Il
suo sguardo vermiglio vagò per un attimo verso il limpido
cielo di Caminos
quando lo stonato canto di alcune gru cenerine non lo distrasse dalle
sue insolite
incombenze.
Uno
stormo di quelle fastidiose creature organiche solcava il cielo estivo
di quella
colonia lontana, forse diretto verso le montagne innevate per sfuggire
alla
classica calura estiva di quel periodo o, forse, per allontanarsi da un
gruppo
di viziati parassiti che stavano letteralmente inquinando quel mondo
lontano
con le loro tecnologie.
Caminos
si presentava per quello che era: una colonia cybertroiana in terra
organica,
dalle forme di vita primitive, i cui abitanti dalle splendide armature
scintillanti si vantavano di vivere in un’oasi pacifica nel
rispetto della
natura che avevano colonizzato.
Per
Megatron quel branco di ipocriti dalla pancia piena contavano poco e
nulla, un
mucchio di nobili ormai dissociati dalla loro terra natia che lo
guardavano
come un re barbaro – rozzo e ignorante – ogni qual
volta metteva piede nella
reggia dorata di lord Atilius per delle trattative di pace che finivano
sempre
con l’andare a quel paese. Eppure, puntualmente, il signore
dei decepticons non
aveva mai saltato un invito.
Se
in principio era stato mosso da motivi anche strategici – da
notare come spesso
gli inviti del senatore coincidessero con la disfatta di una battaglia
cruenta
per ambo le fazioni – ora la questione si era fatta
più curiosa sotto le
sembianze di servofish che gli
stavano gironzolando sotto il cavallo delle gambe.
Attualmente
si trovava a mollo in una grande piscina artificiale presente nella
tenuta
Atilius, simile nell’aspetto ad un grande laghetto nelle sue
geometrie
squadrate e aliene, e il motivo per cui aveva deciso di rinfrescarsi le
natiche
metalliche nel fresco energon azzurrino era rappresentato proprio da
quelle
semplici forme di vita meccaniche che scivolavano placide lungo le sue
gambe.
“tzk…
ma tu guarda cosa mi tocca fare”
Non
lo aveva costretto nessuno ad entrare lì dentro –
ci mancava solo che qualche
pivello caminoano lo sfidasse a qualche stupido gioco – ma
ciò che lo aveva
mosso maggiormente era quel suo smisurato orgoglio nel voler dimostrare
qualcosa
alla graziosa ospite che lo attendeva pazientemente inginocchiata sulla
candida
sponda di quel laghetto artificiale.
“sembra
che la pazienza non sia nelle vostre virtù, lord
Megatron…”
“silenzio! Solo perché non sono
ancora
riuscito a catturare uno di questi maledetti affari non significa che
sia un
incapace!”
“…ma
vi concedo una certa tenacia. Di quella ne avete in
abbondanza!”
Natah
Atilius, unica figlia femmina di un ben più noto senatore,
dovette trattenersi
di forza per non mettersi a ridere di gusto di fronte a quella
situazione
piuttosto insolita per il signore dei decepticons. Da quando aveva
raggiunto
una età adeguata da poter sostenere un colloquio con una
persona più adulta di
lei la giovane femme non aveva perso tempo a chiacchierare amabilmente
con i
diversi ospiti di suo padre che spesso solcavano la porta della loro
dimora… e
doveva ammettere a se stessa che il mech ora a mollo nelle azzurre
“acque” del
laghetto era uno tra gli individui più singolari che le era
capitato di
incontrare.
Singolare
si, ma non per questo meno pericoloso nel suo aspetto imponente ai
sensori
ottici azzurri di una nobile che ben conosceva – di fama
– le gesta ben poco
eroiche di un signore della guerra ben poco apprezzato su Caminos.
Eppure nei
suoi lunghi anni di studi, china sui libri più che a prestar
orecchio alle
persone, aveva ben presto abbandonato il dar credito a possibili
malelingue a
favore del beneficio del dubbio quando si parlava di certe persone e
del loro
passato. Soprattutto nei riguardi della figura di Megatron,
così chiacchierata
eppure così mitologica, tanto da voler vedere di persona che
razza di uomo
fosse il sanguinario condottiero.
