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Autore: Red_Coat    12/08/2020    1 recensioni
Questa è la storia di un soldato, un rinnegato da due mondi. È la storia del viaggio ultimo del pianeta verso la sua terra promessa.
Questa è la storia di quando Cloud Strife fu sconfitto, e vennero le tenebre. E il silenzio.
Genere: Angst, Guerra, Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cloud Strife, Kadaj, Nuovo personaggio, Sephiroth
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'allievo di Sephiroth'
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NDA: In questo capitolo parlerò di Chaos come di un'essere senziente e non costituito solo da energia impura e rabbiosa. Questo per adattarlo in parte alla mia visione delle divinità presenti in FF7.
Come già accennato Chaos ci viene presentato non come una semplice Weapon ma come un'essere legato al lifestream e alla weapon Omega, proprio come Minerva. Essendo quest'ultima la dea del lifestream, ho ipotizzato che Chaos potesse essere invece il dio delle anime peccatrici, una specie di Ade per intenderci, o come il Lucifero della bibbia. Quando in Dirge of Cerberus Vincent impara a controllarlo, egli assume le sue sembianze, ma fino a quel momento appare durante il limit break nella sua forma di demone, sostituendosi a tutti gli effetti all'ex turk.
Non serve che vi spieghi cos'è il limit break, no?
Per quanto riguarda la protomateria, in Dirge of Cerberus scopriamo che è sempre stata nel petto di Vincent e che, dal momento in cui Rosso di Cremisi gliela estrae lui perde il controllo del mostro, che sentendo avvicinarsi la fine inizia a prendersi il suo spazio sempre più frequentemente.
Il resto, come già detto, è tutto frutto della mia fantasia e risultato di un adattamento dei personaggi alla mia storia, spero di non essere andata troppo OOC perchè detesto farlo.

Buona lettura, aspetto i vostri commenti.








Con l’aiuto di Cid e della sua aeronave, Vincent era riuscito ad ispezionare il continente ovest molto più velocemente, senza correre altri rischi.

Escludendo per ovvi motivi la zona dei ghiacciai e quella di Rocket Town, avevano sorvolato dapprima la zona sopra Gongaga e Costa del Sol, più e più volte senza trovare niente di significativo che riuscisse ad aiutare nella ricerca.
 
«Sai amico? Credo proprio che, sempre ammesso che sia vivo, il bastardo sia già riuscito a raggiungere il continente est.» bofonchiò Cid col solito sigaro in bocca, mentre osservava il tratto di costa che stavano ispezionando.
 
Era il tramonto, nel cielo il sole era ormai quasi del tutto scomparso ma i suoi ultimi raggi infuocavano l’orizzonte, mentre dietro di loro già s’intravedeva il nero notturno e qualche stella. Il mare era lievemente agitato, un sottile strato di schiuma ne ricopriva la superfice mentre un vento irrequieto ne sospingeva le onde, levandosi ad agitare anche le chiome delle palme e del resto della vegetazione tropicale in prossimità della spiaggia.
In cabina erano rimasti solo Vincent e Cid ad osservare la costa. Il primo esaminava il vasto paesaggio collinare pezzo per pezzo, senza lasciarsi sfuggire nulla, con un’imperscrutabile espressione seria quando quell’affermazione giunse alle sue orecchie.
Si limitò ad un lieve sospiro, continuando a riflettere fino a che qualcosa non attirò la sua attenzione.
Era un puntino nero al centro di una piccola spiaggetta circondata da una folta vegetazione, da quella distanza appena percettibile alla normale vista umana. Ma Vincent Valentine non era un umano qualsiasi, e nemmeno il suo obbiettivo. A renderlo visibile alla vista infatti fu anche e soprattutto il bagliore intenso in cui era avvolta la sua sagoma, facendola sembrare quasi evanescente.
 
«Mh? E quello che accidenti è?» sbottò Cid, fermando la corsa dell’aeronave «Per tutti i diavoli! Hey, Vince! Forse abbiamo trovato quello che stavi cercando.»
 
Lo fissò, sentendo crescere dentro di sé l’inquietudine mentre Cid attendeva una risposta.
 
«Vuoi che ti porti giù?» gli chiese il pilota, comunicandogli implicitamente che forse era ora di muoversi.
«Mh.» fece lui, annuendo.
 
Quindi si diresse verso l’uscita dalla sala di comando.
 
«Atterra dietro la collina.» gl’indico aprendo la porta.
«Okkey. Buona fortuna, Vincent!» si sentì rispondere, prima che questa si richiudesse alle sue spalle.
 
Non era mai stato spaventato da uno scontro ma stavolta sentì di averne davvero bisogno perché il fiato gli si fece improvvisamente corto, la bestia riaprì gli occhi dentro al suo petto, e nei pochi minuti in cui rimase in attesa dietro il portellone sentì la mano coperta dal guanto che ne nascondeva gli artigli tremare, sospinta da quella forza mostruosa dalla quale ormai pensava di essere riuscito a difendersi.
 
\\\
 
La prima volta che Chaos si era impossessato di lui, o per meglio dire quella in cui si era accorto di avere un demone in corpo, Vincent la ricordava con impressionante dovizia di particolari, perché era stata dolorosa e spaventosa.
Messo a tacere da un proiettile ch’era stato Hojo a sparare usando la sua stessa pistola, l’ultima cosa che aveva visto prima di chiudere gli occhi sopraffatto dalla stanchezza mortale era stata Lucrecia che lo guardava orripilata, le lacrime agli occhi, la bocca spalancata in un’espressione di terrificato stupore.
Aveva sentito le sue urla disperate, e le risa isteriche del suo assassino.
Poi era sopraggiunto il silenzio e il vuoto, e non aveva mai saputo per quanto tempo fosse rimasto avvolto tra le braccia della morte.
Al suo risveglio non si era sentito neanche più lui. Il suo cuore era stato avvolto dall’oscurità più tetra, in petto un dolore atroce lo dilaniava, talmente tanto forte da annebbiare i sensi e accecare la mente. Aveva urlato, ma dalla sua gola era uscito un ruggito oscuro, inumano, e quando aveva provato a opporsi aveva scoperto di non averne la forza.
Il suo corpo non era più suo, ma in balia di un mostro che sempre più rapidamente mirava ad impossessarsene. Aveva provato ad alzarsi, voleva scappare, cercare aiuto, chiamare lei, l’unica che avrebbe avuto interesse a salvarlo.
Ma cadde a terra, rovinosamente, e solo allora allungando il braccio verso le sbarre della gabbia in cui era tenuto vide il suo braccio destro completamente deformato. La pelle scura e squamosa, le vene ben visibili pulsanti di una forza inarrestabile, le unghie esponenzialmente lunghe e anormalmente forti come artigli affilati. Aveva urlato di nuovo, ma stavolta in preda al terrore più cupo, e per un secondo era tornato a sentire la sua voce.
Poi la bestia aveva preso di nuovo il sopravvento, e per un incalcolabile lasso di tempo aveva prevalso sulla sua mente. Non sapeva cosa fosse successo, nella sua mente vi erano solo frammentati ricordi dei brevi risvegli nella capsula del laboratorio usata per contenerlo.
Lucrecia che implorava Hojo di lasciarle vedere Sephiroth anche solo una volta, lui che malvagiamente la ignorava, il suo pianto, infine l’attimo in cui aveva deciso di andarsene per sempre.
 
