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Autore: vermissen_stern    19/08/2020    1 recensioni
Il paesaggio offerto dal pianeta Messatine era lo stesso ovunque si posasse lo sguardo. Dune di ghiaccio fino a perdita d’occhio; ampi crepacci nascosti dalle sferzate di vento improvvise e catene montuose sconfinate.
Attraverso i sensori ottici scarlatti di Tarn quello spettacolo desolato gli forniva l’unico momento di pace da una moltitudine di pensieri e atti che non riusciva a riconoscere come suoi. Eppure, seduto su quella neve morbida, un po’ per volta stava cominciando a fare il punto della situazione.
[storia ispirata principalmente ai fumetti IDW]
Genere: Dark, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Decepticon, DJD/Decepticon Justice Division, Nuovo personaggio, Shockwave
Note: OOC, Otherverse, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Generation I
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Il suo sguardo vermiglio vagò per un attimo verso il limpido cielo di Caminos quando lo stonato canto di alcune gru cenerine non lo distrasse dalle sue insolite incombenze.

Uno stormo di quelle fastidiose creature organiche solcava il cielo estivo di quella colonia lontana, forse diretto verso le montagne innevate per sfuggire alla classica calura estiva di quel periodo o, forse, per allontanarsi da un gruppo di viziati parassiti che stavano letteralmente inquinando quel mondo lontano con le loro tecnologie.

Caminos si presentava per quello che era: una colonia cybertroiana in terra organica, dalle forme di vita primitive, i cui abitanti dalle splendide armature scintillanti si vantavano di vivere in un’oasi pacifica nel rispetto della natura che avevano colonizzato.

Per Megatron quel branco di ipocriti dalla pancia piena contavano poco e nulla, un mucchio di nobili ormai dissociati dalla loro terra natia che lo guardavano come un re barbaro – rozzo e ignorante – ogni qual volta metteva piede nella reggia dorata di lord Atilius per delle trattative di pace che finivano sempre con l’andare a quel paese. Eppure, puntualmente, il signore dei decepticons non aveva mai saltato un invito.

Se in principio era stato mosso da motivi anche strategici – da notare come spesso gli inviti del senatore coincidessero con la disfatta di una battaglia cruenta per ambo le fazioni – ora la questione si era fatta più curiosa sotto le sembianze di servofish che gli stavano gironzolando sotto il cavallo delle gambe.

Attualmente si trovava a mollo in una grande piscina artificiale presente nella tenuta Atilius, simile nell’aspetto ad un grande laghetto nelle sue geometrie squadrate e aliene, e il motivo per cui aveva deciso di rinfrescarsi le natiche metalliche nel fresco energon azzurrino era rappresentato proprio da quelle semplici forme di vita meccaniche che scivolavano placide lungo le sue gambe.

“tzk… ma tu guarda cosa mi tocca fare”

Non lo aveva costretto nessuno ad entrare lì dentro – ci mancava solo che qualche pivello caminoano lo sfidasse a qualche stupido gioco – ma ciò che lo aveva mosso maggiormente era quel suo smisurato orgoglio nel voler dimostrare qualcosa alla graziosa ospite che lo attendeva pazientemente inginocchiata sulla candida sponda di quel laghetto artificiale.

“sembra che la pazienza non sia nelle vostre virtù, lord Megatron…”

silenzio! Solo perché non sono ancora riuscito a catturare uno di questi maledetti affari non significa che sia un incapace!”

“…ma vi concedo una certa tenacia. Di quella ne avete in abbondanza!”

Natah Atilius, unica figlia femmina di un ben più noto senatore, dovette trattenersi di forza per non mettersi a ridere di gusto di fronte a quella situazione piuttosto insolita per il signore dei decepticons. Da quando aveva raggiunto una età adeguata da poter sostenere un colloquio con una persona più adulta di lei la giovane femme non aveva perso tempo a chiacchierare amabilmente con i diversi ospiti di suo padre che spesso solcavano la porta della loro dimora… e doveva ammettere a se stessa che il mech ora a mollo nelle azzurre “acque” del laghetto era uno tra gli individui più singolari che le era capitato di incontrare.

Singolare si, ma non per questo meno pericoloso nel suo aspetto imponente ai sensori ottici azzurri di una nobile che ben conosceva – di fama – le gesta ben poco eroiche di un signore della guerra ben poco apprezzato su Caminos. Eppure nei suoi lunghi anni di studi, china sui libri più che a prestar orecchio alle persone, aveva ben presto abbandonato il dar credito a possibili malelingue a favore del beneficio del dubbio quando si parlava di certe persone e del loro passato. Soprattutto nei riguardi della figura di Megatron, così chiacchierata eppure così mitologica, tanto da voler vedere di persona che razza di uomo fosse il sanguinario condottiero.

La sua si trattava di un’ovvia curiosità adolescenziale – amplificata dal fascino del “cattivo ragazzo” che ammaliava la figura del massiccio mech, un’aura che non lasciava mai indifferente le giovanissime donne – che volle fin da subito saziare ponendo al signore dei decepticons domande sul suo operato e su quanto ci fosse di vero nelle leggende che ammantavano la sua figura… e la sua risposta, a quella specifica domanda, in principio la lasciò spiazzata.

