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Autore: Tonna    17/08/2020    6 recensioni
“Dov’è andato?”
“Non lo so” rispose Hermione, chiudendo Le Fiabe di Beda il Bardo; si massaggiò le tempie con gli occhi socchiusi e sollevò la testa verso Harry, notando la sua inquietudine mentre si guardava intorno alla ricerca di Malfoy.
“Stai tranquillo” lo ammonì alzandosi da terra e passandosi le mani sui pantaloni per cacciare via i residui di foglie secche. “Malfoy non è uno stupido, non ci farà scoprire”
Harry smise di vagare con lo sguardo e spostò gli occhi sull’amica, chiedendosi come riuscisse sempre a leggergli nella testa.
“Non può continuare ad andarsene in giro come se niente fosse” borbottò preoccupato, tornando a scrutare il folto degli alberi sperando di scorgere una figura esile dai capelli biondi, ma dopo qualche secondo fu costretto a rassegnarsi e tornò nella tenda sbuffando.
Hermione lo seguì dopo aver gettato una veloce occhiata alle proprie spalle, sperando di non aver parlato troppo presto. D’altronde Harry aveva ragione, Malfoy non poteva andarsene in giro tranquillo e tronfio come aveva fatto per tutti quegli anni a Hogwarts. Ormai era un reietto, un fuggitivo, un ricercato – per quanto il termine risultasse più babbano che magico -, proprio come lo erano loro.
Genere: Azione, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter, Ron Weasley, Un po' tutti | Coppie: Draco/Hermione
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Da VI libro alternativo
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25. Tuffo nel passato

Harry rientrò nella Sala Comune come una furia, pestando così forte i piedi che tutti quanti si voltarono a guardarlo.
Ron e Hermione lo seguirono con lo sguardo e lo videro dirigersi senza esitazione verso le scale che conducevano ai dormitori e, dopo essersi lanciati un’occhiata perplessa, saltarono giù dal divano e gli corsero dietro.
Quando arrivarono di sopra, trovarono Harry che camminava nella stanza circolare, borbottando tra sé.
Hermione si avvicinò piano e gli si parò davanti: era chiaro che qualcosa non andava.
“Tutto bene?” domandò cauta, ma Harry non rispose subito. Doveva elaborare quanto accaduto.
Andava tutto bene? Ovviamente no. Si sentiva un po’ come quel giorno di tre anni prima, quando ai Tre Manici di Scopa aveva scoperto che era stato Sirius, il suo padrino, a vendere sua madre e suo padre a Voldemort. Ovviamente poi quella si era rivelata essere un’informazione sbagliata, una specie di fraintendimento, ma stavolta c’era ben poco da fraintendere: quello che avevano detto la Cooman e Silente gli era sembrato piuttosto chiaro e non lasciava spazio ad alcun dubbio.
Fece un paio di respiri profondi per calmarsi, mentre Ron e Hermione lo fissavano con apprensione ma senza mettergli fretta.
Magari c’era un errore. Dopotutto Silente aveva sempre agito nel suo bene e quasi sempre a carte scoperte.
…Certo, gli aveva nascosto per anni i dettagli sulla Profezia, ma lui cos’avrebbe fatto al suo posto? Avrebbe caricato un ragazzino di un peso del genere, se non strettamente necessario?
Si grattò la fronte. Per quanto ci provasse, non riusciva ad essere obiettivo.
Sorpassò Hermione e si sedette sul letto, indeciso su cosa dire e soprattutto come dirlo. Dentro di sé sentiva ancora l’effetto della Felicis, ma in quel momento si sentiva tutto tranne che fortunato.
Quando aveva sentito il nome di Piton uscire dalle labbra della Cooman, aveva sentito il cuore stringersi nel petto e iniziare a martellare furiosamente. Era assurdo pensare a una cosa del genere.
Era assurdo che lui potesse essere la reale causa della morte dei suoi genitori. Se così fosse stato Silente non lo avrebbe tenuto al suo fianco per tutti quegli anni, e di questo ne era sicuro.
Anche se…
“Harry?”
Fu la voce di Ron a risvegliarlo dai suoi pensieri, e Harry sollevò il capo di scatto.
