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Autore: ALoserLikeMe    17/08/2020    0 recensioni
Gothel è una ragazzina timida e insicura, passa la maggior parte delle sue giornate in casa con la propria famiglia. Il mondo esterno quasi la spaventa. Tutto cambia quando, per la festa dei quindici anni suoi e di sua sorella gemella, incontra una ragazza, Talitha.
Quest'ultima è dotata di poteri magici, argomento completamente evitato in famiglia. I genitori di Gothel, la quale a sua volta è dotata di tali capacità, credono che sia la causa di ogni male della figlia.
Incuriosita, la ragazza vuole approfondire la conoscenza con Talitha, la quale ne modifica completamente sia il carattere che il modo di vedere le cose.
Gothel non sarà più la timida ragazzina di cui tutti si approfittano e che trattano male, imparerà a farsi valere.
Ma questo porterà delle conseguenze, perché una volta assaggiato il potere non riuscirà a tirarsi indietro...
Genere: Dark, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 4

 
 
Gothel aprì gli occhi. Il volto di Annabella, quando dormiva, era completamente identico al suo: avevano gli stessi lineamenti, il mento allungato e il naso aquilino, le ciglia lunghe e folte che coronavano gli occhi dalla forma stondata. Quando erano sveglie, tuttavia, era come se sembrassero un po’ meno gemelle, entrambe assumevano delle espressioni e degli atteggiamenti talmente diversi che a volte Gothel avrebbe potuto giurare che non sembravano nemmeno parenti.
Si trovavano nello stesso letto, fianco a fianco. Le due, nonostante avessero due letti nella loro camera, dormivano insieme da sempre, inseparabili anche nel sonno. Ultimamente però, nonostante non avesse avuto il coraggio di dirlo ad alta voce per paura che l’altra potesse prendersela a male, Gothel si sentiva stretta in quel letto, non le andava più di condividere tutto quello spazio con sua sorella. Si sentiva come a disagio, voleva più spazio e più tempo per sé stessa. Oltre a questo, le due gemelle ormai non erano più inseparabili come un tempo, se in passato avevano condiviso l’una con l’altra tutto quello che avevano dentro, adesso il rapporto sembrava più freddo. Annabella in verità mostrava lo stesso affetto per la sorella che aveva sempre mostrato, era orgogliosa di lei e allo stesso tempo aveva sempre quel suo modo di fare minaccioso verso chiunque provasse a ferirla. Gothel dal canto suo si sentiva sempre più distante da quella che un tempo era stata la sua unica e più cara amica, non le andava di raccontarle quello che aveva fatto durante le sue giornate -in parte perché sapeva che Bella non approvava, in parte perché era diventata molto riservata. Un po’ questa situazione la spaventava, non riusciva a capacitarsi di quanto fosse cambiata nel giro di un anno, di quanto non solo non avesse più bisogno di sua sorella ma quasi non sopportasse più la sua presenza. Non sopportava il fatto che la trattasse ancora come una ragazzina problematica da difendere da tutto e da tutti, non sopportava come facesse finta di non notare i difetti nei suoi amici, incolpando sempre Gothel se qualcosa andava storto, e più di tutto non sopportava il fatto che non fossero cresciute insieme. Erano sempre state diverse, con l’unica differenza che adesso Gothel non aveva più bisogno di un posto sicuro in cui rifugiarsi, qualcuno dietro cui nascondersi. Giorno per giorno diventava sempre di più sé stessa, una persona che a quanto pare ad Annabella -e alla sua famiglia- non andava bene.