«Devi combatterlo!» lo aveva supplicato «Non voglio che tu muoia!»
 
Per molto tempo era rimasto a pensarci. Erano state quelle parole, assieme alla protomateria che però non aveva mai saputo di avere, a permettergli di domare la bestia che si nascondeva dentro di lui, mentre rinchiuso dentro quella bara lasciava che il tormento per i suoi errori e le dolorose fitte che quel mostro ogni tanto gl’infliggeva passassero sul suo corpo ormai immortale come giusta punizione per i suoi peccati.
“Me lo merito. È l’unica cosa che posso ancora fare per non essere stato in grado di fermarti. Lucrecia …”
Poi era arrivato il momento del risveglio, AVALANCHE e l’incontro con quel bambino ormai cresciuto che alla ricerca di una madre si era imbattuto nelle bugie di Hojo e ci aveva creduto, giurando di portare il mondo alla rovina.
Dopo averci pensato a lungo aveva deciso che mettere fine a quella follia e dargli eterno riposo sarebbe stata la scelta giusta, per Sephiroth stesso e per sua madre, quella vera.
Ma sulla sua strada era apparso quel tale, Victor Osaka, e tutto aveva ricominciato a vacillare.
Da sempre al fianco di Sephiroth, da sempre sulle sue tracce esattamente come lui, ma senza commettere gli stessi fatali errori. Gli era stato accanto fin dai tempi di SOLDIER, aveva dimostrato un’incrollabile fedeltà anche quando tutti, perfino lui che avrebbe dovuto difenderlo, gli si erano rivoltati contro giurando di volerlo uccidere, e aveva lottato al suo fianco fino alla fine, fino forse a morire insieme a lui. Aveva ucciso Hojo e lo aveva fatto per Sephiroth, ed era stato allora che aveva capito di essersi sbagliato. Di nuovo.
“Perché?” si era chiesto. Perché Victor Osaka si ostinava a difendere a spada tratta quell’uomo che ormai di umano non aveva più nulla, completamente divorato dal dolore e dalla follia?
Una prima risposta l’aveva avuta da Reeve, appena qualche giorno prima. Fratelli.
Come potevano essere fratelli, pur avendo età diverse? Che Lucrecia avesse avuto un solo bambino era indubbio. Aveva visto l’ecografia proiettata sullo schermo del computer dove lei lavorava, in una delle rare volte in cui si era svegliato. L’aveva vista accarezzare in lacrime l’immagine del feto con la punta delle dita, e mormorare il suo nome in un soffio.
Era uno, uno solo.
E se … dopo la sua nascita Hojo avesse provato a clonarlo, riuscendoci? In quel caso però avrebbe dovuto essere un secondo Sephiroth, in tutto e per tutto, mentre Victor Osaka gli era si molto somigliante, ma aveva anche molte altre caratteristiche che lo rendevano differente dal maggiore. Il carattere, l’istintività, il nero dei capelli erano solo alcune di esse. E se invece si fosse trattato di un secondo esperimento di saldatura genetica eseguito su un altro feto, visti gli eccellenti risultati del primo?
In tal caso la Shinra non avrebbe avuto interesse a praticare su di lui i test di compatibilità al mako, né ne avrebbe avuto Hojo di fare ricerche sul suo conto. No, tutto faceva presuppore che fosse semplicemente … nato così. Ma era impossibile. Come poteva essere?
Due fratelli nati da due madri diverse senza alcun tipo di esperimento? Solo una persona poteva rispondere a quei dubbi, ma era la stessa che ora minacciava di finire ciò che Sephiroth aveva iniziato, e a questa prospettiva Chaos sembrava ribellarsi, minacciando di strappare le catene in cui era costretto da tempo, nel suo corpo. Chaos, la bestia che si era presa il suo corpo ma non la sua anima. Non la conosceva, per lui era solo “il mostro” in cui quando era sfinito si trasformava per portare a termine un combattimento, l’entità malevola in cui i suoi peccati lo avevano trasformato, e nulla più. Ma ora stava iniziando a voler sapere. Perché Victor Osaka lo rendeva così vulnerabile?
Ci sarebbe stato uno scontro e Chaos non gli avrebbe lasciato campo libero, temeva.
Ma non poteva sottrarsi, era l’unico modo per riuscire a venirne a capo e soprattutto per permettergli di liberarsi dalla convinzione che Victor Osaka fosse l’ultima cosa che lo legasse a Sephiroth e agli errori commessi con lui.
Liberarsene, o rafforzarla.
 
\\\
 
Con la voracità di un fuoco divampato all’improvviso, la notte divorava sempre più velocemente l’azzurro del cielo diurno, annerendolo e accartocciandolo con rapidità mentre un passo dopo l’altro Vincent Valentine risaliva la collina.
Era lontano, ma non abbastanza perché i sensi amplificati di Osaka non riuscissero a percepirlo. L’essenza di Chaos era una macchia scarlatta di potente energia divoratrice in mezzo ad una moltitudine di luci pure, mentre lo avvertiva avvicinarsi l’adrenalina sprigionata dal suo corpo lo faceva quasi vibrare. Aveva paura, Valentine.
Incredibile ma vero, la prospettiva di uno scontro lo faceva tremare, e quando sentì l’ultimo consiglio di Vittorio nella sua testa, Victor Osaka seppe anche perché.
 
«D’accordo soldatino, ora ascoltami bene. Esattamente come Strife, Valentine è vulnerabile quando la sua energia scende al minimo, ed è a quel punto che dà ampio spazio alla creatura sopita dentro di sé.
Di solito prende la forma della bestia contro cui hai lottato la prima volta o di un’Oni dotato di mazza di ferro. Ma stavolta sarà diverso. Stavolta sarà Chaos ad intervenire, col suo vero aspetto, perché ti vede come una minaccia al lifestream.»
 