“Sì, scusate” si sentiva completamente svuotato.
“Allora, com’è andata? Cos’hai fatto?”
“Ce l’ho” si limitò a rispondere, ficcandosi una mano in tasca alla ricerca della fiala. La estrasse dalla tasca e gli occhi di Ron e Hermione si illuminarono quando videro la piccola scia argentata vorticare lievemente dentro il tubicino di vetro.
“Ma quindi non sei andato da Silente” indagò Hermione. Harry si voltò verso di lei e cercò di capire sul momento quale fosse la cosa più giusta da fare.
Doveva dire tutto, o aspettare di risolvere la questione e vederci chiaro, prima di informare i suoi migliori amici?
“Sì, ci sono andato” disse infine, dopo quello che sembrava un tempo infinitamente lungo ma che probabilmente comprendeva solo poche manciate di secondi.
Alla fine era inutile mentire, anche se immaginava già le reazioni. Ron sarebbe diventato paonazzo, le orecchie gli si sarebbero arrossate e scaldate, e avrebbe iniziato a farfugliare, mentre Hermione si sarebbe di sicuro lanciata in una serie di congetture e ipotesi, alla ricerca di una qualche spiegazione logica.
E fu così infatti. Quando il racconto di quello che aveva udito fuori dalla porta gli sfuggì via dalle labbra con una facilità inaudita, vide nei suoi migliori amici le reazioni che aveva previsto.
Ron rimase senza parole, poi iniziò a borbottare fra sé cose come “non è possibile”, “vecchio pazzo” e “lo sapevo io”, mentre Hermione perse un po’ della sua lucidità e iniziò immediatamente a camminare avanti e indietro.
“Non è possibile” esordì subito, sembrava un leone in gabbia. “Silente non avrebbe mai tenuto Piton nel castello dopo una cosa del genere. Non gli avrebbe mai permesso di stare a contatto con gli studenti, con te, e non gli avrebbe permesso di insegnarti l’Occlumanzia lo scorso anno per impedire che Voldemort sbirciasse nella tua testa. Non ha senso, Harry, ci deve essere un’altra spiegazione. Un po’ come con Sirius tre anni fa, no? Tutti erano convinti che fosse lui il Custode Segreto dei Potter e che fosse stato lui a tradirli, e invece non era così”.
Hermione si fermò davanti ad Harry e smise di parlare. “…Allora?”
“Vorrei chiedere a Silente” azzardò Harry mordendosi un labbro. Non sapeva quanto fosse saggio ammettere di aver origliato, ma magari Silente sarebbe stato un po’ più comprensivo dato che finalmente era riuscito a procurarsi il ricordo di Lumacorno.
“Dovresti andare da lui” lo riprese Ron, che sembrava essere uscito dal suo trance. Harry annuì e si alzò diretto verso l’entrata del dormitorio, ma si bloccò sulla porta.
“Ron” disse voltandosi, “Per quanto riguarda Ginny…”.
“È tutto ok” risposte immediatamente quello, sollevando una mano e agitandola davanti al viso. Harry si sciolse in un lieve sorriso, così come Ron, e si incamminò lungo la scala a chiocciola.
Hermione e Ron lo videro sparire e si gettarono un’occhiata preoccupata: quella scoperta non preannunciava nulla di buono.

*


“Quindi mi stai dicendo che Voldemort ha diviso la sua anima in sette parti - sette?- e ne ha nascoste sei chissà dove?”.
Ron e Hermione rimasero a bocca aperta. Non era possibile una cosa del genere: se veramente Voldemort era arrivato a ricorrere a questo tipo di magia oscura questo lo rendeva pressoché invincibile.
“Parrebbe così. Da quello che mi ha spiegato Silente, gli Horcrux sono degli oggetti in cui tu decidi di racchiudere una parte della tua anima per tenerla al sicuro. Quindi, a conti fatti, anche riuscendo a distruggere il corpo di Voldemort, lui non morirebbe”
“Ma certo” intervenne Hermione “ecco perché quando ha provato ad ucciderti e la maledizione gli è rimbalzata contro non è morto. Era stato colpito solo il suo corpo, la sua anima frammentata era rimasta intatta perché divisa in più parti”.
