Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: StarCrossedAyu    14/08/2020    0 recensioni
Trovarsi, sapendo di non appartenersi.
Desiderarsi, consapevoli che ogni attimo è solo mera illusione.
Amarsi, attendendo il momento in cui - nella quiete delle loro stanze - potranno finalmente gettare via la maschera.


|¦🥉Terza classificata al concorso "Giù la maschera" dei profili @WattpadFanfictionIT e @AvventuraIT||
Genere: Generale, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Eren Jaeger, Levi Ackerman
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Rien qu'un masque

 


 

 

Una festa alla corte del potente Re Sole non era di certo un evento insolito, eppure ciascun invitato vi partecipava ogni volta con rinnovato entusiasmo perché sempre diversa dalla precedente: si alternavano banchetti, concerti, favorendo arte e cultura, e non mancavano piccoli spettacoli teatrali dove l'intera nobiltà recitava un ruolo più o meno importante.

Quella sera, la Galleria degli Specchi rifletteva le luci di mille candele e il luccichio di centinaia di maschere.

Luigi XIV aveva già fatto il suo trionfale ingresso sfoggiando sul proprio viso l'indiscusso oggetto della serata: una rappresentazione dell'astro solare, finemente lavorata in oro puro e intarsiata di gemme preziose; il volto della consorte, invece, vantava piume di pavone a contornarne gli occhi.

Vesti pregiate ricche di pizzi e merletti, gioielli costosi, fiocchi e ricami, lunghi strascichi e scarpe eleganti; uomini e donne mettevano in mostra l'opera dei sarti che, con perizia e meticolosa devozione, avevano cucito ogni singolo lembo di sontuosa stoffa. Alcune parrucche risaltavano maggiormente rispetto ad altre per l'eccessivo volume, quasi traballando al camminare del legittimo proprietario.

Il Duca Ackerman si guardava attorno, annoiato, chiedendosi in quanti, tra i presenti, potessero effettivamente permettersi tali lussi. Sua moglie Petra cinguettava frivolezze con le amiche - se così poteva definire delle serpi imbellettate - mentre lui oziava con un calice nella pallida mano, leggermente in disparte dal chiacchiericcio che lo infastidiva oltremodo. Avesse potuto, sarebbe fuggito a gambe levate.

Odiava Versailles, i suoi corridoi dal tanfo di urina e i pidocchi che la infestavano, ma ancor di più detestava il fatto di non poterla abbandonare, a meno che non intendesse offendere Sua Maestà. Il ducato era già in rovina, da quando era suo zio ad occuparsene, e non era auspicabile contrariare il sovrano. Nonostante non facesse nulla per ingraziarsi il suo favore, infatti, Levi risultava simpatico al monarca. Arrecargli quindi un dispiacere equivaleva a una condanna certa.

Il corvino, i cui capelli erano celati al di sotto della chioma posticcia, assottigliò lo sguardo alla ricerca di qualcosa che lo distraesse da quel tedio. Infine, ciò che più bramava si rifletté attraverso la superficie liscia di uno degli specchi: iridi di un verde così intenso da rubare il respiro, penetranti e ipnotiche, la cui bellezza era offuscata dall'opulenta maschera che li attorniava.

Il Conte Yeager fece il proprio ingresso con la sua promessa sposa, la marchesa Historia Reiss, al proprio fianco. La gonna gonfia broccata in oro, le braccia magre e lo scollo illuminato da una collana in pietre preziose, la giovane dagli occhi cerulei era ciò che di più seducente esistesse, in quel luogo. La sua amicizia era ambita dalle donne, il suo corpo desiderato dagli uomini, eppure ella pareva il ritratto della purezza e della rettitudine.

Se solo tutti avessero saputo dei suoi interessi nascosti, coltivati nei suoi alloggi insieme alla propria dama di compagnia...

Tuttavia, Levi non la giudicava per la sua discutibile condotta. Nessuno in quella sala era esente dal peccato, di qualunque natura fosse. Neanche lui.

Non aveva mai amato Petra. Il loro era stato un sodalizio di puro interesse, al quale non era seguito altro che reciproca sopportazione e malcelata tolleranza. Per volere del padre, in punto di morte, aveva accondisceso a trasferirsi alla reggia di Versailles. Aveva sempre rimpianto quel giorno funesto. Era passato da una prigione, che perlomeno gli era familiare, a una gabbia dorata di cui conosceva perfettamente i confini e dalla quale mai sarebbe potuto evadere. Se non con la morte, certo, e aveva preso in seria considerazione l'idea. Dopotutto, non era raro che qualcuno morisse avvelenato, a corte; intrighi, invidie e dissapori tessevano una tela invisibile da cui era impossibile districarsi.

