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Autore: Xion92    13/08/2020    1 recensioni
Post-KH3. Kairi è disperata perché non c’è modo di riportare Sora indietro. Ma quando, poco dopo, Ansem il saggio le rivela la verità sul suo passato, per la ragazza si apre una nuova prospettiva di vita.
Cosa significa veramente essere il capo di un mondo e governarlo? Quanti modi ci sono per farlo, e qual è quello più efficace e accettabile al tempo stesso? Quali pericoli, minacce e congiure attendono un principe? Questa è la storia di tre generazioni di sovrani del Radiant Garden, in cui ognuno di loro, a modo proprio, cerca di portare il regno verso la prosperità. Una storia di governo e di politica, fortemente basata su “Il principe” di Machiavelli.
(Il rating è arancione solo per il capitolo 7, tutto il resto dovrebbe mantenersi sul giallo)
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kairi, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
Capitoli:
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Ciao a tutti! Ultimamente vado abbastanza a rilento con gli aggiornamenti, è che ho parecchi impegni e faccio fatica ad organizzarmi con la scrittura. Spero che il prossimo capitolo riuscirò a metterlo prima. Buona lettura!

 

Capitolo 13 – Il primo principe

 

“Coloro e’ quali solamente per fortuna diventano di privati principi, con poca fatica diventono, ma con assai si mantengono; e non hanno alcuna difficultà fra via, perché vi volano; ma tutte le difficultà nascono quando e’ sono posti.” (Capitolo VII)


La pioggia cadeva copiosa sul Radiant Garden quel pomeriggio. Le pozzanghere sul lastricato delle strade erano numerose ed ampie, e rigagnoli d’acqua scorrevano dappertutto. Kairi era contenta che i suoi stivali avessero il fondo così spesso, altrimenti si sarebbe trovata i piedi inzuppati dopo pochi secondi. Camminava tenendo l’ombrello con una mano e Kain stretto vicino a sé con l’altra, in modo che non si bagnasse nemmeno lui.

“Avanti, Kairi, avanti!”, la incitava Kain, tenendole la mano ed indicandole la strada col braccio teso e il dito puntato. “Adesso devo farvi vedere il quartiere sud-ovest!”

A Kairi quel bambino piaceva moltissimo, e vederlo tutto preso com’era a farle da guida e da scorta in quel mondo per lei nuovo nonostante fosse così piccolo le metteva molta tenerezza.

“Quanti ne abbiamo visti, finora?”, gli chiese, giusto per metterlo un po’ in difficoltà.

Kain si arrestò a quella domanda, e perplesso iniziò a contare sulle dita.

“Allora, abbiamo visto quello sud-est… poi quello est… e allora, questo qui che vi faccio vedere adesso è il terzo! Sì!” esclamò alla fine con tono soddisfatto, riprendendole la mano.

La ragazza sperò di trovare qualcuno in giro per le strade, nonostante la pioggia. Affidarsi all’aiuto di Kain lo gratificava molto, ma sapeva che non poteva chiedere tutte le informazioni necessarie ad un bambino così piccolo.

Quando ebbero sceso la scalinata davanti al castello ed ebbero oltrepassato il cancello, si ritrovarono nella piazza principale dove si erano affacciati quella mattina. Stavolta non c’era nessuno, perché il mercato dei contadini era finito, le bancarelle erano state smontate e il brutto tempo non incoraggiava certo qualcuno a frequentare la piazza.

Lasciandosi guidare da Kain, Kairi prese la strada opposta a quella che avevano imboccato la mattina. Invece di girare a sinistra, andarono a destra, incontrando il primo gruppo di case, che segnava l’inizio del quartiere.

“Cosa mi dici del quartiere sud-ovest, Kain?”, chiese Kairi, mentre si guardava in giro nell’attesa di incontrare un passante.

“Ah, so tante cose, perché me le ha spiegate sua maestà”, si affrettò a rispondere Kain. “Qui ci sono… la scuola. Voglio dire, non è che c’è solo una scuola nel Radiant Garden, tutti i quartieri ne hanno una, ma quella che c’è in questo quartiere è la migliore. Ci vanno i maestri più bravi di questo mondo.”

“interessante”, commentò Kairi. “E poi?”

“Poi, poi c’è l’università. Anche quella è molto importante. Poi c’è l’ospedale. E i musei. E il teatro. E tutti i locali dove i ragazzi escono la sera”, spiegò Kain, cercando di ricordarsi tutto per bene.

Da quella spiegazione raffazzonata, Kairi capì che quello doveva trattarsi del quartiere della città in cui erano concentrati i servizi ai cittadini e la movida, ed era il quartiere più giovanile della capitale. Guardandosi in giro mentre camminavano, vide infatti un sacco di localini e pub, oltre a ristoranti di ogni categoria, dai più eleganti ai più economici per studenti – tutti sbarrati, visto che era ancora presto e non c’era nessuno in giro. No, qualcuno vide: un ragazzo poco più grande di lei, con sotto braccio la sua cartella, probabilmente piena di quaderni e scartoffie, che camminava sotto il suo ombrello.

“Quello deve essere uno studente dell’università. Perché l’università infatti è proprio laggiù”, le spiegò Kain.

“Che fortuna!” esclamò Kairi, e si avvicinò al ragazzo. “Scusami!”

Il giovane girò la testa e, appena la vide, si bloccò meravigliato, facendole subito un rispettoso inchino.

“La futura principessa! Che onore incontrarvi, vi ho visto ieri dalla piazza insieme agli altri cittadini”, la salutò con sicurezza, recuperando il suo controllo in pochi istanti.

“Il piacere è mio”, gli sorrise Kairi, avvicinandosi a lui. “Sei di fretta?”

“Assolutamente no”, rispose il ragazzo, e mentre anche lui le sorrideva, Kain, imbronciato, lasciò la mano di Kairi mettendosi davanti a lei. “Come mai siete da queste parti con questo tempaccio? State facendo una passeggiata?”

“Sì, diciamo che sto esplorando la città in questi giorni. Voglio conoscerla bene e conoscere bene anche tutti voi, in modo da poter avere un’idea migliore del posto e poter essere d’aiuto”, spiegò con gentilezza Kairi.

“Com’è bello sentirvi dire queste parole”, commentò con allegria il ragazzo. “Lui è Kain, vero? Il bambino che ha adottato il principe Ansem.”

“Sì, visto che conosce la città, mi accompagna spiegandomi alcune cose”, rispose Kairi, accarezzando Kain sulla testa, che tuttavia continuava a tenere la sua espressione contrariata.

 “Se volete, vi posso accompagnare io stesso per il quartiere, lo conosco bene, e posso spiegarvi tutto quello che vedete”, propose il ragazzo.

“Grazie”, ne fu lieta Kairi. “Kain, perché fai quel muso? Non hai visto come è gentile? Dì grazie anche tu e continuiamo insieme, dai.”

“Beh…” aggiunse il giovane. “Visto che vi mostrerò io questa zona, non avete più bisogno che Kain venga con voi. Possiamo riportarlo al castello, e vi farò vedere un sacco di posti carini del quartiere. Vedrete, vi piaceranno molto. Così potrò anche… conoscervi meglio con più calma.”

A Kairi venne come prima cosa da chiedere perché avrebbe mai dovuto riportare Kain indietro, senza portarlo con loro, ma poi, guardando meglio il ragazzo negli occhi, vide qualcosa che la mise a disagio: lo sguardo di quel ragazzo non era solo desideroso di fare un piacere alla sua futura principessa, ma era pregno di interesse. Interesse per lei come ragazza, non come futura sovrana. Un tipo di sguardo che aveva una vaga somiglianza con quello di Sora quando la guardava, anche se non possedeva nemmeno un decimo dell’intensità di quello del suo innamorato. Presa da un moto di orrore, afferrò di nuovo velocemente Kain per la mano e, sentendosi avvampare, si congedò in fretta.

“In realtà, credo di aver cambiato idea. Andremo avanti solo io e Kain, ma grazie mille per la tua gentilezza. Me ne ricorderò!”, e proseguì a passo svelto, trascinandosi dietro il bambino, che stava dimostrando di non starci capendo niente. Mentre si allontanava dal suo futuro suddito, si rese conto, a giudicare dall’ultimo sguardo che gli aveva rivolto, che quel ragazzo ci era rimasto malissimo.

Dopo aver girato l’angolo si rifugiò sotto una tettoia e si appoggiò con la schiena al muro, ansimando.

“Kairi, non avevate capito che gli piacevate?” le chiese Kain. “Come mai poi gli avete detto di no?”

“Perché… perché…” boccheggiò lei. Si rese conto di non essere stata affatto gentile con quel giovane, e se ne vergognò. Alla fine non aveva fatto niente di male: aveva visto in lei una bella ragazza che poteva piacergli, e aveva cercato di invitarla a fare un giro per poterla conoscere meglio. Ma il solo pensiero di essere desiderata da qualcuno in quanto donna la faceva sentire vergognosa e sporca. A quel punto le tornarono in mente le parole che Ansem le aveva detto il giorno prima: che il Radiant Garden era pieno di bei ragazzi, lei avrebbe potuto sceglierne uno che fosse piaciuto anche a lei per poterlo sposare. Ed il primo pretendente a modo suo si era fatto avanti. Solo il giorno successivo al suo arrivo. Chissà quanti altri ne avrebbe incontrati col passare del tempo, che ci avrebbero provato con lei.

“No, no, non voglio, non voglio”, negò decisa, scuotendo la testa e strizzando gli occhi.

“Ecco”, annuì Kain, soddisfatto. “Quei brutti palloni gonfiati! Avete visto quello lì? Sembrava che non aveva mai visto una ragazza in vita sua.”