“tutto incredibilmente vero nella sua più totale falsità”

Una risposta che la lasciò davvero senza parole all’inizio, non capendo bene a cosa alludesse, ma poi con il passare del tempo – e le varie chiacchierate successive – le avevano comunque dato modo di comprendere a cosa si riferisse l’ex gladiatore.

Un uomo che si era costruito una fama tanto sulle proprie azioni (deplorevoli) quanto sulle dicerie circolanti sul suo conto. Un mostro generato dal senato e accresciuto per propria volontà individuale, non vedendo più motivo di fermarsi nel proprio operato. Più mito che uomo, arrivando dopo eoni a cominciare a detestare la propria immagine.

Ma per Natah, mossa da un sesto senso che la portava a sentire un inquietante pizzicore al disotto della propria armatura, non riuscendo ancora a dare un nome a quella spiacevole sensazione, ciò che vedeva in quegli occhi vermigli – quando il loro proprietario non pensava di essere visto – era spesso lo sguardo stanco di un uomo che aveva visto troppe battaglie e sopportato tanti tradimenti quanti lutti interni. Un vero signore della guerra quindi… ma talmente romanzato nel corso dei secoli che la sua delusione, ormai saturo di leggende sul suo conto, poteva anche essere sentita con mano. Una piccola “debolezza” che a quanto pare l’auto proclamatosi nobile mostrava unicamente a lei.

La giovane nobile di lui sapeva solo quello che era stato trascritto dalle cronache a suo tempo – tanto dai suoi uomini quanto dai suoi detrattori – e da Megatron stesso, ma mai si sarebbe aspettata un lato insolitamente “umano” da parte di un mech dalle mani sporche dell’energon di così tanti individui. Era come se, nelle loro chiacchierate sui tomi polverosi che entrambi apprezzavano, ci fosse una sorta di connessione platonica con qualcuno con cui poteva finalmente parlare senza i rigidi paletti imposti dall’educazione che le era stata impartita fin da piccola. E con il passare del tempo, la ragazza si dimenticò del passato del proprio nuovo amico relegandole in un angolo della propria memoria.

Ora non era più la sua storia ad interessarle… ma decisamente qualcos’altro di ben più proibito per una nobile come lei, e ben se ne ricordò nel momento in cui lo vide attraversare il laghetto artificiale per raggiungerla sulla candida sponda.

“vorrei ricordarle, cara la mia signora, che siete stata voi a convincermi a prendere uno di questi dannati pesci! ‘prenderli non è affatto facile, lord Megatron’ bè me ne sono accorto!”

Ad ogni suo goffo passo nell’energon azzurrino quelle creature dall’aspetto più disparato si dileguarono tra i flutti cristallini, tornando al loro compito primario di depurare e analizzare le acque dense come metano liquido per somma gioia del loro proprietario, riuscendo infine a toccare con mano la sponda marmorea e potercisi issare su.

La posizione che aveva scelto per tornare sulla terraferma non fu casuale, in quanto la bella nobile si trovava proprio ad una spanna da lui dal momento che aveva assistito a tutto quell’inusuale spettacolo standosene inginocchiata proprio a pochi centimetri dalla sponda. Una vicinanza piuttosto intima che si creò per forza di cose, soprattutto quando i volti dei due cybertroiani quasi si sfiorarono, non trovando indignazione di sorta sul volto di una padrona di casa che parve ben felice di quel nuovo livello di complicità che si stava creando tra loro due.

Il signore della guerra decise di rimanere fermo dov’era ancora per qualche minuto, con ancora le gambe a mollo nel fresco energon cristallino, ben sapendo che quello che stava facendo avrebbe sicuramente fatto infuriare un padre fin troppo assillante nei confronti di una figlia ormai divenuta donna. I trattati di pace se li poteva anche mettere in quel posto, visto e considerato che Megatron non aveva mai sperato davvero ad una tregua consolidata che non rispondesse alle sue esigenze specifiche, ma cercare di farlo capire al borioso nobile era dura. E ora le sue esigenze da un po’ di tempo a quella parte erano più incentrate a corteggiare una Natah divenuta adulta quanto prima.

Una femme che sembrava condividere con lui un certo risentimento nei confronti del senatore Atilius – reo di essere molte cose nella giovane mente di sua figlia – non scandalizzandosi affatto per quella vicinanza pericolosa ma trovandosi invece a sorridergli con una certa complicità.

“sa, mia cara ragazza, ho sentito che poco fuori città ci sono delle grotte di cristalli di energon davvero incantevoli che aspettano solo di essere visitate…” mormorò lui, con l’intento che quelle parole venissero captate solo dalla sua graziosa ospite e che, nella loro ambiguità, venissero comprese anche in altro senso “mi chiedevo quindi se siete esperta in questo genere di escursioni fuori porta”

La giovane soppesò bene le parole del signore della guerra, sentendo la propria scintilla sfrigolare dall’emozione – come se fosse stata una adolescente alla prima cotta, cosa che in fin dei conti era – ma fu ben attenta a non tradire le proprie emozioni sorridendogli di rimando con complicità e malizia, e rispondendogli nel modo più sincero che poteva.