Per il momento quelli erano tutti sentimenti che stava cercando di reprimere dentro di sé, ancora non aveva la forza di opporsi alla sua famiglia, di dire qualcosa che avrebbe potuto turbarli o farli arrabbiare. E quindi dormiva ancora insieme ad Annabella, la quale aprì gli occhi e le sorrise. << Buon compleanno, sorellina. >>
Quello era il giorno del loro sedicesimo compleanno. Da tradizione Annabella aveva insistito affinché lo festeggiassero insieme come avevano sempre fatto da quando si erano trasferite a Camelot tre anni prima: andare alla solita locanda con le solite persone per mangiare la solita torta insipida. Gothel non aveva invitato la sua nuova cerchia, sia perché non le interessava poi più di tanto festeggiare il proprio compleanno, sia perché sapeva che se lo avesse fatto ci sarebbero state diverse tensioni e voleva evitare.
Mentre scendevano le scale per dirigersi in cucina, Annabella sembrava molto emozionata: << Ho già pensato a come ci vestiremo e acconceremo, Camille è stata così gentile da offrirsi di cucirmi un pezzo del corpetto. Oggi pomeriggio ti farò vedere, sono certa che lo adorerai. >>
Gothel le fece un sorriso forzato, e stava per rispondere quando notò che seduto al tavolo di cucina stava Roger, incappucciato che teneva lo sguardo basso. Suo padre, il quale stava pulendo i piatti, non appena le vide andò incontro a Gothel, sussurrando: << Finalmente sei sveglia, il tuo amichetto non ha aperto bocca da quando è arrivato. >>
Gothel non rispose, si limitò a storcere il labbro di lato, guardando il ragazzino con le spalle ricurve. Da quando lo aveva conosciuto, quasi un anno prima ormai, era leggermente cambiato: aveva le spalle più larghe e piazzate, gli zigomi erano più accentuati, le braccia invece erano sempre magrissime e bianco latte. Aveva da poco compiuto quattordici anni, e nonostante il suo corpo stesse iniziando ad entrare nella pubertà aveva ancora il viso tenero e spaventato di un ragazzino. Lui, a differenza di Gothel, non era affatto cambiato.
Prese dal tavolo due tozzi di pane e gliene lanciò uno contro. << Dai, andiamo a mangiare fuori che è una bella giornata. >>
In verità era una pessima giornata, l’autunno era appena iniziato e la pioggia e il freddo la facevano da padroni, ma i due avevano bisogno di parlare indisturbati. Salirono sul tetto della sua casa, negli ultimi tempi lo avevano fatto spesso, quando Roger andava a trovarla.
Una volta seduti Gothel addentò un morso al tozzo di pane. << Adesso te lo puoi togliere il cappuccio. >>
E Roger lo fece. Come ci si sarebbe potuto aspettare, aveva il volto coperto di lividi, il labbro gonfio e viola, e sulla fronte aveva un taglio da cui usciva ancora sangue fresco.
<< Lo ha fatto di nuovo, vero? >> esordì lei infuriata. << Tuo padre ti ha picchiato un’altra volta! >>
Il ragazzo non rispose, si limitò a stringersi nelle spalle e guardare nel vuoto. Suo padre era un uomo violento e alcolizzato, capitava ormai troppo spesso che bevesse e alzasse le mani contro la moglie. Roger, stando a quello che diceva lui, interveniva sempre per difendere la madre, ma come risultato purtroppo otteneva solo schiaffi e pedate anche per sé stesso. Tutte le volte che capitava, successivamente si dirigeva verso casa di Gothel, per farsi consolare da lei, la quale aveva dei modi molto bruschi e sgarbati, più che consolarlo lo sgridava per non essersi ribellato a dovere. Eppure lui persisteva nel rivolgersi a lei per supporto, per un motivo alla ragazza oscuro. Gothel aveva mantenuto il segreto, non ne aveva parlato nemmeno con Talitha, per rispetto del suo povero amico. Malgrado ciò non riusciva a non infuriarsi quando lo vedeva conciato a quella maniera. << Io sono stufa marcia di vederti sempre ridotto così >> disse lei, con un tono di voce fermo e quasi scocciato. << Non vuoi essere aiutato, non vuoi ribellarti. Cosa ti costa alzare di più la voce? >>