Osaka sorrise appena, quasi orgoglioso di tale verdetto, seguitando a tenere gli occhi chiusi, la mente concentrata sull’energia del nemico e i palmi delle mani sulle gambe incrociate.
 
«E fa bene …» mormorò avido e impaziente.
«Si, ma ricorda il tuo obiettivo secondario.» lo richiamò Blain «Devi parlare con Chaos, non con Valentine per il momento. Devi permettere a Fenrir d’intervenire.»
 
Il 1st class annuì facendosi serio.
 
«Quindi?» chiese.
«Vedi l’energia della bestia, no? Guarda meglio.» gli consigliò il ragazzo del suo sogno.
 
Lo fece, tagliando fuori tutto ciò che non era necessario e concentrandosi solo su Valentine e la presenza Oscura che si portava dietro. Ci volle un po’ più di sforzo, era la prima volta che raggiungeva coscientemente un tale livello di attenzione, ma alla fine la vide, una luce bianca che brillava in mezzo al petto del suo avversario, vicino al cuore di entrambe le entità.
Era limpida, cristallina e quasi accecante.
 
«E quella cos’è?» domandò sorpreso.
 
Vittorio Blain ridacchiò.
 
«Protomateria.» rivelò, affascinato quanto lui «E’ tutto ciò che permette a Valentine di dominarla. Senza quella, Chaos sarebbe libero di uscire e prendere il sopravvento.»
«Oh …» un sussurro stupito sfuggì dalle labbra di Osaka, che successivamente s’incresparono di un ghigno famelico, mostrando i denti bianchissimi «Ma davvero? Questo si ch’è interessante.»
«Mh.» sorrise Blain «Cominci a capire ora, eh?»
 
Fremette all’idea, e stringendo i pugni rispose.
 
«Altroché.» poi però un altro pensiero si fece largo nella sua mente «Ma se Chaos prende il sopravvento, Valentine potrebbe morire. Come farò a chiedergli di Sephiroth?»
«Non morirà.» fu la risposta certa «Il suo corpo è stato modificato geneticamente per permettergli di ospitare Chaos, quindi la sua resistenza fisica aumentata gli permetterà di sopravvivere. Inoltre è il tempio di Chaos ora, ciò significa che il suo cuore batte grazie alla bestia e finché questa rimarrà dentro di lui non smetterà di farlo.»
 
Osaka si fece di nuovo serio. Ecco la risposta ad alcune delle innumerevoli domande che si erano posti. Modificato geneticamente, era facile intuire ad opera di chi. Mph, quella mummia bastarda di Hojo non era l’unica cosa che avevano in comune però.
 
«Quindi …» mormorò riflettendoci «Sarà solo momentaneamente assente, come quando io ho lasciato che Sephiroth prendesse il controllo.»
 
Con la sola differenza che senza protomateria Mr. Valentine non sarebbe stato in grado di tornare, il volere di Chaos era troppo forte e di certo non era benevolo come lo era stato Sephiroth con lui. Avrebbe finito sicuramente per divorarlo, perciò chi gliel’aveva messa in corpo gli aveva voluto bene, lo aveva fatto con il solo scopo di intrappolare la bestia ed impedirle di far del male alla coscienza dell’ospitante. Ma se non voleva che gli venisse fatto del male perché dare il suo corpo in pasto ad una bestia?
Il mistero s’infittiva sempre più, ma sarebbe venuto il tempo per farvi luce. Ora doveva concentrarsi su Chaos.
 
«E se volessi riportarlo indietro non dovrei fare altro che rimettere la protomateria al suo posto.» concluse.
«Sempre sul pezzo, Victor Osaka.» si complimentò soddisfatto Blain, e il ghigno sulle labbra del suo omologo si accentuò nuovamente.
«Modestamente.» soggiunse, infine tornò a concentrarsi su Valentine e dopo l’ennesima scarica di adrenalina pompata dal cuore direttamente dentro le sue vene decise che il momento era giunto «A noi due, Valentine.»
«Fagli vedere chi sei, soldatino.» fu l’ultimo incoraggiamento di Blain, prima di tornarsene tranquillo ad osservare la scena dall’alto del suo subconscio.
 
\\\
 
Dalla cima della collina, nel silenzio del tramonto rotto solo dal rumore delle onde del mare, Vincent Valentine si fermò e lasciò correre le sue pupille insanguinate verso la sagoma nera al centro della spiaggia.
Più la notte avanzava, più la luce che l’avvolgeva si faceva intensa, rendendo difficile agli occhi distinguerne i particolari.
Victor Osaka. Così era davvero lui. Come aveva fatto a sopravvivere e restare nascosto per tutto questo tempo? Era vivo davvero? E se lo era, perché uscire allo scoperto proprio adesso?
Sembrava quasi lo stesse aspettando, e mentre cercava di capire Valentine vide accadere qualcosa che ancora una volta lo gettò nel dubbio.
Improvvisi lampi di luce presero ad animarsi tutto attorno ad Osaka nel raggio di cinque metri da lui, come se gli ultimi raggi di sole si riflettessero su specchi invisibili.
All’inizio lentamente, nascendo e scomparendo al ritmo del suo respiro; poi in sequenza sempre più rapida, convergendo tutti verso la sagoma scura del loro evocatore.
D’istinto Valentine mise mano alla pistola, appena qualche secondo prima che, inaspettatamente, la luce che avvolgeva l’ex first class dirompesse in un’esplosione sorda accecante, costringendolo a coprirsi gli occhi con un braccio.
Se lo ritrovò dietro, prim’ancora di vederlo sentì il rumore della sua lama che usciva dal fodero diretta a colpirlo, e i suoi riflessi migliorati gli permisero di schivarla appena in tempo.
L’uno di fronte all’altro, Osaka si mostrò avvolto da quella luce eterea, un ghigno sulle labbra sottili e pallide e le pupille feline contratte quasi fino a sparire.
 
«Salve, Mr. Valentine.» lo salutò «È da molto che non ci si vede. Sai dirmi quale girone dell’inferno e questo?»
 
Quindi tornò ad attaccarlo, in sequenze sempre più rapide senza dargli nemmeno il tempo di rispondere. Era perfino più veloce dell’ultima volta, durante lo scontro finale, tanto che neppure i proiettili riuscivano a raggiungerlo. Se fosse riuscito a ferirlo sarebbe sicuramente riuscito a capire con assoluta certezza se si trattava o meno di uno spettro, ma non ci fu verso e anzi lì per lì sembrò avere la meglio proprio Osaka, che stranamente per quanto avesse potuto certamente farlo a quella velocità non si azzardò mai a ferirlo, limitandosi a stare sulla difensiva.
Un’ultima scarica di proiettili magistralmente evitati, e Victor si fermò di nuovo a guardarlo, sorprendendolo alle spalle ma permettendogli di riprendere le giuste distanze.
 