Fino a che, in quel pantano di falsi sorrisi e pugnali nascosti, era giunto lui...

***

Levi passeggiava per i giardini della reggia, in completa solitudine. Preferiva camminare e tenersi in costante movimento, piuttosto che atrofizzare gli arti in una carrozza. Privilegiava spostarsi da una fontana all'altra a piedi nonostante le calzature non propriamente comode. Sentiva la mancanza degli stivali che utilizzava durante le lunghe cavalcate nella propria tenuta e il vento tra i capelli; invece, quella maledetta parrucca gli faceva sudare il capo rendendo il suo umore insofferente.

Quella moda era ridicola: da quando gli uomini si agghindavano più delle donne? Non era loro esclusivo compito rendersi belle e appetibili? Questo se gli interessati non volessero attirare l'occhio languido del Principe Filippo, ovviamente; era risaputo che i suoi gusti a letto non prevedessero seni sodi e cosce tornite, ma la moglie aveva già trovato un valido sostituto con cui deliziarsi.

L'uomo cercò riparo dal sole cocente all'ombra di un albero, prima di ripercorrere il sentiero in senso contrario, quando un fruscìo tra le siepi attirò la sua attenzione: dapprima una mano, poi un braccio, sbucarono tra i ramoscelli magistralmente potati dai giardinieri; infine, una chioma castana spettinata ricolma di foglie a incorniciare un volto dalla carnagione naturalmente scura.

Il naso sottile, le gote arrossate per la calura, labbra piene e morbide che, in un armonioso dipinto dalle tinte decise e i tratti virili, davano risalto a occhi brillanti come smeraldi, grandi e luminosi.

Levi si trovò a fissare il ragazzo, vestito elegantemente senza ostentare alcun prestigio e privo del trucco che invece lui stesso era costretto a portare, attratto dalla fiamma che riluceva in quelle iridi come lo è una falena destinata a perire. C'era un che di selvaggio in quel semplice sguardo. Un'indole indomita e ribelle, che traspariva, ancora incontaminata dal clima malevolo che si respirava a corte. Che fosse giunto fin lì per chiedere un favore al Re?

Il giovane scrutò la sua figura accuratamente vestita, dalla giacca a maniche corte e la camicia sbuffata, la cravatta candida e lo spadino ornamentale, per poi sospirare come spazientito. Quando incrociò gli occhi di Levi, però, il suo corpo slanciato sembrò tendersi, incuriosito da ciò che vi intravide: malessere, puro e semplice, dovuto a una prigionia estenuante; una bestia ferita, la quale lottava strenuamente al legaccio di un padrone che mai aveva voluto e di cui non sarebbe mai riuscito a disfarsi.

«Conte Yeager, quale sorpresa!»

Entrambi si voltarono al suono di quella voce.

Luigi XIV, in sella al suo cavallo e accompagnato da alcuni esponenti della nobiltà francese, sorrideva al ragazzo.

«Vostra Maestà», replicò quest'ultimo, senza infondere eccessiva riverenza in quel saluto.

«È proprio vero ciò che mi scriveva vostro padre, riguardo la vostra inclinazione a non rispettare l'etichetta», ridacchiò il sovrano, e Levi sudò freddo. «Tentate di non mettere in ridicolo Historia, sapete quanto le sia profondamente legato.»

Quel tono mellifluo nascondeva una vera e propria minaccia: la marchesa Reiss era una lontana parente del Re, e quest'ultimo avrebbe mal tollerato un'eventuale mancanza di rispetto nei riguardi della fanciulla.

«Non temete, onorerò l'impegno preso.»

«Venite, Duca Ackerman, servitevi pure di uno dei miei destrieri», disse Luigi, facendo cenno a uno dei suoi accompagnatori di cedere al corvino la propria cavalcatura. «L'aria è torrida oggi, rischiate un malore.»

Quanta premura nei suoi confronti tanto quanto scarso era l'interesse per il poveretto che, invece, avrebbe dovuto farsela a piedi da lì in avanti.

Levi accettò l'invito, riservando un'ultima occhiata al ragazzo dalla chioma disordinata, ricevendone al contempo una carica di altrettanta curiosità.

Si separarono così, sconosciuti eppure connessi da qualcosa che non seppero spiegarsi, al momento, un filo invisibile ad unirli.

-

Il Duca e il Conte si incontrarono ancora, lungo i corridoi di Versailles.