<< Non tutti sono come te, Gothel. >> Fu la semplice risposta del ragazzino, pronunciata quasi sottovoce. La verità era che la ragazza non riusciva ad assistere a quelle scene perché Roger le ricordava troppo la sua io del passato. Anche lei non molto tempo prima aveva subìto tutto quello che la vita le aveva lanciato contro, aveva sopportato tutte le violenze e tutti gli abusi. Trovare la forza per reagire non era stato facile, ma una volta che l'aveva raccolta non era più riuscita a fermarsi. Adesso era come un fiume in piena, pronta a scoppiare al primo problema le si presentasse davanti. Sebbene ancora non avesse il coraggio di imporsi con la sua famiglia, nessuno si era più permesso di metterle i piedi in testa, perché lei non solo non lo aveva più permesso, ma aveva sempre messo le mani avanti, mostrandosi più dura di quello che in realtà si sentisse. la migliore difesa è l'attacco le aveva detto un giorno Talitha, e Gothel non si sarebbe mai più potuta dimenticare quella frase. << Almeno lascia che ti aiuti. >> Appunto perché si rivedeva in Roger, trovava snervante il fatto che non avesse la forza per ribellarsi come aveva fatto lei. E, non essendo brava con le persone, non riusciva nemmeno a trovare il modo più corretto per stimolarlo.
<< È un qualcosa che devo gestire per conto mio. Piuttosto, in città si sta già spargendo la voce di quello che è successo ieri sera. >>
Gothel non poté fare a meno di sorridere alla notizia. Se all'inizio era rimasta restia e non aveva approvato quello che facevano Talitha, Carson e gli altri amici che si era fatta nel corso dell'ultimo anno, adesso faceva parte anche lei di quella banda. Non avevano un nome, Talitha sosteneva che darsi un nome avrebbe significato darsi importanza, e darsi importanza avrebbe significato che non sarebbero rimasti nell'anonimato tanto a lungo. Con il tempo la ragazza aveva capito lo scopo di quella banda: era formata interamente da ragazzini che si sentivano ai margini della società, che sostenevano di aver ricevuto diverse ingiustizie nel corso della vita. E quindi avevano creato una giustizia tutta loro, quando notavano un torto non rivendicato intervenivano, poco importava di chi o di cosa si trattasse, lo erano sempre lì. La sera prima, per esempio, avevano pestato in piazza un mercante, il quale in realtà non era altro che un usuraio che approfittava dei prestiti che faceva alle persone in stato di difficoltà per chiedere degli interessi troppo alti, intrappolando queste povere persone in una spirale di prestiti sempre più sconvenienti.
Il pomeriggio, prima che tutto fosse organizzato e messo in atto, Gothel aveva visto negli occhi di Talitha come delle stelle luminose. << Sono veramente fiera di quello che stiamo facendo >> Le aveva detto presa dall'entusiasmo. << Di bande di teppisti ne è pieno il mondo, ma noi siamo diversi. Diamo voce a chi non si sente ascoltato. Forse i nostri metodi non sono proprio convenzionali, ma il fine giustifica il mezzo, ne sono convinta. >> Gothel le aveva sorriso in risposta. Non l’aveva compresa appieno all'inizio, aveva pensato che Talitha fosse una delle tante ragazze prepotenti, invece era tutto l'opposto. Aveva una natura fondamentalmente buona. E forse è per questo che un giorno le cose si sarebbero inclinate.
 
Anche quell’anno Annabella aveva insistito affinché sua sorella si vestisse elegantemente per partecipare alla propria festa di compleanno. E, anche quell’anno, Gothel si stava sentendo come una vera e propria scema. Gli amici di Annabella continuavano ad ignorarla, o a rivolgerle dei finti sorrisi di circostanza, e quel vestito la faceva sentire a disagio, dandole ancora più problemi a socializzare.
