Storie originali > Fantascienza
Ricorda la storia  |      
Autore: Shiki Ryougi    18/08/2020    0 recensioni
Il tempo scorre lento sulle tue guance,
è caldo e denso.
Vorrei abbracciarti e dirti che va tutto bene.
Posso solo guardare nell’occhio della spirale,
cercando quei petali della speranza.
A velocità frenetica devi correre,
altrimenti io morirò senza di te.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Un fiore sulla Luna
 
Luna, territorio della 33-esima Colonia

Il tempo scorre lento sulle tue guance,
è caldo e denso.
Vorrei abbracciarti e dirti che va tutto bene.
Posso solo guardare nell’occhio della spirale,
cercando quei petali della speranza.
A velocità frenetica devi correre,
altrimenti io morirò senza di te.

 
Quando aprii gli occhi doveva essersi fatto giorno ormai da tempo.
Avvolta nella coperta termica, mi stiracchiai nel giaciglio che diverse ore prima avevo improvvisato. Dormire sulla terra dura e arida non era stata un’idea ben ponderata ma non avevo avuto scelta; nonostante mancasse meno di un’ora di camminata, in confronto alle due già percorse, le gambe avevano cominciato pericolosamente a cedermi. La scelta si era quindi vincolata a due opzioni: svenire a terra all’improvviso, rischiando di farmi seriamente male, oppure riposarmi per bene, nonostante significasse perdere delle ore preziose.
La paura di aver sprecato così tanto tempo mi fece alzare subito in piedi, ignorando i vari dolori muscolari dovuti alla faticosa camminata già affrontata, sommata al precario letto fatto di nuda terra. Piegai in fretta la coperta e la infilai nello zaino insieme alla torcia, ormai diventa inutile.
Anche se era teoricamente estate, quella mattina faceva freddo; rabbrividendo, ripresi a camminare, mente alzavo lo sguardo verso la meta dritta davanti a me, sempre più vicina.
L’Obelisco s’innalzava per chilometri verso il cielo, quasi bucando la barriera elettromagnetica che, avvolgendo l’intero satellite, ci permetteva di respirare aria liberamente, insieme a una infinità di altre cose complicate. In poche parole, la super avanzata atmosfera artificiale della Luna permetteva agli esseri umani di vivere come se si trovassero sulla Terra.
Più o meno; in pratica non era proprio vero, avevo sentito dire diverse volte da mia madre.
Pensando a lei, strinsi i pugni e affrettai il passo, percorrendo la pallida pianura a lunghe falcate.
Avevo sei anni quando l’Obelisco Lunare apparve dal nulla. Mi rimase impressa in mente il ricordo dei continui sbalzi elettromagnetici, delle scosse sismiche e delle persone che non facevano altro che parlarne. Alcuni pregavano.
«Dopo quelli apparsi nei cinque continenti della Terra, anche la Luna ne ha uno proprio!».
“Proprio, possedere…”, che gli esseri umani della Luna possedessero quell’inimmaginabile struttura o entità, che poteva solo essere opera di mani divine, era improbabile e stupido. Caso mai era lui a possedere noi.
Ma non era il momento di mettersi a riflettere su questo. Solo una cosa in riguardo all’Obelisco mi interessava, ed era lo scopo del mio viaggio: il suo potere.
Io ero nata e cresciuta sulla Luna, mentre mia madre era una colona proveniente dalla Terra. Era stata costretta a trasferirsi a causa della sovrappopolazione. Vivevamo insieme, noi due sole. Mio padre era morto l’anno dopo la comparsa dell’Obelisco. Che fosse un caso o meno non lo sapevo e non avrei mai avuto una risposta, ma una cosa era certa… da quando era comparso le persone avevano cominciato a morire più facilmente. Alcuni pensavano che quella cosa chiamasse a sé i meritevoli oppure che, al contrario, punisse chi aveva peccato. Ma non potevo credere che mia madre fosse una brutta persona, così come mio padre, quindi preferivo pensare alla prima opzione.
Poco prima del tramonto avrei compiuto dodici anni e per quel momento volevo assolutamente trovarmi a casa. Era importante che riuscissi a compiere la mia missione, per quanto sciocca fosse. Quindi con lo zaino in spalla, i lunghi capelli rossi legati accuratamente e calzando gli unici stivali che avevo, cominciai a correre.
Non avrei salvato la vita a mia madre, ma almeno avrei donato a lei del tempo in più.
 