“conosco quelle grotte, ed ho una certa esperienza in effetti… ma da sola. Non ho ancora avuto il piacere di perlustrarle in compagnia”

Onestamente lord Megatron non si aspettò di trovare una nobile rampolla ancora perfettamente intatta in mezzo a quella bolgia di rammolliti viziosi, ma ciò lo lasciò piacevolmente sorpreso tanto da trasformare il proprio mezzo sorriso in un ghigno che non poteva promettere nulla di buono. Si sarebbe aggiudicato quella prima fetta di torta con buona pace dell’ansioso paparino, e a quanto pare pure Natah non vedeva l’ora di perdere la propria verginità nel modo più scandaloso possibile.

Si issò dunque in piedi, seguito a ruota dalla sua giovane ospite, prendendola spudoratamente per mano nell’atto di volersi allontanare da lì il prima possibile e spiccare entrambi un volo acrobatico che li avrebbe portati nei cieli estivi di Caminos.

 

[…]

 

Di quel passato lontano a Natah rimaneva semplicemente un ricordo agrodolce,  a tratti amaro, destinato a scontrarsi con la realtà di una relazione che si era fatta via via sempre più complessa ad ogni loro incontro segreto. Quel giorno era ritornata a casa verso il calar del sole, dolorante e con le gambe traballanti, ma straordinariamente felice dell’esperienza fatta con il più sbagliato degli uomini.

Un ricordo questo che, in quel preciso momento, si fece sempre più sbiadito quando una sgradevole sensazione alla gola non la costrinse a dischiudere i sensori ottici per risvegliarsi in quello che era un ambiente totalmente alieno per lei.

Ciò che vide fu in principio il soffitto in metallo di una stanza che sicuramente non apparteneva alla stazione medica in cui si era rifugiata un giorno fa – o forse erano passati più giorni? – e il rumore dei macchinari medici la portarono a pensare velocemente che doveva essere stata trasportata da tutt’altra parte dopo le cose orribili successe all’ospedale. Le facce disossate e allucinate di quei mostri senza anima dei mortiliani per un momento occuparono i suoi pensieri con dei flash orribili e strazianti. Una paura atavica si impossessò di lei per un brevissimo momento, ricordando la loro presa sulle sue vesti e sui suoi “capelli” e la furia con cui la buttarono sul pavimento per poterla letteralmente mangiare. Con un gemito strozzato sentì nuovamente i denti di quegli schifosi addentarle l’armatura del polpaccio destro, recidendogliela di netto, urlando disperata il nome dell’unica guardia del corpo che aveva assoldato per una missione che reputava rapida e sicura. Un ragazzo giovane, che si buttò a capofitto nella mischia a colpi di spada pur di trarla in salvo e rischiare così la propria nobile vita.

Quel soldato aveva dato la vita per lei e per suo figlio – e per tutti quelli presenti all’interno del caveau – ed ora il suo sacrificio si era rivelato comunque vano quando la ragazza realizzò che solo la DJD poteva essersi presa cura di lei dopo quel disastroso attacco.

Era stata portata li e curata per chissà quali malefici scopi, nonostante quello che doveva essere il loro capo le aveva assicurato che non le sarebbe stato fatto alcun male, ed ora il suo istinto (piuttosto che la ragione) le stava suggerendo di alzarsi da quella lettiga il prima possibile nonostante lo strano peso che le bloccava in parte le caviglie.

“M-ma cosa… AH!”

Nel momento esatto in cui si mise a sedere si rese conto che sdraiato accanto a lei c’era una creatura che aveva ben pensato di appoggiare il proprio lungo muso sui suoi piedi come se fossero un cuscino, avente le sembianze di una specie di cane alquanto strano fino a quel momento impegnato più ad oziare che a farle la guardia. Pareva innocuo, ma tanto bastò per spaventare una giovane femme appena uscita dal coma indotto e a farla strillare di conseguenza. Cadendo rovinosamente a terra nell’atto di scostarsi il più possibile da una belva a lei sconosciuta, e gemendo di dolore quando colpì rovinosamente i gomiti e il fondoschiena a terra.

“Stammi… stammi lontano! R-resta lì!”

La bestia parve darle retta sebbene si alzò in piedi come allarmata da quella goffa caduta, limitandosi a guardarla incuriosita nel mentre che la disgraziata si rialzava in piedi con non poca difficoltà e con ancor poca grazia. Nonostante la gamba fosse stata riparata la sentiva ancora debole e traballante – il tutore di metallo che la sosteneva non era li solo per bellezza – pertanto dovette arrampicarsi lungo una scaffalatura di attrezzature mediche a lei ignote prima di riuscire a issarsi in piedi continuando a tenere d’occhio le possibili intenzioni di una creatura fin troppo strana per definirlo un animale vero e proprio.

“Devo… devo andarmene da qui!”

La voce le si spezzò per un momento, preda dell’adrenalina e di una possibile crisi di nervi, ma perlomeno fu grata di constatare che in quella infermeria non c’era nessuno che potesse mettere in allarme l’intero equipaggio. Con un po’ di fortuna, cercando di sfruttare le ombre offerte da quell’ambiente a lei sconosciuto, forse avrebbe potuto anche farcela… oppure, con un po’ più di saggezza, avrebbe potuto sfruttare la copertura offerta da un carrello per i panni sporchi parcheggiato fuori dalla sua stanza. Non che doveva saltarci dentro per forza di cose – anche perché non le sembrava molto igienico vista la condizione di quegli stracci, senza contare che non contava di poter nascondere le proprie ali in quanto sarebbe stato eccessivamente scomodo – ma perlomeno poteva nascondersi di lato o lanciare quel carrello come un ariete nel caso qualcuno avesse cercato di fermarla.