«Allora …» fece continuando a mantenere quel sogghigno eccitato e trionfante «Come se la passano i tuoi colleghi, quei fottuti bastardi rognosi di AVALANCHE? Avrei voluto tornare a tormentarli nei sogni, ma non mi è stato possibile … » si fece serio, gli occhi si accesero di una strana luce verdognola che parve irradiarsi anche dalla sua figura, contaminando quella chiara che lo illuminava.
 
Una fitta nebbiolina prese a salire dal terreno, sempre più rapida. Vincent Valentine non fece nemmeno in tempo ad accorgersene che già se ne vide divorato, mentre la sagoma del suo avversario non diventava che un’ombra iridescente del colore del lifestream.
Un filo di lifestream, strisciando come un serpente, raggiunse la sua caviglia. Se ne accorse appena in tempo per saltare all’indietro, evitandola per ritrovarsi occhi negli occhi con quelli color mako del SOLDIER, brillanti come fuochi fatui in mezzo ad un’oscurità improvvisamente densa.
Non vide nient’altro se non quegli occhi, e i denti bianchi che disegnavano un inquietante sorriso.
 
«Sai com’è no, la vita di noi anime maledette? Non ci è mai possibile fare ciò che ci viene meglio. Vero … Vincent Valentine?»
 
Una mano guantata di nero si allungò verso il suo cuore, il braccio che reggeva la Cerberus si levò a permetterle di sparare gli ultimi proiettili in canna, che sembrarono vaporizzarsi nel nulla. All’improvviso se ne rese conto sentendo i suoi sensi farsi ovattati e la mente intorpidirsi: era nebbia avvelenata.
Spiccò l’ennesimo balzo tentando di sottrarsi a quella trappola, ma guardandosi intorno non vide altro, come se l’intera collina fosse stata divorata da essa.
Una risata sommessa piena di malignità lo raggiunse alle spalle, riecheggiando attorno e perfino sopra di lui.
Fulmineo si voltò parando un pugno col guanto che ricopriva la mano destra deformata dalla bestia, ritrovandosela intrappolata da quella di Osaka che strinse forte, scrutandola famelico.
 
«Ti stai trattenendo.» gli disse «Perché? Non hai bisogno di farlo con me …» e così dicendo appoggiò la mano destra sul suo braccio, mostrandogli il guanto di mithril identico in tutto e per tutto al suo, solo molto più scuro, scintillante dei bagliori dorati del metallo levigato «Noi due sappiamo bene cosa voglia dire essere considerati mostri, in balia dei propri demoni …»
 
L’ex turks rabbrividì, richiamando a sé tutto il sangue freddo di cui era capace e respingendolo proprio nel momento in cui sentì la bestia dentro di sé riaprire gli occhi.
Ripresero a combattere, facendo appello solo sui propri sensi per vedersi, dato che la nebbia offuscava la vista.
Victor iniziò a sentirsi fiaccato, ma tenne duro. Era da un po’ in quello stato di iper-vigilanza, e ormai aveva imparato che ogni incantesimo aveva un prezzo, ma doveva portare a termine la propria missione. Valentine si sentiva intossicato da quella nebbia, ma il suo corpo reagiva bene, avrebbe potuto resistere ancora un po’ mentre cercava di capire a che gioco stesse giocando quell’uomo.
Aveva avvertito chiaramente il suo tocco sopra al metallo del guanto, uno spettro non sarebbe stato in grado di far percepire in maniera così tangibile la sua presenza. Eppure ogni cosa, dalla luce fatua che lo avvolgeva alla nebbia alle parole da lui usate sembravano volergli suggerire il contrario.
Stava bluffando, ma Victor Osaka sapeva bene di non poter fingere, riusciva ad anticipare le sue mosse perché percepiva il suo odore e la sua aura, esattamente come Chaos gli permetteva di fare con lui.
Perché fingere allora? Per quale motivo farsi trovare lì da lui? Perché perdere tempo a parlare se il suo obiettivo era quello di vincere lo scontro?
Un bagliore accese di elettricità la nebbia davanti a lui, pochi istanti dopo un fulmine di terzo livello lo colpì di striscio, senza provocargli alcun danno. Ora era passato agli attacchi magici. Con un rumore sordo un cristallo di ghiaccio si formò sopra la sua testa, ma quando fece per scansarlo vide muri di pietra ergersi tutto intorno, bloccandogli il cammino. Non gli restò che sfruttare la materia fira equipaggiata nella Cerberus per ridurre in pezzi il cristallo, per poi sfondare con un pugno una delle pareti e avventarsi contro il SOLDIER tornando a sparare.
Glitchando più volte, questi evitò i proiettili e successivamente tornò a scontrarsi con lui scagliando energia attraverso ogni fendente di katana. Mentre Valentine era concentrato sull’evitarli, con l’ennesimo glitch Victor Osaka si portò dietro di lui e affondò la lama nel suo fianco, sperando che quel danno potesse bastare oltre all’avvelenamento per spingerlo ad usare tutta la potenza della belva che portava dentro di sé.
«La protomateria è visibile ad occhio nudo solo durante la trasformazione in Chaos.» gli aveva detto pochi istanti prima Vittorio, mentre l’ex turk era intento a liberarsi dal muro di pietra «Devi costringerlo ad evocarlo, solo così potrai togliergliela.»
Lo vide sgranare gli occhi sorpreso, fermarsi un istante a guardare la lama che fuoriusciva dal suo fianco sanguinante e poi cadere in ginocchio a terra, una mano sulla ferita e una sul cuore.
Sorrise soddisfatto, portandosi davanti a lui ed ergendosi altero.
 
«Ma … cos’è …?» si chiese, alzando la testa corrucciandosi e arricciando il naso «Lo senti anche tu, Valentine?» domandò tornando a rivolgersi al suo avversario, che nel frattempo lottava per rimanere ancorato a sé stesso.
 
Ora aveva compreso il suo gioco. E le successive parole del 1st class non fecero che confermare ciò che aveva solo intuito.
 
«Cos’è questo odore … di marcio? Sono io … oppure tu?» concluse rivolgendogli un largo ghigno malevolo.
 
Ridacchiò di nuovo, quindi si voltò completamente verso di lui, si piegò al suo livello e guardandolo in quegli occhi da bestia ferita mormorò, provocatorio, alzando gli occhi nella nebbia.
 