Kairi aprì gli occhi a quelle parole e abbassò lo sguardo verso di lui. L’angoscia e il senso di vergogna l’abbandonarono e si sentì l’animo più leggero. Ogni volta che pensava che Kain le avesse suscitato il massimo di tenerezza possibile, inevitabilmente il bimbo si superava: era così stoico, così impostato ma così spontaneo appena allentava la cinghia. Si chinò per prenderlo in braccio e stringerlo a sé.

“Sai già che non voglio sposarmi, Kain, ma se mai cambierò idea, mi sposerò con te”, gli promise solennemente e strizzandogli l’occhio.

Il bambino arrossì violentemente e nascose il viso nella spalla della donna, tenendola stretta.

La ragazza decise allora di stuzzicarlo un altro po’. “Sbaglio o non ti piaceva tanto che quel ragazzo ci stesse provando con me? Avevi un broncio… non vuoi dividermi con nessuno, eh?”

Kain allora diede una risposta che non si aspettava. “Sì…” borbottò “ma non solo per quello… se vi sposate con qualcuno e fate un figlio, io poi non posso più essere un principe. Sono ancora piccolo, ma la legge la conosco.”

“Giusto”, ammise Kairi, che aveva creduto che l’espressione contrariata che il bambino aveva tenuto prima era dovuta esclusivamente alla gelosia. Lo stava considerando solo come un bambino di cinque anni, e si era quasi dimenticata quanto fosse ambizioso, pur essendo così piccolo. “Beh, non preoccuparti, non c’è pericolo per questo. Sei più tranquillo adesso?”

Kain staccò la faccia dalla spalla della ragazza e la fissò in viso. “Ma siete proprio sicura che non vi sposerete? Sicura sicura?”

Kairi alzò gli occhi al cielo prima di rispondergli, sentendosi emotivamente sfinita. Ora riusciva a capire come mai suo padre ogni tanto avesse l’aria stanca quando si trovava a dover discutere con lui. Non credeva di aver mai visto dei livelli così alti di paranoia ed ansia in un bambino di quell’età. “Sicura sicura.”

Kain allora si tranquillizzò, e Kairi lo tenne in braccio un altro po’, osservando la pioggia che veniva giù, e pensò con la mente più serena a quello che era successo. Sentiva ora di non avere problemi, né di doversi sentire in colpa. Se fosse piaciuta ai ragazzi del Radiant Garden perché era bella, gentile e di uno stato sociale più alto, si facessero pure avanti. Lei, ovviamente con garbo, li avrebbe sempre respinti finché non si fossero arresi. Voleva proprio vedere chi avrebbe avuto più resistenza! L’unica cosa di cui si dispiaceva era che, scappandosene così, aveva perso una preziosa occasione di chiedere a quel giovane delle informazioni sull’università e di come andassero le cose lì. Poteva anche andare direttamente nella sede universitaria per fare qualche domanda, ma decise di passare oltre: quel luogo doveva essere pieno di altri ragazzi come quello appena passato, e se ci fosse andata si sarebbe trovata nella stessa situazione del mercato di quella mattina, anzi, peggio.

“Sarà il caso di proseguire, che dici?” chiese al bambino, mettendolo giù. “Perché non mi porti a vedere dov’è l’ospedale?”

“Bisogna andare da quella parte”, rispose Kain, indicando una direzione verso una strada un po’ più grande. “Perché volete andare all’ospedale, Kairi? Vi sentite male come ieri?”, chiese con l’apprensione nella voce.

“No, tesoro”, gli sorrise Kairi, compiaciuta che quel piccoletto si preoccupasse così tanto per lui. “Volevo solo andare a trovare le persone malate. Anche loro meritano di ricevere una visita dalla loro principessa, non trovi?”

“Sì”, annuì Kain, e le prese la mano. “Poi loro visto che erano lì dentro non vi hanno nemmeno vista quando vi siete presentata. Venite, vi ci porto.”

Camminando per un’altra decina di minuti, presto i due si trovarono di fronte all’ospedale. Un grande edificio su due piani, più chiaro degli altri, che si apriva su un piazzale.

‘Se in questo regno mancano l’elettricità e il riscaldamento, come faranno quei poveretti?’, si chiese a quel punto Kairi. Lo avrebbe scoperto presto.

Una volta entrati, tutti gli infermieri ed i dottori che erano nell’atrio, appena videro la ragazza quasi si presero un colpo. Subito chinarono la testa rispettosi, profondendosi in saluti e complimenti. Kairi non era abituata a tutti quei riguardi, e chissà quanto ci avrebbe messo ancora per evitare di imbarazzarsi.

“Come mai siete venuta, signorina?”, le chiese un’infermiera. “Vi sentite male?”

“No no”, rispose Kairi. “Volevo solo sapere come funzionava l’ospedale, se avevate dei problemi, e magari anche fare una visita ai pazienti, se è possibile.”

“Oh, come siete altruista ed empatica”, commentarono commossi i presenti. Kairi giurò di sentire anche qualcuno borbottare “non come suo padre”, ma non se ne curò.

“Venite, venite pure”, si fece avanti la stessa infermiera di prima, mantenendo però da Kairi una certa distanza fisica. “Sarò onorata di spiegarvi tutto, ed anche di farvi vedere i pazienti. Il primo pomeriggio è proprio l’ora delle visite.”

Kairi, che non aveva intenzione di mantenere quella fastidiosa barriera invisibile fra lei e i suoi futuri sudditi, si avvicinò di più alla donna chiudendo quella distanza, mentre Kain, dietro di lei, attaccato alla sua mano cercava inutilmente di tirarla indietro. L’infermiera si mostrò un po’ a disagio per il fatto che la futura principessa si stesse comportando come una ragazza qualsiasi, ma non lo diede troppo a vedere.

“Scusate se vi ho interrotto”, disse intanto Kairi al resto del personale intorno a lei. “Riprendete pure il lavoro, fate come se non ci fossi”, al che i presenti si dileguarono, come se lei avesse appena dato un ordine perentorio invece che un gentile invito. Nella stanza rimasero solo lei, Kain e l’infermiera con cui aveva stabilito un contatto.

Kairi si guardò attorno con curiosità e notò con piacere che le lampade erano accese e l’elettricità sembrava funzionare.

“Qui non avete problemi di elettricità, vero?” Poi le venne in mente che non aveva nemmeno ben chiaro come funzionasse la distribuzione di elettricità in quel regno. “Ehm, scusate… sono un po’ ignorante, sono arrivata solo ieri… mi potete spiegare come funziona la distribuzione di elettricità?”

L’infermiera rimase un momento interdetta, e Kairi interpretò la sua esitazione come una conseguenza del fatto che lei si fosse appena scusata. “Beh, l’elettricità viene generata dal reattore che si trova più a nord, fuori del quartiere. La distribuzione è statale, cioè pubblica, e normalmente viene pagata con le tasse. E’ un sistema che se funziona a dovere è molto efficiente, perché è tutto compreso nel proprio quantitativo di tasse, e quindi l’intera popolazione della capitale verrebbe coperta.”

“E invece?”, chiese Kairi, curiosa ed attenta.

“Il problema è che a seguito del periodo buio degli ultimi anni, la fiducia del popolo verso il principe vostro padre, e quindi verso lo stato, è crollata. E di conseguenza la gente non paga più le tasse, gli operai che lavorano al reattore non possono essere più pagati, e la distribuzione dell’elettricità è diventata molto difficoltosa.”

“Ma se il reattore ha delle difficoltà, come mai alcune case, quelle delle persone benestanti, hanno l’elettricità?”, chiese Kairi.

“Perché il problema sta tutto nella mancanza di danaro che faccia funzionare il reattore come si deve. Di fatto ormai la distribuzione dell’energia è diventata privata. Le persone ricche pagano i gestori della fabbrica perché provvedano esclusivamente all’elettricità per le loro case. Ovviamente, perché dovrebbero mettersi a pagare per tutti? E quindi chi può permetterselo ha l’elettricità, chi è più povero si deve arrangiare. La stessa cosa vale per la vostra famiglia”, spiegò affranta l’infermiera.

“E voi?”

“Da noi è abbastanza precaria la cosa. Ovviamente i tagli ci sono stati in ogni settore e servizio, energia, scuola, sanità, tutto. Quindi anche noi, non avendo più soldi, facciamo molta fatica a tirare avanti. Normalmente possiamo permetterci l’elettricità, ma a volte ci sono dei black-out che sono molto pericolosi per i nostri pazienti attaccati alle macchine. I posti letto sono sempre meno, tanto che ultimamente abbiamo dovuto fare una selezione in base all’età e alla gravità della malattia…”

“Ma è terribile!”, commentò Kairi indignata. “E tutto perché i cittadini si rifiutano di pagare la loro quota? Non capiscono che così facendo fanno del male a tutti e anche a loro stessi?”

“Ma l’uomo dentro di sé è oscurità e malvagità, lo sapete, Kairi”, intervenne Kain, che stava ascoltando.

“Perdonate se mi permetto, signorina”, precisò l’infermiera. “Ma la colpa di tutto questo è di vostro padre, non del popolo. Ovviamente non mi riferisco in alcun modo a voi, anche voi siete stata una vittima della sua incompetenza, in fondo.”

Kairi avrebbe voluto replicare, ma rimase zitta. Era un’altra conferma di quello che aveva già sentito: le cose andavano male, la colpa era di chi governava. Si rese conto ancora una volta di quanto suo padre fosse odiato dai suoi sudditi. Tutte le volte che si diceva nella mente che il vecchio principe forse era un po’ troppo paranoico ed esagerato, puntualmente, tramite la voce di uno del popolo, veniva fuori invece la conferma che quel poveretto aveva ragione. Per ora comunque poteva bastare. Aveva ottenuto qualche informazione che le poteva servire.

