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Autore: Shireith    17/08/2020    2 recensioni
In un universo in cui i miraculous non sono mai esistiti, le cause che portano al decesso di Émilie Agreste sono ben altre, ma non per questo meno dolorose. Adrien, come lo era un tempo sua madre, è un pianista; Marinette, una violinista.
Dal primo capitolo:
«Ehi», esordì in tono amichevole, sollevando appena una mano quando lei si volse per vedere chi le stesse rivolgendo la parola. «Scusami, ma non ho potuto far a meno di sentire quello che ha detto la bambina. Sei Marinette, l’amica di Alya?»
Lei parve squadrarlo a fondo, come se si stesse sforzando per decretare se quel completo estraneo fosse o meno degno della sua fiducia. «Sei Adrien?» inquisì dopo un attimo.
Annuì. «Sì, l’amico di Nino.»
La vide riallinearsi in uno scatto repentino, un po’ goffo, e sulle sue labbra affiorò un largo sorriso. «Oh, ciao! Scusami, non pensavo fossi tu.»

{Adrien/Marinette; mini-long; Musician!AU vagamente ispirata a Bugie d’aprile}
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Altri, Alya, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Nino
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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10 maggio
 
 «Allora, vieni?»
 A questa domanda, Adrien aveva risposto sì. L’aveva fatto perché Nino, suo carissimo amico, sembrava tenere molto a fare buona impressione con la migliore amica – come si chiamava? – della sua ragazza.
 «È una violinista», gli aveva rivelato tra una chiacchiera e l’altra. «Avrete qualcosa di cui parlare, almeno.»
 Adrien aveva sfoggiato un finto sorriso, ma il cuore non l’aveva imitato perché almeno lui non doveva fingere una serenità che non c’era.
 Non era più un musicista, aveva ribattuto tra sé. Se quella ragazza – Marinette? – era una violinista, per lui non cambiava nulla.
Ma sì, si era detto mentre usciva dalla solita lezione pomeridiana di scherma.
Ma sì, si era ripetuto mentre tornava a casa, saliva su per le scale e andava in camera sua.
Ma sì, continuò ancora e ancora, l’insistenza tipica di chi con le sue bugie riesce a convincere tutti fuorché se stesso.
 Entrò in bagno, si spogliò della tuta e si gettò sotto la doccia, l’acqua tanto calda che presto una leggera nebbiolina di vapore appannò tutti i vetri della stanza.
 Non gli dava fastidio incontrare una violinista. Solamente perché – stando alle parole di Nino, che a sua volta si basava sulle testimonianza di Alya – lei era una viva sostenitrice della musica, questo non significava che lui dovesse fare lo stesso. C’erano tanti argomenti di cui avrebbero potuto discutere, una volta che Alya e Nino fossero stati troppo coinvolti l’uno dall’altro per dar retta ai loro due amici. Così, almeno, quella ragazza non avrebbe ricoperto il ruolo di terza incomoda, né Nino e Alya si sarebbero sentiti in colpa nei suoi confronti.
 Adrien era sempre aperto a nuove amicizie – che differenza faceva, se l’altra persona era o no una violinista?
 Uscì di casa allo scoccare delle diciassette, in perfetto orario per l’appuntamento. Nell’aria si avvertiva il profumo imminente dell’estate; pigramente, maggio si preparava a cedere il testimone al mese di giugno.
 S’incamminò fino a raggiungere Place des Vosges, un parco immerso nel verde di tanti alberi che ne delimitavano il perimetro. Poiché distava poco da casa sua, era riuscito a convincere suo padre che non gli serviva un passaggio dall’autista di famiglia, e così aveva evitato lo spiacevole imbarazzo di scendere da una limousine in mezzo a tanta gente. Sperò che nessuno avrebbe riconosciuto in lui il modello che di tanto in tanto occupava le copertine delle riviste di moda e s’ammonì mentalmente per non aver preso precauzioni – avrebbe potuto indossare un cappello, o comunque fare qualcosa che lo aiutasse a non attirare sguardi.
 Si erano dati appuntamento al carosello del parco, lui e Nino. Adrien tuffò le mani nelle tasche e si avvicinò, costeggiandone il perimetro mentre osservava i bambini che facevano a gara per salire sui cavallucci.
 «Ti prego, Marinette, ti prego!»
 «Ho detto no, Manon.»
 Catturato dalle due voci, Adrien si volse. Adocchiò una ragazza intenta a conversare con una bambina che non dimostrava più di sette anni: la piccolina, i capelli bruni separati in due codini alti e i denti davanti un po’ sporgenti, era talmente bassa che la ragazza si era dovuta inginocchiare.
