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Autore: Shin Tarekson    17/08/2020    0 recensioni
[Ingranaggio]
[L'Ingranaggio]
Quando tutto sembra così raggiungibile da risultare poco stimolante l'unica cosa che tu possa fare è volere di più, di più e ancora di più. Qual è il momento in cui capisci di essere andato troppo oltre?
Questo è un racconto basato sull'avventura necro-punk dell'universo trattato dal manuale "L'Ingranaggio", creato da Valerio Amedei, Andrea Marmugi e Stefano Simeone.
Genere: Avventura, Dark, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cap 1 – Compagnia STAGNO
 
  • “In this farewell, there’s no blood, there’s no…”
  • Alibi. Buongiorno anche a te, sveglia.
Quello era il gesto che ogni mattina ripetevo da quando, nella Grande Discarica, ero riuscito a trovare e rimettere insieme quella scatola. Essa era in grado di dirmi l’orario e attivarsi per riprodurre particolari melodie, se opportunamente programmata, si chiamava sveglia e sembrava essercene almeno una per casa decadi fa. Erano quindi circa le 7.00 di mattina, minuto più minuto meno, avevo circa un’ora e mezza prima dell’appuntamento dal comandante Minetti per ritirare i fascicoli dei nuovi casi. Mi alzai e accesi la caldaia buttando sul fondo un paio di manciate di piccoli pallet e un fiammifero, ci sarebbero voluti circa dieci minuti prima che l’acqua diventasse sufficientemente calda, avevo giusto il tempo di far colazione. La casa che avevo deciso di occupare era una piccola villetta a mezzo chilometro dalla centrale, decisamente comodo, e il fatto di non avere vicini o coinquilini mi permetteva di riempire ogni angolo dell’abitazione con apparecchi elettrici, senza preoccuparmi del rumore assordante di alcuni di essi, o con piccoli gingilli che riuscivo a recuperare dalla Grande Discarica, un luogo contenente tutta, o comunque buonissima parte, di quella che un tempo era la tecnologia usata dalla popolazione umana di Firenze, prima che decidessero di comune accordo di disfarsi di tutto quel ben di Dio, creando, per l’appunto, la Grande Discarica.

La stufa era stata modificata così da sfruttare il calore per produrre vapore che serviva a muovere una decina di piccole rotelline collegate ad altrettante dinamo che ricaricavano piccole batterie, le quali venivano usate per i miei piccoli tesori, per esempio la sveglia.

Allungai la mano vero le batterie cariche e le staccai dal generatore, avevo imparato a mie spese che se lasciate troppo a lungo collegate, queste avevano il brutto vizio di surriscaldarsi, diventando inutili e nel peggiore dei casi appiccando piccoli incendi, altro motivo per cui meno gente avevo vicino casa e meglio era per tutti.

 Ne tenni una in mano e mi avviai in cucina.

La cucina era abbastanza grande da permettermi di mangiarci dentro ma sufficientemente piccola da rendermi facile tenerla in ordine. Entrato presi due fette di pane e le infilai nell’altra meraviglia del vecchio mondo che possedevo, l’”ARROSTI-FETTE”! La vita in passato doveva essere davvero una pacchia con tutte queste comodità. Dopo aver inserito le fette di pane nelle apposite fessure collegai il marchingegno alla batteria e lo accesi.
  • Uno, due, tre, quattro, cinque e stop!
Spensi in fretta il dispositivo e lo girai a testa in giù per far scivolare fuori le due fette di pane abbrustolito, avevo potenziato il tutto per renderlo più rapido nel suo lavoro, senza ovviamente rovinare il risultato finale, ero davvero un genio.

Dopo aver condito le fette di pane con olio e sale e aver tagliato un pezzo di formaggio mi sedetti sull’unica sedia della casa e feci colazione, pregustandomi la doccia calda che avrei fatto di lì a poco.