«Dev’essere quell’essere orrendo che ti porti dentro … posso quasi vederlo, sai? Seduto nell’ombra ... in attesa.»
 
Il ghigno si allargò sulle sue labbra, così come la smorfia di dolore di Valentine. La nebbia continuava ad avvelenarlo e la ferita a sanguinare, nonostante non fosse poi chissà quanto grave. Doveva aver avvelenato anche quella.
«Perché non ti lasci andare, Vincent?» gli consigliò con finta indulgenza «Lascialo uscire, forza. Mi piacerebbe scambiare due chiacchiere anche con lui.»
 
E a quel punto, prima di lasciarsi trascinare da quella forza che ormai non era che l’unica soluzione possibile, all’ex turk non restò che una sola domanda da porgli.
 
«Chi sei?» bofonchiò, riprendendo fiato e fissandolo in quegli occhi felini così simili a quelli del figlio tanto compianto dall’unica donna che avesse mai amato.
 
“Chi sei tu, Victor Osaka? Come fai ad assomigliargli così tanto, e ad assomigliare così tanto anche lei. Lucrecia … come fai ad avere i loro stessi occhi, pur non appartenendole affatto? Come fai ad essere ancora qui di fronte a me? Perché?”
Non seppe dire se il 1st class comprese appieno il senso di quella domanda, ma la accolse con un sorriso che quasi somigliava più ad una smorfia amara e ad un ringhio ferito.
 
«Io?» gli fece eco, inclinando di lato il capo e portandosi la mano guantata di Mithril al petto «Esattamente quello che tutti voi avete voluto che diventassi.» rispose, facendosi mortalmente serio «Nessuno ferisce la mia famiglia e vive. Nessuno.» soggiunse, stringendo i pugni e accendendoli di una strana luce verde scurissimo «Vi avevo avvisato ma voi non avete voluto ascoltarmi, e ora ne pagherete le conseguenze. Fino a che anche l’ultimo granello di polvere che vi appartiene non si sarà estinto nel vuoto del cosmo.» quindi si alzò, compiendo un passo indietro, e con un ultimo sogghigno lo provocò «C’è qualcuno abbastanza potente da riuscire a fermarmi? Coraggio, si faccia avanti?»
 
E mentre lo diceva nel palmo della sua mano si preparava un incantesimo di ghiaccio che subito dopo colpì il tempio di Chaos proprio al cuore, abbassando la sua energia al limite del sopportabile e permettendo così alla bestia di prendere finalmente il controllo della situazione.
 
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Solo un lampo di luce violetta precedette l’esplosione di energia oscura dovuta alla trasformazione. Victor rimase a guardare affascinato mentre le sembianze di Chaos prendevano il sopravvento su quelle di Vincent Valentine, prendendosi il suo spazio e il suo tempo oltre che il suo corpo.
Lunghe corna nodose scure come fango, pelle grigio scuro, corporatura muscolosa, testa calva e orecchie a punta; aveva enormi ali da pipistrello al posto dell’ampio mantello sdrucito indossato dalla sua controparte, zoccoli al posto dei piedi e lunghissimi artigli al posto delle unghie delle mani, i suoi denti erano zanne affilatissime.
Era … così diverso da Valentine! Come diamine aveva fatto a convivere con quella bestia per … quanti anni?? Ne fu talmente stupito e sconvolto che per poco non dimenticò la propria missione, fu Vittorio a ricordargliela, esclamando nella sua testa.
 
«La protomateria, Vic! Adesso, prima che completi la trasformazione!»
 
Si riscosse, e senza perdere tempo mentre la bestia gli ruggiva contro glitchò alle sue spalle e affondò gli artigli del guanto di Mithril nella sua schiena, afferrando la luce purissima che aveva visto brillare pochi attimi addietro e tirando con forza per trarla a sé.
La bestia ruggì di dolore, ma una volta liberata da quel sigillo gli si avventò contro senza più alcun freno. Una zampata lo colpì alla spalla sinistra e gli artigli lacerarono abiti e carne, la violenza del colpo lo gettò schiena a terra con una facilità disarmante ed una rapidità che non gli permise di prevederlo.
 
«Cazzo!» bofonchiò tra i denti, dolorosamente.
 
Il demone tornò a ruggire con potenza, mostrando il petto, e mentre lui cercava di rialzarsi senza successo tornò ad attaccarlo avventandosi su di lui.
Fu costretto a rotolare per riuscire a schivare i suoi artigli, prima a destra e poi a sinistra, dove si ritrovò bloccato contro una roccia.
 
«Cazzo, cazzo, cazzo!» sbottò.
 
Fissò quegli occhi rosso sangue annaspando alla ricerca d’aria e all’improvviso si rese conto di aver sottovalutato di molto il problema. Il dolore era tale da spingerlo a lacrimare stringendo i denti, perdeva sangue a flotti dalla spalla e le poche forze rimaste stavano lentamente scemando.
“Vittorio, non ho alcuna intenzione di morire ora e in questo modo! Mi auguro che sia stata una buona idea.” pensò, rivolto al suo alter ego.
 
«Non morirai, fidati di Fenrir.» lo incoraggiò questi.
 
Osaka sospirò, alzando gli occhi al cielo.
 
«Va bene …» mormorò, stringendo l’elsa della katana ancora nel suo pugno.
 