 «Perché no?» piagnucolò la bambina, il volto corrugato in una smorfia infantile e capriccioso.
 «Perché tua mamma non vuole. Mi dispiace, ma non sono io che decido cosa puoi fare.»
 La bambina se ne risentì, ma non replicò. Come a sperare che potesse servire a qualcosa, si sedette sul terriccio sporco con un sonoro sbuffo, le gambe e la braccia incrociate e la ruga tra le sopracciglia aggrottata a dovere a dimostrazione del fatto che era veramente contrariata.
 La ragazza sospirò, ma – decisa a non stare al gioco – non proferì parola, né le dedicò particolari attenzioni. «Ti prego, Alya, muoviti», si limitò a bofonchiare tra sé.
 L’intuizione colpì Adrien all’improvviso e lui osservò la ragazza con più attenzione. Marinetteera così che l’aveva chiamata, la bambina! E, a ben guardare, il suo aspetto corrispondeva alla descrizione di Nino di qualche giorno prima, quando gli aveva chiesto di prender parte all’uscita. Questo, unito al fatto che la ragazza aveva appena menzionato una certa Alya, lo convinse del suo ragionamento e si decise ad agire.
 «Ehi», esordì in tono amichevole, sollevando appena una mano quando lei si volse per vedere chi le stesse rivolgendo la parola. «Scusami, ma non ho potuto far a meno di sentire quello che ha detto la bambina. Sei Marinette, l’amica di Alya?»
 Lei parve squadrarlo a fondo, come se si stesse sforzando per decretare se quel completo estraneo fosse o meno degno della sua fiducia. «Sei Adrien?» inquisì dopo un attimo.
 Annuì. «Sì, l’amico di Nino.»
 La vide riallinearsi in uno scatto repentino, un po’ goffo, e sulle sue labbra affiorò un largo sorriso. «Oh, ciao! Scusami, non pensavo fossi tu.»
 Lui scrollò le spalle. «Tranquilla. Alya e Nino non sono ancora arrivati?»
 «No, sono in ritardo.»
 Per una volta non era lei, a far aspettare gli altri – alla faccia tua, Alya!
 «Ah! Ti presento Manon, la figlia di un’amica di mia mad… Manon?!» Si portò una mano alla faccia. «Non dirmi che l’ho persa – di nuovo
 Adrien sollevò le ciglia chiare e la osservò con divertito stupore: era normale, per lei, smarrire i bambini? Data la situazione, tuttavia, ebbe la presenza di spirito di non farle notare una tale inezia. «Non preoccuparti, sono sicuro che sarà qui da qualche parte...» volle anzi rassicurarla, smuovendo lo sguardo in più direzioni alla ricerca della piccola peste.
 «Sul carosello non c’è.»
 «Ok, è un inizio. La conosci bene? Dove pensi possa essersi cacciata?»
 Assottigliò le palpebre mentre il cervello si arrovellava alla ricerca dei luoghi preferiti dall’impiastro a codini. «L’ultima volta… no, aspetta, quella era la penultima…» Adrien decise – di nuovo – di non domandare quanto di frequente Manon si smarrisse e lasciò che Marinette proseguisse. «L’ultima volta… ci sono! Seguimi, Adrien!»
 Adrien non volle contestare.
 Senza fare domande, si affrettò a seguirla mentre lei correva verso una destinazione a lui ancora ignota. Serpeggiarono nella ressa, ben attenti a non spintonare nessuno, e a causa delle figure più slanciate degli adulti Adrien non riuscì a capire dove fossero diretti finché non spuntarono dall’altra parte.
 «Lo sapevo!»
 Per enfatizzare tale concetto, Marinette protese un indice in avanti e lo puntò in direzione della bambina incriminata.
 Adrien seguì la linea immaginaria tracciata dal dito della ragazza e incontrò con lo sguardo una modesta bancarella. Un uomo paffuto regalava sorrisi ai bambini che s’affollavano attorno alla merce coi nasi all’insù, additando ognuno un oggetto diverso mentre le loro voci si mescolavano in un coro incomprensibile. Assottigliando gli occhi, Adrien individuò gadget che ricondusse a due supereroi di sua conoscenza.
 Ladybug e Chat Noir – questi i loro nomi – erano i protagonisti di un celebre cartone animato che in poco tempo aveva suscitato l’interesse di molti, non solo bambini, e che aveva riscosso particolare successo in Francia come in molte altre aree del globo. Lui stesso, doveva riconoscerlo, era un grande appassionato delle avventure dei due eroi; seguiva volentieri gli episodi man mano che quelli venivano trasmessi e più di una volta si era concesso sfizi come portachiavi e action figure.