Fece una piccola pausa e fissò di sottecchi Harry, mentre Ron si alzava in piedi e iniziava a gesticolare con le mani, impaziente.
“Okay, ragioniamo. Colui-che-non-deve-essere-nominato ha diviso la sua anima. Silente ha qualche idea su dove possa aver nascosto questi frammenti?”
“Uno era il diario di Riddle, suppongo” risposte Hermione, voltandosi a guardare Harry. Lui deglutì a vuoto: Hermione sembrava già aver capito tutto.
“Esatto. E poi c’è un anello che pare sia appartenuto al nonno di Voldemort, e quello è stato distrutto da Silente”.
Ron prese a contare con le dita e si rese amaramente conto mancavano ancora quattro Horcrux all’appello.
“Silente ha ragione di credere che gli altri… cimeli, in cui Voldemort ha nascosto parte della sua anima siano la Coppa di Tassorosso, il Medaglione di Serpeverde e Nagini, il suo serpente. E dato che ha usato i cimeli di due Fondatori, probabilmente il sesto Horcrux sarà un oggetto appartenuto a Grifondoro o a Corvonero”.
“Comunque non ha senso” rifletté Ron. “Perché ha scelto di utilizzare degli oggetti famosi piuttosto che cose comuni? Per esempio le Passaporta, sono oggetti comuni…”
“Secondo Silente Voldemort non avrebbe mai affidato a degli oggetti comuni la sua preziosissima anima” risposte subito Harry, cercando di ricordare tutti i dettagli del suo incontro col Preside. “Quindi ha scelto questi oggetti e li ha nascosti chissà dove. Vanno distrutti, in modo da poter uccidere Voldemort una volta per tutte, mi ha promesso di portarmi con lui quando ne troverà un altro".
Hermione trattenne il fiato e Ron gettò un’occhiata di sottecchi ad Harry.
“Credi di essere pronto?” chiese.
“Sì” rispose subito l’altro. “Voglio dire… non mi porterebbe con lui se non pensasse che potrei contribuire in qualche modo” concluse.
“Ehm, Harry… invece per quanto riguarda l’altra cosa?” domandò cauta Hermione.
“Ah” Harry sospirò e si strofinò la cicatrice in un gesto automatico. “Ho raccontato - urlato, in realtà – a Silente quello che ho sentito fuori dal suo ufficio. Ha confermato tutto, è stato Piton a riferire la Profezia a Voldemort” Ron spalancò la bocca indignato, “Ma mi ha anche fatto notare che Piton effettivamente non sapeva che Voldemort avrebbe scelto i miei genitori, quindi ha cercato un po’ di difenderlo. Non cambia nulla, comunque. Per me non è una motivazione valida e soprattutto non lo giustifica. Ma quando si parla di Piton con Silente sembra una battaglia persa in partenza, lo difenderà sempre e comunque”.
“Avrà le sue motivazioni” rispose saggiamente Hermione, ma anche lei faceva fatica a capire il comportamento del loro Preside. “Comunque è assurdo” continuò, “Voldemort ha creato sei Horcrux… già pensare di spaccare l’anima in due deve essere al tempo stesso orribile e complicato, ma sei sembra addirittura impossibile. E invece lui ci è riuscito”.

*

Draco fissò preoccupato il calendario. Tempo due mesi e mezzo e la scuola sarebbe finita e lui non era ancora riuscito a combinare nulla.
I suoi deboli - e decisamente poco numerosi - tentativi di uccidere Silente erano andati in fumo ed anche cercare di riparare l’armadio svanitore nella Stanza delle Necessità si stava rivelando un’impresa difficile. Senza contare che finalmente si era reso conto che Tiger e Goyle stavano sicuramente tramando qualcosa alle sue spalle; probabilmente volevano scavalcarlo e portare a termine il compito che all’inizio era stato affidato a lui. Ma era davvero così? E se lo era, chi glielo aveva ordinato? Era stato il Signore Oscuro oppure era un’idea partita da loro? O dai loro genitori, anch’essi Mangiamorte?