La
sua si trattava di un’ovvia curiosità
adolescenziale – amplificata dal fascino
del “cattivo ragazzo” che ammaliava la figura del
massiccio mech, un’aura che
non lasciava mai indifferente le giovanissime donne – che
volle fin da subito
saziare ponendo al signore dei decepticons domande sul suo operato e su
quanto
ci fosse di vero nelle leggende che ammantavano la sua
figura… e la sua
risposta, a quella specifica domanda, in principio la lasciò
spiazzata.
“tutto
incredibilmente vero nella
sua più totale falsità”
Una
risposta che la lasciò davvero senza parole
all’inizio, non capendo bene a cosa
alludesse, ma poi con il passare del tempo – e le varie
chiacchierate
successive – le avevano comunque dato modo di comprendere a
cosa si riferisse
l’ex gladiatore.
Un
uomo che si era costruito una fama tanto sulle proprie azioni
(deplorevoli) quanto
sulle dicerie circolanti sul suo conto. Un mostro generato dal senato e
accresciuto per propria volontà individuale, non vedendo
più motivo di fermarsi
nel proprio operato. Più mito che uomo, arrivando dopo eoni
a cominciare a
detestare la propria immagine.
Ma
per Natah, mossa da un sesto senso che la portava a sentire un
inquietante
pizzicore al disotto della propria armatura, non riuscendo ancora a
dare un
nome a quella spiacevole sensazione, ciò che vedeva in
quegli occhi vermigli –
quando il loro proprietario non pensava di essere visto – era
spesso lo sguardo
stanco di un uomo che aveva visto troppe battaglie e sopportato tanti
tradimenti quanti lutti interni. Un vero signore della guerra
quindi… ma
talmente romanzato nel corso dei secoli che la sua delusione, ormai
saturo di
leggende sul suo conto, poteva anche essere sentita con mano. Una
piccola
“debolezza” che a quanto pare l’auto
proclamatosi nobile mostrava unicamente a
lei.
La
giovane nobile di lui sapeva solo quello che era stato trascritto dalle
cronache a suo tempo – tanto dai suoi uomini quanto dai suoi
detrattori – e da
Megatron stesso, ma mai si sarebbe aspettata un lato insolitamente
“umano” da
parte di un mech dalle mani sporche dell’energon di
così tanti individui. Era
come se, nelle loro chiacchierate sui tomi polverosi che entrambi
apprezzavano,
ci fosse una sorta di connessione
platonica
con qualcuno con cui poteva finalmente parlare senza i rigidi paletti
imposti
dall’educazione che le era stata impartita fin da piccola. E
con il passare del
tempo, la ragazza si dimenticò del passato del proprio nuovo
amico relegandole
in un angolo della propria memoria.
Ora
non era più la sua storia ad interessarle… ma
decisamente qualcos’altro di ben
più proibito per una
nobile come lei,
e ben se ne ricordò nel momento in cui lo vide attraversare
il laghetto
artificiale per raggiungerla sulla candida sponda.
“vorrei
ricordarle, cara la mia signora, che siete stata voi a convincermi a
prendere
uno di questi dannati pesci! ‘prenderli
non è affatto facile, lord Megatron’
bè me ne sono accorto!”
Ad
ogni suo goffo passo nell’energon azzurrino quelle creature
dall’aspetto più
disparato si dileguarono tra i flutti cristallini, tornando al loro
compito
primario di depurare e analizzare le acque dense come metano liquido
per somma
gioia del loro proprietario, riuscendo infine a toccare con mano la
sponda
marmorea e potercisi issare su.
