamo alla spiaggia, quella vicino allo Shohoku, quella che ho costeggiato in bici un milione di volte, è la prima volta che torno a casa da quando sono partito quattro anni fa per l’università, e solo perché sono con lui, qua non ho niente di speciale ad aspettarmi, solo la mediocrità di quelli che son stati compagni di squadra, di quelli che sono stati avversari. La folla di bambolotti tutti uguali, manovrati da un solo bambino malefico che fa fare a tutti la solita cosa. Scendiamo dalla mia utilitaria scassata, quasi quanto la mia bici del liceo e lui non può fare a meno di non notarlo “Ti addormenti anche quando guidi questa?” mi chiede e scuoto la testa, “l’ho presa da uno che voleva mandarla in disfattura”. Lui riesce a farmi parlare di mia volontà come se sentissi il bisogno di essere trasparente con lui, come a dargli il permesso di scardinare la mia corazza. Mi prende per mano, come ho fatto prima io solo l’indice e il medio, e adesso è lui che mi guida, mi porta in spiaggia, in un posto isolato che ho visto un sacco di volte, ma che non ho mai esplorato. “La prima volta che ti ho visto ero nascosto qua, stavo giocando con i miei amici in spiaggia ai pirati. Avevo dodici anni, tu eri con un ragazzo più grande e stavate facendo volare un aquilone, in quel momento ho sentito qualcosa di strano, ma non sapevo il tuo nome, non sapevo niente di te.” Sgrano gli occhi ricordo anch’io quel giorno, quel giorno è stato l’ultimo in cui ho visto mio fratello maggiore, nato da un precedente matrimonio di mio padre mi ha portato a giocare con l’aquilone, perché anche lui sarebbe volato via, a seguire i suoi sogni, e mi ha promesso di scrivermi spesso, ma non lo ha mai fatto, o almeno l’ho pensato per anni. Lui è volato in Europa a studiare moda, e solo dopo molti anni ho rivisto il suo volto ad una sfilata, il suo volto così simile al mio ma con gli occhi verdi. Durante l’estate della seconda superiore sono andato in soffitta a cercare un vecchio libro che mi sarebbe servito per studiare e ho trovato una scatola, una scatola con un centinaio di lettere, una per ogni settimana di lontananza, una arrivata due giorni prima, e là il filo che teneva ancora in piedi il mio rispetto per i miei genitori si è spezzato completamente. Il rispetto per mia madre l’ho perso presto, lei non mi ha mai voluto, mi ha sempre fatto sentire piccolo e indesiderato, e folle nel voler seguire il mio sogno, per mio padre ancora avevo un minimo di rispetto, ancora non aveva cominciato a fare pressioni. Ho passato giorni a leggerle tutte e alla fine ho scritto a mio fratello, ci siamo ritrovati nonostante la distanza. Quel giorno in cui lui mi ha scritto ero ancora innocente, ero ancora ottimista. “Era Katsuya mio fratello, fa lo stilista in Europa” gli dico “ero felice” il mio accompagnatore sospira, “lo so, quando ho visto il tuo sorriso ho capito che non avrei visto niente più bello”. Sono sconvolto dalle sue parole e lui mi sorride “Ma avevo dodici anni e non capivo un cazzo, e non ho collegato i puntini.” Sto per dire qualcosa “lo so che sei un animaletto curioso, vieni con me” mi dice, non mi ha mai lasciato la mano, ma la mia è scivolata in meglio nella sua e abbiamo intrecciato le dita. Ci troviamo quasi sotto il molo, spesso mi son ritrovato a pensare e a guardare il mare qua, c’è uno scoglio comodo, il sedere sta perfettamente su quello basso e quello alto è il perfetto schienale, sono stato spesso qua, fino a finire le lacrime che potrei versare nella mia vita. “Avevo appena iniziato la mia vita da teppista, ero là sotto a fumare con quelli della banda, a progettare qualcosa di illegale e uno dei miei compagni fa - guarda che porcellana – e ti ha indicato e il mio sguardo si è incatenato al tuo profilo, ho imparato che non ero il solo a soffrire che qualcuno poteva soffrire come me e forse più intensamente, ho scoperto che le lacrime non ti rendono debole, ma non ne ho più versate per molto tempo, e avevo quindi anni ed ero ancora più stupido, i miei compagni mi hanno lasciato sotto il pontile del molo, non li ho nemmeno sentiti salutarmi, ero completamente in balia del tuo sguardo verso il mare, del tuo dolore, e mi sono dimenticato del mio, del mio ginocchio.” prende fiato e non so che dire. “ho sempre saputo che era successo qualcosa, che tra noi c’era una connessione che avrei dovuto estirpare. Testuo dice che sono stupido, la mia anima ardente era stata accesa da qualcuno, che però non ho mai cercato.” L’unica cosa che riesco a fare è poggiare la mia testa sulla sua spalla, siamo a fianco e ci teniamo per mano, e potrei stare ad ascoltarlo per ore. “Vieni” mi dice ancora la stretta forte sulle mie dita, forte ma non prepotente, le dita sono callose ma trovo piacevole il contatto con lui, io rifuggo il contatto fisico, forse perché non lo conosco bene, mia madre me lo ha sempre negato. Lasciamo la spiaggia e mi porta nella strada principale, dove si trovano i negozi, e siamo davanti alla vetrina di un negozio di televisori, per la precisione sul marciapiedi opposto “Ero con mia madre, avrò avuto otto anni, e ho capito che avrei giocato a basket un pomeriggio assolato, davanti a quella televisione grande c’era un bambino dai capelli neri e setosi che ha detto “Farò quello da grande” risoluto nonostante la vocetta da scuola materna e nonostante lo schiaffo che ha preso dalla madre, una donna che era lontana almeno…” lo interrompo “almeno un metro, se non due, si avvicinava solo per gli schiaffi” lui sgrana quei pozzi profondi che gli altri chiamano occhi “Eri ancora tu?” annuisco “Si, farò quello da grande, e lo farò l’ho giurato tempo dopo al bambino che sono stato” davanti a quel negozio che ha visto parte della violenza subdola di mia madre quest’uomo dalle braccia forti mi stringe al suo petto e mi bacia con dolcezza, un bacio lento di quelli che fanno volare le farfalle nello stomaco. L’ho portato qua, perché mi sono sentito a casa alla sua vista e si è trasformato in un tour delle volte che le nostre vite si sono intrecciate prima che ci conoscessimo. Riprendiamo a camminare e arriviamo davanti alla nostra vecchia scuola “Qua ti ho visto i primi giorni di scuola, con tutte le tue gallinelle intorno e ti ho reputato la peggior persona della scuola, pieno di te, egoista, uno che odia parlare ma con un talento straordinario, e volevo distruggere te, Ryota e tutto il club di basket, e poi la rissa, tu che svieni e io che sento le ginocchia cedere, finisco inginocchiato, e con l’aiuto delle parole di Kogure sono riuscito a mettere in ordine le cose.” mi batte fortissimo il cuore, con la mano libera cerco la sua mano libera e l’appoggio sul mio petto. “Poi siamo andati ad Hiroshima e sei andato in nazionale, e poi sei tornato più maturo, e hai cominciato a collaborare, sei diventato mentre concentrato solo su te, ma parte della squadra. Non hai imparato a ridere alle battute sceme, ma ti sei ritagliato pezzetti di affetto da parte di tutta la squadra.” Lo trascino sotto un acero che si trova nel giardino della scuola, è giorno scolastico, speriamo non ci buttino fuori “Il mio nome ha come significato Acero, e io da qua ti ho osservato più volte e non ho mai capito perché, non capivo come il mio albero guida mi facesse puntare lo sguardo proprio sull’anima ardente, sul fuoco puro, un pezzo unico, nonostante la divisa scolastica, nonostante tutti tendessero ad omologarsi, come sempre, tu sei sempre stato tu. Sei stato per tempo la mia nota stonata. Ero innamorato del rosso, ma sentivo come un acufene, un suono ad una certa frequenza che disturbava i miei desideri. Ora ho capito, le nostre anime si sono scelte prima che noi ci conoscessimo, magari in qualche vita precedente, magari nel brodo primordiale, so solo che siamo due sgangherati, due che la vita ha voluto a terra, ma che non ci sono mai rimasti. Siamo sbagliati per il mondo, fuori dalla realtà” lui annuisce e riprendiamo a camminare verso la mia macchina, adesso con calma, godendoci il sole caldo e il cielo terso, mano nella mano, spalla contro spalla.