Un piano disperato fin dal suo concepimento, molto probabilmente destinato a fallire, ma perlomeno era meglio che non provarci affatto.

 

[…]

 

Su Messatine mancavano poche ore al sopraggiungere dell’alba, e forse fu questa la fortuna che baciò Natah quella sera. Con la notte che ancora avvolgeva le dolci colline ghiacciate del pianeta l’equipaggio della Paceful Tyranny era ancora rintanato nelle proprie cuccette, o almeno così sperava.

Non le ci volle molto per capire che la struttura in cui si trovava era una nave di dimensioni notevoli – e dagli oblò dell’incrociatore poté osservare il deserto innevato di un pianeta a lei alieno – ma una volta raggiunto l’hangar di carico dell’incrociatore si rese conto di una scoperta ancor più agghiacciante. Una volta raggiunta la sponda di carico, ferma ad una piattaforma grande abbastanza per contenere l’intero volume della nave e consentire lo scarico merci, ciò che poteva essere naturale per una seeker come lei si rivelò estremamente arduo se non addirittura impossibile.

Il suo intento era quello di trasformarsi e spiccare il volo verso quel cielo ancora buio e sferzato dal vento gelido, il più lontano possibile dai boia decepticons e dalle loro intenzioni tutt’altro che cristalline, ma ciò che le riusciva a fare era solo di accennare un tentativo di trasformazione ad ogni battito di ali.

“il mio t-cog… me lo hanno tolto!”

Lo disse con un filo di voce, chiudendo momentaneamente le palpebre sintetiche in un momento di sconforto totale, sentendosi oltremodo violata da quella loro precauzione atta a non volerla far scappare in nessun modo dalle loro grinfie. Molto furbi, gliene dava atto, ma non sarebbe stato quello a fermarla.

Anche se in quel momento non poteva definirsi propriamente lucida nei suoi pensieri – perché voler fuggire in fretta e furia senza un minimo di accortezza e un piano che fosse uno era da folli, preda del terrore più cieco – l’unica idea che le venne in mente era quella di avventurarsi in linea retta verso quel mondo ricoperto di neve, seguendo quella che sembrava essere una pista che da molto non veniva battuta. Prima o poi avrebbe pur incontrato qualcuno in grado di aiutarla.

Si fece coraggio dunque, ed alzò i tacchi verso una neve che l’accolse senza pietà alcuna.

 

Ciò che la ragazza non poteva sapere era che non tutti gli abitanti dell’incrociatore erano a riposo. Alcuni, e nello specifico il suo comandante e l’ufficiale medico di bordo, erano ancora svegli persi in una nottata insonne a sbrigare mere faccende burocratiche sul grande ponte di comando. Un buon modo per lui di distrarsi e rilassarsi da pensieri ancora nebulosi, un buon modo per lei di tenerlo d’occhio in quanto non riusciva proprio a fidarsi della sua buona parola.

Ed ora erano entrambi davanti agli schermi olografici della sala comando intenti ad osservare ciò che le telecamere esterne mostravano loro. Una femme intenta a camminare con difficoltà sulla neve che le arrivava fin quasi alle ginocchia, decisa a percorrere l’unico “sentiero” che portava nell’entroterra del pianeta e creato dai precedenti passaggi della DJD nell’atto di scaricare del contenuto indesiderato.

“Tarn… forse è il caso di andare a prenderla”

“No. Lascia che vada… e che veda

Per un momento la risposta lapidaria data dal suo leader la lasciò del tutto spiazzata, portandola a guardare velocemente l’inquisitore capo a bocca aperta e in procinto di protestare, per poi ricordarsi che non era il caso di contraddirlo troppo su di un argomento che era ancora un tasto dolente per lui.

“La strada è sicura per ancora qualche miglio, non finirà dritta dentro un crepaccio con il rischio di incombere in chissà quale pestilenza. Puoi stare tranquilla, Nickel… la ragazza ha già dimostrato di non essere una stupida”

Era risaputo che, se la superficie di Messatine era prettamente tranquilla e sicura, il sottosuolo era un concentrato di letalità a causa di una passata piaga che aveva sterminato i suoi minatori e buona parte delle sue guardie. Ora il peggio era logicamente passato, ma tra le sue gallerie ancora cariche di prezioso minerale serpeggiavano le carcasse arrugginite dei suoi precedenti abitanti, e il virus che li aveva annientati ancora dimorava assopito nell’umido terreno.

Ma il leader della DJD confidava nel fatto che la femme si sarebbe fermata molto prima nella propria corsa verso la libertà, in quanto ciò che avrebbe visto nella neve le avrebbe fatto finalmente aprire i sensori ottici sul destino che l’attendeva.

 

[…]

 

La luce del sole sorse impietosa sulle lande ghiacciate di quel sasso alla deriva qual era Messatine. La figura di Natah in tutto quel bianco immacolato, quasi accecante a causa della nebbia e della neve che continuava a cadere, procedeva a stento spossata da una camminata di almeno due ore piegata dal freddo e da un brontolio allo stomaco che si stava facendo sentire sempre più ad ogni passo su una neve che ormai le arrivava sino alle cosce. Aveva fame, e forse il pensiero costante di averla la teneva sveglia.