 «Ora mi sente, quella peste!»
 L’affermazione risoluta di Marinette gli ricordò del motivo per cui erano lì. Adrien osservò con più attenzione i bambini che si accalcavano ai piedi della bancarella e finalmente individuò Manon tra le ultime file. Come tutti gli altri, agitava le braccia nel tentativo di attirare l’attenzione dell’uomo che vendeva i gadget. Quando Marinette la raggiunse, lei nemmeno la notò.
 «Ma-non!» scandì piano la ragazza mentre Adrien si faceva più vicino.
 La bambina trasalì. Si volse e, non appena vide Marinette, assunse un’aria di finta innocenza. Fece per balbettare qualcosa, ma Marinette la intercettò.
 «Niente scuse», proferì, il tono sonante di una minacciosità appena percettibile – non era mai stata capace di essere dura con i bambini, erano la sua debolezza. «Ora ti riporto da tua madre.»
 Manon cercò di protestare, ma fu tutto inutile: malgrado gli occhioni da panda che sfoggiò, Marinette fu irremovibile.
 Adrien seguì le due come un’ombra mentre Marinette scortava Manon dalla madre che lui ancora non conosceva. La bambina era talmente risentita della punizione di Marinette che inizialmente non le rivolse la parola; tuttavia, vittima della curiosità tipica dell’infanzia, non riuscì a trattenersi dal commentare la presenza di un ragazzo che non aveva mai visto prima. Perciò, alzato lo sguardo sui due, pose un’unica domanda – semplice, schietta, imbarazzante.
 «Sei il ragazzo di Marinette?»
 Il sangue che affluì alle guance di Marinette fu tanto rapido che Adrien non riuscì nemmeno a formulare una risposta coerente. Arrossì e basta, lui, mentre a lei toccò l’ingrato compito di mettere a tacere la spiccata curiosità di Manon.
 «No, certo che no!» esclamò tutto d’un fiato, disegnando in aria gesti incomprensibili con le mani. «È solo un amico di Alya! Be’, del suo ragazzo, per essere precisi... Nino, vero, Adrien? Si chiama così, Manon! Io non lo conosco, non ancora, però…»
 Adrien ebbe tutto il tempo di sbollire il rossore delle gote, mentre Marinette masticava cose; il suo treno d’insensato balbettio fu messo a tacere – per fortuna d’entrambi – da Manon stessa.
 «È per questo che mi hai persa? Perché dovevi incontrarti con il tuo amico?»
Amico – mai tale parola era risuonata tanto soave.
 «Io non ti ho persa: sei tu che sei scappata.»
 «Non dirò alla mamma che mi hai persa», proseguì Manon, incurante dei tecnicismi di Marinette, «se tu non le dici che sono scappata.» Fissò Marinette da sottinsù con l’espressione tipica di una bambina che sa già fin troppo bene come gira il mondo e quella stessa espressione mutò in puro trionfo quando Marinette dovette cedere al suo ricatto.
È peggio della mafia, questa bambina!
 Continuarono a camminare. Lungo il perimetro del parco s’affacciava una catena di caseggiati che sembrava formare un’alta e spessa recinzione pensata per separare Place des Vosges dal resto della città. In uno di questi caseggiati, apprese Adrien, abitava Marinette.
 «I miei genitori gestiscono una boulangerie», gli spiegò mentre faceva strada.
 E infatti, notò Adrien mentre si avvicinavano e infine entravano, si scorgeva una porta sulla cui sommità figurava distintamente l’insegna dell’attività di famiglia.
 Una donna dava loro le spalle; conversava animatamente con una seconda persona – Adrien non poté inquadrarla perché nascosta dalla donna – e questo non le permise di sentirli arrivare.
 Marinette si schiarì la voce. «Signora Chamack?»
 Quella si volse. «Marinette», pronunciò con leggero stupore. «Non ti avevo sentita arrivare.»
 «Sono venuta a riportarle Manon.»
 Lo sguardo della signora Chamack cadde sulla figlia, una vaga nota di rimprovero che già velava i suoi occhi. «È successo qualcosa?»
 «No», rispose prontamente Marinette, ricordando la promessa – il ricatto – di poco prima, «solo che ho da fare.» E indicò con un cenno del capo Adrien.
 La signora Chamack parve notarlo solo in quell’istante. Gli rivolse un cordiale saluto, poi le sue attenzioni tornarono su Marinette. «Va bene, lasciami pure Manon, grazie.»