Raccolse tutto il coraggio e tutta la forza rimasti, appena in tempo per parare l’ennesimo attacco frontale della creatura con l’unico appoggio della sua arma e di un debole scudo magico che s’infranse dopo pochi istanti, facendo vibrare pericolosamente anche la lama.
Victor si ritrovò solo contro quegli occhi inumani, il fiato infernale della creatura sul collo e i suoi artigli a pochi metri dalla sua gola. La testa girò vorticosamente e gli occhi si chiusero senza che potesse evitarlo, ma proprio nel momento in cui pensò che fosse finita sentì il mostro allontanarsi.
Riaprì le palpebre di scatto guardandosi intorno spaesato, e proprio allora la terra iniziò a tremare. Dapprima fu solo una vibrazione appena percettibile, ma col passare dei secondi si fece sempre più intensa e l’ex SOLDIER iniziò a sentire il terreno sotto di sé rialzarsi e il demone tornare a ruggire.
Il cuore gli saltò in gola. “Ho un pessimo presentimento …” pensò con angoscia.
E allora, solo allora, all’improvviso il lupo cantò, avvolgendo ogni cosa nell’abbraccio gelido della neve del nord e fermando ogni altro incantesimo. Perfino quello mortale del dio del Chaos, che restò a fissarlo quasi sorpreso palesarsi di fronte a lui e ringhiare rabbioso.
Victor si lasciò andare ad un sospiro sollevato, rilassando i muscoli e chiudendo gli occhi, distrutto.
“Dio, ti ringrazio!” supplicò con infinito sollievo.
Quindi si limitò a riaprire gli occhi e fissare l’intenso duello di sguardi tra le due entità. Fenrir rilassò la mascella e sembrò quasi concentrato nel comunicare con la sola forza del pensiero qualcosa che, dopo un primo istante in cui al 1st class parve quasi impossibile che questi potesse capire, il demone invece recepì.
Tornò a guardarlo negli occhi con quegli occhi animali che ripresero a farlo rabbrividire, ma stavolta non sembrò volerlo attaccare, nonostante il ringhio ancora tirato sulla bocca e gli artigli ancora tesi.
Incredibile ma vero, sembrava quasi … che stesse riflettendoci su.
E quando infine tornò a guardare il lupo negli occhi, Osaka fu sicuro di averlo visto annuire.
Fenrir ululò di nuovo, alzando altero il capo e poi voltandosi a guardarlo. Osaka sorrise sollevato, gli occhi lucidi tale era il sollievo.
 
«Grazie …» mormorò in un soffio, mentre le sue ferite iniziavano a rimarginarsi.
 
Chaos gli lanciò un ultimo sguardo minaccioso, tornando a ringhiare sommessamente, ma non scomparve e allora guardando il suo spirito guida e la protomateria brillare ancora nella sua bisaccia, capì che mancava solo la sua firma per rendere valido il patto.
Attese che la guarigione fosse terminata, poi si alzò e avanzò lento verso di loro, inginocchiandosi accanto al lupo e guardando il suo avversario dritto negli occhi con i suoi, pieni di lacrime che mai come allora erano state sincere.
Rinfoderò la katana, prese un lungo respiro, e chinando il capo in segno di rispetto mormorò.
 
«Non m’importa nulla di questo pianeta, anche se sono nato su di esso. Io non gli appartengo … ma …» sentì un magone stringergli la gola, si aggrappò al ciondolo con dentro la foto di Hikari per avere la forza di continuare «Loro si …» ansimò.
 
Chiuse le palpebre, una lacrima scese a bagnare il terreno e non appena la sentì cadere una nuova forza lo indusse a tornare ad alzare il volto verso il demone e proseguire, determinato.
 
«Lasciali andare con me, per favore. Quando sarà giunto il momento, ti prego lascia che vengano via con me. Potrai prenderti tutte le altre anime, portarle dovunque vorrai, ma loro … lasciali a me, ti prego.» una mano sul cuore, l’altra chiusa a pugno per resistere alle lacrime che minacciavano di far vacillare irrimediabilmente la sua voce.
 
Si concesse un ultimo istante per riprendere fiato, quindi sorrise malinconico.
 
«Cos’è un granello di lifestream in fondo, in confronto a tutte quelle altre anime che ti rimarrebbero? Lo purificherò dalle anime impure che ora lo contaminano, non permetterò a nessuno che non lo merita di continuare questo viaggio, e … mi prenderò cura di loro, soprattutto. Io … sarò il loro guardiano, se me lo concederai. Ovunque sarò dopo, proteggerò quel frammento di lifestream come se ne dipendesse la mia stessa vita …» un singhiozzo sfuggì incontrollato dalla sua gola, scosse il capo e le labbra si contorsero in una smorfia di dolore «Perché è esattamente così.»
 
Non riuscì più a trattenere i singhiozzi, e fu costretto ad abbassare di nuovo lo sguardo tappandosi con una mano la bocca, mentre quella coperta dal Mithril raschiava il terreno sotto di sé.
“Idiota …” pensò, scuotendo il capo “E’ un demone, cosa credi che gl’importi delle tue lacrime?”
E invece, dopo averlo guardato a lungo il mostro rivolse un’ultima occhiata a Fenrir e così com’era venuto si dissolse assieme a lui, lasciando libero Valentine di tornare in sé.
La neve portò via la nebbia tossica, che si dissolse così come le ultime energie dell’ex turk. Si ritrovò in ginocchio, una mano sul cuore e la mente vuota. Guardò davanti a sé e vide Osaka in lacrime fissarlo quasi stupito, in ginocchio esattamente come lui.
Continuava a fissare i suoi occhi rossi e aveva uno squarcio sul suo soprabito, all’altezza della spalla destra.
Annaspava cercando di riprendersi da quello scontro che aveva provocato egli stesso, e mentre continuava a chiedersi perché lo vide tornare ad alzarsi, avvicinarsi lentamente a lui ed estrarre dalla sua bisaccia una materia che non aveva mai visto prima, scintillante di vita propria.
S’inginocchiò alla sua altezza e senza dire una parola, ma con una luce molto diversa negli occhi, gliela appoggiò al suo petto e lasciò che questa gli scivolasse dentro.
All’istante smise di tremare, e la sua mente si fece chiara, segno che Chaos era tornato sotto il suo controllo.
Lo guardò a bocca aperta, e lo vide sorridere porgendogli un elisir.
 
«Niente di personale, Valentine … questo è il minimo che posso fare.»
 
Non riuscì a muoversi, tale fu la sorpresa. Gli stava … offrendo aiuto? Cosa … cosa aveva intenzione di fare? Perché?
Victor Osaka attese un istante ancora che il suo avversario accettasse il dono, ma davanti al suo silenzio e alla sua immobilità lo appoggiò al suo fianco con movimenti lenti e per nulla aggressivi per poi alzarsi e voltargli le spalle, mentre la nebbia tornava a salire. Ma stavolta non c’era nulla di tossico, era solo … un modo come un altro per scomparire.
Fece qualche passo, ma si fermò di nuovo, alzando la testa verso il cielo scuro.
 
«Lucrecia …» mormorò, seguendo un altro suggerimento di Vittorio.
 
Colpì nel segno. Vincent si riscosse, tornando in sé.
 
«Cosa?» domandò in un soffio.
Osaka sorrise di nuovo, abbassando il capo.
 
«La vera madre di Sephiroth. Si chiama così, vero?»
 
Di nuovo, Vincent rimase in silenzio ad osservare la sua silhouette confondersi nell’ombra e nella foschia. Stava ancora sognando? Era … un altro dei suoi incubi?
 
«La stava cercando …» lo sentì spiegare, con voce tremula «E … mph, sai come vanno a finire queste cose, no?» gli chiese scuotendo le spalle.
 