<< A breve arriverà la nostra torta preferita >> le riferì allegramente Bella, poi si guardò intorno, aggrottando la fronte. << Per caso hai visto Garrett? Ovviamente mi aveva detto che sarebbe venuto stasera. >>
La ragazza dovette impegnarsi proprio per non dar a vedere tutto il fastidio che provava per quell’individuo, non lo aveva mai sopportato, e da quando si era ufficialmente fidanzato con sua sorella, Gothel aveva iniziato a tenerlo costantemente sott’occhio. Annabella l’aveva un po’ delusa, sotto quel punto di vista, l’aveva sempre creduta troppo intelligente e sveglia per finire con una persona del genere. Si meritava molto di meglio, Gothel non poteva fare altro che sperare che un giorno sua sorella ci arrivasse. A onor del vero, con lei Garrett si era sempre comportato da vero principe azzurro, quasi fin troppo, e Gothel aveva sempre storto la bocca di fronte a tutte le carinerie che faceva a sua sorella.
Si limitò a scuotere la testa. << No, non l’ho visto. Avrà avuto un contrattempo. >>
<< Beh, sicuro non lo aspetterò per mangiare la nostra torta preferita. >> E detto questo Annabella sparì fra la folla.
Con la coda dell’occhio Gothel notò Carson in piedi dietro il bancone, intendo a servire boccali di birra e a ridere sotto i baffi di lei. Strinse forte i pugni: era come se in quell’anno non fosse cambiato niente, lei si sentiva molto più sicura di sé, non aveva più bisogno dei suoi genitori per uscire ed andare in qualsiasi posto, aveva trovato degli amici tutti suoi e aveva imparato a rispondere a tono a determinate categorie di persone. Eppure si trovava ancora una volta lì, trattata come lo zimbello di turno. Alcune persone, come Carson e Garrett, continuavano a fare gli sbruffoni con lei, a trattarla come uno zerbino da calpestare. Voleva liberarsi da questo enorme peso sullo stomaco, affrontarli a testa alta, ma ancora non ci riusciva.
Ad interrompere questo suo flusso di pensieri fu Annabella, che comparve con una torta gigante fra le mani. Quella torta la mangiavano tutti gli anni per il loro compleanno, perché sua sorella sosteneva fosse la loro preferita. In realtà era la sua preferita, Gothel la detestava, ma aveva sempre taciuto per non farla rimanere male. Oltre alla torta Bella teneva stretta fra le dita un cero da accendere, e posato il dolce sul tavolo lo passò alla gemella affinché lo accendesse con i propri poteri. E Gothel lo fece più che volentieri, con un sorriso smagliante accettò la candela fra le sue mani, con il palmo destro la strinse, mentre le dita della mano sinistra volteggiavano delicatamente in aria, un movimento sinuoso che diede vita ad una piccola fiammella. In quell’anno aveva imparato a gestire e controllare i propri poteri, non era stato facile all’inizio e si era dovuta impegnare parecchio affinché non fossero troppo fiacchi o troppo potenti. Non si sentiva ancora completamente padrona della propria magia, c’erano ancora così tante cose che avrebbe dovuto imparare a gestire. Annabella era l’unica a cui raccontava e mostrava periodicamente i suoi progressi. I suoi genitori, sebbene si fossero dimostrati comprensivi e contenti all’inizio, con il tempo avevano iniziato a sospettare che forse stesse esagerando. Gothel aveva discusso più e più volte con loro, provando a spiegargli che non c’era nulla di sbagliato nella sua magia, che non l’avrebbe mai utilizzata contro qualcuno o per fare del male, che voleva semplicemente comprendersi meglio. Ma tutte le volte le sembrava di parlare con un muro, non sembravano capire il suo punto di vista. Non si schieravano apertamente contro il praticare la magia, ma la demoralizzavano talmente tanto che forse era perfino peggio. Così aveva semplicemente imparato a tenergli nascosto tutto quello che imparava. Annabella era completamente diversa, ascoltava con curiosità e amore quello che la sorella le raccontava, e a sua volta lo andava a riferire con orgoglio a tutti quelli che conosceva, ad ogni occasione voleva che Gothel mostrasse di cosa era capace.
