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Autore: AdelaideMiacara    19/08/2020    0 recensioni
«Prova a sforzarti, Benjamin» disse la donna seduta sulla poltrona, poco protesa in avanti, attenta a scrutare da dietro le sue lenti l'uomo per cogliere anche la minima espressione facciale, «che cosa è successo la notte del 13 luglio?».
Sulla poltrona davanti a lei sedeva un uomo poco più che trentenne, nel pieno della sua bellezza, lo sguardo vacuo verso la finestra alla sua destra. Apparentemente rilassato e a proprio agio, il piede destro sul ginocchio sinistro come se fosse seduto nel salotto di casa propria, l'unica cosa che lo tradiva erano le mani: la sinistra stringeva con forza il bracciolo della poltrona, mentre con il pollice destro si accarezzava il labbro inferiore, in un vano tentativo di sostituire un gesto alle parole. Ma Ben non era mai stato abituato a parlare apertamente delle proprie emozioni, nonostante fosse un tipo abbastanza estroverso. A cosa serve essere espansivi, si chiedeva, se quando hai bisogno di mostrare la tua anima non ne hai il coraggio?
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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16 novembre.

 

«Prova a sforzarti, Benjamin» disse la donna seduta sulla poltrona, poco protesa in avanti, attenta a scrutare da dietro le sue lenti l'uomo per cogliere anche la minima espressione facciale, «che cosa è successo la notte del 13 luglio?».

Sulla poltrona davanti a lei sedeva un uomo poco più che trentenne, nel pieno della sua bellezza, lo sguardo vacuo verso la finestra alla sua destra. Apparentemente rilassato e a proprio agio, il piede destro sul ginocchio sinistro come se fosse seduto nel salotto di casa propria, l'unica cosa che lo tradiva erano le mani: la sinistra stringeva con forza il bracciolo della poltrona, mentre con il pollice destro si accarezzava il labbro inferiore, in un vano tentativo di sostituire un gesto alle parole. Ma Ben non era mai stato abituato a parlare apertamente delle proprie emozioni, nonostante fosse un tipo abbastanza estroverso. A cosa serve essere espansivi, si chiedeva, se quando hai bisogno di mostrare la tua anima non ne hai il coraggio?

«Mi sto sforzando» rispose in tono freddo, più per riempire il silenzio che altro. Non era vero. Non si stava sforzando, perché ogni volta che ci provava gli sembrava di toccare un'altra volta il fondo. Non era nuovo al dolore, anzi lo considerava un amico di vecchia data, ma questa volta la soluzione più sensata gli sembrava quella di fuggirne. Il volto ancora fisso sulla finestra, si accorse che era già buio pesto e cercò nella stanza l'orologio: segnava le 19:07.

La dottoressa Mitchell si abbandonò contro lo schienale della poltrona, le sopracciglia impercettibilmente inarcate, e in quel movimento Ben vide tutta la stanchezza accumulata in una giornata di lavoro e si sentì in colpa.

«Ora devo andare» le disse, accennando un sorriso e tirandosi su dalla seduta. Poi le strinse la mano e mormorò un "grazie" attraversando lo studio a grandi passi, come colto all'improvviso dalla fretta, quando la psicologa lo fermò. «Benjamin, sai che quello che si dice in questo studio rimane in questo studio, vero?».

Ben la guardò cercando di nascondere il senso di fastidio che pian piano sentiva crescere dentro di sè. «Certo» rispose, e dopo qualche secondo di silenzio fece un ultimo cenno con la testa e uscì dallo studio.

L'ultima frase che gli aveva rivolto la sua psicologa prima di uscire dalla stanza lo tormentò per tutto il tragitto fino al Bittersweet Hotel, poco distante dall'edificio in cui si trovava lo studio. Forse la dottoressa Mitchell pensava che il problema di Ben fosse la paura che lei parlasse con altri di quella notte, ma non sapeva che lui non avrebbe voluto altro che urlare al mondo intero cos'era successo; parlare ininterrottamente della fiammata che sentiva partire dalle viscere fino alla gola ogni volta che ci pensava, ecco che cosa desiderava veramente Ben. Ma ogni volta che provava a dar voce alle sue sensazioni e ai suo pensieri le labbra si incollavano, i denti si serravano e si sentiva strangolare.

Solo quando arrivò all'entrata dell'hotel si accorse che stava piovendo, e che quel breve tragitto a piedi era bastato per colarsi dalla testa ai piedi. Il clima autunnale londinese non lasciava scampo a nessuno, pensò sfregando le scarpe sul tappeto prima di entrare, nemmeno alle anime più malconce.