“Mi potete portare a vedere i bambini? Ci sono bambini ricoverati?”

“Certo, li abbiamo, ma per fortuna sono pochi”, annuì l’infermiera. “Venite pure.”

Kairi, tenendo Kain per mano, la seguì quindi per i corridoi puliti e illuminati, fino ad arrivare in una grande stanza, dove c’erano una decina di lettini, su cui stavano sdraiati bambini dai quattro ai dieci anni, che sonnecchiavano o si intrattenevano leggendo un libro. Alcuni avevano la flebo al braccio, altri avevano una gamba fasciata, altri non sembravano avere nulla di particolare o grave. Appena videro Kairi rimasero perplessi a guardarla: visto che non avevano assistito alla cerimonia del giorno prima, non l’avevano mai vista e non sapevano chi fosse.

Ma uno dei bambini esclamò emozionato: “è la principessa! La mamma ieri quando è venuta a farmi visita ha detto che ha i capelli rossi! Sono sicuro che è lei!”, e gli altri subito a fargli eco: “anche la mia mi ha detto così! Siete la principessa, vero? Siete Kairi?”

Kairi si illuminò a vedere tutti quei piccoli, e senza aspettare che l’infermiera la presentasse si fece avanti lei stessa. “Esatto, bambini”, annuì. “Anche se ancora non sono la principessa, in realtà. Ieri non vi ho visti alla cerimonia, quindi sono passata io per venire a trovarvi”, spiegò con un sorriso quasi materno.

“Venite da me! Venite da me!” iniziarono ad agitarsi i bambini eccitati, tendendo la mano verso di lei.

“State tranquilli, verrò da tutti quanti”, li rassicurò Kairi, iniziando dal bimbo più vicino a lei, che non doveva avere più di sei anni.

“C’è anche Kain!” esclamò contento un altro bambino un po’ più grande, vedendo chi accompagnava la ragazza. “Kain, come si vive al castello?”, gli chiese. “Il principe ti tratta bene?”

“Certo!”, annuì convinto Kain. “Sua maestà mi sta insegnando un sacco di cose.”

“Ma sei sicuro che ti fa mangiare sempre? Non è che ti fa fare la fame?”, chiese sospettoso il bambino allettato.

Kairi ascoltò a metà quel dialogo, giusto per rendersi conto di come la cattiva fama di Ansem non risparmiasse nemmeno i sudditi più piccoli, che erano arrivati ad assimilare falsità e bugie sul suo povero padre. Ma ormai i confini tra verità e menzogne si erano fatte così sottili che si mischiavano l’una con le altre, ed era scontato per quei bambini credere che Ansem fosse un cattivo tutore, che affamava il bambino che aveva preso in custodia, anche se era evidente che Kain fosse forte e scoppiasse di salute. Sentendosi ancora una volta male per il vecchio principe, si rivolse al bambino a cui si era avvicinata, che aveva la fronte fasciata.

“Cosa ti sei fatto, tesoro?”, gli chiese premurosa, piegandosi per avere la testa all’altezza della sua.

“Stavo giocando sui gradoni della fontana e poi sono caduto…” mormorò vergognoso il bimbo.

“Oh, ma guarda te…” commentò Kairi, accarezzandogli la mano. “Ti fa molto male?”

“No, forse domani mi rimandano a casa… principessa, è vero che resterete sempre con noi?” volle assicurarsi il bambino.

“Certamente!”, esclamò Kairi mettendosi una mano sul petto con solennità. “Sono tornata da poco e non ho intenzione di andarmene più.”

“E ci governerete molto meglio del principe che abbiamo adesso, vero?”, insisté il bambino.

“Beh…” fece Kairi, a disagio com’era sempre quando sentiva i sudditi attaccare il vecchio principe in modo più o meno diretto. “Non vi deluderò, promesso”, disse, non sentendosela di screditare anche lei il suo povero padre con un più diretto “sì, certo”.

Kairi rimase con i bambini per una mezz’ora buona, tenendo loro compagnia e chiacchierando con loro, e quando infine lasciò l’ospedale con Kain si sentì felice di aver portato un po’ di luce sui loro visi sofferenti.

 

Una volta uscita con la promessa di tornare presto a trovarli, Kairi si ritrovò pensierosa: aveva notato che Kain aveva chiacchierato, con le distanze che gli erano proprie, con alcuni bambini che si trovavano in quella stanza. Ciò voleva dire che probabilmente si conoscevano già da prima, anzi, il modo familiare con cui quei piccoli malati si erano rivolti a lui le facevano intuire che potevano aver avuto qualche rapporto già da prima che Kain venisse adottato da Ansem. Ma allora perché Kain continuava a mantenere segreto il suo stato di futuro principe anche con loro? Le venne in mente che quella mattina si era proposta di chiederlo ad Ansem, ma alla fine se ne era scordata. Beh, Kain sembrava abbastanza ferrato sulle questioni del regno. Probabilmente lo sapeva anche lui.

“Kain, ascolta… sai che tutti quei bambini mi hanno riconosciuta come futura principessa. Perché con te non l’hanno fatto?”, iniziò per introdurlo al discorso.

“Perché non lo sanno”, rispose tranquillo Kain.

Kairi alzò gli occhi al cielo, che nel frattempo aveva smesso di piovere. “Ovviamente. Intendevo dire, perché non glielo dici?”

“Perché se glielo dico poi loro lo vanno a dire alle loro mamme e poi lo saprà tutta la città”, disse ancora Kain, col tono di chi afferma l’ovvio.

“E d’accordo”, insisté Kairi. “Ma perché la città non lo deve sapere? Che c’è di male?”

“Perché se lo vengono a sapere, poi mi staranno sempre con gli occhi addosso per giudicarmi e trovare ogni errore che posso fare. Sua maestà me l’ha spiegato molte volte: se ero suo figlio, dovevo fare attenzione ad ogni cosa che facevo davanti ai sudditi, perché loro stanno sempre a osservare quello che fa chi li governerà. Con voi per esempio lo stanno già facendo, ma voi diventerete principessa fra poco, quindi non vi dovete preoccupare. Io invece devo aspettare almeno dieci anni: pensate di passare tutto quel tempo a non dover mai sbagliare. Sarebbe bello secondo voi?”, spiegò Kain con aria saputa.

“No, in effetti no…”, ammise Kairi. “Quindi non essere figlio di mio padre ti ha salvato, in un certo senso. Se i sudditi non sanno che sarai un principe, potrai essere più libero di muoverti e crescerai più sereno.”

“Esatto”, annuì Kain. “Ma se sei davvero il figlio di un principe, non lo puoi tenere nascosto e devi stare molto attento fin da quando sei piccolo. Perché la legge dice che la successione si fa col sangue, quindi tutti lo sanno che il principe sarai tu.”

“Ho capito”, sospirò Kairi. Si stava rendendo conto che essere un principe in quel mondo non doveva essere affatto facile. A quante cose doveva fare attenzione un sovrano per essere ben visto dai suoi sudditi! Anche se, non poteva fare a meno di pensarlo, tutto questo le sembrava esagerato: d’accordo giudicare un vecchio principe che effettivamente aveva fatto errori, ma come si poteva pensare che dei sudditi giudicassero da subito un bambino piccolo solo perché fra dieci o quindici anni li avrebbe governati? Kain ed Ansem erano prudenti, forse fin troppo. Lei era invece decisa a tenere un atteggiamento più rilassato nei confronti del popolo: era piena di buona volontà e sincera voglia di essere di aiuto, quindi non doveva avere ragione di preoccuparsi.

“E adesso dove mi porti, Kain? C’è qualcos’altro che mi vuoi mostrare in questo quartiere?”

“Beh, adesso non c’è molto da vedere. Di sera qui è pieno di gente, quando la stagione è bella. Come vedi, adesso è tutto chiuso”, spiegò il bimbo.

“Allora proseguiamo. C’è un altro quartiere che mi devi mostrare, vero?”

“Sì, ma…” Kain le lasciò la mano e iniziò a contare sulle proprie dita. “Per arrivarci dobbiamo attraversare prima i giardini, poi la zona della fabbrica, poi la piazza della fontana, e poi saremo arrivati. Se andiamo oltre, torniamo nel quartiere est che avete visto stamattina.”

“Ho capito, è tutto un giro in circolo intorno al castello”, commentò Kairi, e gli prese di nuovo la mano. “Dai, andiamo.”

 

Come Kain aveva detto, appena superato il quartiere della movida si incontrarono i giardini pubblici. Attraversandoli, Kairi si rese conto che erano molto simili a quelli che aveva visto quella mattina: cinti da possenti mura, costruiti su gradoni e terrazze, con sentieri intricati e lastricati che si facevano strada tra le aiole. Girando lo sguardo verso l’imponente castello alla loro destra, a Kairi parve di vedere qualcosa di familiare.

“Guarda Kain, quella lassù credo che sia la mia stanza!”, esclamò, indicando la propria finestra.

“Esatto”, annuì il bambino. “Avete visto che avete i giardini proprio sotto?”

“Ma in realtà c’è un muro che ci separa dal castello…” obiettò Kairi.

“Certo, perché in questi giardini qui possono venirci tutti. Poi abbiamo i nostri, che sono chiusi e la gente da fuori non può entrare. Non so se hai visto, quando si esce dal portone si scendono le scale. Poi c’è una piazza piccolina, e se vai ancora più giù arrivi alla piazza grande.”

“Sì, ho presente”, annuì Kairi.

“Ecco, dalla piazzetta piccolina ci sono due sentieri, uno di là e l’altro di qua. Portano tutti e due ai nostri giardini, che sono molto più belli di questi. La vostra stanza è sopra quello di… di…”

Si fermò, perplesso, guardandosi le mani indeciso.