“Lui ti guarda nel cuore”, sussurrai nella mia mente, mentre uscii dalla folta coltre di nebbia, stagliandosi davanti ai miei occhi la sua imponente base. Mi trovavo a circa cinquanta metri di distanza, dove era conficcata nel terreno ricolmo di vita.
Avevano sempre detto che sulla Luna non era possibile coltivare nulla. Non vi era altro che polvere, ovunque si volgesse lo sguardo; ma lì, intorno all’Obelisco, sembrava di essere approdati in un altro mondo.
Con lo zaino in spalla e le mani strette sulle bretelle, mossi il mio primo passo in quel prato rigoglioso.
Poco prima avevo attraversato un fitto banco di nebbia, dove a stento riuscivo a camminare, siccome non vedevo praticamente nulla; poi l’aria si era fatta limpida e l’avevo visto, il Giardino.
Prima di allora avevo solo sentito parlare della sua bellezza ma mai sarei stata capace di avvicinarmi con l’immaginazione alla sua maestosità.
Con gli stivali circondati dai fili d’erba, cominciai a piangere. Le lacrime mi rigavano le guance arrossate e i singhiozzi erano incontenibili. Avevo le braccia strette al petto che si alzava e abbassava affannosamente mentre intorno alle gambe volavano vari insetti multicolore. Prima di allora avevo visto tutto ciò solo nei libri di scuola, dove raccontavano il tempo in cui la Terra era ancora verde.
Non avevo più paura, ma ero comunque scossa dai brividi; credo di non aver mai provato prima delle emozioni così forti.
Decisi di riprendermi in quanto la missione non era ancora finita.
Ero lontana dalla base ed era lì che avrei trovato il mio tesoro, il Fiore della Vita.
Molte persone avevano pellegrinato fino al Giardino ma poche si erano spinte fino alla base dell’Obelisco, tornando indietro sane e salve.
Giravano molte voci a proposito, di allucinazioni visive e uditive, ma non mi sarei lasciata intimidire; l’alternativa sarebbe stata condurre una vita con il peso del fallimento.
Si diceva che il Fiore della Vita avesse delle proprietà magiche e che nascesse proprio dalle moltitudini di spirali che componevano l’Obelisco. Una struttura talmente informe e insensata che poteva solo essere attribuita a Dio.
Sapevo in fondo al cuore che questo viaggio forse avrebbe richiesto la mia vita, oggi stesso o un giorno in futuro. Non c’era scampo.
Tenevo le mani in tasca e annusavo l’aria umida e profumata, spostando la mia attenzione un po’ ovunque.
Qualcosa, che non sono in grado di descrivere, ruppe all’improvviso quel silenzio ovattato e quando alzai lo sguardo scoprii di trovarmi in un altro luogo.
L’Obelisco davanti a me era scomparso, così come le piante, gli insetti e la luce del sole.
Adesso mi trovavo in un immenso prato illuminato solo da una tiepida luce bianca che diradava la notte; la luce della Luna, un cerchio luminoso nel cielo stellato.
 