Ai suoi amici non era mai importato più di tanto, infatti nessuno si era scandalizzato poi più di tanto quando aveva visto accendere la candela.
Nel mentre Gothel posava il cero sul tavolo, la porta della locanda si spalancò, e la luce soffusa della lampada mise leggermente in risalto la figura di Garrett. Era completamente sudato e con il fiatone, come se avesse corso fino a là, aveva lo sguardo corrucciato e i denti che digrignavano, il petto gli si alzava e abbassava con violenza. Aveva gli occhi iniettati di sangue, i quali si posarono subito su Gothel. Lei, assolutamente confusa, lo vide camminare nella sua direzione, con un dito puntato contro e minacce di morte.
<< Brutta strega maligna, io ti ammazzo! >>
Per fortuna due suoi amici gli misero le mani sul petto, fermandolo prima che potesse farle del male. Garrett si dimenava, intimando i suoi amici di lasciarlo stare. Non ne voleva sapere di placare la rabbia.
Annabella, con le braccia aperte lungo i fianchi e l’espressione allibita, si avvicinò al gruppetto, guardando prima il proprio fidanzato e poi sua sorella. << Gothel, ma che gli hai fatto? >>
<< Assolutamente niente! >>Gothel era veramente confusa, non capiva cosa potesse aver mai fatto a Garrett per farlo arrabbiare così tanto, specialmente ultimamente. Proprio perché sapeva di non andarle troppo a genio, e che il sentimento fosse reciproco, aveva cercato di mantenere le distanze.
<< Lasciatemi stare! Io devo ammazzare quel mostro! >> urlò Garrett, e a quelle parole la schiena e tutto il corpo di Gothel si irrigidirono, quasi impallidì. Non veniva chiamata così da più di tre anni ormai, da quando gli abitanti del villaggio in cui abitavano prima di trasferirsi a Camelot, una volta scoperti i poteri magici di Gothel, aveva iniziato a chiamarla con quel termine, offendendola e minacciandola di morte, proprio come stava facendo in quel momento Garrett.
Anche Annabella aveva notato quale parola aveva utilizzato il suo fidanzato, ed era intervenuta. << Non chiamarla così! >>
Ma ormai era troppo tardi. L’aria nel locale si era fatta strana, come se si fosse venuta a creare un’energia troppo forte per essere contenuta in quella stanza. Quell’energia era Gothel. I bicchieri e le posate che si trovavano sui vari tavoli iniziarono a tintinnare, le tegole di legno lungo tutto il pavimento tremavano al punto che spostavano la polvere sopra.
<< Gothel, smettila! >> le urlò sua sorella, ma Gothel nemmeno la sentiva.
Le persone nel locale, che prima avevano guardato con disinteresse la scena, adesso stavano cominciando a preoccuparsi di quello che stava succedendo. Garrett non la smetteva di sbraitarle contro e offenderla, senza ancora spiegare il motivo di tanto accanimento. Urlava che Gothel gli aveva rovinato la vita, che per colpa sua non avrebbe più potuto vivere un giorno in pace, cosa avesse fatto rimaneva ancora un mistero tuttavia.
In quella locanda erano presenti due fuochi, uno era Gothel che, pur rimanendo immobile e con lo sguardo fisso sull’altro, creava un’atmosfera di terrore intorno a sé, e dall’altra parte c’era Garrett, il quale continuava leggermente ad avanzare verso di lei, e se solo i suoi amici non lo avessero tenuto a freno le si sarebbe scagliato contro. A fianco di Gothel si mise pure Carson, e la ragazza apprezzò molto quel suo gesto: benché non avessero un rapporto troppo intimo, l’avrebbe difesa in caso di pericolo.
Annabella continuava ad urlare ad entrambi di calmarsi e provare ad avere un dialogo finché, stanca di sgolarsi, non prese Gothel per un braccio e la trascinò fuori dalla locanda.