La
posizione che aveva scelto per tornare sulla terraferma non fu casuale,
in
quanto la bella nobile si trovava proprio ad una spanna da lui dal
momento che aveva
assistito a tutto quell’inusuale spettacolo standosene
inginocchiata proprio a
pochi centimetri dalla sponda. Una vicinanza piuttosto intima che si
creò per
forza di cose, soprattutto quando i volti dei due cybertroiani quasi si
sfiorarono, non trovando indignazione di sorta sul volto di una padrona
di casa
che parve ben felice di quel nuovo livello di complicità che
si stava creando
tra loro due.
Il
signore della guerra decise di rimanere fermo dov’era ancora
per qualche
minuto, con ancora le gambe a mollo nel fresco energon cristallino, ben
sapendo
che quello che stava facendo avrebbe sicuramente fatto infuriare un
padre fin
troppo assillante nei confronti di una figlia ormai divenuta donna. I
trattati
di pace se li poteva anche mettere in quel posto, visto e considerato
che
Megatron non aveva mai sperato davvero ad una tregua consolidata che
non
rispondesse alle sue esigenze specifiche, ma cercare di farlo capire al
borioso
nobile era dura. E ora le sue esigenze da un po’ di tempo a
quella parte erano
più incentrate a corteggiare una Natah divenuta adulta
quanto prima.
Una
femme che sembrava condividere con lui un certo risentimento nei
confronti del
senatore Atilius – reo di essere molte cose nella giovane
mente di sua figlia –
non scandalizzandosi affatto per quella vicinanza pericolosa ma
trovandosi
invece a sorridergli con una certa complicità.
“sa,
mia cara ragazza, ho sentito che poco fuori città ci sono
delle grotte di
cristalli di energon davvero incantevoli che aspettano solo di essere
visitate…” mormorò lui, con
l’intento che quelle parole venissero captate solo
dalla sua graziosa ospite e che, nella loro ambiguità,
venissero comprese anche
in altro senso “mi chiedevo quindi se siete esperta
in questo genere di escursioni fuori porta”
La
giovane soppesò bene le parole del signore della guerra,
sentendo la propria
scintilla sfrigolare dall’emozione – come se fosse
stata una adolescente alla
prima cotta, cosa che in fin dei conti era – ma fu ben
attenta a non tradire le
proprie emozioni sorridendogli di rimando con complicità e
malizia, e
rispondendogli nel modo più sincero che poteva.
“conosco
quelle grotte, ed ho una certa esperienza
in effetti… ma da sola.
Non ho ancora
avuto il piacere di perlustrarle in compagnia”
Onestamente
lord Megatron non si aspettò di trovare una nobile rampolla
ancora
perfettamente intatta in mezzo a quella bolgia di rammolliti viziosi,
ma ciò lo
lasciò piacevolmente sorpreso tanto da trasformare il
proprio mezzo sorriso in
un ghigno che non poteva promettere nulla di buono. Si sarebbe
aggiudicato
quella prima fetta di torta con buona pace dell’ansioso
paparino, e a quanto
pare pure Natah non vedeva l’ora di perdere la propria
verginità nel modo più
scandaloso possibile.
Si
issò dunque in piedi, seguito a ruota dalla sua giovane
ospite, prendendola
spudoratamente per mano nell’atto di volersi allontanare da
lì il prima
possibile e spiccare entrambi un volo acrobatico che li avrebbe portati
nei
cieli estivi di Caminos.
[…]
Di
quel passato lontano a Natah rimaneva semplicemente un ricordo
agrodolce, a tratti
amaro, destinato a scontrarsi con la
realtà di una relazione che si era fatta via via sempre
più complessa ad ogni
loro incontro segreto. Quel giorno era ritornata a casa verso il calar
del
sole, dolorante e con le gambe traballanti, ma straordinariamente
felice
dell’esperienza fatta con il più sbagliato degli
uomini.
Un
ricordo questo che, in quel preciso momento, si fece sempre
più sbiadito quando
una sgradevole sensazione alla gola
non la costrinse a dischiudere i sensori ottici per risvegliarsi in
quello che
era un ambiente totalmente alieno per lei.