Quindi alzò nuovamente il capo, e in tono serio concluse.
 
«Ora il Prescelto è morto … e tocca al suo fratellino completare la missione.»
 
Si voltò a guardarlo, le lacrime agli occhi e i pugni stretti così forte da far scricchiolare i guanti in pelle che li ricoprivano. E sorrise, un’ultima volta. Gli occhi lucidi, un’espressione affranta e nostalgica in volto.
 
«Ho delle domande da farti, e tu ne hai per me.» concluse, spiazzandolo «Ti aspetto lì … prenditi tutto il tempo che ti serve.»
 
Non era una minaccia. Sembrava più … una rassicurazione, sincera stavolta.
Quindi la nebbia lo divorò, e in un lampo di luce accecante anche la sua sagoma scomparve, lasciando solo Vincent Valentine a contemplare il vuoto ed il silenzio in cui era stato capace di gettarlo, una strana angoscia nel cuore e altre mille, diecimila domande nella mente.
All’improvviso non era più solo una questione di stato, ma molto, molto di più.
Ma, del resto, non era l’unico ad esser già passato per quella strada su cui erano impresse perfino le orme del più grande eroe che SOLDIER avesse mai conosciuto.
 
\\\
 
Northem Cave, esterno.
 
Nell'arancio ormai fioco del tramonto, il bagliore di luce improvviso si riflesse accecante, macchiando il cielo notturno.
E proprio come l'ultima volta Osaka precipitò senza un gemito, impattando stavolta non contro il freddo linoleum della hall nel quartier generale Shinra, ormai distrutto, ma su un tappeto di fresca erba che attutì la caduta.
Un tonfo sordo, non si udì neppure il rumore del metallo della sua spada o del guanto di mithril.
Riaprì stanco gli occhi per un secondo, solo per assicurarsi che non ci fossero pericoli, poi li richiuse e si lasciò andare al sonno per poter recuperare le forze.
Stavolta non aveva ferite e non perdeva sangue, ma non c'era neppure Sephiroth a prendersi cura di lui e ciò che non sapeva era che parte del suo nucleo dei ricordi era stata intrappolata nel medaglione che aveva consegnato a Kadaj, e la sua energia vitale vi era stata collegata, come suggello della patto stipulato con Chaos. Ora da quel manufatto dipendeva davvero la sua stessa vita.
Per il momento comunque avrebbe aspettato da solo il momento del risveglio, cullato dalla pace di quel posto sperduto in cui Blain era riuscito a catapultarlo usando le ultime scintille del suo "nuovo" attacco limite.
 
***
 
Wutai, costa occidentale.
 
I due bambini correvano in fretta lungo le pendici della collina che portava alla spiaggia, tenendosi per mano e incitandosi a vicenda mentre cercavano di non scivolare sul terreno che diventava sempre più ghiaioso.
Un bambino e una bambina, il primo aveva poco più di cinque anni, occhi castani e un faccino paffuto, sfigurato da una grossa macchia di geostigma coperta a fatica da un ciuffo dei suoi lunghi capelli neri legati in una coda.
Anche la sorellina era affetta da geostigma. Aveva dodici anni, due occhi azzurri contorniati da lentiggini e capelli rossi costantemente spettinati anche se quasi sempre legati in una treccia.
Erano entrambi allievi di Yuffie, ma stavolta non erano lì per lei.
C'era una piccola barca ormeggiata lì vicino, attorno al quale si era già formato un capannello di persone.
Una di loro, una ragazza dal caschetto bruno, si voltò verso di loro e iniziò ad agitare le braccia da lontano, sorridendo.
 
«Forza, Seiji! Ci siamo quasi!»
 
Il bambino annaspò.
 
«Non mi reggono le gambe, Rin.» piagnucolò.
 
Aveva la febbre a causa della malattia, e in quelle condizioni era già un miracolo fosse riuscito a correre così tanto.
La piccola non era messa meglio, ma da brava sorella maggiore si fermò, lo fece salire sulle sue spalle e riprese a correre, vedendo con sollievo la ragazza che li aveva salutato iniziare a correre per raggiungerli ed aiutarla.
Prese il bambino in braccio e lei per mano, rassicurando entrambi.
 
«Vengono dalla città. Dicono che hanno trovato una cura in una riserva naturale poco distante da qui.» spiegò contenta «Ci accompagneranno lì e poi ci riporteranno indietro senza chiedere alcun compenso.»
 
La piccola Rin sorrise constatando tutta la sua fiducia e il suo entusiasmo. Era piccola, non capiva molto di ciò che dicevano gli uomini ma di Ellen si fidava. Lei aveva diciannove anni e da quando aveva contratto il geostigma non aveva mai smesso di lottare, anche dopo che quel morbo si era portato via tutta la sua famiglia.
Per questo e anche per altri motivi, anche se in quel momento aveva le mani sudate e le gambe talmente tremanti che quasi non riusciva a reggersi in piedi, trovò la forza per unirsi alla folla che aspettava paziente di fronte ad uno sconosciuto alquanto particolare.
Aveva lunghi capelli bianchi, un'espressione tranquilla ma occhi da gatto che sembrava quasi non stessero nemmeno guardandoli, e indossava un lungo soprabito nero chiuso a cerniera sul davanti, guanti in pelle nera e anfibi del medesimo colore alti fino al ginocchio.
Il suo aspetto non era molto rassicurante, così come non lo era quello del suo collega, vestito al medesimo modo ma dai capelli cortissimi e folte basette sugli zigomi pronunciati. Ma sorridevano, o almeno lo faceva lo spilungone dai capelli lunghi, e anche se lo faceva appena riusciva ad essere abbastanza rassicurante.
C'era gente che faceva domande, gli adulti per lo più, ma non ottenevano risposta se non quella di pazientare.
 
«Quando saremo tutti avrete le spiegazioni che cercate.» rispose calmo il ragazzo più rassicurante, ad un vecchio che in maniera abbastanza agitata gli domandò dove avessero intenzione di portarli e se fosse vero che la cura al geostigma fosse stata trovata.
«Ci siamo tutti!» gridò Ellen, mostrando il bambino che aveva tra le braccia.
 
