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Autore: Aliseia    18/08/2020    2 recensioni
Era come lui, quel ciondolo che rappresentava la casata dei Riario: dolcezze infantili e aculei.
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Girolamo Riario, Leonardo da Vinci
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'In The Vault Of Time'
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Fandom: Da Vinci’s Demons
Genere: Angst – Romantico
Rating: Teen and up audience
Personaggi: Leonardo Da Vinci, Girolamo Riario, Zoroastro da Peretola

Note alla storia: in questa storia si fa riferimento agli eventi narrati in Beautiful Crime. Basti sapere che, prima di raggiungere Milano, Leonardo ha incontrato Girolamo a Venezia. E che i due hanno trascorso insieme una romantica notte.
I Pov sono alternati e separati da un asterisco.
P.S. Il Papa decise davvero di stipulare una tregua con il Re di Napoli (schierato con Ferrara) su pressione di Ludovico il Moro. Poi, se volete pensate che un certo Artista abbia avuto la sua parte in questa vicenda, fate voi…
Dediche: a Miky, perché i nostri monelli meritano un po’ di fluff, e anche noi.
A Abby, che questa estate ha sognato principi e castelli… proprio come noi!
Disclaimer: I personaggi e i luoghi presenti in questa storia in gran parte non appartengono a me ma a David S. Goyer, agli altri autori della serie e a chi ne detiene i diritti.
 
 
The Rose

 
Some say, "Love. It is a river
That drowns the tender reed"
Some say, "Love. It is a razor
That leaves your soul to bleed"
Some say, "Love. It is a hunger
An endless aching need"
I say, "Love. It is a flower
And you its only seed"

It's the heart afraid of breaking
That never learns to dance
It's the dream afraid of waking
That never takes the chance
It's the one who won't be taken
Who cannot seem to give
And the soul afraid of dyin'
That never learns to live

When the night has been too lonely
And the road has been too long
And you think that love is only
For the lucky and the strong
Just remember in the winter
Far beneath the bitter snow
Lies the seed that with the sun's love
In the spring becomes the rose

 
The Rose – Bette Midler
 
Giocò con le dita tra i petali e le punte, esitando con il polpastrello al centro, nel cuore e poi tornando a sfiorare le spine. Era come lui, quel ciondolo che rappresentava la casata dei Riario: dolcezze infantili e aculei. Baci rosso sangue e poi contatti più lievi, sulle palpebre, sul petto e poi scendendo, perdendosi come un ubriaco all’incrocio dei muscoli sul ventre. Il suo uomo. Il suo uomo schivo, scontroso, con gli occhi gonfi di tenebre e le labbra più mobili delle nuvole. «Dimmelo ancora.» soffiò sulla sua bocca.
«Che cosa? Non ho proferito verbo.»
«Quello che hai detto stanotte… L’hai detto.»
«Hai sognato.»
Leonardo inalberò un broncio fugace che presto si aprì in un sorriso spudorato e inconfondibile. «Hai ragione. Tocca a me…». Ma prima che quelle labbra rosa e invitanti potessero piegarsi e aprirsi in una sonora dichiarazione, Girolamo gli aveva già sollevato il mento, afferrandolo saldamente con due dita. «Non dirai nulla – ordinò - o non mi troverai qui questa sera.»