«Chi sei?», mi domandai.
«Irene», risposi.
«Dove ti trovi?».
«Non lo so».
Nell’aria non vi era alcun suono, a esclusione di quello della mia voce. Il silenzio era coì irreale da essere opprimente, a tal punto da poterti schiacciare a terra con il suo peso.
In piedi, paralizzata dallo stupore e dalla paura, non riuscivo nemmeno a pensare.
“Dove sono? Questa non è la Luna ma non può nemmeno essere la Terra…”.
Le parole echeggiavano sconnesse nella mia testa. Le domande erano troppe e le risposte inesistenti.
Per la prima volta mi sentii davvero persa.
Cercando di mantenere la calma, mi sedetti a terra e lasciai cadere il pesante zaino dietro di me. Avvicinai le ginocchia al petto e cominciai a cullarmi.
Cosa mi era stato detto a proposito del Giardino?
Cominciai a riflettere.
Più ci si avvicina alla base dell’Obelisco e più facilmente si cade dentro un’illusione.
Doveva per forza essere così.
“Ma se allora sono come in un sogno, basta che mi do un pizzicotto e mi sveglierò”.
Non funzionò, ovviamente, e la cosa doveva essermi fin da subito piuttosto ovvia; questo non era un semplice sogno. No, era qualcosa di più simile a una realtà artificiale. Era tutt’intorno a me e non sarei potuta fuggire solo schioccando le dita.
Risolvi lo sguardo al cielo stellato, dove la Luna si stagliava luminosa. Non avevo mai avuto la possibilità di ammirare uno spettacolo del genere. Dal satellite era impossibile perché il campo elettromagnetico e l’inquinamento rendevano il cielo verdastro di giorno e viola di notte. Nessuna luce dell’universo, a eccezione di quella del sole, era in grado di penetrare quella spessa coltre di nuvole velenose. Quindi di nuovo quasi mi misi a piangere perché ero fortunata, oltre che molto avventata. Forse non avrei nemmeno fatto ritorno ma al momento mi interessava solo lasciarmi cullare dalla bellezza che ricopriva la volta celeste.
La prateria sembrava infinita e dove finiva il prato iniziava il cielo notturno, come se non vi fosse un vero confine tra i due mondi. Il tutto era amalgamato come in dipinto pieno di colori, come quelli che si vedevano nei libri di arte a scuola. Vivere davvero in un quadro, percorrerlo, saggiarne l’odore e il fresco vento sulla pelle, era tutt’altro a confronto. Niente sarebbe paragonabile a tale beatitudine, che quasi mi fece dimenticare la mia missione.
Asciugandomi gli occhi, mi alzai in piedi e iniziai a guardarmi intorno con attenzione, in cerca di qualsiasi cosa che potesse indicarmi una via da percorrere. Un indizio, una luce diversa da quelle del cielo, una strada; qualcosa.
Camminai non so per quanto tempo, tanto che ormai i piedi urlavano dal dolore e la schiena implorava pietà. Proseguivo dritta di fronte a me e non vedevo altro che una sconfinata prateria dove l’erba incolta mi arrivava fin sopra alle ginocchia. Spostarsi era sempre più difficile, presto avrei ceduto alla stanchezza.
È così che sarei morta? Di stenti, in questa illusione?
Un modo terribile per andarsene, ammirando qualcosa di spettacolare che non avrei potuto raccontare a nessuno. Un puro spreco.
Dopo un ulteriore quantità di tempo indefinito, mi fermai, stremata, e caddi a terra, urlando: «Mamma, ho fallito! Perdonami.» ero in lacrime. Singhiozzavo per il dolore e la vergogna, sotto quella magnificenza. Nessuno poteva sentirmi, solo il divino sguardo del cielo e l’autore di quel mondo ormai dimenticato. Se esiste un Dio, di certo mi aveva abbandonata a quell’atroce tormento perché avevo osato sfidarlo. Era la mia punizione, non avevo altra scelta se non accettarla, pagando con la vita e l’orgoglio. Anzi, per amor proprio smisi di piangere e gemere e mi distesi. Dalla stanchezza, piombai all’improvviso in un sonno profondo.
 