Le braccia le teneva incrociate appena al disotto del petto, istintivamente dedita a proteggere la vita della propria creatura da un freddo pungente che la stava portando a sentire i circuiti congelarsi ad ogni passo nella spessa neve, mentre tutta la sua figura era curva in avanti a causa della stanchezza e del dolore alla gamba da poco operata dovuta ad una lunga camminata sfiancante e inconcludente. Era come se stesse andando alla deriva e ad ogni ora che passava stava iniziando a ragionare più a mente lucida rispetto a prima, decretando che forse non doveva andarsene via così di fretta lasciando il beneficio del dubbio riguardo alla situazione in cui si era ritrovata.

Ma come poteva se in ballo c’era la vita di suo figlio di mezzo? L’unica cosa che Megatron le aveva lasciato? Davvero poteva permettersi il lusso di rischiare la propria vita e quella del loro unico figlio ora che lui non c’era più?

“Megatron…?”

Oppure non era esattamente così?

In principio pensò che fosse uno scherzo dettato dalla foschia e dalla stanchezza di essersi introdotta in un entroterra a lei ignoto, una allucinazione che si stava palesando nelle sue ottiche azzurre ad ogni incerto passo sulla densa neve sferzata da un vento ora non più tanto forte e insidioso come in quelle prime ore del mattino. Ma poi, avvicinandosi con sospetto a quell’imponente sagoma che si stagliava nella foschia mattutina, non poté fare a meno di riconoscere la sagoma dell’uomo che fino a qualche giorno fa aveva amato nel bene e nel male.

Per un momento la scintilla perse un paio di pulsazioni dovuta all’emozione di non credere ai propri sensori ottici, ora sgranati nel tentativo di riconoscere meglio le forme massicce del compagno estinto, sentendosi per un breve momento leggera come un fiocco di neve nell’atto di avvicinarsi a lui e a constatare che tutta la speranza che nutriva in quell’istante era fondata su una vana speranza.

Speranza, questa, che le morì in gola quando – nell’atto di avvicinarsi con cautela alla sua figura – constatò che quell’immagine in principio avvolta nella foschia era fatta di pura roccia anziché metallo e protoforma.

Una statua a sua immagine e somiglianza, ripreso in una posa che esprimesse al meglio il proprio potere ora in frantumi, dallo sguardo assente intento a scrutare un orizzonte vuoto e monotono nel mentre che la neve continuava a posarsi sulla sua figura fredda e immobile. Megatron era morto e non sarebbe più tornato indietro per lei, per suo figlio, o per chiunque altro avesse invocato il suo nome preda della disperazione più cieca.

Finalmente, da quando era cominciato quell’incubo, Natah realizzò di essere rimasta davvero sola. Assimilando quel lutto che aveva bruscamente ignorato per giorni, da quando le era giunta notizia della sua morte per mano dei canali autobot, decisa ad attuare il proprio piano in barba a quello che il suo stesso compagno le aveva consigliato – fonte questo di diverse litigate prima del fattaccio che aveva portato il loro nucleo familiare a disintegrarsi – ora avvertiva la propria scintilla lacerarsi in un dolore mai provato prima.

Aveva voglia di piangere ma il gelo pungente trasformava le sue lacrime in cristalli. Aveva voglia di gridare ma il fastidio alla gola la portò unicamente a rantolare nell’atto di inginocchiarsi a terra di peso continuando ad osservare quella figura di pietra priva di vita che la ignorava volgendo il proprio sguardo altrove. Abbandonato lì dopo aver disertato nel peggiore dei modi.

Megatron era morto.

Lei era sola.

E i decepticons avevano rinnegato il loro stesso signore come fosse stata spazzatura da buttare fuori dalla porta, lontana da sotto il loro naso a causa di un tanfo che potevano sentire solo loro.

 

Presa dalla propria silenziosa disperazione quasi non si accorse dei pesanti passi, attutiti quel tanto che bastava dalla soffice neve, che si generarono alle sue spalle se non quando ormai erano prossimi a raggiungerla. Alle sue spalle un solo uomo attendeva che la femme si accorgesse di lui, ed ella se ne accorse ben presto trovandosi a chinare il capo sconfitta di fronte al futuro che l’attendeva.

Tarn alla fine ci aveva giusto, e sbarazzarsi della statua del suo antico signore – un tempo posta nella hall della Paceful Tyranny, luogo di passaggio obbligato a tutti coloro che dovevano rendergli omaggio – era stata cosa buona e giusta visto che aveva salvato la vita di quell’incosciente ragazza. Oltre quel monolite granitico la strada sicura finiva, ed inizia un purgatorio ignoto ai più.

Aveva voluto darle tempo di riflettere e di farle capire che non c’era più scampo per lei, che non c’era mai scampo dalla DJD, lasciandola al suo dolore e ad una comprensione che non tardò ad arrivare.

“Quindi… è finita?”