 
Gothel camminava a passo così spedito che sua sorella quasi doveva correre per starle dietro, nel mentre le urlava di fermarsi. << Come hai potuto fargli una cosa del genere? >> le chiedeva, con fare quasi disperato. Fra una minaccia e l’altra Garrett era riuscito finalmente a spiegare il motivo di tanto accanimento: stando a quanto diceva lui il mercante che la sera prima avevano pestato in piazza altri non era che suo zio, il quale ora, a causa della brutta reputazione che si era creato, temeva non sarebbe mai più riuscito a stringere affari con nessuno.
Gothel si fermò di scattò e si voltò, giusto in tempo per vedere Annabella fermarsi a sua volta e quasi andarle a sbattere contro. << Per tua informazione, non sapevo che quello fosse suo zio >> sibilò lei tra i denti. Non che comunque, se lo avesse saputo avrebbe cambiato le cose. Anzi, forse gli avrebbe pure tirato qualche calcio in più.
<< Garrett dice che vuoi semplicemente farlo star male perché non ti sta troppo simpatico. >>
<< E tu gli credi?! >> Di tutta quella faccenda, quello che le faceva più male era sapere che sua sorella non era dalla sua parte, che sarebbe stata disposta a prendere le parti di chiunque pur di cercare di comprendere il suo punto di vista. << Non ti riconosco nemmeno più. >>
<< Sono io che non riconosco più te! >> Fu la risposta isterica di Annabella, con i riccioli spiaccicati sulla fronte sudata e gli occhi spiritati. << Gothel, ma cosa sei diventata nell’ultimo anno? Ogni giorno ti guardo e vedo una persona diversa. >>
La ragazza rimase un attimo spiazzata. Rispose con un sospiro, talmente leggero che, se qualcuno non avesse prestato attenzione non lo avrebbe sentito. << Me stessa. Sono semplicemente diventata me stessa. >> Pausa. << Non sono un mostro >> si sentì in dovere di aggiungere.
<< Ma certo che non lo sei. >> Sua sorella cambiò completamente espressione, che diventò quasi dispiaciuta, affranta. Le si avvicinò e fece per prenderle la mano, gesto che Gothel non approvò affatto, e si scansò. L’altra fece finta di non badarci. << Solo che, ti sembra normale fare quello che fai tu? E non parlo solo dello zio di Garrett, questa è solo la ciliegina sulla torta… non mi piacciono i tuoi amici, credo che tu l’abbia capito. >>
<> Gothel ripensò a tutte le sere che, per farla contenta, era uscita insieme a quella manica di snob insolenti che non l’avevano mai accettata né accolta. Lei dal canto suo non l’aveva mai forzata a fare incontri che non voleva fare, l’aveva sempre lasciata libera di scegliere. A differenza di Annabella, non le aveva mai fatto alcun tipo di pressione. << Detesto ogni singola persona che frequenti, detesto quella sudicia locanda in cui mi costringi ad andare e più di ogni cosa detesto quella disgustosa torta di compleanno che ti ostini a farmi mangiare ogni anno. >>
Di tutto quello che le aveva detto, Annabella sembrò colpita più di tutto dalla storia della torta. << Credevo ti piacesse. >>
<< No, mi fa schifo. >>
Calò per un po’ il silenzio tra le due. Una aveva ancora il fiato affannato, e cercava di placare la rabbia, l’altra aveva lo sguardo basso e apprensivo.
<< Dai, ne riparliamo domani con più calma. Adesso andiamo a casa >> disse Annabella.
<< No. >>
<< No? >>
Gothel si tolse tutti i capelli dal viso, e guardò sua sorella a mento alto. << Esatto, ho detto di no. Non ho intenzione di tornare a casa questa sera. Me ne vado dall’unica persona in grado di capirmi a questo mondo. >> E, senza nemmeno aspettare la risposta dell’altra, si girò e se ne andò.
Nel camminare si tolse le scomode scarpe eleganti che Bella le aveva fatto indossare, e le buttò nel cespuglio più vicino.
   
 
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