 Da dietro la signora Chamack apparve una donna bassa dai capelli scuri e tratti tipicamente orientali; Adrien non ebbe dubbi: doveva essere la madre di Marinette.
 «Adrien», esordì infatti Marinette, come a intercettare i suoi pensieri, «ti presento mia madre e la signora Chamack, la mamma di Manon. Mamma, signora Chamack, Adrien.»
 I restanti convenevoli si consumarono nel giro di pochi minuti. Sabine si disse lieta di conoscere un amico di sua figlia e così anche Nadja, che tuttavia dovette presto agguantare la torta che era andata a ritirare e congedarsi a causa di un ritardo.
 Fu solo e soltanto allora che Sabine pose la fatidica domanda che punzecchiava la sua curiosità da quando aveva intuito la bugia bianca della figlia.
 «Allora, che cos’ha combinato, Manon?»
 Marinette raccontò a suo madre l’accaduto senza lesina di dettagli, soffermandosi con particolare cura su quelli che – almeno a suo dire – scagionavano lei e incriminavano la bambina; tutto sotto lo sguardo confuso di Adrien, che si limitò ad annuire una volta interpellato.
 Terminata l’arringa, Sabine scosse il capo e sorrise. «È proprio un terremoto, quella bambina», commentò con tenerezza. E poi si congedò, adducendo come motivazione gli impegni lavorativi che la attendevano.
 Mentre Sabine spariva dietro una porta, Marinette pescò il cellulare dalla borsetta per controllare l’ora, considerando – ingenuamente – che forse Alya e Nino erano già arrivati e li stavano aspettando al carosello. Non appena lo schermo s’illuminò, tuttavia, i suoi pensieri vennero contraddetti. «Non ci posso credere.»
 «Che cosa?» domandò Adrien.
 Marinette inclinò il cellulare verso di lui affinché leggesse con i suoi occhi. «Alya.»
 Nei suoi messaggi, Alya spiegava brevemente che Nino si era slogato un braccio per colpa di suo fratello Chris e che perciò lei e la signora Lahiffe l’avevano accompagnato a sottoporsi a maggiori accertamenti. Non c’era da preoccuparsi, li rassicurava Alya, ma non avrebbero fatto in tempo: dovevano rimandare l’uscita.
 Adrien trasse un sospiro quando lesse le ultime righe del messaggio. «Per fortuna non è grave.»
 Marinette annuì, sollevando le ciglia su di lui con improvvisa timidezza. «Se Alya e Nino non vengono, immagino tu voglia tornare a casa…»
 La risposta era una sola – no.
 No, non gli andava di tornare a casa, dove ad accoglierlo non ci sarebbe stato nessuno, perché Nathalie e suo padre, come sempre, venivano risucchiati dal loro lavoro. Avrebbe di gran lunga preferito un’alternativa, come il pomeriggio di svago che lui, Marinette, Nino e Alya avrebbero dovuto passare assieme.
 Gli sarebbe piaciuto rimanere e approfondire la conoscenza di Marinette. Non aveva tuttavia la sfacciataggine di pretendere un invito da parte di una ragazza che conosceva appena, ma le labbra non fecero a tempo a schiudersi per replicare alcunché.
 «Puoi rimanere… se vuoi.»
 «Oh», fu l’unica sillaba che gli scivolò dalle labbra. Sorpreso, sbatté più volte le ciglia. «Sì, va bene – se non disturbo.»
 Gli sorrise intenerita. «Ma quale disturbo! Saliamo in camera, vieni.»
 Lo condusse lungo una rampa di scale, poi ancora più su, fino a raggiungere camera sua, cui si accedeva tramite una botola. «È un po’ piccola, lo so», ammise mentre Adrien sgusciava attraverso lo stretto quadrato che si apriva sul pavimento, «ma è accogliente.»
 Richiusosi la botola alle spalle, Adrien osservò la stanza per alcuni secondi. «A me piace», sentenziò, ignaro del colore purpureo che causò alle guance di Marinette.
 Certo lui era ricco e camera sua era tutto ciò che un ragazzo della sua età potesse desiderare: un muro da arrampicata, un impianto stereo, un calcio balilla – persino un canestro da basket! Eppure non era mai stato di quelle persone che non amano stupirsi di fronte alle banalità.
 «C’è un’altra botola, dove porta?»
 «A un piccolo terrazzo.»
 «Fantastico! Posso vedere?»