Il “qui” era Vinci. Erano infatti nascosti insieme nella dolce campagna toscana, nella casa dove Leonardo era nato. Una costruzione squadrata, rustica e certo lontana dai fasti a cui era abituato il Conte. Leonardo era così assorbito dai suoi studi che non aveva neanche pensato di ristrutturarla, anche perché la sua vita era ormai a Milano, alla corte di Ludovico il Moro. A quei tempi Girolamo era impegnato contro Ferrara e contro la stessa Milano in quella che fu chiamata la Guerra del Sale e che lo vedeva dalla parte di Venezia. Ferito in battaglia e dichiarato disperso dalle truppe papali, era stato soccorso e messo in salvo dall’ingegnere militare del Moro, l’artista e inventore Leonardo Da Vinci. Mentre l’esercito di Ludovico e quello del Papa non smettevano di cercarlo (con pari sollecitudine, anche se per opposte ragioni) il Signore di Imola e di Forlì non correva alcun rischio, avendo trovato rifugio nel luogo meno probabile: la casa natia di uno dei suoi peggiori nemici. Difficile per quelli indovinare un tale tradimento. Ma tradimento era una parola che per Leonardo non aveva alcun significato. Non in quel caso. Non provava piacere nel progettare battaglie e strumenti di morte, il suo unico scopo era sempre stato quello di evitare, quanto più possibile, quello spreco di vite che altri chiamavano “guerra”. A maggior ragione se tra quelle vite ce n’era una che più delle altre, costantemente, lo sorprendeva. «E dove vuoi andare? – chiese Leonardo con un sorriso incerto – Sei troppo debole per viaggiare da solo e certo non vorrai che io mi esponga come traditore di Ludovico Il Moro…»
«Ma lo sei… un traditore – ora anche Girolamo sorrideva – Sebbene tu riesca sempre a sembrare innocente. Dio solo sa come…»
«Dovevo lasciarti morire?» chiese Leonardo stringendosi un po’ al suo nemico, le gambe che scivolavano tra le sue.
«Forse.» rispose Girolamo senza più sorridere.
Anche Leonardo tornò serio. «Lasciate perdere, tu e il Papa. Ritiratevi. Venezia sta diventando troppo forte e presto sarà una minaccia anche per voi.»
Girolamo inclinò il capo con quella sua aria curiosa di rapace. «Lasciar perdere, dici? Per non rafforzare Venezia… Le tue parole potrebbero contenere un’insolita saggezza. Insolita per te, intendo. Ma non mi arrenderò mai, non sono un vigliacco.»
«Sprecare la vita… Quella sì, è una vigliaccheria!» Leonardo si alzò di scatto. Nudo e bellissimo agitava come al solito braccia e mani per significare qualcosa che non riusciva a dire con le parole. Girolamo, ancora sofferente per la ferita al fianco, si sollevò a fatica e rimase seduto sul letto. Lo fissò in silenzio poi con uno scatto lo afferrò saldamente per la vita, attirandolo a sé. I suoi occhi brillavano di desiderio, strusciando il viso sul suo ventre finì per mordere la curva ambrata e invitante di un fianco.
 