Al primo appuntamento più strano a cui sia mai stato se ne sono susseguiti un sacco, e tutte le volte quella creatura meravigliosa di Kaede mi ha stupito, mi ha amato, mi ha odiato, ci siamo detti di tutto, ho urlato e lui mi ha provocato rispondendomi con la voce bassa, ci siamo infiammati, ci siamo baciati, ci siamo trovati ancora e ancora. Il mondo vorrebbe che ci lasciassimo, vorrebbe che io non fossi presente alla cerimonia della sua laurea, ma io sono nel pubblico per lui. Sappiamo che non saremo più distanti, e non è una questione fisica questa, è che le nostre anime i nostri cuori si sono scelti, si sono ritrovati e non riusciranno a dividerci in nessun modo. Ho compilato la sua richiesta per l’ammissione al camp pre draft, è il suo momento, e nel frattempo io sto aprendo la mia impresa di personalizzazione delle moto, un lavoro in parte online, che sfrutta la mia laurea, la sua è in lingue, ed è buffo, quello che potrebbe raccontarti della bellezza del suono del silenzio ha imparato parole di altre tre lingue oltre al Giapponese. Non ci siamo ancora detti ti amo, ma non serve, ci sentiamo vicini e i nostri cuori vanno all’unisono, come in una canzone d’amore.