Ciò
che vide fu in principio il soffitto in metallo di una stanza che
sicuramente non
apparteneva alla stazione medica in cui si era rifugiata un giorno fa
– o forse
erano passati più giorni? – e il rumore dei
macchinari medici la portarono a
pensare velocemente che doveva essere stata trasportata da
tutt’altra parte
dopo le cose orribili successe all’ospedale. Le facce
disossate e allucinate di
quei mostri senza anima dei mortiliani per un momento occuparono i suoi
pensieri con dei flash orribili e strazianti. Una paura atavica si
impossessò
di lei per un brevissimo momento, ricordando la loro presa sulle sue
vesti e
sui suoi “capelli” e la furia con cui la buttarono
sul pavimento per poterla
letteralmente mangiare. Con un
gemito
strozzato sentì nuovamente i denti di quegli schifosi
addentarle l’armatura del
polpaccio destro, recidendogliela di netto, urlando disperata il nome
dell’unica guardia del corpo che aveva assoldato per una
missione che reputava
rapida e sicura. Un ragazzo giovane, che si buttò a
capofitto nella mischia a
colpi di spada pur di trarla in salvo e rischiare così la
propria nobile vita.
Quel
soldato aveva dato la vita per lei e per suo figlio – e per
tutti quelli
presenti all’interno del caveau – ed ora il suo
sacrificio si era rivelato
comunque vano quando la ragazza realizzò che solo la DJD
poteva essersi presa
cura di lei dopo quel disastroso attacco.
Era
stata portata li e curata per chissà quali malefici scopi,
nonostante quello
che doveva essere il loro capo le aveva assicurato che non le sarebbe
stato
fatto alcun male, ed ora il suo istinto (piuttosto che la ragione) le
stava
suggerendo di alzarsi da quella lettiga il prima possibile nonostante
lo strano
peso che le bloccava in parte le caviglie.
“M-ma
cosa… AH!”
Nel
momento esatto in cui si mise a sedere si rese conto che sdraiato
accanto a lei
c’era una creatura che aveva ben pensato di appoggiare il
proprio lungo muso
sui suoi piedi come se fossero un cuscino, avente le sembianze di una
specie di
cane alquanto strano fino a quel momento impegnato più ad
oziare che a farle la
guardia. Pareva innocuo, ma tanto bastò per spaventare una
giovane femme appena
uscita dal coma indotto e a farla strillare di conseguenza. Cadendo
rovinosamente a terra nell’atto di scostarsi il
più possibile da una belva a
lei sconosciuta, e gemendo di dolore quando colpì
rovinosamente i gomiti e il
fondoschiena a terra.
“Stammi…
stammi lontano! R-resta lì!”
La
bestia parve darle retta sebbene si alzò in piedi come
allarmata da quella
goffa caduta, limitandosi a guardarla incuriosita nel mentre che la
disgraziata
si rialzava in piedi con non poca difficoltà e con ancor
poca grazia.
Nonostante la gamba fosse stata riparata la sentiva ancora debole e
traballante
– il tutore di metallo che la sosteneva non era li solo per
bellezza – pertanto
dovette arrampicarsi lungo una scaffalatura di attrezzature mediche a
lei
ignote prima di riuscire a issarsi in piedi continuando a tenere
d’occhio le
possibili intenzioni di una creatura fin troppo strana per definirlo un
animale
vero e proprio.
“Devo…
devo andarmene da qui!”
La
voce le si spezzò per un momento, preda
dell’adrenalina e di una possibile
crisi di nervi, ma perlomeno fu grata di constatare che in quella
infermeria
non c’era nessuno che potesse mettere in allarme
l’intero equipaggio. Con un
po’ di fortuna, cercando di sfruttare le ombre offerte da
quell’ambiente a lei
sconosciuto, forse avrebbe potuto anche farcela… oppure, con
un po’ più di
saggezza, avrebbe potuto sfruttare la copertura offerta da un carrello
per i
panni sporchi parcheggiato fuori dalla sua stanza. Non che doveva
saltarci
dentro per forza di cose – anche perché non le
sembrava molto igienico vista la
condizione di quegli stracci, senza contare che non contava di poter
nascondere
le proprie ali in quanto sarebbe stato eccessivamente scomodo
– ma perlomeno
poteva nascondersi di lato o lanciare quel carrello come un ariete nel
caso
qualcuno avesse cercato di fermarla.