Quella parve più una domanda posta sulla sua condizione anziché sullo stato di un esercito ora non più allo sbaraglio ma comunque teso – se non terrorizzato – di fronte ad un nuovo signore dalla fama di macellaio invasato. Ignorava ancora che il diritto di rivendicazione mosso da Tarn comprendeva anche la sua esistenza e quella del futuro erede di Megatron, facendola sua di diritto così come ogni altro bene appartenuto un tempo all’ex signore della guerra.

“Si… è finita” fece finalmente lui, compiendo gli ultimi passi che lo separavano dalla seeker e piegando un ginocchio a terra per poterle venire incontro “ora torniamo a casa… Stare qui fuori, nelle tue condizioni, può essere rischioso”

Anche se sorpresa da parole tutto sommato confortanti la nobile prese comunque con riluttanza la mano che l’inquisitore le porse per aiutarla a mettersi in piedi, prima di essere presa in braccio con facilità disarmante per facilitare un rientro tutt’altro che sereno verso quella che da ora in avanti avrebbe dovuto chiamare “casa”.

 

[…]

 

Una volta rientrati nell’incrociatore degli esecutori la vita aveva ripreso a scorrere già da un’ora. Sempre molto mattinieri i soldati decepticon si erano messi a svolgere le loro solite incombenze subito dopo colazione, a questo giro davvero buona in quanto finalmente possedevano una cuoca a dir poco eccezionale, ma almeno tre di loro stavano trasgredendo a quella basilare routine per cercare di origliare alla porta degli appartamenti del loro grande capo.

Appena giunto alla Paceful Tyranny aveva ben voluto farsi vedere dai suoi uomini in compagnia della loro nuova ospite, ed una volta varcate le soglie delle sue stanze personali non si era più fatto ne vedere e neppure sentire. Un atteggiamento questo troppo sospetto per non attirare chiacchiere più o meno innocue, al limite del pettegolezzo, visto e considerato che la ragazza non era affatto di aspetto sgradevole ed era a tutti gli effetti la vedova di Megatron.

“Saranno chiusi li dentro da ormai un’ora” borbottò Helex, massaggiandosi il mento con una grande mano “Tarn non ci ha detto una parola e francamente non so se sia il caso di restarcene qui…”

“Magari sarebbe il caso di tornare a svolgere le nostre faccende quotidiane” fece Tesarus, scrollando le spalle abbastanza seccato di tutto quel sensazionalismo “se ha voglia di connettersi con quella ragazzina dove sta il problema? Ne ha tutto il diritto in effetti”

Per forza di cose la dichiarazione registrata di Tarn venne indirizzata anche nei loro canali radio ufficiali, pertanto la prima cosa che potevano sentire appena accesa la radio al mattino era quella noiosa dichiarazione sul fatto che ora a comandare la baracca erano essenzialmente loro. O meglio, il loro inquisitore capo.

Non che al gigantesco demolitore importava, così come poco gli importava della ragazzina che ora si trovavano a bordo, in quanto ciò che contava maggiormente era che potessero continuare a fare il loro violento mestiere anziché mettersi a raccogliere margherite.

Di tutt’altro parere pareva essere invece il tecnico di bordo, ossia Kaon, intento a schiacciare i propri recettori uditivi contro la spessa porta metallica di fronte a lui cercando disperatamente di captare qualche discorso che fosse uno. O anche qualcos’altro di più torbido, se gli fosse stato possibile ascoltare.

“Oh, andiamo ragazzi! Non siete anche voi curiosi di saperne qualcosa di più sulla nostra graziosa ospite? Scommetto che conosce un sacco di aneddoti riguardanti il defunto Meg-Ahh! N-nonna?! Che cosa ci fai qu-”

Poco ci mancò che il mech dalle cromature rosse e oro si ritrovasse a faccia a terra quando le porte scorrevoli degli appartamenti di Tarn si aprirono all’improvviso, rivelando le voluminose forme dell’anziana levatrice di Shockwave.

La donna, inespressiva come suo solito, teneva tra le mani un vassoio in metallo ormai vuoto – e se fossero stati più attenti avrebbero anche saputo che la femme era giunta in quelle stanze ancor prima di Tarn, per stesso ordine dell’inquisitore capo – che con sfacciataggine criminale decise di utilizzare proprio sul volto di quel nipote acquisito intenzionato a farsi gli affari degli altri anziché i propri. Il colpo fu tanto potente quanto rumoroso, arrivando a deformare la superficie piana dell’artefatto quando andò a colpire la guancia destra di Kaon – a dimostrazione che la vecchia decepticon continuava a possedere una forza tale da non essere sottovalutata – tanto da far perdere immediatamente i sensi alla sua povera vittima.

“Nonna! Ma che diavolo!!”

Il commento di puro stupore da parte di Helex coincise nel momento esatto in cui il povero tecnico cadde a terra svenuto, ricevendo tuttavia uno sguardo freddo come la morte da parte di una anziana poco disposta a vederli bighellonare in giro e origliare i fatti degli altri.

“mi… mi sa tanto che Tarn si sia accorto che eravamo qui” fece quindi Tess, facendo un passo indietro nel mentre che osservava la ciclope prendere per una caviglia lo sfortunato collega di lavoro ancora esamine “meglio tornare alle nostre faccende!”

Decisero di allontanarsi da lì in tutta fretta, non curandosi del fatto che la vecchia pazza stava comunque portando il malcapitato inquisitore verso l’infermeria della piccola dottoressa affinché si desse quanto prima una svegliata.