«Signor Barnes» lo salutarono dalla reception, riportandolo alla realtà. Uno dei suoi dipendenti si stava già avvicinando con una tovaglia nelle mani, ma lui rifiutò con un cenno della mano e un sorriso cordiale. Viveva in uno degli hotel di lusso più gettonati di tutta Londra, di sua proprietà tra l'altro, dove veniva visto e trattato da ogni dipendente quasi come una divinità. Molti di loro lo conoscevano fin da bambino e ogni occasione era buona per sottolineare come Ben avesse ereditato il carattere di suo nonno, nonché le sue abilità professionali: a soli 33 anni gestiva il Bittersweet Hotel completamente da solo, a partire dalla gestione del personale fino agli aspetti finanziari.

Aspettò impaziente l'ascensore, tremando dal freddo e pentendosi di non aver accettato quell'asciugamano, almeno per tamponare i capelli. Quando finalmente arrivò al piano terra corse dentro e spinse più volte il pulsante per l'attico, il dodicesimo piano. "Ok, Ben" si disse, guardando riflesse nello specchio le labbra livide, "non appena si chiuderanno queste porte, lascerai dietro di loro anche tutti i pensieri".

E così fece. Non appena arrivato nella sua suite all'ultimo piano, sfrecciò verso il bagno e fece scorrere l'acqua bollente nella grande vasca di marmo bianco, sfilandosi uno dopo l'altro i vestiti fradici. Mentre la vasca si riempiva si appoggiò con entrambe le mani sul piano del lavabo, in marmo come la vasca, e lentamente alzò la testa verso lo specchio. Il suo sguardo veniva ricambiato da un giovane affascinante come pochi dall'aspetto curato ma dall'aria fin troppo provata. I capelli neri e la barba corti, gli occhi scuri e profondi, lo differenziavano dallo stereotipo londinese del biondo dagli occhi azzurri, ma avevano contribuito nella strage di cuori degli ultimi vent'anni. Ciò che affascinava di Ben – a detta di parenti, amici, donne con cui era stato e non – era il suo carattere espansivo e intraprendente in contrapposizione all'aria enigmatica e scostante che aveva quando se ne stava per i fatti suoi. Innegabile che fosse un animale da festa: il più scatenato dei suoi amici, quello che più si spingeva al limite e oltre, ma riusciva a rubare la scena anche quando sedeva in disparte e con la mente vagava, che fosse nella hall del Bittersweet o in qualunque locale di Londra.

Chiuse l'acqua e uscì dal bagno. Attraversò il salotto e si lasciò scappare un sorriso pensando a quante gliene avrebbe dette il giorno dopo Lara, la signora delle pulizie, alla vista delle sue impronte sul parquet. Quando arrivò in cucina prese una bottiglia di vino rosso mezz'aperta dal frigorifero e un calice da uno degli stipetti sopra il lavello, poi passò un'altra volta davanti le grandi vetrate del salotto ancora nudo e tornò in bagno. Quello era per Ben uno dei tre grandi piaceri della sua vita: stare lì disteso nell'acqua bollente della vasca, le luci soffuse, e un bel bicchiere di vino pregiato per allentare lo stress. Si avvicinò a uno dei piccoli schermi incassati nella parete da dove poteva scegliere la musica e in quale stanza diffonderla e fece partire dalla sua playlist un brano dei The Clash, il suo gruppo preferito. Dopodiché posò il suo telefono sul bordo della vasca con lo schermo all'insù, accanto al calice di rosso, e si immerse. Come fece scivolare il primo piede dentro l'acqua ancora molto calda, si sentì immediatamente meglio, e così si abbandonò con tutto il corpo.

«Cos'è la vita?» si chiese ad alta voce dopo aver preso il bicchiere e, chiudendo gli occhi, aver bevuto il primo sorso. «Cosa è, se non questo?».

Nemmeno un minuto dopo, il suo telefono squillò. Con gli occhi ancora chiusi, sorrise e scosse il capo. Posò il calice al suo posto e si avvicinò allo schermo per leggere il nome del suo disturbatore: Daniel. Non poteva fare finta di niente.