“Immagino che, se stiamo in piedi davanti al portone del castello, sia quello di sinistra”, si mise a ridere Kairi, davvero divertita. Erano in momenti come quelli in cui si ricordava che Kain, per quanto sveglio e pronto che fosse, era in fondo un bambino di cinque anni.

“Esatto, quello!”, rispose subito Kain riprendendo la propria sicurezza. “Da qui non ci si può andare, ma comunque adesso non c’è niente da vedere e da farci. E’ pieno di fango come qui. Dovete andarci nella stagione bella, invece.”

Attraversarono tutti i giardini, e Kairi, curiosa, volse la testa stavolta sul lato sinistro.

“Oltre le mura c’è subito l’acqua? Cioè, il mare?”

“Sì, ma sopra c’è l’acquedotto. Ci si può anche camminare, sulle mura”, spiegò il bambino.

“E ci sei mai salito?”

“Veramente no… ma sua maestà mi ha detto che da lassù si vede bene tutto intorno. Anche i nemici se arrivano.”

“Allora dovrò fare un giro anche lì. Un’altra volta, però”, aggiunse Kairi.

 

Una volta superato il parco pubblico con le sue mura, Kairi rimase impressionata da un grosso edificio, sicuramente una fabbrica, che si stagliava di fronte a loro. Era enorme, tanto che da solo sembrava occupare quasi un quinto della superficie cittadina, coprendo buona parte della zona posteriore del castello. A differenza del resto della città, aveva un aspetto avanzato e tecnologico, proprio di un sistema all’avanguardia ed efficiente.

“E questo cos’è?”, chiese emozionata.

“Ah, è la fabbr… no, com’è che si chiama? Il reattore!” esclamò Kain, soddisfatto di riuscire a ricordare una parola così difficile.

“E serve per…?”

“Ah, l’energia. Elettricità, riscaldamento, tutto. Ma non so molto altro…” disse Kain, esitante.

“Allora adesso andiamo a chiedere”, propose Kairi, e si avvicinò al grosso edificio, tenendo Kain per mano. Una volta arrivata davanti al portone serrato, suonò il campanello, e subito le venne ad aprire il portiere, un uomo massiccio e robusto, anche se non quanto le due guardie del castello, facendole un grande inchino.

“La futura principessa… che onore avervi qui. Siete venuta a vedere come funziona il reattore?”

“Sì, purtroppo non ne so molto. Mi potete spiegare un po’ in generale?”

“Guardate, l’interno della fabbrica non è un posto adatto per una signorina come voi. Si respira un’aria pesante…” esitò il portiere.

“Oh, non importa, possiamo rimanere fuori. Adesso non piove, tanto.”

“Beh, signorina, il reattore è come se fosse il motore del regno, per dirla in breve. Serve a rifornire di elettricità e riscaldamento la città. Per l’acqua invece abbiamo costruito l’acquedotto. Vedete le mura che chiudono la città? L’acquedotto corre là in cima per tutta la loro lunghezza, si raccoglie l’acqua piovana e quella del mare su cui la città è costruita. Poi…” e a quel punto l’uomo pestò forte il piede sul lastrico della strada “… il depuratore sotto di noi fa il resto del lavoro, rendendo l’acqua potabile e distribuendola alla popolazione. Poi le acque usate vengono nuovamente depurate e rilasciate nel mare.”

“Ma è fantastico!”, commentò ammirata Kairi. “Siete veramente tecnologici. Ma… ho saputo che le cose non vanno molto bene, vero? Per quanto riguarda l’energia, l’elettricità, tutto…”

“Esatto”, annuì affranto il portiere. “Qualcuno vi ha spiegato cos’è successo?”

“Sì, diciamo di sì.”

“Allora ve lo rispiego io, che se ve l’ha spiegato il nostro principe sicuramente vi siete fatta un’idea sbagliata. Lui è così bravo ad inventarsi le cose e a discolparsi facendo ricadere la responsabilità sulla povera gente”, commentò l’uomo con una nota di disgusto nella voce.

“Ah… certo”, annuì Kairi, col suo solito disagio quando udiva uno del popolo dare contro a suo padre biologico. Gettò un’occhiata a Kain, per timore che il bambino tirasse fuori il proprio carattere e si mettesse a litigare col portiere della fabbrica. Ma Kain rimase tranquillo al fianco della ragazza, senza mostrare alcuna reazione, e Kairi si rese conto di quanto sapesse rimanere controllato, e di quanto fosse capace di tenere la bocca chiusa se le circostanze lo richiedevano.

“Beh, signorina, dovete sapere che molti anni fa in questo regno le cose andavano per il verso giusto. Ognuno aveva il suo posto nella società e i beni essenziali erano garantiti a tutti. Infatti il reattore e il depuratore sono strutture statali: si reggono con i contributi di tutti, e quindi tutti ricevevano quello di cui avevano bisogno. Lo stesso valeva per la sanità e l’istruzione, ovviamente. Poi, è successo che vostro padre ha lasciato che il nostro mondo cadesse nell’oscurità, e quando finalmente ne siamo usciti fuori era tutto in rovina: non funzionava più niente, i cittadini erano abbandonati a loro stessi, perché vostro padre ha pensato alle sue stupide questioni personali invece che al benessere del suo popolo, e quindi se n’è andato senza nemmeno voltarsi indietro. Noialtri siamo rimasti da soli, ad arrangiarci. Così in assenza del depuratore e del reattore, la gente si è inventata dei metodi per ottenere comunque quello che serviva: raccogliendo acqua piovana con i catini, raccogliendo acqua dal mare e depurandola con metodi casalinghi, usando il camino per scaldare la casa e l’olio per accendere il fuoco… insomma, nel periodo in cui questo mondo era allo sbando, senza più un ordine, noi da soli, senza il governo di un principe, siamo riusciti comunque a tirare avanti. Abbiamo sistemato poi tutto per conto nostro, ricostruendo la città e rimettendo in piedi il reattore, il depuratore e l’acquedotto, ma fino a quel momento siamo stati senza e ce la siamo cavata comunque.”

“Siete stati davvero forti, sia nel corpo che nello spirito”, commentò Kairi ammirata.

“Certamente, il Radiant Garden è un mondo forte ed orgoglioso, e questa potenza interiore scorre in ogni suo abitante. Anche in voi, non dovete badare a quello che ha fatto vostro padre”, aggiunse il portiere. “Una mela marcia non può certo contaminare un’intera famiglia.”

Kairi, sudando freddo, sperò con tutto il cuore che Kain continuasse a restare buono senza lanciarsi in improperi contro quell’uomo. “Ehm… andate pure avanti”, lo invitò.

“E dunque, venendo al punto, quando vostro padre è tornato, ha cercato di comportarsi come se non fosse successo niente. E’ arrivato, ha trovato il nostro mondo che si stava faticosamente cercando di rimettere in piedi con solo le nostre forze, ed ha ripreso tranquillo il suo posto di principe aspettandosi da noi cieca obbedienza come era successo fino a prima che se ne andasse. Ma ormai noi avevamo capito con chi avevamo a che fare; avevamo capito che non potevamo aver fiducia nel suo governo, e quindi siamo andati per la nostra strada. Dubitiamo che se gli dessimo i nostri munny lui li utilizzerebbe per qualcosa di utile. Come si fa a fidarsi di uno che ci ha trattati così?”

“Certo, mi rendo conto”, commentò Kairi. La prima cosa che le venne da chiedersi fu: ‘ma come mai queste persone parlano in questo modo orribile di un capo di stato che ha in teoria potere di vita e di morte su di loro? Per di più davanti a sua figlia che potrebbe riferirgli tutto?’

E da qui le venne una domanda ancora più oscura: ‘forse mio padre non ha nessun modo per farsi rispettare? Non ha un esercito? Qualcuno che lo possa proteggere e far eseguire le leggi, visto che non sa combattere?’

No, evidentemente no: se avesse avuto un pur vago modo di imporre il proprio potere, di certo nessuno dei sudditi avrebbe osato parlare così liberamente male di lui, né avrebbe evitato i pagamenti con così tanta sfacciataggine e orgoglio.

“Ma ecco… non pensate che evitando di pagare le tasse poi le cose siano peggiori?” provò ad indagare. “Sono stata in ospedale prima per esempio, ed hanno dei problemi nel riuscire a curare tutti. E mi hanno anche detto che qui con la distribuzione dell’energia fate fatica… vero?”

“Per certi versi questo può essere visto come un problema, certo”, ammise il custode. “Qui lavoriamo poco, di conseguenza molti operai sono a spasso e l’energia la si produce solo per le famiglie che possono permettersela privatamente. Ma credeteci, sottometterci all’autorità di vostro padre sarebbe un colpo molto peggiore per noi, soprattutto per il nostro orgoglio. Il Radiant Garden è un popolo di persone fiere. Stiamo meglio a dover affrontare qualche problema di tipo pratico, piuttosto di doverci piegare davanti a qualcuno che non se lo merita.”

“Ma quei soldi che paghereste andrebbero solo a vostro vantaggio”, cercò di farlo ragionare Kairi. “E’ denaro che verrebbe usato allo scopo di farvi stare meglio.”

Ma il custode scosse la testa. “Conoscendo vostro padre, non ne sarei così sicuro. Con tutto quello che ha fatto in passato, nessuno pensa che sarebbe in grado di impiegarli per aumentare il nostro benessere. L’unica cosa di cui siamo certi è che pagando avremmo ancora meno soldi per noi.”