Più si arrovellava su quella serie di domande, più la sua confusione cresceva. Non sapeva come uscirne, non sapeva cosa fare. Scrivere a sua madre era fuori discussione: lei non era un’abile Occlumante e se il Signore Oscuro l’avesse interrogata - o anche solo incontrata - sarebbe subito venuto a sapere di tutti i problemi che stava riscontrando nel portare a termine la sua missione.
Ed era proprio quello che non voleva: dopotutto, se si era imbarcato in quella cosa più grande di lui era proprio per proteggere la sua famiglia.
Sospirò, passando una mano tra i capelli. Ricordò quel giorno come se fosse il giorno prima, quando invece erano passati mesi.

Bellatrix Lestrange rideva sguaiatamente mentre tutti in cerchio attendevano l’arrivo del Signore Oscuro. Draco era in piedi accanto a sua madre che gli stringeva la mano convulsamente, come se stesse in qualche modo cercando di reggersi a lui per non cadere a terra. Le gettò un’occhiata di sottecchi e deglutì quando notò i suoi occhi lucidi e le labbra schiuse scosse da un leggero tremito. Si concesse qualche secondo per studiarne i lineamenti delicati ma allo stesso tempo fieri.
Fece scorrere gli occhi dal mento alle labbra pallide, seguendo la linea del naso e soffermandosi poco sotto gli occhi.
Sua madre era sempre stata molto pallida - pallore molto accentuato dal colore dei suoi capelli - ma mai, mai l’aveva vista ridotta in quello stato. La pelle liscia era solcata da piccole rughe di espressione che non ricordava di aver mai visto, così come le pesanti occhiaie che le scavavano il viso. I capelli, sempre curati e lucenti, ora somigliavano molto a quelli della sorella, crespi e ribelli.
Sentì improvvisamente gli occhi inumidirsi e il battito cardiaco accelerare. Era davvero pronto?
Deglutendo, spostò lo sguardo dal viso di sua madre e si guardò intorno. C’erano molte facce conosciute lì in mezzo, facce rispettabilissime del mondo magico che nessuno avrebbe mai pensato di trovare lì, a quella cerimonia di iniziazione.
Perché di quello si trattava.
Lui, Draco Malfoy, stava per ricevere il Marchio Nero.
Fino a qualche ora prima gli era sembrata una buona idea - un'ottima idea - entrare a far parte della schiera dei Mangiamorte. Sua zia gli aveva ripetuto fino alla nausea che era un grande onore e che doveva ringraziare il Signore Oscuro per avergli concesso un’opportunità simile.
Inizialmente Draco era stato preso dall’euforia: con suo padre in prigione aveva finalmente l’occasione di poter riabilitare il nome di famiglia tra i maghi che contavano veramente. Sarebbe anche riuscito a riabilitare il nome di sua madre, diventata una barzelletta in quanto moglie di Lucius.
Non si era affatto reso conto che quello che gli si prospettava davanti era un viaggio di sola andata: nessuno smetteva di essere Mangiamorte. Un esempio lampante era Igor Karkaroff, l’ex preside di Durmstrang, che aveva tentato di fuggire ed era stato assassinato.
“Draco, dritto” sibilò sua zia Bellatrix vedendo che il nipote aveva leggermente incurvato le spalle. Draco si drizzò immediatamente e Narcissa lanciò uno sguardo raggelante alla sorella, dando una stretta ancora più poderosa alla mano del figlio.
Lui, per tutta risposta, fece scivolare via la mano. Narcissa piegò leggermente la testa di lato per guardarlo, un’espressione indecifrabile sul viso.
“Va tutto bene” sussurrò Draco cercando di non farsi sentire dagli altri.
Narcissa parve capire quello che passava per la testa del suo unico figlio. Da quando Draco era cresciuto così tanto? Lo vedeva lì, dritto, lo sguardo puntato in avanti in attesa di un futuro incerto, più grosso di lui. Sapeva che la questione non sarebbe finita lì, che il Signore Oscuro avrebbe trovato qualcos’altro per metterli in difficoltà. Era ovviamente una punizione verso Lucius che, poco prima, si era fatto sfuggire sia Potter che la Profezia nell’Ufficio Misteri.
Ma perché doveva essere Draco a pagare un simile prezzo?