 Marinette rilassò le spalle mentre osservava Adrien arrampicarsi sulle scalette. Benché invitarlo a rimanere fosse stata una sua idea, non poteva negare di essersi sentita tesa all’idea di accogliere in camera sua un ragazzo appena conosciuto; la trasparenza del suo carattere contribuì tuttavia a scacciare i brutti pensieri e a calmare il suo animo. Le parole di Adrien parevano oneste e lei non aveva ragione di sospettare il contrario.
 Ritornato coi piedi per terra dopo essersi un attimo affacciato sul terrazzo, Adrien ispezionò una seconda volta la stanza e notò due particolari – un manichino e un violino – che stranamente gli erano sfuggiti. Il violino se l’era aspettato, il manichino no. Si chiese se Marinette fosse appassionata di moda, per quanto la risposta paresse abbastanza ovvia.
 Marinette, tuttavia, intercettò lo sguardo di Adrien quando quello era ancora fisso sul violino. «Nino non ti ha detto che sono una violinista?» chiese, attribuendo l’interesse di Adrien alla ragione sbagliata.
 «Sì, me ne ha parlato. E ha anche detto che secondo Alya sei bravissima.» Per un lungo, terribile istante, Adrien temette che si offrisse di suonare per lui – ma Marinette non lo fece. Eppure, malgrado il pericolo scampato, malgrado Marinette avesse appena volto lo sguardo altrove, i suoi occhi rimasero fissi sul violino – non doveva odiarlo?
 Vide che Marinette aveva afferrato un joystick solamente quando, dopo qualche attimo scandito dal silenzio, lei lo strappò ai suoi pensieri con una domanda a bruciapelo.
 «Ti piacciono i videogiochi?» All’annuire di Adrien, gli occhi di Marinette divennero fuoco e un’espressione bellicosa – solo dopo Adrien avrebbe appreso quanto bellicosa fosse un termine adeguato – le catturò il volto mentre indicava la custodia di Ultimate Mecha Strike III e soggiungeva: «Ti va di essere stracciato
 Forte delle sue capacità, Adrien accettò. Figurarsi se qualcuno poteva battere lui a un gioco che conosceva come le sue tasche l’avrebbe disintegrata! Agguantò il joystick che Marinette gli porgeva e si sedette al suo fianco, ignaro che, qualche ora dopo, a uscirne disintegrato sarebbe stato lui.
 
10 maggio
 
 «Come ti è sembrata, Marinette?»
 Dall’altro capo del telefono, Adrien ci mise un attimo a formulare una risposta. Esitò, riflettendo su tutto quello che aveva pensato di lei dopo un solo pomeriggio di conoscenza, e dopo un attimo disse: «È fantastica.»
 Benché non potesse vederlo, Nino sollevò le sopracciglia con stupore – sembrava avesse fatto colpo, quella ragazza. Per amor di discrezione, volle tuttavia trattenersi dall’avanzare certe allusioni.
 «Il braccio come va?» domandò Adrien.
 «Bene. Dovrò portare un tutore per un po’, ma non mi lamento.» Rise. «Mia madre era più in ansia di me, ha sgridato Chris così tanto che ha pianto per un’ora.»
 Ci volle una fitta mezz’ora di chiacchiere prima che la conversazione si spegnesse. Alla fine, poiché Nino non aveva ancora conosciuto la Marinette di cui Alya tanto parlava, i quattro si erano accordati per una seconda uscita – si sperava meno turbolenta – e Adrien aveva accettato di buona voglia: non vedeva l’ora di fare la conoscenza della ragazza di Nino.
 E poi ci sarebbe stata anche lei, Marinette – gli piaceva davvero tanto.
 
 
Note È un’ottima amica, vero, Adrien?
 No, dai, non scherziamo. Chi mi segue da un po’ più di tempo avrà notato che sono paranoica quando si tratta di rispettare l’IC dei personaggi e dunque eccomi qui a fare una precisazione. Avete notato e noterete, nei prossimi capitoli, una Marinette e un Adrien più svegli – fino a un certo punto, almeno, perché son sempre loro; questo perché, non essendoci Ladybug e Chat Noir, non esiste il quadrilatero e i fraintendimenti vengono meno. Marinette non ha avuto nessun colpo di fulmine e questo spiega perché l’avete vista e la vedrete comportarsi in modo più naturale con Adrien: è sempre lei, solo senza il fattore balbettio dovuto alla sua cotta – che comunque ci sta; è una ragazzina!
 Grazie a tutti quelli che hanno letto; vi saluto e vi do appuntamento alla prossima settimana, anche se non so di preciso quando.
Shireith
   
 
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