Kairi a quel punto ebbe un quadro della situazione molto più chiaro. Non importava quante promesse e tentativi di riconciliazione suo padre avrebbe potuto fare ai cittadini: ormai il loro rapporto era rotto. Il vecchio principe era odiato da tutti, nessuno si fidava più di lui, e il popolo non avrebbe mai accettato di privarsi di una parte di denaro cedendola a lui con fiducia. Anche se questo significava accrescere le disparità e i disagi tra i cittadini. Era per questo che chi aveva abbastanza soldi poteva permettersi i servizi forniti dal reattore: perché pagava direttamente la fabbrica senza passare per il tramite di suo padre. A quel punto, nella mente di Kairi, iniziò a delinearsi, a grandi linee, anche una soluzione: le cose non sarebbero mai migliorate in quel mondo, finché il solo principe fosse stato Ansem. Forse davvero anche il solo diventare ufficialmente una principessa e quindi un nuovo punto di riferimento per il popolo avrebbe potuto iniziare a spingere qualcuno a versare le tasse di nuovo.

“Grazie mille per la vostra spiegazione, signore. Ora il tutto mi è molto chiaro”, si congedò dal custode.

“E’ stato un piacere, signorina. Per favore, fate in modo di diventare presto una principessa. Ne abbiamo bisogno tutti”, la incitò l’altro, con una certa ansia nella voce.

 

Allontanandosi con Kain dal reattore, Kairi notò che l’espressione di Kain era cupa e pensierosa.

“Kain, a cosa pensi? Sei rimasto male per quello che ha detto quel signore?”

“No, erano tutte cose che già sapevo”, rispose Kain con voce tranquilla. “Avete visto, Kairi? Adesso sapete qual è la cosa peggiore che può succedere a un principe?”

Kairi credeva di aver capito, ma voleva sentirselo ripetere da lui per avere le idee ancora più chiare. “Me lo dici tu?”, chiese fermandosi.

Allora Kain disse serio: “questo lo so bene, perché sua maestà me lo ha fatto imparare a memoria.” E continuò con la voce impostata, senza sbattere gli occhi nemmeno una volta e guardando fisso un punto davanti a sé: “la cosa peggiore che può succedere a un principe è essere odiato dal popolo. Un principe può essere amato, e questo va bene. Un principe può essere temuto, e questo va ancora più bene. Un principe può essere temuto e amato insieme, e questo è ancora ancora più bene. Ma se il principe viene odiato, per lui è finita. Non c’è più niente da fare.”

Kairi iniziava a capire nel concreto cosa significassero queste parole. O almeno, lo stava capendo per quanto riguardava l’ultima parte. Era solo una giornata che era in mezzo al popolo, e l’odio dei sudditi per suo padre lo percepiva nell’aria, senza quasi bisogno che si mettessero a parlare. Del resto, non aveva nemmeno dubbi su quale sarebbe stata la strada che avrebbe preso lei.

“Se devo scegliere, allora farò in modo che i sudditi mi amino. Che ne pensi, Kain?”, gli chiese in tono leggero.

Kain annuì con aria saputa. “E’ una buona cosa. Sua maestà ha detto che va bene essere amati. Non è la cosa migliore, ma comunque va bene.”

Kairi capì a cosa si stava riferendo: suo padre l’aveva detto prima anche a lei. Per lui sarebbe stato meglio essere temuti, ma era una strada che alla giovane donna pareva orribile. Mai, mai avrebbe fatto sì che i suoi futuri sudditi la temessero e tremassero mentre passava per la strada. Non era questo il modo in cui avrebbe mantenuto il proprio potere.

“Andiamo avanti, allora?”

“Sì”, annuì il bambino. “Dopo il reattore c’è la fontana. Andiamo.”

Ora, dicendo semplicemente fontana, uno poteva immaginarsene cento tipi diversi. Kairi si era figurata in testa una semplice piazza con una semplice fontana piazzata in mezzo. Ma quando vide ciò che realmente intendeva Kain, rimase a bocca spalancata: era una fontana che copriva i tre quarti del pavimento della piazza, addossata al muro e a gradoni irregolari. Rimase impressionata più per le sue dimensioni che per i giochi d’acqua che in teoria avrebbe dovuto fare, perché era spenta. Pareva non funzionare, come molte altre cose in quella città. Nonostante questo, gli spiazzi erano comunque pieni dell’acqua piovana. Dal pavimento ricoperto d’acqua, attraverso un canaletto l’acqua eccedente finiva in una grata nel muro al livello del pavimento, che probabilmente la scaricava nel depuratore o direttamente nel mare.

“E questo non è niente”, esclamò soddisfatto Kain. “Adesso non funziona, ma quando va è molto più bella. Spruzza l’acqua dal pavimento, e si possono usare gli spruzzi per saltare fino ai gradoni più sopra. E da lassù…” indicò uno spiazzo rialzato attaccato alle mura, con una porticina “da lì si può andare all'acquedotto. Per far prima, sennò bisogna fare tutto il giro dalle torri.”

Infatti Kairi ricordava di aver visto, passando per i quartieri, delle torri che interrompevano il cammino delle mura. Forse erano di vedetta.

“E cosa si fa qui, Kain? E’ solo per bellezza?”

“Beh, ci si fanno anche le gare. Sapete, i quartieri si sfidano spesso, e di solito usano questa piazza.”

“Ho capito”, annuì Kairi. Certo, con il campanilismo che aveva subodorato tra quei quartieri, l’unico modo per dargli sfogo erano gare frequenti di vario tipo. “Peccato che sia spenta. Se funzionasse, sarebbe magnifica.”

Andando avanti, arrivarono infine all’ultima tappa del loro percorso: arrivati sul limite della piazza, Kain indicò le fitte case che si aprivano sulla strada. “E qui inizia il quartiere nord. L’ultimo.”

Kairi si ritrovò davanti l’ultimo dei quattro quartieri. Ma, fin dai primi passi, quello che trovò la impressionò: infatti non aveva per nulla l’aspetto caratteristico e ordinato degli altri tre. Tutti gli altri erano ordinati, con le case ben disposte, di bell’aspetto e non avevano parti rovinate. Si vedeva che erano abitati da gente che erano di ceto sociale medio. Invece questo qui… si ritrovò a camminare in stradine e viuzze strette, con case ammassate l’una sull’altra, senza l’ombra di un giardino o di un vaso da fiori alle finestre. I tetti erano rovinati, alcuni tubi della grondaia erano rotti, i tombini sembravano essere intasati, tanto che in alcuni punti dove la strada era in leggero declino si formava un ristagno di acqua piovana. Le strade erano rovinate e le mattonelle erano sfasate l’una rispetto all’altra, tanto che la ragazza doveva guardare dove metteva i piedi per evitare di inciampare. Anche i muri delle case erano molto semplici e spogli, senza decorazioni né una mano di pittura. Kairi, passando, riuscì a sbirciare da una finestra che era al pian terreno. La luce era spenta, probabilmente perché quella famiglia non poteva permettersi l’elettricità. Erano accese invece alcune lampade ad olio, che illuminavano una cucina assai modesta, con un tavolaccio di legno e una stufa a legna, anche quella senza la minima decorazione o buon gusto.

“Come faranno questi poveretti a scaldarsi e illuminare la casa?...” mormorò. “Faranno con la legna? E l’olio dove lo prendono?”

“Li comprano dai contadini. Non costano tanto”, spiegò Kain.

“Certo, sicuramente costa meno che pagare il reattore per avere la loro quota” annuì Kairi.

“Qui ci vivono gli operai della fabbrica e del depuratore. Quando ancora facevano gli operai”, aggiunse Kain.

Kairi capì quello che intendeva: quasi nessuno lavorava più in quei due impianti, perché, come le aveva detto il guardiano, le paghe non erano più sufficienti, sempre per il fatto che nessuno versava più un munny di tassa.

Andarono avanti, e Kairi si guardò in giro abbattuta. Si sentiva desolata allo stesso modo di quel posto. Si vedeva che era il quartiere più povero del Radiant Garden. Non era affatto radioso come il nome suggeriva.

“Speriamo di incontrare qualcuno che possa spiegarmi qualcosa…” disse guardando le viuzze vuote.

“No, ma che, scherzate?” sbottò Kain. “Qui ci abita la gentaccia. Meglio attraversarlo al più presto”, aggiunse tirando la ragazza per la mano.

Camminando svelti, arrivarono al confine del quartiere, entrando in quello est, che avevano visitato quella mattina. Kairi ritrovò con sollievo le casette ordinate, gli ambienti spaziosi, le strade intatte e i giardini davanti alle porte.

“Bisogna che domani a pranzo mi faccia una bella chiacchierata con quella famiglia. La signora potrà spiegarmi meglio, in un ambiente più tranquillo.”

Ma era soddisfatta: in una giornata aveva fatto il giro completo della città, dei suoi quartieri e dei suoi ambienti principali. Certo non aveva visto l’impianto di depurazione e l’acquedotto ancora, ma era sulla buona strada. Iniziava a scendere il buio. Per quel giorno poteva bastare.

 

“Siamo rientrati!”, annunciò Kairi quando misero piede nel castello, togliendosi la giacca bagnata.

Però non le rispose nessuno. “Kairi, sua maestà e gli assistenti ancora sono di sotto, non vi hanno sentito. Ma adesso verranno su, è quasi ora di cena”, le disse Dilan da fuori.

“Non c’è bisogno, gli vado incontro io”, rispose Kairi, e prendendo la porta di fianco all’entrata scese per i corridoi sotterranei, raggiungendo suo padre che si stava giusto togliendo il camice in quel momento.

“Buonasera, padre”, disse rispettosa Kairi fermandosi quando lo vide, facendo un inchino.

“Bentornata, Kairi”, si allietò il vecchio principe. “Hai passato un buon pomeriggio?”