 

[…]

 

Quello che i suoi sottoposti non potevano sapere era che Tarn, prima ancora di salire a bordo della propria nave, aveva contattato via comm-link l’anziana ciclope per impartirle l’ordine di allestire una stanza per miss Natah nei suoi ampi appartamenti.

Il mech era solito usare si e no tre delle stanze presenti nei suoi quartieri – compresa, oltre la sua camera da letto, anche uno studio ed un piccolo “museo” dove conservava i cimeli più esotici appartenuti un tempo al suo defunto signore – mentre le altre cinque restavano tristemente vuote fatta eccezione per il bagno padronale con tanto di vasca per un rilassante bagno d’olio. Una buona occasione quindi per mettere a suo agio la vedova di Megatron, quel tanto che bastava da darle l’idea di essere la benvenuta a bordo. Ma allo stesso tempo cosciente di essere sotto l’occhio vigile del suo nuovo signore, indisposto a farla volare via dai propri artigli.

“Questa sarà la tua stanza d’ora in avanti. È ancora molto spartana ma…”

“Va benissimo così. Ringrazio entrambi per l’ospitalità”

Seduta su quella che da quel giorno in avanti sarebbe stata la sua cuccetta la ragazza osservò con aria stanca l’arredamento essenziale della stanza in questione. Oltre al letto era presente un armadio con all’interno alcune coperte e una scrivania su cui una anziana ciclope aveva appena disposto la colazione per la sua nuova ospite, il tutto in un ambiente ancora minimalista ma nulla che non potesse sopportare. In fin dei conti una volta lasciati gli agi della villa di suo padre aveva vissuto per diverso tempo nel sottoscala della biblioteca in cui lavorava, prima di racimolare abbastanza per permettersi un appartamento tutto suo, quindi ad una vita semplice era abituata.

Ma oltre a questo, Tarn confidava che la ragazza fosse stata educata da buona caminoana alle sue regole non poi così diverse da quelle scritte in Towards Peace. Per quanto potesse sembrare una società tranquilla e amante della pace era risaputo che ancora oggi su Caminos fossero seguite regole piuttosto medioevali per quanto concerne la vita privata dei nobili più che delle persone comuni al loro servizio.

E il tanto discusso diritto di rivendicazione esisteva in forma simile anche su quel pianeta di rammolliti… quindi, magari, Natah non avrebbe fatto troppe storie sul fatto che fosse lui ora il suo nuovo “compagno”. Ma di questo c’era tempo per parlarne in diversa sede, comprendendo perfettamente che ora la femme era troppo stravolta per sostenere un colloquio.

“per oggi avrai la giornata libera, così come anche per le prossime” fece lui, estraendo da uno scomparto nascosto nel petto il registratore che gli aveva dato il suo ex leader “so che magari non è il momento più opportuno per certe cose, ma Megatron ci teneva davvero che venissi protetta da noi. A costo di dare la sua vita”

Le consegnò lo strumento sul quale egli stesso aveva speso giorni a memorizzare ogni singolo dettaglio in video – ogni sua sillaba pronunciata – notando per un momento la sua espressione facciale confusa farsi più cupa quando accese il dispositivo riconoscendo il volto del suo estinto compagno.

A quel punto la seeker non resse più, portandosi una mano alla bocca nel tentativo di frenare dei singhiozzi ormai fuori controllo colta da un esaurimento che difficilmente l’anziana decepticon e il padrone di casa sarebbero riusciti a colmare al momento. La cosa migliore da fare era di lasciarla in pace con i suo dolore, in modo che potesse assimilarlo a dovere ora che aveva compreso che Megatron non c’era davvero più, confidando che si sarebbe ripresa il prima possibile da brava nobile qual era.

“Assicurati che nessuno ci disturbi” fece Tarn alla ciclope, una volta che furono usciti in silenzio dalla camera della femme “sono sicuro che i miei uomini non perderanno tempo a curiosare, ma questa è davvero l’ultima cosa di cui la ragazza ha bisogno”

E per una volta tanto, la vecchia megera fu soddisfatta di notare uno slancio di saggezza nel suo affascinante comandante.

 

[…]

 

“Mi chiedo a cosa possa servire tutto ciò…”

“A pagare le riparazioni per il tetto di casa nostra, come prima cosa! È risaputo che questo genere di cose attiri più shanix che babbei”

“La tua risposta è… logica. Ma avrei gradito che facessi tutto da sola”

L’atona risposta di Shockwave in realtà nascondeva una certa noia dovuta alle prodezze giornaliere di sua sorella Shockblast e al suo volersi scattare foto sexy da postare sui suoi social network – cosa che lui avrebbe fatto volentieri a meno – piuttosto che mettersi a lavorare in laboratorio assieme a lui per completare diversi esperimenti lasciati incompiuti. Sul serio, sua sorella era una donna intelligente ma davvero alle volte non capiva perché sprecare le proprie potenzialità scientifiche per una effimera notorietà basata sul poderoso fondoschiena che ora stava cercando di fotografare. E d’accordo che si trattava certamente di una attività più remunerativa rispetto che star dietro ad esperimenti disgustosi – in fin dei conti non aveva torto quando diceva che con quegli shanix si erano sistemati la loro antica torre – ma vedere quelle due bocce gli veniva solo da sbuffare seccato.