«Leo! Leo! Disturbiamo? Riferisci al Conte di indossare il suo elegante vestitino! Non sia mai che io debba vederlo nudo, ho appena fatto colazione!» Da sotto la voce allegra di Zoroastro riempì all’improvviso l’aria mattutina. Seguì una risata argentina che sembrava proprio quella di Atalante Migliorotti, un musico allievo di Da Vinci. Girolamo fissò Leonardo come a fulminarlo poi in fretta afferrò i pantaloni che aveva abbandonato sulla sedia accanto al letto. «Resta giù!» gli intimò Leonardo. «Resta.» lo pregò poi più dolcemente, premendo sulle sue spalle affinché rimanesse almeno seduto, senza sollecitare ulteriormente lo squarcio che gli aveva fasciato sul fianco. Durante la notte appassionata in cui avevano alternato liti e cure, baci e pozioni, non avrebbe voluto neppure sfiorarlo per non causargli ulteriori sofferenze. Ma poi Girolamo aveva preteso le sue attenzioni. Aveva preteso tutto, piacere e dolore, e Leonardo ormai sapeva che non c’era modo di sfuggire né ai suoi ordini né alle sue preghiere.
«Resta seduto! – ripeté più seccamente – Non ho rischiato la testa per vederti di nuovo ferito e dolorante!»
Girolamo spalancò gli occhi, si portò le ginocchia al petto e le strinse come avrebbe fatto un bambino colto in fallo.
Ecco, di nuovo quell’aria indifesa, vulnerabile, disarmante. Leonardo lottò per un attimo con la voglia di tornare a letto ma i due uomini sotto alzarono il volume delle loro proteste. «Maestro, forza! Dobbiamo provare l’effetto della mia musica a tempo con i vostri fuochi!» Il pretesto di quel repentino ritorno a Vinci era infatti quello dell’ennesimo spettacolo pirotecnico richiesto da Lorenzo. Ma questa volta con un’affascinate novità: il musico Migliorotti avrebbe accompagnato i numerosi giochi di luce con le sue note altrettanto gaie e brillanti, con i capricci del suo liuto, con il fascino giovanile e scontroso del suo talento ancora acerbo.
Leonardo spalancò le braccia scendendo le scale. L’amicizia di quegli uomini fedeli e pieni di fascino era per lui un conforto nella fredda Milano. Conforto e complicità: questo provava alla loro vista. Una sensazione dolce, un calore al centro del petto. Niente dolore, nessuna esaltazione. Niente di paragonabile con il bisogno che rende folli, con il desiderio che consuma… con la gioia che ti trasfigura la vita. Ma di queste cose l’uomo che ora rimuginava, certo furioso, tra le sue lenzuola, non doveva e non voleva sapere nulla. Solo una volta il Conte aveva lasciato cadere un interrogativo. Su Zoroastro. Non su quello che l’Artista provava ma su quello che presumibilmente sentiva l’altro. Leonardo non rispondeva, perché non sapeva rispondere. Non aveva fatto domande su Atalante, e questo era un po’ più strano… quando bastava affacciarsi a un qualsiasi balcone di Milano per udire i sussurri che lo designavano come amante del Maestro. Tutto vero, per altro. O forse no. Il giovane musico era stato suo allievo (e, sì, un intrigante trastullo tra le lenzuola) nell’ultimo periodo a Firenze. Quindi erano partiti insieme per Milano. Ma prima di Milano c’era stata Venezia. Palazzo Duodo e il matrimonio del Sole con la Luna. Leonardo era un artista, viveva per i pezzi unici, non amava le repliche senz’anima. E la notte clandestina trascorsa con Girolamo non era replicabile con un altro. Ma insomma, era necessario che Girolamo lo sapesse? E poi davvero, come dirlo a parole senza farlo scappare? Se c’era una cosa che il suo amante temeva era la felicità. Ed era sempre così complicato tra loro. Così difficile da spiegare. Nella notte dolce e sospirosa tra le colline toscane era certo di averlo sentito sussurrare quelle parole… Ma ora, alla luce del sole, non ne era più tanto sicuro. E ora come allora Leonardo continuava ad alternare gioia e dolore. Lo salvava, lo curava, lo faceva entrare nel suo letto. Poi organizzava una cena con i fedeli compari e quella cena diventava evidentemente una tortura. Tra le battute feroci di Zoroastro e gli sguardi curiosi di Atalante, la complicità che li univa al Maestro e che inevitabilmente escludeva il Conte, cupo e schivo e più portato per natura al sarcasmo che all’ironia. Certo, Leonardo era impulsivo ma non crudele. Aveva afferrato la sua mano, sotto il tavolo, sfiorato il suo ginocchio, senza mai lasciare il suo sguardo. Ma Girolamo aveva rifiutato ogni segnale di intimità: nei suoi occhi cangianti brillava solo un misto di sdegno e di disprezzo. Dopo avevano fatto sesso, con una rabbia che aveva lasciato Leonardo senza fiato. Solo, nel letto, a fissare nell’oscurità il rettangolo pallido della finestra. Intravedeva da lì il limitare del bosco e la figuretta lontana di quel pazzo che si trascinava a fatica tra gli alberi, con la ferita che ancora gli sanguinava e troppo orgoglio per accettare il suo conforto. Poi avevano avuto un’altra notte, quella appena finita. Di una dolcezza che faceva male… Ma sempre senza parole intelligibili. Tranne che per quelle sussurrate, in un tipico momento in cui di solito si dicono tante cose, anche sbagliate. E adesso era Girolamo che preferiva restare solo in quella stanza, nel letto ormai freddo, piuttosto che affrontare gli altri affetti della vita di Leonardo. Per pudore, per rimorso… per la paura di perdere tutto se appena quel “tutto” avesse avuto un nome.
 