“Sì, sono riuscita a parlare con il portinaio del reattore e ho visitato altri due quartieri. Credo di aver capito meglio la natura dei problemi del nostro regno.”

“Molto bene”, annuì Ansem. “Ancora è presto per te per cercare di risolverli, però. Continua a conoscere i sudditi come hai fatto finora. Insomma… intendo… come pensi che sia giusto. Quando sarai principessa, potrai agire.”

Kairi annuì, convinta. Kain, che era di fianco a lei, intervenne: “e pensate, Maestà, che c’era un tipaccio che voleva portarla in giro a vedere il regno. Ci pensate?” Kairi non fece in tempo a farlo stare zitto.

“Ma è ovvio, kupò!”, esclamò Mog, che era spuntato dall’angolo proprio in quel momento. “La nostra principessa è talmente bella che nessun ragazzo del regno può resisterle, kupò! Ho visto, ho visto!”

“Tu hai visto?”, gli chiese stupita Kairi.

“Certo! Io sono la spia ufficiale del principe, kupò, ho occhi e orecchie dappertutto!” si vantò il moguri.

“Intendi che ce li hai quando si tratta di spettegolare e non li hai per le cose importanti”, lo corresse impassibile Ansem, incrociando le braccia.

Kairi e Kain non poterono evitare di mettersi a ridere a quell’intervento, e Kairi disse al vecchio principe: “padre, non gli ho dato corda, ma vi avevo già avvisato.”

“Certo, Kairi, non preoccuparti”, annuì Ansem. “Se non vuoi, è una scelta tua. Tanto chi abbiamo qui, eh?”, aggiunse affettuoso tendendo la mano verso Kain, che si fece avanti contento, prendendogliela. “Eh, Kain, che bisogno ha la nostra Kairi di sposarsi quando ha un bel principe come te al suo fianco?”

Kain, a quelle parole, si vergognò e abbassò imbarazzato il viso. “Ma maestà… io non sono ancora…”

Ansem lo accarezzò sulla testa e si rivolse alla figlia: “visto che sei quaggiù, chiama pure Aqua col computer. Ti ricordi, no? Dovrai allenarti con lei. Dille che ovviamente la pagheremo.”

Kairi annuì ed entrò nel laboratorio. Ienzo ed Even stavano mettendo a posto l’attrezzatura, quando il più giovane interruppe quello che stava facendo rivolgendosi alla ragazza. “Ho sentito. Vi riaccendo il computer e avvierò la comunicazione con la Terra di Partenza. Vedrete che risponderanno.”

Mentre l’uomo armeggiava con l’apparecchio, Kairi si sentiva una certa inquietudine addosso: parlare con Aqua la faceva sentire emozionata. Era una maestra del Keyblade esperta e temibile, ma allo stesso tempo era gentile e mite con le persone che conosceva e gli amici. Kairi si sentiva in forte debito con lei: era per merito suo se aveva incontrato Sora quando era piccola, dopotutto. Ma ora che la pace era tornata, forse lei, insieme a Terra e Ventus, aveva programmato altre cose da fare. E se avesse rifiutato? E se le avesse detto che era troppo occupata e non aveva tempo per allenarla…?

“Sì, pronto? Pronto?”, chiese una voce femminile dall’altra parte dello schermo. Ienzo era riuscito ad agganciarsi al loro mondo.

“Devo ancora far partire lo schermo, Kairi, voi intanto iniziate a parlare”, la invitò Ienzo, continuando a premere tasti e bottoni, concentrato.

“Ah, sì… Aqua, mi senti? Sono Kairi!” rispose subito la ragazza.

“Kairi! Ti sento ma non ti vedo. Come va nel tuo nuovo mondo?” chiese entusiasta la voce di Aqua.

Dopo alcuni segni disturbati sullo schermo, finalmente le immagini divennero nitide ed apparve la donna più grande, con i suoi capelli blu e la divisa da combattimento col simbolo della sua scuola.

“Ecco, ti vedo! Anche oggi ti trovo bene, Kairi”, continuò con calore Aqua.

“Sì, va tutto bene in questo regno, anche se non fa altro che piovere”, rispose Kairi, sentendo la tensione alleggerirsi. Aqua certe volte non sembrava affatto una maestra, dal suo modo di comportarsi, ma una qualunque ragazza, senza che trasparisse dalla sua persona superbia o superiorità. “Come stanno Terra e Ventus? E tu?”

“Tutto bene anche oggi. Ehm… Terra mi ha detto che ha ricevuto una chiamata da Riku… non mi hanno spiegato bene però, hanno tenuto la cosa fra loro, ma sono riuscita a sentire qualcosa. Riku mi sembrava turbato. Kairi, cos’è successo?”

Kairi volse la testa, sentendosi a disagio. Non voleva parlare di quell’argomento, e non voleva sentire parlare del suo ormai non più amico. Almeno non ora che la ferita era fresca.

“Ehm… cose fra noi… lasciamo perdere. Ascolta, Aqua, volevo chiederti… visto che ancora ho molte cose da imparare in fatto di combattimento… se potessi insegnarmi. Insomma, tu sei una maestra del Keyblade, e io devo imparare a combattere per bene per poter difendere il mio popolo. Saresti disposta ad allenarmi? Non gratis, ovviamente.”

Normalmente Kairi non era così impacciata nel parlare, ma il fatto che Aqua le avesse riportato in mente Riku l’aveva distratta.

Aqua la guardò per un attimo stupita. “Kairi, certo che ti darò lezioni di combattimento, per tutto il tempo che ti servirà. Ma non parlarmi di soldi. E’ molto nobile il motivo che ti spinge a voler combattere, ed inoltre tu ed io una volta abbiamo combattuto insieme: è grazie a te ed ai tuoi amici se io e Ven siamo salvi, quindi non voglio proprio sentir parlare di pagamento. Quando vorresti cominciare?”

Kairi era rimasta allibita. Era anche grazie a lei se Aqua e Ven erano salvi? Che razza di costruzione si era fatta nella mente per giustificare il fatto che Sora non esistesse? E lei purtroppo non poteva nemmeno correggerla, data la situazione.

“Aqua, ho bisogno di un allenamento prolungato, non posso farti fare un servizio del genere gratis. Guarda che Ansem il denaro ce l’ha, non fare complimenti.”

In realtà non sapeva nemmeno quanto fosse vera quell’affermazione. Di certo, con la crisi economica che flagellava il Radiant Garden, nemmeno le casse del principe regnante dovevano essere ben piene come una volta. Ma se poco prima suo padre l’aveva rassicurata che Aqua sarebbe stata pagata, non aveva motivo di non fidarsi della sua parola.

“Ti ripeto che non voglio denaro”, ripeté Aqua. “Non per allenare te. Ogni quanto vorresti fare?”

Kairi non sapeva cosa dirle. Se l’avesse pagata le avrebbe detto tutte le mattine per un paio d’ore, ma sapendo che Aqua voleva allenarla gratis non se la sentiva di chiederle di farlo così spesso.

Aqua parve capire il motivo della sua indecisione. “Non preoccuparti, verrò domattina e combatterai un po’ con me in modo che possa giudicarti. Poi deciderò io quanto avrai bisogno di allenamento, va bene?”

Kairi le sorrise annuendo, lieta che l’altra l’avesse tolta da quell’impaccio. “Ma vuoi venire tu, Aqua? Abbiamo la gummiship, quindi se vuoi…”

“No, non preoccuparti. Con la mia armatura posso viaggiare per i mondi in modo molto veloce, senza bisogno di carburante o di tirare fuori la navicella dal deposito. Ci metterò poco”, la rassicurò Aqua.

Kairi allora le fece un inchino, chinando la testa in segno di rispetto. “Grazie, maestra. Allora ci vediamo domattina verso le nove, va bene?”

“Va bene”, annuì Aqua, prima di chiudere la telefonata. “Buona cena, Kairi, ci vediamo domani.”

“E’ una ragazza molto modesta ed altruista”, commentò Even, che aveva seguito la conversazione interessato.

“Sì, lo è”, confermò Kairi. “Sono certa che farà un ottimo lavoro.”

 

Dopo cena, Kairi si sentiva un po’ stanca, ma ancora era presto per andare a dormire. Le venne in mente che la sera prima, in effetti, si era rintanata in camera subito dopo aver mangiato. Ma stasera aveva voglia di stare un po’ in compagnia.

“Cosa fate di solito dopo cena?”, chiese a suo padre mentre i camerieri sparecchiavano.

“Stiamo nella biblioteca a leggere e rilassarci. Lì c’è il camino acceso ed è davvero piacevole passare un’oretta prima di andare a dormire”, le spiegò suo padre.

Allora a Kairi, che ancora non aveva esplorato il castello da cima a fondo perché era stata quasi sempre fuori, venne in mente che c’era una biblioteca gigantesca, piena zeppa di libri antichi, e qualche volta da piccola sua nonna l’aveva portata lì per cercare dei libri un po’ più facili per iniziare ad insegnarle a leggere. Anche se la nonna non faceva parte della famiglia reale, aveva comunque il permesso di accedere al castello, quando era in compagnia di Kairi.

Così quando suo padre, insieme agli assistenti, la accompagnarono nella grande sala col camino che diffondeva calore, rimase stupita da quanto si ricordasse bene di quel posto. Scaffali su scaffali di volumi vecchi e consunti che arrivavano fino al soffitto, e vicino al camino erano posizionate alcune imponenti poltrone rivestite di velluto, con dei tavolini di legno rotondi accanto.

Kain, che era abituato a quell’attività del dopo cena, corse verso gli scaffali più bassi che contenevano dei libri per bambini, e ne scelse uno.

“Sto imparando a leggere”, spiegò a Kairi mentre si andava a sedere su una poltrona. “Non è tanto difficile, in realtà.”