Un
piano disperato fin dal suo concepimento, molto probabilmente destinato
a
fallire, ma perlomeno era meglio che non provarci affatto.
[…]
Su
Messatine mancavano poche ore al sopraggiungere dell’alba, e
forse fu questa la
fortuna che baciò Natah quella sera. Con la notte che ancora
avvolgeva le dolci
colline ghiacciate del pianeta l’equipaggio della Paceful
Tyranny era ancora
rintanato nelle proprie cuccette, o almeno così sperava.
Non
le ci volle molto per capire che la struttura in cui si trovava era una
nave di
dimensioni notevoli – e dagli oblò
dell’incrociatore poté osservare il deserto
innevato di un pianeta a lei alieno – ma una volta raggiunto
l’hangar di carico
dell’incrociatore si rese conto di una scoperta ancor
più agghiacciante. Una
volta raggiunta la sponda di carico, ferma ad una piattaforma grande
abbastanza
per contenere l’intero volume della nave e consentire lo
scarico merci, ciò che
poteva essere naturale per una seeker come lei si rivelò
estremamente arduo se
non addirittura impossibile.
Il
suo intento era quello di trasformarsi e spiccare il volo verso quel
cielo
ancora buio e sferzato dal vento gelido, il più lontano
possibile dai boia
decepticons e dalle loro intenzioni tutt’altro che
cristalline, ma ciò che le
riusciva a fare era solo di accennare un tentativo di trasformazione ad
ogni
battito di ali.
“il
mio t-cog… me lo hanno tolto!”
Lo
disse con un filo di voce, chiudendo momentaneamente le palpebre
sintetiche in
un momento di sconforto totale, sentendosi oltremodo violata
da quella loro precauzione atta a non volerla far scappare
in nessun modo dalle loro grinfie. Molto furbi, gliene dava atto, ma
non
sarebbe stato quello a fermarla.
Anche
se in quel momento non poteva definirsi propriamente lucida nei suoi
pensieri –
perché voler fuggire in fretta e furia senza un minimo di
accortezza e un piano
che fosse uno era da folli, preda del terrore più cieco
– l’unica idea che le
venne in mente era quella di avventurarsi in linea retta verso quel
mondo
ricoperto di neve, seguendo quella che sembrava essere una pista che da
molto
non veniva battuta. Prima o poi avrebbe pur incontrato qualcuno in
grado di
aiutarla.
Si
fece coraggio dunque, ed alzò i tacchi verso una neve che
l’accolse senza pietà
alcuna.
Ciò
che la ragazza non poteva sapere era che non tutti gli abitanti
dell’incrociatore erano a riposo. Alcuni, e nello specifico
il suo comandante e
l’ufficiale medico di bordo, erano ancora svegli persi in una
nottata insonne a
sbrigare mere faccende burocratiche sul grande ponte di comando. Un
buon modo
per lui di distrarsi e rilassarsi da pensieri ancora nebulosi, un buon
modo per
lei di tenerlo d’occhio in quanto non riusciva proprio a
fidarsi della sua
buona parola.
Ed
ora erano entrambi davanti agli schermi olografici della sala comando
intenti
ad osservare ciò che le telecamere esterne mostravano loro.
Una femme intenta a
camminare con difficoltà sulla neve che le arrivava fin
quasi alle ginocchia,
decisa a percorrere l’unico “sentiero”
che portava nell’entroterra del pianeta
e creato dai precedenti passaggi della DJD nell’atto di
scaricare del contenuto
indesiderato.
“Tarn…
forse è il caso di andare a prenderla”
“No.
Lascia che vada… e che veda”
Per
un momento la risposta lapidaria data dal suo leader la
lasciò del tutto
spiazzata, portandola a guardare velocemente l’inquisitore
capo a bocca aperta
e in procinto di protestare, per poi ricordarsi che non era il caso di
contraddirlo troppo su di un argomento che era ancora un tasto dolente
per lui.