Ah, l’acqua calda, cosa poteva esserci di meglio che crogiolarsi nel torpore che l’acqua uscente dal bocchettone della doccia era in grado di offrirti? Ovviamente una gita alla Grande Discarica, ma la doccia calda restava comunque una delle cose più rilassanti che questa strana nuova realtà fosse in grado di offrire.

Erano le 7.45, forse era il caso di darsi una mossa. Tornai in camera, misi camicia e pantaloni neri, bretelle e papillon verde e inforcai gli occhiali che avevo sul comodino. Non avevo reali problemi di vista, la medicina aveva fatto passi, se non salti, da gigante negli ultimi anni e di conseguenza qualsivoglia difetto fisico era virtualmente scomparso, ma mi davano un’aria un po’ stravagante e sinceramente mi piacevano.

Presi una pastiglia pulitrice e me la misi in bocca, infilai le scarpe, raccolsi il mio zaino e mi incamminai verso la centrale.

“Chissà di che umore saranno oggi i miei tre colleghi?” mi domandai, ormai in vista della centrale.

ANSIOSO. Ecco quale fu la risposta, non per forza una notizia negativa ma sicuramente non in linea con il mio umore, era così difficile rimanere rilassati e tranquilli? Pareva di sì.

Quando raggiunsi l’ingresso, Manfredo e Virgilio erano davanti alla porta, il primo aveva addirittura indossato già la propria scintillante armatura che ogni tanto emetteva qualche piccolo sbuffo di vapore, l’altro invece se ne stava impettito nel suo completo e la valigetta che sempre lo accompagnava. Mancava solamente…
  • Spostati, mi sei d’intralcio.
  • Ciao anche a te Doc, niente caffè stamattina?
  • Ah, sei tu, sono al terzo, ora spostati.
Ecco Laila, il Costruttore della squadra, una sorta di medico, caffeinomane e con due belle occhiaie onnipresenti. Aveva uno di quei visi con i lineamenti molto delicati che la facevano sembrare un’adolescente, probabilmente aveva superato la trentina da un pezzo.
  • Vedo che ci siamo finalmente tutti, anche se qualcuno non esattamente puntuale.
Lui è Virgilio, il nostro Miliziano, un’enciclopedia vivente di tutto ciò che riguarda la legge della Cittadella delle Scienze di Firenze. Non parla molto, però è simpatico.
  • Bene! Ora che ne dite se entriamo e chiediamo al comandante cosa c’è da fare, così posso smetterla di restare qui fermo e finalmente prendere la missione di oggi, magari avrò l’occasione di sfruttare al massimo la mia nuova armatura! Veloci!
Infine, lui è Manfredo, il Tecnofante, la spina dorsale dell’esercito della nuova Firenze. È esuberante e con un modo di fare un po’ impaziente, ogni tanto battibecchiamo ma alla fine è come il resto del gruppo, siamo stati formati da poco come compagnia, quindi c’è ancora qualche attrito tra di noi, ma nulla di insuperabile. A sentire lui chi si guadagna l’attestato da Tecnofante è solamente “il meglio del meglio del meglio, signore!” per citare una frase di un film che sono riuscito a vedere una volta nell’officina di un altro… appassionato, per così dire, di tecnologia antica come me.

Io, Alessandro della Rocca, la gente ci definisce Tecnosofi, ciò che ci muove è lo studio e la ricerca di quella che era la tecnologia “antica”, abbandonata anni prima e che aveva avuto il suo picco tra gli anni 20 e 40 del 2000. I miei mi hanno dato il nome Alessandro perché in teoria il significato è qualcosa di simile a “protettore dell’uomo, dell’umanità”. Il loro era stato una sorta di augurio affinché io, come loro, potessi contribuire a dare alla luce una nuova vita.

Al pensiero mi viene ancora da sorridere a volte, se solo sapessero.

Questa, signori è la Compagnia STAGNO, la compagnia extramuraria di cui faccioparte, e qui è dove la nostra storia comincia.
   
 
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