Ansem e i suoi due assistenti avevano già i loro libri abituali per lo studio, quindi fu Kairi quella che dovette impegnarsi a cercare un testo che le andasse a genio. Scorse con attenzione i titoli di quei tomi complicati: libri di miti, di geografia, di filosofia, di architettura, di matematica, chimica, fisica, qualunque disciplina esistente sembrava che lì ci fosse. Alla fine scelse un libro di storia del Radiant Garden, parecchio pesante e con le scritte un po’ sbiadite, ma forse avrebbe potuto imparare qualcosa di nuovo e di utile dai governi precedenti. Anche se non aveva chiesto nulla ad Ansem e lui non le aveva accennato niente, non era possibile che lui fosse il primo principe del Radiant Garden: ce ne dovevano essere stati altri prima di lui.

Si avvicinò al camino e prese posto nella poltrona rimasta vuota, tra Ansem e Kain, che erano già immersi nella lettura. Stare vicino al calore che veniva da quel fuoco era davvero piacevole: decise che sarebbe rimasta lì per un buon lasso di tempo, dopo tutto quel freddo e quell’umidità che aveva subìto durante la giornata se lo meritava. Iniziò quindi a leggere il libro dall’inizio, ma ci trovò delle frasi così inutilmente astruse e complicate, scritte con dei termini antichi e ambigui, che dopo poco le venne il mal di testa. Perciò saltò un po’ di pagine, decisa a fermarsi quando avesse trovato qualcosa che catturava la sua attenzione. E alla fine trovò un nome che la incuriosì: Esecar. In realtà tanti altri personaggi storici che aveva intravisto mentre sfogliava avevano nomi particolari, ma quel nome aveva qualcosa… che lo faceva sembrare diverso da tutti gli altri. Così decise di scoprire chi fosse questa persona, e perché il suo nome fosse scritto sulle pagine di quel libro.

Purtroppo la sua curiosità si affievolì di poco appena si rese conto che l’autore di quel testo non aveva certo il dono della sintesi, e dovette scorrere i fatti narrati in modo veloce, ma le cose fondamentali le capì: un tempo, secoli e secoli fa, il Radiant Garden non era un regno. Era un mondo abbandonato a se stesso, che non aveva neppure un nome, in cui il territorio su cui si trovava l’attuale capitale non era unito come adesso. Il castello non esisteva, e i quattro quartieri erano in realtà paesini diversi in perenne lotta e rivalità fra loro per accaparrarsi le poche risorse disponibili. I capi delle quattro cittadine erano inetti, che spogliavano le popolazioni invece di governarle, e che fomentavano la discordia, tanto che tutto il territorio era pieno di corruzione, congiure e violenze. In questo caos era sorto quest’uomo, che si era contraddistinto per la sua grande intelligenza, astuzia ed ambizione. Si era dimostrato subito un leader nato, e col suo grande carisma era riuscito a catturare in poco tempo l’attenzione e la fiducia delle quattro cittadine, riuscendo a far sì che le persone lo considerassero addirittura più importante della gente che le governava. Le persone infatti ne avevano abbastanza di soffrire per colpa degli incompetenti che avevano per capi, ed avevano riconosciuto Esecar come un’autorità superiore quasi all’unanimità, perché peggio di così non potevano stare. Questo Esecar si era reso conto che le popolazioni non avrebbero mai potuto raggiungere un ordine e una stabilità se avessero continuato a rimanere in lotta fra loro; così si era innalzato al di sopra dei suoi concittadini, ponendosi al di fuori dei continui screzi campanilistici, ed era riuscito a gettare le basi di un’unità fra gli abitanti di quella che sarebbe poi diventata una sola città; anche se i quattro paesini – che in seguito sarebbero diventati i quattro quartieri della capitale – erano ancora capeggiati dalle solite persone incapaci. Tuttavia Esecar era più in alto di loro, si era creato il proprio potere su tutti e quattro i paesi, ed era quindi noto nella storia per essere stato il primo principe del Radiant Garden. Kairi ritrovò la sua curiosità verso questo grande uomo, del fatto che fosse divenuto un capo perché il popolo l’aveva scelto per le sue caratteristiche, e proseguì la lettura per scoprire una qualche sua azione che potesse esserle di ispirazione.

Ebbene, il tutto non era avvenuto in modo così liscio come aveva all’inizio pensato: il principe Esecar si era reso conto appunto che le quattro cittadine appena unite erano governate da gente inetta. Giudicò quindi necessario, perché trovassero pace e divenissero totalmente obbedienti alla sua autorità, di dar loro un buon governo. Così dunque scelse in una di queste cittadine un uomo più duro e risoluto degli altri, Roamir, fece di lui il suo primo ministro e gli concesse grandi poteri, mentre lui invece si occupava delle faccende più tecniche, come innalzare mura di protezione, costruire case più robuste e dotare la nuova città di una nuova tecnologia, oltre a creare i primi giardini decorati, perché lui stesso era un forte amante delle cose belle: fu lui a scegliere il nome per il suo nuovo regno, citando i radiosi campi pieni di fiori che dopo poco tempo erano spuntati ovunque e che sarebbero rimasti come caratteristica di quel mondo. Roamir, intanto, in breve tempo si conquistò una gran fama, quasi al pari di quella di Esecar, e rese i quattro popoli un unico popolo, pacifico e unito. Esecar da parte sua fece un altrettanto ottimo lavoro per quanto riguardava la parte tecnologica. In seguito però il principe, guardando al suo ministro, si rese conto che non fosse più necessaria una simile autorità, perché rischiava di diventare odiosa, ed era convinto che la durezza che Roamir aveva utilizzato col popolo poteva far crescere nei sudditi un feroce odio che poi avrebbero rivolto contro di lui, perché era Esecar il principe. Quindi era opportuno che lui stesso riprendesse in mano le redini del potere, ma prima, per eliminare i rancori del popolo ed ingraziarselo, volle mostrare a tutti che, se crudeltà c’era stata, questa non era responsabilità sua ma del suo ministro. Trovò un pretesto a suo carico, e una mattina lo fece mettere a morte nella piazza principale. La ferocia della sua esecuzione fece rimanere il popolo soddisfatto e senza fiato allo stesso tempo, e il principe Esecar riprese i pieni poteri su tutto il Radiant Garden.

Kairi, dopo aver letto la crudele e spietata conclusione della vicenda, ritrasse velocemente le mani dal libro come se fosse fatto di fuoco, e il volume cadde sul pavimento, facendo un gran fracasso ampliato dal rimbombo nella grande sala. Ansem, Even, Ienzo e Kain sussultarono e si voltarono di scatto, spaventati, guardando Kairi perplessi.

“No… non è niente, scusate”, si giustificò Kairi, a disagio.

“Sei sicura di stare bene, figliola? Forse è meglio che vai a letto”, la invitò suo padre, alzando un sopracciglio. Poi aguzzò gli occhi arancioni, ormai con una vista non più buona come qualche anno prima, e notò il libro che sua figlia aveva lasciato cadere. “E’ per qualcosa che hai letto in quel testo?”

“Sì”, ammise allora Kairi. “Il… il primo principe e il suo ministro…”

“Oh”, fece Ansem, sollevato, dando un’occhiata d’intesa ai suoi apprendisti. “E’ un antenato che conosco bene. Non so nemmeno quanti secoli fa sia accaduto, ma Esecar è stato l’uomo che ha fondato la nostra dinastia. Pensa, figliola, che lui è stato l’unico principe della nostra famiglia ad aver avuto gli occhi arancioni, come i miei. Nessuno dei nostri antenati li ha più avuti, io sono stato il primo ad ereditarli, dopo chissà quante generazioni.” Poi notò che l’espressione di Kairi era ancora allibita, e che non si era affatto lasciata distrarre da questi particolari. “Non devi averla a male con lui per quello che ha fatto, figliola. E’ il duro compito del governo. Un principe deve fare tutto, e sottolineo tutto, per poter ottenere le grazie del popolo e rimanere pulito ai suoi occhi.”

“Capito?”, incalzò Kain. “Tutto tutto!”

“Ma…” obiettò Kairi. “Questo Esecar quindi ha raccontato al popolo di allora una cosa falsa… come mai allora l’inganno che ha fatto è scritto nero su bianco su questo libro? Non c’è la preoccupazione che qualcuno possa accorgersene?”

“Oh, ma i sudditi non li leggono mica questi libri della nostra biblioteca”, rispose Ansem, indulgente.

“Non li leggono mica!”, ripeté a pappagallo Kain.

“E sui libri che studiano è riportata la versione che lui ha raccontato, che è quella che li fa stare bene e mantiene la stabilità nel regno. Ma in realtà, anche se il popolo lo venisse a sapere, non interesserebbe più a nessuno. E’ passato troppo tempo, alla gente interessa il governo di adesso, non quello di secoli e secoli fa”, spiegò Ansem col suo fare sapiente e saggio. “Se fosse un avvenimento recente con un principe attuale sarebbe diverso, ma sai, la gente dimentica in fretta ciò che non la riguarda direttamente.”

“Direttamente!”, esclamò Kain, tutto felice di appoggiare il vecchio principe in tutto quello che diceva.

Kairi rimase per un po’ in silenzio a fissare il fuoco nel camino, poi annunciò: “vado a dormire. Buonanotte, ci vediamo domattina. Domani viene Aqua alle nove.”

Ansem annuì e si rivolse al bambino. “Vai anche tu, che inizia a farsi tardi.”