Narcissa aveva sempre cercato di tenere Draco al sicuro. Certo, era figlio di due Mangiamorte, ma questo non significava necessariamente che dovesse entrare a far parte della cerchia più stretta del Signore Oscuro. Dopotutto metà dei Serpeverde ad Hogwarts aveva genitori Mangiamorte ma non avevano mai avuto direttamente a che fare con tutto quello. Perché per Draco invece il destino doveva essere diverso?
Si morse il labbro con troppa forza, trattenendo un gemito di dolore. Sentì il sapore pungente e metallico del sangue, ma non si mosse. Non riuscì a muovere un solo dito.
Voldemort si era appena materializzato in mezzo a loro.
Con un sussulto, tutti i Mangiamorte piegarono leggermente la testa per dare il benvenuto al loro unico Signore. Bellatrix era su di giri.
“Draco” si limitò a dire lui, allungando la mano verso di lui.
Per un secondo il tempo sembrò fermarsi. Narcissa ebbe il forte impulso di tornare a stringere la mano del figlio, e Draco sentì le gambe inchiodate al pavimento. Credeva che non sarebbe riuscito a staccare i piedi da terra.
Ma si mosse. Prima un passo, poi un altro, finché il suo avambraccio sinistro non fu a portata della mano tesa di Voldemort.
Dallo sguardo dell’Oscuro Signore non trapelava nessuna emozione: gli occhi rossi erano fissi in quelli di Draco che, nonostante il panico crescente, tentò di chiudere la mente come gli aveva insegnato Piton.
Non ci riuscì e per un attimo vide un lampo di trionfo illuminare gli occhi di Voldemort.
Narcissa non riuscì più a vedere il viso di suo figlio per tutta la durata della cerimonia. Lo aveva davanti, le spalle magre immobili e fiere, la schiena dritta proprio come sua zia gli aveva ordinato. Non un solo spasmo scosse il suo corpo durante quegli interminabili minuti. Non un gemito, non un attimo di tentennamento.
Narcissa voleva piangere. Si torturò ancora il labbro tra i denti per non emettere nemmeno un suono, proprio come stava facendo suo figlio.
Poi, dopo quelle che sembrarono ore - ma che in realtà erano state solo una manciata di minuti - Voldemort lasciò finalmente andare il braccio di Draco.
Lui non si voltò a cercare sua madre, anche se avrebbe voluto. Non voleva mostrarsi debole, o spaventato, o dubbioso.
Osservò il tatuaggio scintillante appena apparso sul suo braccio: un serpente che scivolava via sinuoso dalla bocca aperta di un teschio.
Sentì un moto di orgoglio misto a paura invaderlo.
Ormai era fatta. Non si tornava indietro.
Poco distante da lui, Narcissa sentì un rivolo di sangue scivolarle sul mento.

Sfiorò la manica del braccio sinistro, proprio dove era impresso a fuoco il Marchio Nero.
Era stato tutto molto divertente, all’inizio.
Vantarsi con gli amici sull’Espresso per Hogwarts di aver avuto un privilegio che a loro non era toccato, di avere una missione da portare a termine, di non aver più tempo da perdere con sciocchezze come il Quidditch.
Ma se da un lato ci aveva creduto davvero, dall’altro pian piano si era reso conto che la sua era una missione suicida.
Lo aveva capito: l’Oscuro Signore era sicuro che sarebbe morto nel tentativo e, se avesse fallito, lo avrebbe ucciso lui stesso. Non aveva nessuna possibilità di riuscita.
E c’era anche un altro problema che gli si era presentato quell’anno, un problema da non sottovalutare: Hermione Granger.
Gli costava davvero molto ammetterlo, ma negli ultimi giorni si era ritrovato a pensarla spesso. Pensava al loro incontro-scontro nella Sala delle Armature, al fatto che si fossero baciati, ed era stata una cosa partita da entrambi stavolta, non come quando lui le aveva strappato un bacio a tradimento in biblioteca.