In questi anni i media americani si sono sbizzarriti a cercare chi fosse la mia anima gemella, quella persona che mi completa, e mi hanno affibbiato un sacco di flirt, perché hanno sempre creduto che il mio coming out al pre camp fosse solo una mossa di marketing, e che dividessi l’appartamento con un ex compagno di scuola solo perché entrambi giapponesi. Non hanno capito nulla, o forse noi viviamo in mondo diverso, in cui loro non sono mai riusciti a farmi cambiare idea, a far cambiare il mio amore per lui, ci siamo scelti, forse un pomeriggio quando avevo cinque anni, o forse in spiaggia quando ne avevo nove, o dopo, o forse alle superiori, ma di sicuro ci siamo ritrovati in un bar dove lavoravo per poter partire. Lui ha giocato a basket anche qua, non in NBA, ma in campionati minori, meno riflettori, meno menate e più sport, e io le menate me le sono sciroppate tutte, adesso è lo sponsor della squadra dove gioco, da un piccolo sito dove potevi chiedere di customizzare la tua moto, ora ha una catena di negozi che fanno questo, e ha tempo per le sue passioni, non è omologato agli altri, e nemmeno il suo luogo di lavoro lo è, e nemmeno io sono omologato alla lega, sembro sempre la pecora nera. Oggi c’è gara sette e mi sono ripromesso una cosa, comunque vada, perché tra noi è un comunque vada eterno gli chiederò di legarsi con un ulteriore filo alla mia vita, di completarla in maniera più profonda, so che lui tiene a queste cose, anche se per farglielo confessare probabilmente dovrei torturarlo per giorni. Gara sette finisce abbiamo vinto, e vogliono intervistarmi, ma ho in mente solo una cosa, recupero qualcosa dalla mia poltroncina in panchina e riesco a catturare il mio koibito che si è buttato in campo per festeggiare, trovo un punto dove non c’è tanta confusione e mi inginocchio davanti a lui che cerca di sdrammatizzare “vuoi farlo qua davanti a tutti?” mi chiede ed io gli sorrido, con lui ho imparato a farlo di nuovo di cuore. “Si proprio davanti a tutti Hisashi Mitsui vuoi rendermi un uomo onesto?” gli chiedo e lui ride e piange insieme mi fa alzare e gli metto un anello che c’è nella scatolina, una semplice fascetta con la scritta Kitsune in kanji sul davanti. “Diventerai onestissimo” risponde, come quella sera al locale siamo immersi nella nostra bolla, non sento nemmeno i rumori che ho intorno, lo bacio e quando mi stacco mi trovo la cronista del principale network sportivo con il microfono verso noi e l’espressione stupita. Dura pochi secondi la donna si riprende “Uomo onesto?” mi chiede “Dopo anni di convivenza gli ho chiesto di sposarmi, in alcune culture non essere sposati e convivere rende le ragazze non oneste, e quindi gli ho chiesto di rimediare.” lei mi scruta “Ma i tuoi flirt, lui ci è passato sopra ti ha perdonato le scappatelle” e qua il mio fidanzato comincia a ridere di gusto “Quei flirt che vi siete inventati? Siamo noi da anni, siamo noi insieme da sempre e per sempre”


I media ripropongono l’anima ardente che risponde alla cronista più famosa degli Stati Uniti che io e lui siamo insieme da sempre e per sempre, in quel momento il mio cuore stava scoppiando per l’amore che provavo per quell’uomo, e questo non è cambiato, sono cambiate solo le nostre dinamiche, siamo sposati, ci siamo sposati pochi mesi dopo proprio prima della prima partita di campionato, e poi abbiamo adottato, siamo andati in un paio di istituti e abbiamo cercato qualcuno che come noi non fosse omologato, quando hai sofferto riconosci il dolore, e abbiamo voluto spezzare questa catena, e abbiamo adottato tre fratellini, il più grande di dodici anni e la più piccola di tre, è stato un lavoro grosso, abbiamo faticato con loro, ma adesso siamo completi. Noi due che la vita non ha raddrizzato con una famiglia di bambini selvatici che la vita non ha spezzato.


Parole sparse:

Dedicata a Cathy. Ti avevo promesso una lemon e mi è uscito questa cosa che non so definire.

Max Pezzali e la sua Due anime mi hanno ispirato, magari nella mia testa son partite influenze involontarie di altre canzoni.

*Nella superlega di pallavolo militano questi due giocatori, tra cui Nishida è un mostro della pallavolo.

*Ok, qua ha parlato la parte dedita all’alcol che c’è in me… Il long island è tra i miei preferiti.

Come sempre se tentate l’omicidio del sottoscritto usate i pomodori in quantità industriale, la sua allergia farà il resto.


  
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