Levi scoprì che Eren - questo era il nome di battesimo del rampollo Yeager - si era trasferito alla reggia insieme alla futura sposa, prediletta della Regina. Il giovane era abituato alla grandezza delle proprie terre e la libertà che ne derivava, a riposare col profumo dell'erba alle narici e la dolce brezza tra le ciocche castane, e non alle rigide formalità che Luigi XIV imponeva ai propri ospiti e che per primo soleva non rispettare.

Eren, d'altro canto, era estremamente intrigato dall'uomo dai modi impeccabili e le iridi sofferenti di chi desidera solo poter spiegare le proprie ali.

Non si parlarono mai, sovente accompagnati dalla propria moglie o dalla fidanzata, e anche quando ebbero la possibilità di presentarsi ufficialmente in quieta solitudine - per quanto potesse esserlo una dimora dove persino i muri possedevano occhi e orecchie - rimasero a debita distanza l'uno dall'altro. Qualcosa diceva loro di non mostrarsi insieme in pubblico, di evitare chiacchiere che avrebbero potuto trasformarsi in invidie e gelosie, di celare il viscerale e profondo interesse reciproco.

Si limitarono quindi a lanciarsi sguardi carichi di interrogativi e occhiate fugaci, raccogliendo quante più informazioni possibili tramite i pettegolezzi e le dicerie che circolavano a corte.

-

Il Re Sole amava cacciare.

Parlava dell'argomento dall'alba al tramonto, dilettandosi in tale passatempo tre volte la settimana. Una delle battute, era dedicata esclusivamente al cervo.

Pareva che il Conte Yeager eccellesse in quell'ambito, e quel giorno Luigi aveva invitato il giovane ad unirsi al folto gruppo di nobili tra cui era presente anche Levi.

Il corvino era curioso. Nei mesi che avevano seguito il loro primo incontro nei giardini reali, il ragazzo non aveva mai partecipato a tale evento nonostante l'insistenza della futura consorte.

Quando ebbe inizio la caccia, quindi, restò sorpreso nel vedere come il Conte si fosse gettato in avanti distaccandosi dalla compagnia, lanciando il cavallo in una spericolata corsa al seguito dell'animale che aveva i segugi alle costole. L'uomo era bravo a cavalcare e tentò di reggere il suo passo, tuttavia ben presto si rese conto non solo di aver perso le sue tracce ma di essersi allontanato eccessivamente dalla comitiva. Si guardò dapprima attorno, spaesato, per poi smontare dal proprio destriero.

Fu in quel momento di smarrimento che percepì due mani afferrarlo alle spalle e trascinarlo tra i cespugli.

«Ma cos-».

Sgranò gli occhi quando due labbra, turgide e voraci, si impossessarono delle proprie.

Eren lo baciò con trasporto e Levi, dopo la sorpresa iniziale, non riuscì a far altro che ricambiare. Cedette ai bisogni del proprio corpo e i desideri del proprio animo, mentre il ragazzo lo privava della parrucca e con i palmi gli accarezzava il viso. Tocchi urgenti eppure delicati, mentre assaporavano il gusto proibito di ciò che mai sarebbe loro appartenuto.

Quando si separarono, entrambi senza respiro, il trucco sul volto di Levi era irrimediabilmente sbavato, le gote arrossate e la bocca lucida, con le ciocche corvine a fungere da cornice a un simile spettacolo. Eren, allora, sorrise per la prima volta da quando era giunto a corte.

«Eccovi, finalmente. Non sapete quanto ho atteso questo momento», confessò, e il cuore del maggiore perse l'ennesimo battito da quando si era ritrovato tra quelle braccia.

«Intendete l'occasione propizia per aggredirmi...?», replicò, la voce ridotta a un flebile sussurro. Il Conte scosse la testa.

«No. Bramavo di conoscere l'uomo che si nasconde sotto la maschera del Duca Ackerman. Colui che anela una libertà che gli è negata, e che presto perderò anche io.»

Restarono a fissarsi per istanti lunghi un'eternità, prima che Levi trovasse la forza di rispondere.

«Ebbene, lo avete trovato...»

Quando si unirono nuovamente al gruppo guidato dal Re, seguendo percorsi opposti, gli arti del cervo erano freddi da un pezzo e le labbra di Levi dolevano per i troppi baci ricevuti.

«Duca, cosa vi è capitato?», rise il sovrano nel notare il suo aspetto trasandato.