“La
strada è sicura per ancora qualche miglio, non
finirà dritta dentro un
crepaccio con il rischio di incombere in chissà quale
pestilenza. Puoi stare
tranquilla, Nickel… la ragazza ha già dimostrato
di non essere una stupida”
Era
risaputo che, se la superficie di Messatine era prettamente tranquilla
e
sicura, il sottosuolo era un concentrato di letalità a causa
di una passata
piaga che aveva sterminato i suoi minatori e buona parte delle sue
guardie. Ora
il peggio era logicamente passato, ma tra le sue gallerie ancora
cariche di
prezioso minerale serpeggiavano le carcasse arrugginite dei suoi
precedenti
abitanti, e il virus che li aveva annientati ancora dimorava assopito
nell’umido terreno.
Ma
il leader della DJD confidava nel fatto che la femme si sarebbe fermata
molto
prima nella propria corsa verso la libertà, in quanto
ciò che avrebbe visto
nella neve le avrebbe fatto finalmente aprire i sensori ottici sul
destino che
l’attendeva.
[…]
La
luce del sole sorse impietosa sulle lande ghiacciate di quel sasso alla
deriva
qual era Messatine. La figura di Natah in tutto quel bianco immacolato,
quasi
accecante a causa della nebbia e della neve che continuava a cadere,
procedeva
a stento spossata da una camminata di almeno due ore piegata dal freddo
e da un
brontolio allo stomaco che si stava facendo sentire sempre
più ad ogni passo su
una neve che ormai le arrivava sino alle cosce. Aveva fame, e forse il
pensiero
costante di averla la teneva sveglia.
Le
braccia le teneva incrociate appena al disotto del petto,
istintivamente dedita
a proteggere la vita della propria creatura da un freddo pungente che
la stava
portando a sentire i circuiti congelarsi ad ogni passo nella spessa
neve,
mentre tutta la sua figura era curva in avanti a causa della stanchezza
e del
dolore alla gamba da poco operata dovuta ad una lunga camminata
sfiancante e
inconcludente. Era come se stesse andando alla deriva e ad ogni ora che
passava
stava iniziando a ragionare più a mente lucida rispetto a
prima, decretando che
forse non doveva andarsene via così di fretta lasciando il
beneficio del dubbio
riguardo alla situazione in cui si era ritrovata.
Ma
come poteva se in ballo c’era la vita di suo figlio di mezzo?
L’unica cosa che
Megatron le aveva lasciato? Davvero poteva permettersi il lusso di
rischiare la
propria vita e quella del loro unico figlio ora che lui non
c’era più?
“Megatron…?”
Oppure
non era esattamente così?
In
principio pensò che fosse uno scherzo dettato dalla foschia
e dalla stanchezza
di essersi introdotta in un entroterra a lei ignoto, una allucinazione
che si
stava palesando nelle sue ottiche azzurre ad ogni incerto passo sulla
densa
neve sferzata da un vento ora non più tanto forte e
insidioso come in quelle
prime ore del mattino. Ma poi, avvicinandosi con sospetto a
quell’imponente
sagoma che si stagliava nella foschia mattutina, non poté
fare a meno di
riconoscere la sagoma dell’uomo che fino a qualche giorno fa
aveva amato nel
bene e nel male.
Per
un momento la scintilla perse un paio di pulsazioni dovuta
all’emozione di non
credere ai propri sensori ottici, ora sgranati nel tentativo di
riconoscere
meglio le forme massicce del compagno estinto, sentendosi per un breve
momento
leggera come un fiocco di neve nell’atto di avvicinarsi a lui
e a constatare
che tutta la speranza che nutriva in quell’istante era
fondata su una vana speranza.
Speranza,
questa, che le morì in gola quando –
nell’atto di avvicinarsi con cautela alla
sua figura – constatò che quell’immagine
in principio avvolta nella foschia era
fatta di pura roccia anziché metallo e protoforma.