I due uomini si guardarono senza dirsi nulla, poi si voltarono verso la barca dove un terzo era appena uscito allo scoperto, sul ponte.
Era d'aspetto relativamente molto più giovane degli altri, talmente tanto che per un attimo Rin si chiese se non gli fosse coetaneo.
Portava i capelli argentei tagliati corti a sfiorare le spalle e con una frangia che gli ricadeva sugli occhi. Al collo aveva uno strano medaglione composto da piccole gemme incastonate nella pietra. Al centro, scintillante di una luce rossa e vivida che pulsava come fosse il battito di un cuore, una pietra rotonda della stessa grandezza di un occhio.
Se lo rigirò tra le mani mentre i due compari si avvicinavano a lui, lasciando per un attimo la folla.
Erano lontani e volti di spalle, perciò non riuscì a capire cosa stessero dicendosi.
Strinse di più la mano di Ellen e le chiese preoccupata.
 
«C'è qualcosa che non va?»
 
La vide scuotere le spalle e sorridere tranquilla.
 
«Staranno organizzando per il viaggio. Aspettiamo.» decise lei, e la bambina si rasserenò accodandosi al suo buon umore.
 
\\\
 
«Ch'è successo al medaglione?»
 
Kadaj alzò per un attimo lo sguardo dal manufatto e guardò negli occhi Yazoo, l'autore di quella domanda a metà tra la meraviglia e la preoccupazione.
 
«Non ne ho idea.» rispose scuotendo il capo e tornando a rigirarsi il gioiello tra le mani «La gemma centrale era di pietra, ma all'improvviso si è trasformata e ha iniziato lampeggiare.»
«Prova a toglierlo. Magari è perché lo indossa uno di noi.» propose Loz.
 
Il più piccolo seguì il consiglio ma la gemma non smise di brillare.
Tutti e tre la fissarono attoniti per qualche secondo scintillare nel palmo della mano di Kadaj, che alla fine se la rimise al collo e sospirò.
 
«Spero solo che il Niisan stia bene.» disse.
«Credi sia per questo che brilla? Che gli sia successo qualcosa?» domandò ancora Loz, ricevendo come risposta una scrollata di spalle da parte del più piccolo.
«Certo che è davvero strano ...» commentò Yazoo soffermandosi a fissare attentamente la pietra «Sembra quasi viva. Come un cuore ...»
 
La luce andava a veniva con regolarità, pulsando, e sembrava quasi avere una consistenza.
 
«Hey ...» ribatté Loz affascinato «È vero!»
 
Poggiando i pugni sui fianchi.
 
«Comunque non credo che a Victor sia successo qualcosa. Lo avremmo avvertito.» risolse infine il pistolero.
 
Kadaj annuì.
 
«Giusto.» risolse, quindi tornò fissare la folla che li scrutava in attesa e ghignò «Qualsiasi cosa sia successa ce la spiegherà una volta riuniti. Ora veniamo a noi ...»
 
\\\
 
La folla stava iniziando ad agitarsi, uno degli uomini più anziani presenti aveva cominciato a protestare animatamente quando finalmente i tre uomini vestiti di nero si decisero a scendere nuovamente tra di loro.
Il più piccolo in testa, con quel grosso medaglione al collo e un'espressione impaziente in volto. Li scrutò tutti uno per uno, con un leggero sogghigno.
 
«Chi ce lo dice che possiamo fidarci di voi?» gridò uno dei vecchi che protestavano.
 
Kadaj lo fissò con astio, zittendolo all'istante.
Avrebbe voluto rispondergli pan per focaccia, ma si limitò ad attenersi al piano scritto per loro da Osaka.
Tornò a sorridere cercando di essere il più calmo e rassicurante possibile, anche se dentro di sé sentiva il fastidio trasformarsi in rabbia per tanta insolenza. Comunque non poté trattenersi dallo stringere i pugni.
 
«Chi ve lo dice?» gli fece eco nervoso «Nessuno.» rispose ridendo, scuotendo le spalle e alzando le braccia «Ma avete una scelta migliore?» chiese «Preferite stare qui a morire tra atroci sofferenze oppure guarire e portare la buona notizia ai vostri cari, insieme alla speranza?»
 
Li vide zittirsi, tutti quanti, e rifletterci. Con sua grande sorpresa vide l'astio scomparire dai loro volti e, nonostante la diffidenza, li vide scambiarsi cenni di assenso rassegnato.
"Incredibile ..." pensò dentro di sé lo spadaccino "Il Niisan aveva ragione, ci sono cascati in pieno."
Guardò i suoi due fratelli e li vide sorridere con la stessa soddisfazione e lo stesso stupore. Annuirono lentamente, infine il più giovane si preparò a pronunciare la sua ultima battuta.
 
«Bene!» esclamò con sicurezza «È arrivato il momento, adesso. Chiunque vuole partire salga a bordo, chi non vuole è libero di andarsene!»
 
Quando Victor gli aveva suggerito questa ultima frase era stato titubante. Perché metterli di fronte ad una scelta? Perché non costringerli, in un modo o nell'altro? Era stato indeciso fino all'ultimo se enunciarla o meno, ma quando vide tutti quegli uomini accettare il suo invito e dirigersi verso la scaletta della nave, quando li vide salire senza guardarsi indietro, ancora una volta ammirò la scaltrezza del suo fratellone che gli aveva permesso di vederci lungo e far andare tutto per il verso giusto.
Tornò a guardare i suoi fratelli, e anche sulle loro facce vide la medesima espressione soddisfatta. Ghignarono, tornando ad osservare la folla ormai quasi del tutto a bordo della piccola imbarcazione.
Quelli sarebbero stati i primi umani che avrebbero avuto il privilegio di partecipare alla nuova reunion.
Presto non ci sarebbero stati più solo gli zombies a dominare i brutti sogni dei sopravvissuti all'Apocalisse.
 
***
 
Immerso nel buio della sala di comando, Reeve Tuesti fissava pensieroso e cupo il mega schermo del computer principale su cui scorrevano rapide le immagini degli allenamenti di Victor Osaka ai tempi del suo miliziato in SOLDIER.
Era preoccupato, angosciato. Da giorni Vincent non si faceva sentire, e non che fosse in pensiero per la sua incolumità ma … era il pensiero di ciò che avrebbe potuto trovare a renderlo nervoso. Aveva un pessimo presentimento, perciò fu alquanto sollevato quando il telefono squillò e sul display lesse il nome di chi avrebbe potuto fugarlo.
Purtroppo per lui, non fu affatto così.
 
\\\
 
«Vincent. Dammi buone notizie.»

«Mh … credo di non poterlo fare, mi spiace.»

«… cos’hai scoperto?»

«Te lo spiegherò meglio quando ci rincontreremo. Per ora … posso solo dirti ch’è vivo.»

« … tu … sei sicuro?»

«Mh… praticamente certo.»

«…»

«Reeve...»

«Mh?»

«Conviene prepararsi. Per lui la guerra non è ancora finita.»
   
 
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