«Vecchio Dan» rispose, mettendo il vivavoce. Non era il caso di far cadere un altro cellulare nella vasca da bagno piena, com'era già accaduto in precedenza,

«Ben, spero di non disturbare» disse la voce all'altro capo del telefono, in realtà noncurante del suo disturbo. Daniel era il consulente gestionario dell'hotel, il braccio destro di Ben, colui che al posto del cervello aveva un'agenda infinita e tremendamente rigorosa, come lo definiva il ragazzo. Di dieci anni più grande di lui, era l'unico di cui Ben si fidava quando c'erano delle decisioni importanti da prendere.

«Nessun disturbo, spara».

«Sono sicuro che ti ricordi che tra due settimane ci sarà l'esposizione di Chanel nel tuo hotel».

Ben quasi si affogò con il vino. Aveva accettato con tanta riluttanza di ospitare quell'evento al Bittersweet che gli era passata di mente tutta la mole di lavoro che li aspettava nei giorni a seguire.

«Naturalmente» rispose in un tono più convincente possibile, e quasi avvertì Daniel roteare gli occhi e sbuffare dietro il telefono.

«Naturalmente. Bene, tra tre giorni arriveranno il direttore creativo della mostra e tutto lo staff di designer e tecnici addetti. Ho già riservato le camere per tutti, sono 8 persone in totale senza contare i tecnici che non alloggiano, quindi abbiamo 7 camere e una suite all'undicesimo off-limits per tre settimane».

Il signor Barnes sorrise e ringraziò il cielo di aver incontrato Daniel lungo il suo cammino, altrimenti sarebbe stato tutto molto meno organizzato e fluido.

«Ah, ho anche prenotato un tavolo al Mirror lo stesso giorno che arrivano questi qui, però mi raccomando a mia moglie ho detto che saremo al Wilde...» continuò Daniel, ma Ben aveva già perso il filo del discorso.

«Aspetta, aspetta, perché mai dovremmo portare il direttore creativo della mostra e il suo staff al Mirror? E che c'entra tua moglie?».

«Cos- portare quegli sciroccati al Mirror?!» rise Dan, «Per niente. Sbaglio o il 20 novembre è il tuo compleanno? Mica ci voglio portare loro. Festeggiamo la mezzanotte come si deve. Tranquillo, una cosa tra intimi. Una pseudo-festa te la sta già organizzando Lara in Hotel e non c'è come dissuaderla».

Ben rimase un attimo stupito. Non pensava di festeggiare il compleanno quest'anno, ma evidentemente era una strategia di Daniel per tenerlo su di morale. Apprezzò questo gesto d'amore in silenzio.

«Sei il migliore, vecchio Dan».

L'idea dell'iminente allestimento non lo entusiasmava, ma era una buona scusa per aprirsi al pubblico. Periodicamente organizzavano eventi al Bittersweet Hotel di ogni tipo: manifestazioni culturali, dibattiti politici, conferenze sull'ecologia, tutti seguiti o accompagnati da un ben assortito rinfresco. Con questa telefonata si poteva dire terminato il suo momento di relax, dato che ormai non riusciva a pensare ad altro che i dettagli dell'esposizione, quindi si alzò controvoglia dalla vasca e si avvolse un asciugamano bianco attorno alla vita, quando sentì sbattere la porta d'ingresso.

Rimasto immobile in piedi seminudo, dando le spalle alla porta del bagno, cercò di captare altri rumori. Finalmente sentì il suono più rincuorante della serata: il trottare delle zampe del suo cane contro il pavimento. Se lo immaginò fiutare tutte le stanze della suite in cerca del suo padrone, fin quando sentì il suo respiro pesante dietro la porta.

«Tonic!» esclamò quando, dopo aver aperto la porta, il grosso cane nero gli saltò addosso e iniziò a leccargli il viso. «Grazie, Doug» si rivolse poi al cameriere incaricato della passeggiata tardo-pomeridiana di Tonic, che se ne andò dopo aver simulato un mezzo inchino.

«Saranno delle settimane impegnative, caro mio» disse infine rivolgendosi al cane. Poi entrò nello studio, la seconda porta nel salotto sulla destra, e si sedette dietro il computer iniziando a controllare tutte le schede mandate per mail da Daniel, in attesa della cena.

Il silenzio assordante dello studio della dottoressa Mitchell sembrava lontano da lui di anni. Ancora una volta, stava fuggendo dalla realtà. "E continuerò fino alla follia", pensò.

 

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HOLA! Se sei arrivat* fin qui, ci terrei tanto a sapere una tua opinione! Sono stata colta da un'idea - a mio parere - geniale e chi scrive sa che non bisogna lasciare scappare mai l'ispirazione quando arriva. Insieme sveleremo il mistero del 13 luglio. 
-a.

 

   
 
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