«Cosa dirvi, mio Sire: uno dei cani deve probabilmente avermi scambiato per un dolce, a giudicare dal modo in cui mi ha avidamente leccato la faccia», mentì, i capelli posticci tra le mani e la cipria oramai svanita, mostrando il suo naturale incarnato pallido.

Tra le risa generali, al Duca non sfuggì lo sguardo ilare del Conte e la maniera in cui le sue labbra, rosse e gonfie, si piegarono in un sorriso complice.

***

Le danze si aprirono e Levi tese il palmo verso sua moglie. La musica echeggiava attraverso la sala gremita mentre ognuno eseguiva i passi di una coreografia che conosceva a memoria, la quale fluiva nelle loro membra guidandole alla perfezione. Eren, al lato opposto della Galleria, faceva altrettanto con Historia, splendida e aggraziata.

Giochi di sguardi attraverso gli specchi che riflettevano le sagome degli invitati, strabordanti di merletti e gonne vaporose, dove i due uomini non perdevano occasione per nutrire il proprio animo della rispettiva presenza. Un balzello, un inchino, poi di nuovo occhi negli occhi tramite la superficie liscia, quasi volessero consumarsi.

Tascorsero minuti, poi ore e infine giunse il momento del cambio d'abito: spesso gli invitati si facevano confezionare più di un completo, pur di far sfoggio di una ricchezza perduta da tempo. Luigi era stato oltremodo abile nel circondarsi di fedeli e ignari servitori, facendoli indebitare fino al collo irretendoli in una trappola fatta di parvenza e nessuna sostanza. Versailles si reggeva su fondamenta costituite da cupidigia e torbide cospirazioni, tutte finalizzate ad ottenere anche solo un riflesso della luce di cui splendeva il Re Sole.

Levi si congedò momentaneamente da Petra, lasciando che anch'ella si cambiasse, recandosi in una delle stanze disposte a tale scopo.

Prese a sbottonare l'elaborata giacca, sfilando successivamente la cravatta candida dal proprio collo e lasciandola sull'enorme letto poco distante. Voltò il capo e, attraverso la porta comunicante con la camera adiacente, lo vide.

Eren fece scivolare via il bolero, gettandolo su di una poltrona, senza distogliere lo sguardo dal corpo del corvino.

Si spogliarono di ciascun indumento, fissandosi senza pudore né vergogna e bevendo la bellezza dell'altro come fosse acqua fresca di sorgente, immaginando di poter sfiorare la pelle scura di uno o la cicatrice sull'avambraccio dell'altro. Un tacito scambio di intenti, promesse che mai avrebbero potuto mantenere e sentimenti che oramai faticavano a nascondere.

Per quanto il loro sovrano fosse solito intrattenere rapporti extraconiugali, e il Principe suo fratello stentasse a nascondere la propria omosessualità, ad Eren e Levi non era però concesso un simile lusso: le maldicenze di cui sarebbero divenuti protagonisti li avrebbero inesorabilmente gettati in pasto alle fauci di coloro i quali non attendevano altro che trarre vantaggio dalla loro caduta in disgrazia.

Restarono lì a osservarsi qualche istante ancora, prima di iniziare a rivestirsi.

Indossarono i calzoni, attenti a non rovinare nastri e fiocchi, appuntarono la camicia e indossarono nuovamente gilet e casacca. Erano impeccabili.

Si guardarono, bestie nate per essere libere bensì costrette a vivere un'esistenza di schiavitù in un mondo che li avrebbe altrimenti ripudiati, anime affini che desideravano solo stringersi in un confortante abbraccio. Le braccia si tesero, le dita afferrarono i boccoli della parrucca, e finalmente si videro per la prima volta dall'inizio della serata: ciocche castane e capelli corvini, iridi di smeraldo in pozze plumbee dalle quali era impossibile riemergere, labbra protese verso le gemelle fino a congiungersi in un breve e fugace bacio.

Un attimo ancora, implorarono il destino.

La melodia dell'orchestra, che aveva ripreso a suonare, li riscosse da quel sogno irrealizzabile. Sistemarono nuovamente sul proprio capo la falsa chioma.

«Conte Yeager.»

«Duca Ackerman.»

Bastò un cenno ed Eren e Levi scomparvero, ostaggi di identità che non gli appartenevano e che detestavano nel profondo. Si incamminarono verso la festa, le maschere a coprire i loro volti mentre fingevano di essere qualcun altro perché, quando non erano insieme nella calda intimità di un letto ad amarsi, nudi ed ansanti, era esattamente questo ciò che erano: nient'altro che una maschera.


   
 
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