Si era arrovellato su quella serie di avvenimenti che li aveva portati ad avvicinarsi - da quando lei aveva scoperto il suo Marchio, a quando lo aveva salvato dai Dissennatori, a quando era stato lui stesso a preoccuparsi per lei quando Potter e Weasley avevano smesso di parlarle - ed alla fine, per quanto fosse assurda come cosa e per quanto potesse provare a negarlo a se stesso, si era accorto che la Mezzosangue non gli dispiaceva.
Sentì le orecchie scaldarsi a quel pensiero e si voltò, guardandosi intorno nella Sala Comune, vuota. Erano tutti quanti fuori a godersi i primi caldi della primavera, ma lui non aveva voglia di fare nulla.
Si sentiva svuotato, stanco. Qualche volta si era anche soffermato a pensare che probabilmente per lui sarebbe stato più facile se a Natale fosse stato baciato da quel Dissennatore, o se Piton non lo avesse salvato dopo l’attacco di Potter. Sarebbe tutto finito e non avrebbe più dovuto preoccuparsi di nessun Signore Oscuro, di nessuna missione, di nessuna guerra. Di nessuna Mezzosangue.
Schioccò la lingua infastidito dai suoi stessi pensieri. Da quando era diventato così debole?
Con un gesto di rabbia afferrò un paio di fogli dalla bacheca dei Serpeverde e li accartocciò. L’occhio gli cadde sulla firma apposta sotto uno dei fogli, la firma di Silente.
Sospirò. In che diavolo di guaio si era cacciato?

*

Hermione sollevò gli occhi dal grande tomo di Aritmanzia e nello stesso istante Harry, Ron e Ginny rientrarono esausti nella Sala Comune.
Ron si lasciò cadere sul divano accanto a lei e Harry e Ginny si sedettero l’uno vicino all’altra.
“Stanchi?” domandò Hermione conoscendo già la risposta.
Ron annuì con un sonoro sbadiglio e Ginny si scansò la frangetta dagli occhi.
“Decisamente... E devo anche finire una ricerca di Trasfigurazione”
“Non è troppo stressante per te tutto questo, Ginny?” chiese Hermione. “Hai i G.U.F.O., gli allenamenti quasi tutti i giorni...”
“Certo che è stressante” rispose lei incrociando le braccia, “Ma lo devo fare e lo faccio, niente di più, niente di meno. Certo, se avessimo ancora il nostro Cercatore ufficiale potremmo rilassarci, ma qualcuno ha avuto la brillante idea di farsi buttare fuori dalla squadra”.
Gettò un’occhiata di sottecchi ad Harry che deglutì colpevole, e Ron roteò gli occhi voltandosi verso Hermione.
“Credo che andrò a dormire”
“Non puoi!” esclamò Hermione, chiudendo il libro e fissandolo con rimprovero. “Devi venire a fare la ronda con me!”
Ron spalancò la bocca inorridito.
“No, no, ti prego. Ho bisogno di riposarmi” la supplicò, e Hermione sbuffò incrociando le braccia.
“Silente ha fatto male a nominarti Prefetto” disse scocciata, alzandosi. “Mi sembra di essere tornata all’anno scorso, quando non volevi impedire a Fred e George di vendere qui a scuola le loro Merendine Marinare o quelle Pasticche Vomitose”
“Hermione, dai, ti ho sempre accompagnata, ma stasera ho davvero bisogno di dormire”
“Se vuoi ti accompagno io” disse Harry, e Ginny e Ron si voltarono a guardarlo, così come Hermione che inarcò le sopracciglia.
“Perché, tu non sei stanco?” domandò. Harry si grattò la testa.
“Beh, sì, ma guardare la squadra dagli spalti ed urlare indicazioni non è così stancante come partecipare effettivamente ad un allenamento in sella ad un manico di scopa. Se ti scoccia andare da sola, ti accompagno io”
“Non mi scoccia andare da sola, mi scoccia che Ronald non adempia ai suoi doveri di Prefetto, è diverso” ribatté lei ostinata, e Ginny roteò gli occhi.
“Certo, dicono tutti così. Ammettilo che ti piace passare il tuo tempo con lui e che ti dispiace che stasera dovrai stare da sola”.
Hermione arrossì fino alla punta dell’ultimo capello e saltò su proprio mentre Ron si voltava a guardarla.