Una
statua a sua immagine e somiglianza, ripreso in una posa che esprimesse
al
meglio il proprio potere ora in frantumi, dallo sguardo assente intento
a
scrutare un orizzonte vuoto e monotono nel mentre che la neve
continuava a
posarsi sulla sua figura fredda e immobile. Megatron era morto e non
sarebbe
più tornato indietro per lei, per suo figlio, o per chiunque
altro avesse
invocato il suo nome preda della disperazione più cieca.
Finalmente,
da quando era cominciato quell’incubo, Natah
realizzò di essere rimasta davvero
sola. Assimilando quel lutto che
aveva bruscamente ignorato per giorni, da quando le era giunta notizia
della
sua morte per mano dei canali autobot, decisa ad attuare il proprio
piano in
barba a quello che il suo stesso compagno le aveva consigliato
– fonte questo
di diverse litigate prima del fattaccio che aveva portato il loro
nucleo
familiare a disintegrarsi – ora avvertiva la propria
scintilla lacerarsi in un
dolore mai provato prima.
Aveva
voglia di piangere ma il gelo pungente trasformava le sue lacrime in
cristalli.
Aveva voglia di gridare ma il fastidio alla gola la portò
unicamente a
rantolare nell’atto di inginocchiarsi a terra di peso
continuando ad osservare
quella figura di pietra priva di vita che la ignorava volgendo il
proprio
sguardo altrove. Abbandonato lì dopo aver disertato nel
peggiore dei modi.
Megatron
era morto.
Lei
era sola.
E
i decepticons avevano rinnegato il loro stesso signore come fosse stata
spazzatura da buttare fuori dalla porta, lontana da sotto il loro naso
a causa
di un tanfo che potevano sentire solo loro.
Presa
dalla propria silenziosa disperazione quasi non si accorse dei pesanti
passi,
attutiti quel tanto che bastava dalla soffice neve, che si generarono
alle sue
spalle se non quando ormai erano prossimi a raggiungerla. Alle sue
spalle un
solo uomo attendeva che la femme si accorgesse di lui, ed ella se ne
accorse
ben presto trovandosi a chinare il capo sconfitta di fronte al futuro
che
l’attendeva.
Tarn
alla fine ci aveva giusto, e sbarazzarsi della statua del suo antico
signore –
un tempo posta nella hall della Paceful Tyranny, luogo di passaggio
obbligato a
tutti coloro che dovevano rendergli omaggio – era stata cosa
buona e giusta
visto che aveva salvato la vita di quell’incosciente ragazza.
Oltre quel
monolite granitico la strada sicura finiva, ed inizia un purgatorio
ignoto ai
più.
Aveva
voluto darle tempo di riflettere e di farle capire che non
c’era più scampo per
lei, che non c’era mai scampo dalla DJD, lasciandola al suo
dolore e ad una
comprensione che non tardò ad arrivare.
“Quindi…
è finita?”
Quella
parve più una domanda posta sulla sua condizione
anziché sullo stato di un
esercito ora non più allo sbaraglio ma comunque teso
– se non terrorizzato – di
fronte ad un nuovo signore dalla fama di macellaio invasato. Ignorava
ancora
che il diritto di rivendicazione mosso da Tarn comprendeva anche la sua
esistenza e quella del futuro erede di Megatron, facendola sua di
diritto così
come ogni altro bene appartenuto un tempo all’ex signore
della guerra.
“Si…
è finita” fece finalmente lui, compiendo gli
ultimi passi che lo separavano
dalla seeker e piegando un ginocchio a terra per poterle venire
incontro “ora
torniamo a casa… Stare
qui fuori,
nelle tue condizioni, può essere rischioso”
Anche
se sorpresa da parole tutto sommato confortanti la nobile prese
comunque con
riluttanza la mano che l’inquisitore le porse per aiutarla a
mettersi in piedi,
prima di essere presa in braccio con facilità disarmante per
facilitare un
rientro tutt’altro che sereno verso quella che da ora in
avanti avrebbe dovuto
chiamare “casa”.