*
I tre uomini percorrevano l’aia a lunghi passi. Erano giovani e belli: accanto a Leonardo, dritto e scattante come un ballerino, c’era il suo più fedele amico, il bruno e aitante Zoroastro, e poi il più giovane di tutti, il leggiadro Atalante. Biondo e riccioluto, a Girolamo ricordava un po’ Nico. Appena un po’ più serioso e meno etereo. E lo odiava, con la stessa intensità con cui aveva amato Nico. Il giovane Macchiavelli era un angelo da ritrarre in un angolo del quadro. Ma costui era insieme della terra e del cielo: un artista, ma anche un uomo. Reale e consistente come Zoroastro, che però rappresentava tutta un’altra storia. Erano due passioni a metà: una sentimentale, l’altra carnale. E alimentavano una doppia gelosia che si esprimeva in modi opposti: l’ostilità con Zoroastro era così dichiarata da essere ormai una farsa, alimentata dal sarcasmo di entrambi; la gelosia per Atalante divorava Girolamo da dentro, e non si rivelava all’esterno se non per pochi particolari. Un guizzo nello sguardo febbrile, un fremito di quelle mobilissime labbra. Piccole cose che forse ai due fedeli amici erano sfuggite. E forse, chissà, anche a Leonardo. Incredibile che un tale genio potesse rivelarsi tanto idiota nell’interpretare i sentimenti… Incredibile e rassicurante. Certo, Zoroastro sarebbe sempre stato la spina nel fianco di Girolamo, la passione irrisolta di Leonardo e perciò la più pericolosa. Ma non sarebbe mai stata consumata. Quella per Girolamo era una certezza. Era tanto? Era poco? Difficile dirlo per un uomo come Da Vinci, tanto elevato nello spirito ma altrettanto passionale. Non importa. Girolamo, che era una creatura altrettanto sensuale, sentiva e sapeva che i due non sarebbero mai stati compatibili. Era la mancanza di quella chimica inafferrabile, ma perfettamente riconoscibile: c’era tra loro due, gli ex nemici, ma non c’era tra l’Artista e il suo fido aiutante. E questo a dispetto di un affetto tale che Girolamo non avrebbe esitato a chiamarlo con un altro nome. E che a volte tracimava dai gesti e dagli sguardi in modo talmente impetuoso da fare male persino a lui, testimone geloso e tutt’altro che disinteressato. Con Atalante era diverso. Con Atalante tutto cominciava dai sensi, com’era stato con Lucrezia. E il Conte Riario ricordava bene quale follia avesse innescato Lucrezia. Girolamo non chiedeva e Leonardo non smentiva, ma da certe occhiate tra i due non v’era dubbio che il confine tra la fantasia e la realtà fosse già stato attraversato. E a pensarci bene non era vero che Leonardo non avesse detto nulla. “Le cose tra noi cambiarono quando giungemmo a Milano” una frase lasciata cadere in una normale conversazione. Avrebbe potuto dirlo in un altro modo: “Le cose tra noi cambiarono dopo Venezia”. Una parte della sua anima sapeva che era così. Che Leonardo, come lui, non avrebbe potuto sfiorare un altro uomo dopo Venezia. Ma adesso forse esagerava, attribuendo a un uomo così superiore un sentimento tanto sciocco…
Si sentiva così mentre aspettava, la fronte appoggiata al muro, un sorriso amaro sulle labbra. Alzò il capo di scatto e si concesse di sbirciare da una finestra. Niente.
La notte era scesa di nuovo, senza che Girolamo Riario vedesse tornare il suo amante. Suo… fino a quando? Ora magari era nel bosco e chiudeva quel broncio del giovane musico tra i denti, in un bacio un po’ selvatico, quasi un morso. O magari concedeva a Zoroastro ciò che quello desiderava da sempre, e che per certi versi non concedeva nemmeno a lui, pur avendo fatto con lui quasi tutto, più volte, e con grande passione. Ma ciò che il Conte voleva dall’Artista era molto più di un atto carnale: era l’abbandono che Girolamo voleva, l’oblio dell’altro tra le sue braccia, la resa completa, senza condizioni. Egli l’aveva sperimentata la notte prima e sapeva di non poterla mai dimenticare… ma per l’Artista perdere il controllo non era contemplato. Era di sicuro più normale attirare la preda senza averne l’aria, e poi abbandonarla al primo accenno di noia. Un gioco lieve, senza cattiveria. Persino inconsapevole, e perciò privo di pietà. Ma un gioco ha le sue regole, richiede un’attenzione vigile e cosciente. Perdersi, senza riferimenti, senza la luce delle stelle, non è un gioco.
Ed eccole… le luci. I fuochi di Leonardo. La prima esplosione punteggiò il cielo di lacrime viola, una pioggia di fiori di lavanda. Poi fu l’immagine di un falco, non sapeva come ma i fuochi, cupi e corruschi, disegnarono un falco, con il reticolo visibile delle ali piegate nel volo. Poi esplose un giallo solare… Chissà, magari era Zoroastro ad ispirare quel colore, e quello era proprio un sole: un sole raggiante o una margherita. Poi il blu: zampillò come acqua, fresco e giovane come il musico Atalante. Rotondo come la luna. Nella triade dei colori primari mancava solo il rosso… E infine la vide, di un vermiglio trionfante. Dopo il giallo e il blu (solo ora li riconosceva, erano i colori della sua bandiera), finalmente, morbida e circondata di spine, una Rosa. La Rosa dei Riario. Forse il suo amante voleva dirgli qualcosa senza usare le parole. Certo ora egli stesso, Girolamo Riario, stava sussurrando una frase. La stessa della notte prima. Il suo amante, che tornava da solo camminando baldanzoso, non lo udì. Svelto e scattante, la camicia bianca fuori dei pantaloni si gonfiava come una vela ed egli non esitava. Guardò in alto e agitò la mano.
 
 
 
  
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