“Vado a fare la ronda!” esclamò voltandosi di scatto, mentre Ginny sorrideva sotto i baffi e Ron e Harry si lanciavano occhiate curiose.
Hermione uscì di corsa dal buco del ritratto e si ritrovò nei corridoi deserti e semibui.
Afferrò la bacchetta e l’accese, decisa a concludere quel giro di ronda nel modo più veloce possibile.
Per un attimo, mentre teneva la bacchetta puntata davanti ai propri occhi, si chiese cos’aveva voluto dire Ginny con quell’affermazione; certo, lei sapeva della cotta che aveva - o aveva avuto? - per Ron, l’aveva capito fin da subito, ma aveva anche capito che provava qualcosa di non ben definito per Malfoy.
Ma allora a che gioco stava giocando? Forse aveva detto quelle parole per farla uscire a fare la ronda? E con quale scopo?
Si ritrovò a ridere fra sé.
Magari Ginny aveva creduto che avrebbe colto l’occasione per andare a trovare Malfoy e stare un po’ con lui?
Ridicolo, assolutamente ridicolo.
Perlustrò i vari corridoi con la bacchetta in mano, sperando di non incontrare nessuno. Non aveva voglia di intavolare discussioni con ragazzini che cercavano di inventare scuse su scuse per non essere puniti e per non perdere punti.
Scese l’ultima rampa di scale e si ritrovò davanti al portone d’ingresso. Era aperto.
Con i sensi in allerta e la bacchetta pronta si avvicinò e si affacciò per controllare: magari qualcuno lo aveva lasciato aperto quando era rientrato, o forse qualche professore era uscito…
Si avvicinò lentamente guardandosi intorno con cautela mentre vari scenari le si paravano davanti.
Quando fece capolino attraverso il portone aperto sentì l’aria fresca della sera solleticarle il viso; era una sensazione piacevole. Si prese un secondo per guardarsi intorno mentre la leggera brezza le solleticava i capelli, ma non riuscì a scorgere nessuno. Decise di muovere qualche passo incerto verso l’esterno: non la elettrizzava l’idea di trovarsi da sola di notte nel cortile della scuola, quindi se non avesse visto qualcuno nei due minuti successivi sarebbe rientrata ed avrebbe chiuso il portone.
Tenne la bacchetta ben sollevata, la punta illuminata dal Lumos, quando sentì un tonfo alle sue spalle e si rese amaramente conto che il portone era stato chiuso.
Si girò di scatto.
“Metti via quell’affare”
Hermione spalancò gli occhi ma non abbassò la bacchetta, puntata dritta dritta tra gli occhi di Draco.
Cosa diavolo ci faceva lì?
“Il coprifuoco è passato da un pezzo” disse sicura, senza abbassare il braccio, e Draco la osservò con sguardo annoiato.
“Sono un Prefetto, posso girare quanto voglio”
L’espressione atterrita e confusa di Hermione si trasformò in un leggero ghigno.
“Non sei di turno questa sera, Malfoy. Dieci punti in meno a Serpeverde”.
Draco sembrò colpito da quella frase, ma non così tanto da abbandonare quell’espressione annoiata che si era impadronita del suo viso. Alzò piano una mano e per un attimo Hermione fu tentata di indietreggiare, non sapendo cosa avesse in mente, ma non fece in tempo a fare nulla.
Draco allungò un dito contro la bacchetta e l’allontanò piano dal viso.
“I Prefetti non possono togliersi punti a vicenda” disse serio.
Hermione deviò la posizione della bacchetta e con un sospiro chinò il viso, abbassandola.
“Lo so” disse, risollevando il capo per guardarlo meglio.
Draco non disse nulla, e così anche Hermione. Sembrarono scrutarsi per quelli che parvero interi minuti, ma Hermione fu più che sicura che non fosse passata neanche una manciata di secondi quando Draco riprese a parlare.
“Ok, torno nei sotterranei”
“Aspetta…!” Hermione si sporse verso di lui, che si era già voltato per andarsene, e lo afferrò per il bordo del maglione.
Draco non si ritirò a quel contatto e si voltò di nuovo a guardarla.
“Dimmi” disse solo, ed Hermione si ritrovò a non sapere cosa dire. Perché lo aveva fermato?