 

Chiusa nella sua stanza e seduta sul suo letto, pronta per andare a dormire, Kairi ragionava su quello che aveva letto e su quello che suo padre le aveva detto, oltre a ciò che aveva appreso dalle persone con cui aveva parlato quella giornata. Avrebbe tanto voluto poter affermare che quello che diceva Ansem, e Kain di conseguenza, fosse sbagliato ed orribile. Ma ora, pur provando dentro di sé un grande ribrezzo per quel modo di fare, nella sua mente, uno spiraglio di senso in tutto questo parve trovarlo. Il senso era guardare il fine in tutto quello che si faceva, piuttosto che i mezzi con cui si tentava di raggiungerlo? Forse veramente in mezzo a un popolo come quello, questa era la via giusta? Ma il suo cuore rigettò con forza quell’ipotesi. Non era il suo modo. Non avrebbe mai fatto così. Aveva deciso come avrebbe agito, avrebbe continuato su quella strada.

Eppure, la consapevolezza di essere completamente sola nella strada che avrebbe intrapreso la faceva sentire vuota e smarrita. Si era aspettata, nella settimana preparatoria alla partenza, che lei e suo padre si sarebbero trovati d’accordo sulla politica con cui governare quel mondo, che avrebbero agito insieme, sostenendosi l’un l’altro ed agendo in sintonia. Ed invece aveva trovato l’esatto opposto: un padre freddo ed austero che aveva una visione della vita e della politica completamente opposta alla sua, e che, sebbene le avesse dato la piena libertà di agire, non la appoggiava, e probabilmente, quando fosse diventata una principessa, avrebbe dovuto svolgere i suoi compiti da sola, senza l’aiuto del suo anziano padre.

Fu in quel momento che le tornò in mente Sora: quel pomeriggio non ci aveva quasi pensato perché aveva avuto molte cose da fare ed era stata sempre occupata, ma adesso che la prospettiva della solitudine, soprattutto nelle sue convinzioni e nel suo modo di agire, riaffiorava, sentì di nuovo fortissimo il desiderio di lui. Non aveva mai pensato, prima di partire, che anche in quella vita nuova sarebbe potuta essere in un certo senso sola. Seduta sul bordo del letto, con gli occhi chiusi e le mani strette in grembo, rivolse una silenziosa preghiera al suo compagno: torna presto, vienimi a prendere! Andiamo a vivere insieme nelle nostre isole, nel nostro mondo, che è casa nostra. Voglio vivere con te una vita semplice e sobria, come una persona normale, come avremmo voluto… Ma come poteva illudersi che quella preghiera servisse a qualcosa? Lo sapeva benissimo che non lo avrebbe rivisto mai più.

Fu in quel momento che le tornò in mente quello che sua nonna le aveva detto quella mattina: un giorno rivedrai il tuo compagno, le aveva detto. Quello della nonna era stato un discorso molto bello, intriso di luce e speranza, ma che andava totalmente in contrasto su quanto il suo innamorato le aveva detto quando erano riusciti a vedersi. Lui le aveva detto chiaramente che non c’era modo per lui di uscire da quella stupenda prigione, spronandola a lasciarlo andare in modo che potesse andare avanti con la sua vita. La nonna invece le aveva detto sì di andare avanti con la propria vita, ma senza mai perdere la speranza di poterlo rivedere. Quindi non potevano aver ragione tutti e due. Doveva scegliere a chi dei due dare fiducia, e seguire quella strada senza voltarsi indietro, perché sapeva che l’incertezza era la cosa peggiore. Come poteva sua nonna, con solo un racconto così approssimativo e senza sapere cosa fosse successo, essere certa che Sora un giorno sarebbe riuscito a ritornare da lei? Allo stesso modo, come poteva Sora avere la certezza che non avrebbe avuto modo, in futuro, di uscire da quel mondo di mare e cielo? Ma alla fine sentì dove virava il suo cuore: aveva ragione sua nonna. Non poteva essere altrimenti, lo sentiva anche lei. Sora di certo le aveva detto che non si sarebbero visti mai più per via di quello che provava per lei. Kairi conosceva Sora meglio di chiunque altro, e sapeva che, nel dubbio, lui non avrebbe mai potuto lasciare che lei si consumasse per un tempo indefinito nell’attesa di rivederlo. Sicuramente le aveva detto di dimenticarlo solo per proteggerla, perché non sprecasse la propria vita nell’attesa di vederlo tornare. Ma ora che sua nonna le aveva parlato, ripensandoci, Kairi sentì di aver trovato la via giusta: non sprecare la propria vita aspettando senza fare niente, ma nemmeno convincersi di averlo perduto per sempre. Sì, come la nonna le aveva detto, sarebbe passato molto, molto tempo prima che avrebbe potuto rivederlo. Ma lo sentì come una certezza: quel giorno sarebbe arrivato. Non sapeva quando, ma sarebbe arrivato. E quando fosse arrivato, sarebbe tornata insieme a lui sulle loro isole, la loro vera casa. Avrebbe mentito a se stessa se avesse affermato che aveva deciso di trasferirsi nel Radiant Garden solo per tornare alle sue origini e solo per il bene della popolazione: se Sora fosse rimasto con lei, non ci sarebbe mai e poi mai tornata.

Un timido bussare alla porta interruppe il suo flusso di pensieri. Dai colpetti dati all’uscio, riconobbe subito chi si trovava nel corridoio. “Kain, sei tu? Entra!”, esclamò ricomponendosi.

Il bambino, col suo pigiama, i capelli biondi sciolti e un’espressione timida, aprì lentamente la porta guardandosi i piedi nudi.

“Cosa c’è? Hai sete? Vuoi che ti accompagni in cucina?” gli chiese Kairi, sorridendogli.

“No, ehm… mi chiedevo… sì insomma, io volevo sapere… se magari… potevo…” mormorò Kain, impacciato ed incespicando le frasi.

“Su, cosa c’è? Non devi avere paura di me, ormai mi conosci”, lo invitò Kairi, incoraggiante.

“Sì, ecco… mi lasciate dormire con voi stanotte? Solo stanotte, giuro!”, esclamò allora Kain, sbloccandosi e facendo d’un fiato la sua richiesta.

Kairi allargò appena gli occhi a quella domanda, e fece una risata divertita, dimenticandosi la sua tristezza di poco prima. “Vuoi dormire con me? E cosa sei, il mio amante?” gli chiese per stuzzicarlo.

Quando vide che ci era riuscita, e Kain pieno di vergogna si era coperto la faccia arrossata tirandosi su la maglia del pigiama, si intenerì.

“Vieni, vieni pure. Tanto il letto è grande, ce ne starebbero due, di bambini come te.”

Kain, sollevato, col viso pieno di gioia mosse qualche passo verso il letto…

“Aspetta!”, lo fermò Kairi, con tono austero.

Kain si bloccò e la guardò con gli occhi sbarrati.

“Ti sei lavato i denti?”, gli chiese dura la ragazza.

Il bambino annuì appena, intimidito.

L’espressione di Kairi si ammorbidì e gli fece cenno di avvicinarsi. “Allora vieni pure!”

Kain a quel punto corse verso di lei e saltò a quattro zampe sul materasso morbido, infilandosi sotto le coperte.

“Come mai vuoi dormire con me?”, gli chiese Kairi, mettendosi sotto le coperte anche lei.

“E’ che sono solo… non riesco a dormire… e poi… e poi… con voi sto bene…” mormorò Kain con la voce piena di imbarazzo.

“Ma che amore!”, commentò Kairi, compiaciuta. “Tiri i calci quando dormi? Oppure russi?”

“No, lo giuro”, si affrettò a rispondere Kain.

“Allora buonanotte, dormi bene”, gli augurò la ragazza, sistemandosi su un fianco girata verso di lui. Dopo poco, sentì il corpicino caldo del bimbo addossarsi a lei e le sue braccine stringerla sulle spalle. Come se fosse stata sua madre. Kairi rimase sorpresa all’inizio, ma poi anche lei lo abbracciò stretto, sentendosi felice che qualcuno stesse così vicino a lei dopo tutto quel tempo in cui era stata costretta a dormire da sola.

Con Kain vicino, nonostante la grande distanza di vedute che avevano, non si sentiva più demoralizzata come prima. Si rese conto che, spaziando con la mente andando troppo in là nel tempo, per lei sarebbe stato solo peggio. Una cosa per volta. E la prossima a cui avrebbe dovuto pensare era l’allenamento di domattina. Nonostante sapesse di non essere molto forte, si addormentò determinata: Aqua, se non domani, si sarebbe resa conto col tempo che lei sarebbe stata perfettamente in grado di difendere il suo futuro regno.

 

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Note: il personaggio accennato di Esecar in realtà non è altro che il nome Cesare anagrammato. L’avvenimento che Kairi legge sul libro è la trasposizione di una parte del capitolo 7 del Principe, in cui il personaggio è Cesare Borgia, duca del ‘400, figlio del papa dell'epoca, particolarmente crudele e senza scrupoli. Machiavelli nel suo libro racconta di tantissimi principi suoi contemporanei, del mondo antico o mitologici, ma Cesare Borgia è IL principe ed il più importante di tutti, tanto che un intero capitolo del libro è dedicato solo a lui. Se volete sapere di più su questo personaggio e la sua adorabile famiglia vi consiglio di guardare una di due serie televisive, che hanno entrambe più o meno lo stesso titolo (“Borgia” e “I Borgia”), e sono entrambe del 2011, ma una è francese e l’altra canadese. Io ho guardato alcune puntate di quella francese ed è fatta davvero molto bene, anche se certamente si prende alcune libertà storiche in nome dell’intrattenimento. Per inciso, in entrambe le serie appare Machiavelli e l’ultimo episodio di quella canadese è intitolata proprio “il principe”.

Allo stesso modo, il nome del primo ministro di Esecar, Roamir, è l’anagramma di Ramiro de Lorqua, il primo ministro di Cesare Borgia.

   
 
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