Aprii gli occhi al suono di una voce ovattata che mi invase direttamente la mente: «Chi sei?».
«Irene…» risposi, senza aprire bocca. Le parole risuonarono ancora nella testa.
«Dove ti trovi?».
«Non lo so».
«Perché sei qui?».
Esitai, perché ero lì? Avevo dimenticato il mio obbiettivo, che risiedeva in qualche meandro lontano della mia memoria.
«Perché sei qui?» insistette la voce.
«Per prendere un pezzetto del potere di Dio» questa frase prese forma senza che io le detti il consenso. Si creò naturalmente: era forse la verità?
Non ricordavo il vero motivo, ma sentivo che forse, in realtà, avevo sempre agognato solo a questo.
«A cosa ti servirà?».
Altra domanda difficile, sapevo bene che dalla risposta sarebbe dipesa la mia salvezza.
Cominciai a osservare i miei pensieri, perché prendevano forma lentamente, come fotografie del passato. Scorrevano davanti ai miei occhi con estrema calma, perché qui le cose sembravano avere un decorso differente. Il tempo non esisteva o aveva una conformazione estremamente lenta rispetto a ciò che si percepisce nel mondo reale. Questa non era una semplice illusione, ma una spirale concatenata di eventi della mia vita, una spirale adatta a me. Il mio personale pezzo di potere divino, quel fiore che tanto cercavo riemerse insieme al resto delle immagini: era tutto davanti a me. Un unico fiore dai colori indescrivibili e al suo fianco una lumaca ne assaggiava una foglia. Lentamente, come lento era il susseguirsi delle mie memorie e la mia capacità di pensare. Ogni cosa prendeva forma con estrema calma, ma ciò mi dava il tempo di riflettere, un tempo che non avevo mai avuto in vita mia, nella vita frenetica che conducevo ogni giorno, resa ancora più invivibile dalla malattia di mia madre.
Sì, ora mi era tutto chiaro, o quasi.
«Voglio donarne un pezzo a una persona che amo, per restituirle un po’ di tempo» le parole questa volta uscirono dalla mia bocca, formando una bolla dove la piccola lumaca appariva ingigantita di dieci volte, se non di più. Capii che era stata lei a parlarmi, fino a quel momento.
Il tempo si fermò definitivamente e la lumaca smise di mangiare, osservandomi, come incuriosita.
“Cosa significa tutto ciò? È forse lei Dio?”.
«Non sono nessuna entità associabile a Dio.» mi rispose, sempre in via telepatica, scandendo bene ogni parola, «sono te e al tempo stesso io sono Tutto. Qui siamo nella tua spirale personale e io personifico solo ciò di cui hai davvero bisogno. Più tempo».
Rimasi senza parole e non potetti fare a meno di piangere, mentre mi piegavo sulle ginocchia ormai logore. Il fiore di fronte a me cominciò a pulsare e la bolla scoppiò all’improvviso, in silenzio.
Non c’era più niente intorno a me, solo i ricordi di una vita che sembrava nemmeno appartenermi più. In una di quelle immagini mi trovavo nelle braccia di mio padre, dove mi stringeva forte a sé per poi farmi volare in aria e riprendermi, al sicuro tra le sue braccia. Era confortante e dolce, un momento che avevo del tutto dimenticato.
Inconsapevole se quel tempo in più mi fosse stato concesso o meno, per donarlo a mia madre, allungai la mano verso il fiore che tremava e pulsava davanti a me, con i suoi colori indefiniti.
 
Mi svegliai nel Giardino, sotto il calore dei raggi del sole che riuscivano ad attraversare la potente coltre di nuvole elettromagnetiche. Insetti colorati volano sopra al mio viso, mentre fiori e vari ciuffi d’erba mi avvolgevano delicatamente l’intero corpo. Sentivo la carezza del vento, mentre mi scompigliava i capelli e percepivo il solletico delle zampette delle formiche e coccinelle sulla mia pelle nuda.
Era ancora mattina, non doveva essere passato nemmeno un secondo; tutto ciò che avevo vissuto l’avevo fatto in un’altra realtà, lontana da questa, dove il tempo aveva il suo decorso, molto più lento.
Avevo le guance calde a causa del sole e delle lacrime ma tremavo perché mi resi conto di avere nella mano destra un piccolo fiore, di colore grigio, completamente diverso da qualsiasi altra pianta avessi mai visto. Era senz’altro quel Fiore. Avevo adempiuto alla mia missione, l’avevo trovato. Ero stata ritenuta degna di salvare mia madre.
Ero quasi al margine esterno del Giardino, dove la natura pian piano cominciava a svanire, lasciando spazio alla polvere, sotto una spessa coltre di nebbia.
Dovevo riattraversare quel muro di nuvole e percorrere ore di strada a piedi per tornare indietro. Ed ero stanca, davvero esausta, ma entusiasta come non mai.
“Avrei rallentato il tempo che potevamo ancora trascorrere insieme? L’avrei guarita dalla sua malattia? Saremmo morte insieme per ricongiungerci a papà, tra le spirali dell’Obelisco?”.
Non avevo alcuna risposta, solo domande, ma incurante dell’incertezza, mi misi a correre, con lo zaino in spalla e il fiore gelosamente riposto in una scatola che mi ero portata dietro.
 
 
Questo racconto nasce come spin-off di una storia che ho in mente da molti anni che però ancora non avuto il coraggio di scrivere. Magari continuerò questa, trasformandola in una raccolta di one-shot; storie differenti di uno stesso universo, che navigano intorno alla storia principale che invece è nella mia testa. Ma io voglio farne tante di cose e non trovo mai il tempo e il modo. Vedremo.
Grazie per aver letto!


Questo contenuto, o a esso collegato, è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
Proprietà di Cecilia Maria Cimmino.
Contatti ufficiali:
  • Blog: mymadreams.com
  • Email: mymadreams.email@gmail.com
   
 
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantascienza / Vai alla pagina dell'autore: Shiki Ryougi