“Ecco… io…” tentennò alla ricerca di qualcosa di intelligente da dire, ma i ricordi dell’ultimo incontro che avevano avuto fecero capolino prepotentemente nella sua testa. Si sentì arrossire e dissimulò l’imbarazzo con un colpo di tosse.
“Sì, Granger?” incalzò lui, aspettando che lei continuasse. Ma non era poi così interessato a cosa aveva da dirgli. Era troppo preso dal suo viso ed in particolare dalle sue labbra, ma allo stesso tempo era combattuto.
Davvero si trovava a desiderare una Sanguesporco? Lui? Il rampollo Purosangue dei Malfoy?
Soffocò un risolino sarcastico. Ora probabilmente il loro cognome valeva molto meno di quello di qualunque mezzoBabbano.
Hermione deglutì a vuoto e poi prese coraggio.
“Posso chiederti dove sei andato?” gli chiese con voce pacata.
Draco non riuscì a percepire nessuna nota inquisitoria o di rimprovero in quella domanda. Alla Granger interessava davvero cosa stesse facendo.
“Sono andato in Guferia a spedire una lettera” si decise alla fine a rispondere, ed era vero. Non appena tutti si erano messi a dormire aveva sigillato con la magia il foglio di pergamena su cui aveva scritto e poi si era diretto alla Guferia per utilizzare uno dei gufi della scuola.
Hermione lo guardò di sottecchi cercando di capire se stesse dicendo la verità; parve decidere che non le aveva mentito ed evitò perciò di indagare. Se Draco si era preso addirittura la briga di uscire di notte per spedire una lettera, di certo non voleva che qualcuno lo sapesse né che ne sapesse il contenuto.
In quel momento la luna fece capolino da una nuvola che si era appena spostata, illuminandoli entrambi.
Hermione con un gesto silenzioso spense la luce sulla bacchetta (probabilmente aveva usato un incantesimo non verbale, si disse Draco) e la ripose nelle pieghe della gonna. Ormai erano abbastanza illuminati e non voleva che qualcuno dalle finestre riuscisse a scorgere le loro sagome. Se fossero stati beccati da Gazza si sarebbero trovati in guai davvero seri.
Draco cercò qualcosa da dire; frugò ancora ed ancora nella sua testa, ma non riuscì a cavarne nulla di buono. Quella ragazza lo metteva in difficoltà come nessun altro, non sapeva proprio cosa dirle.
“Facciamo un giro?” azzardò all’improvviso Hermione e Draco sentì i propri occhi dilatarsi.
“È notte, Granger. Non credo che sia l’ora più adatta. E poi infrangeremmo un mucchio di regole”
“Come se ti fosse mai importato qualcosa delle regole” rispose lei tirando fuori la lingua. Draco la fissò sgomento e poi scoppiò a ridere. Hermione rimase pietrificata: non credeva che una persona come Malfoy fosse in grado di tirare fuori una risata tanto cristallina. Era abituata alle sue risate di scherno, ai sorrisini più simili a ghigni, non alle risate vere e proprie. Arrossì appena, compiaciuta dal fatto che era stata proprio lei a provocargli quella reazione.
Draco la superò e quando la distanziò di un paio di metri si fermò.
“Andiamo?” disse, voltandosi verso di lei. Hermione sorrise imbarazzata e con un piccolo balzo lo affiancò, accennando un piccolo sorriso.
Nessuno disse nulla mentre si avviavano verso i giardini. Rimasero in silenzio beandosi della quiete circostante e gettandosi occhiate di tanto in tanto. Confusi, sull’attenti per cogliere qualunque rumore fuori posto, ma complici.



After you read:

8 anni.
Che dire, non credo ritroverò le stesse persone lasciate 8 anni fa, ma sarebbe abbastanza bello (tranne per gli insulti che sicuramente mi beccherò :’) ), così come sarà bello conoscerne di nuove!
Comunque niente, durante il forzato lockdown a causa del Covid ho ripreso in mano un po’ questo fandom e mi sono ributtata su questa storia. È proprio giusto il momento di concluderla!
Alla prossima

Tonna

  
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