“anche perché da protoforme ricordo di aver scritto ‘carico pesante’ alle sue spalle” ricordò lui quasi con logico divertimento, ed ormai saturo di una situazione paradossale che lo aveva portato fino al salotto personale di sua sorella.

Supina su di un tappeto, e con il suddetto fondoschiena slanciato verso l’alto, la bella ciclope iniziava a irritarsi di fronte alla reticenza del fratello maggiore. Tanto da sbuffare seccata e ricordargli il motivo per cui lo aveva convocato con così tanta urgenza.

“il treppiede della fotocamera olografica è andato rotto! Quindi o mi aiuti con questa cosa oppure…”

“oppure Whirl potrebbe prendere il mio posto”

Poteva sembrare alquanto strano che loro cugino – tra l’altro facente parte degli autobots e questo non era un particolare da trascurare – gironzolasse ancora per la loro torre… e difatti se l’era chiesto persino il padrone di casa neanche ventiquattro ore dopo che la sua festa nuziale era finita in malora. Poco tempo dopo si era ripresentato alla loro porta con una motivazione alquanto vaga, riguardante il fatto che voleva saperne di più sulla sorte della sua adorata nonnina, piuttosto indisposto a fornire dettagli cruciali sul reale motivo che l’avevano spinto a prendersi un altro permesso premio dai suoi superiori. Male che vada Shockwave lo avrebbe silurato sui due piedi nel caso avesse iniziato a manifestare cattive intenzioni, e comunque si trattava di un parente di primo grado a cui nonna voleva bene.

La verità ovviamente la conosceva solo il ciclopico autobot, e più che ottenere un permesso per motivi familiari – che difficilmente avrebbe ottenuto – era fuggito a gambe levate dopo aver causato un possibile casino sulla nave su cui viaggiava. E di quel casino ben se ne ricordò quando vide l’adorata cugina inginocchiata a terra e con quel suo culo che non aspettava altro che pinzettato da lui… ma sapeva che non era quello il momento, e ciò che riusciva a fare al momento era restarsene imbambolato di fronte alla porta di ingresso.

“Ehm, siete sicuri che io possa andare bene per…”

“purchè mi fai queste benedette foto, Whirl! Iniziano a farmi male le ginocchia”

La verità era che il pessimo soldato aveva cercato asilo dai suoi discutibili cugini dopo che aveva colto con le mani nel sacco quel piccolo ingrato di Tailgate chattare con la bella Shockblast su argomenti che un fottuto minicon non doveva decisamente affrontare con un transformers più grande di lui di almeno due taglie! Pertanto le legnate che ne conseguirono, reso pazzo da una gelosia che non credeva neppure sua e convinto di salvare così l’onore della bella femme, furono così forti e violente da mandare lo sfortunato nano in coma in infermeria e lui in fuga per forza di cose.

Whirl ovviamente non poteva sapere che la cugina adorava i mech di taglia esile e i minicon – rispetto a molte sue coetanee che sbavavano per il cybertroiano più massiccio in circolazione – trovando questi ultimi davvero tanto carini e iniziando per questo a flirtare con uno dei suoi affezionati ammiratori che ben apprezzavano le sue foto.

“bè allora mi metto subito all’opera… però credo che verranno un po’ alla cazzo, eheh!”

L’idea di tirare fuori suddetto arnese era una grande tentazione, ma Whirl restava comunque un signore e dunque sarebbe sicuramente riuscito a scaricare una certa tensione più tardi. Di tutt’altro parere invece parve essere Shockwave, che tosto si allontanò da quella stanza una volta consegnata la macchina fotografica nelle “mani” del cugino. Il ciclope dall’armatura viola aveva ben altro a cui pensare, conscio del fatto che aveva una anziana parente in mano al nuovo despota dei decepticons – si, la registrazione di Tarn aveva raggiunto anche lui – e una moglie che ancora non riusciva a toccare, pertanto l’unica cosa che riusciva a rasserenarlo un po’ era stare dietro ai suoi esperimenti incompiuti e portare pazienza.

Tuttavia, neanche il tempo di un paio di scatti fotogenici, qualcosa riportò lo scienziato ciclopico sui suoi passi dopo quelli che erano stati si e no cinque minuti di assenza dalle stanze di sua sorella. Portando i presenti ad allarmarsi e non di poco.

“Uh? Fratello, che succede?!”

Shockblast capiva sempre subito quando c’era qualcosa che turbava suo fratello maggiore, tanto da mettersi immediatamente in piedi nel momento esatto in cui entrò in tutta fretta in stanza dirigendosi insolitamente al mobiletto degli alcoolici.

Era successo qualcosa in quei pochi minuti di assenza. Qualcosa che aveva a che fare con una chiamata d’urgenza a cui lui aveva risposto e che ora lo stava spingendo a doversi riempire un bicchiere di cristallo per sbollire i nervi e non avere voglia di spaccare tutto e tutti.

“Si tratta della DJD, cara sorella” fece finalmente lui, una volta che finì di sorseggiare tutto d’un fiato il liquore all’energon che aveva scelto “hanno detto che verranno da noi tra cinque giorni e di tenerci pronti… qualunque cosa voglia dire questa frase”

  
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