[…]
Una
volta rientrati nell’incrociatore degli esecutori la vita
aveva ripreso a
scorrere già da un’ora. Sempre molto mattinieri i
soldati decepticon si erano
messi a svolgere le loro solite incombenze subito dopo colazione, a
questo giro
davvero buona in quanto finalmente possedevano una cuoca a dir poco
eccezionale, ma almeno tre di loro stavano trasgredendo a quella
basilare
routine per cercare di origliare alla porta degli appartamenti del loro
grande
capo.
Appena
giunto alla Paceful Tyranny aveva ben voluto farsi vedere dai suoi
uomini in
compagnia della loro nuova ospite, ed una volta varcate le soglie delle
sue
stanze personali non si era più fatto ne vedere e neppure
sentire. Un
atteggiamento questo troppo sospetto per non attirare chiacchiere
più o meno
innocue, al limite del pettegolezzo, visto e considerato che la ragazza
non era
affatto di aspetto sgradevole ed era a tutti gli effetti la vedova di
Megatron.
“Saranno
chiusi li dentro da ormai un’ora”
borbottò Helex, massaggiandosi il mento con
una grande mano “Tarn non ci ha detto una parola e
francamente non so se sia il
caso di restarcene qui…”
“Magari
sarebbe il caso di tornare a svolgere le nostre faccende
quotidiane” fece
Tesarus, scrollando le spalle abbastanza seccato di tutto quel
sensazionalismo
“se ha voglia di connettersi con quella ragazzina dove sta il
problema? Ne ha
tutto il diritto in effetti”
Per
forza di cose la dichiarazione registrata di Tarn venne indirizzata
anche nei
loro canali radio ufficiali, pertanto la prima cosa che potevano
sentire appena
accesa la radio al mattino era quella noiosa dichiarazione sul fatto
che ora a
comandare la baracca erano essenzialmente loro. O meglio, il loro
inquisitore
capo.
Non
che al gigantesco demolitore importava, così come poco gli
importava della ragazzina
che ora si trovavano a bordo, in quanto ciò che contava
maggiormente era che
potessero continuare a fare il loro violento mestiere
anziché mettersi a
raccogliere margherite.
Di
tutt’altro parere pareva essere invece il tecnico di bordo,
ossia Kaon, intento
a schiacciare i propri recettori uditivi contro la spessa porta
metallica di
fronte a lui cercando disperatamente di captare qualche discorso che
fosse uno.
O anche qualcos’altro di più torbido, se gli fosse
stato possibile ascoltare.
“Oh,
andiamo ragazzi! Non siete anche voi curiosi di saperne qualcosa di
più sulla
nostra graziosa ospite? Scommetto che conosce un sacco di aneddoti
riguardanti
il defunto Meg-Ahh! N-nonna?! Che
cosa ci fai qu-”
Poco
ci mancò che il mech dalle cromature rosse e oro si
ritrovasse a faccia a terra
quando le porte scorrevoli degli appartamenti di Tarn si aprirono
all’improvviso, rivelando le voluminose forme
dell’anziana levatrice di
Shockwave.
La
donna, inespressiva come suo solito, teneva tra le mani un vassoio in
metallo
ormai vuoto – e se fossero stati più attenti
avrebbero anche saputo che la
femme era giunta in quelle stanze ancor prima di Tarn, per stesso
ordine
dell’inquisitore capo – che con sfacciataggine
criminale decise di utilizzare
proprio sul volto di quel nipote acquisito intenzionato a farsi gli
affari
degli altri anziché i propri. Il colpo fu tanto potente
quanto rumoroso,
arrivando a deformare la superficie piana dell’artefatto
quando andò a colpire
la guancia destra di Kaon – a dimostrazione che la vecchia
decepticon
continuava a possedere una forza tale da non essere sottovalutata
– tanto da
far perdere immediatamente i sensi alla sua povera vittima.
“Nonna!
Ma che diavolo!!”
Il
commento di puro stupore da parte di Helex coincise nel momento esatto
in cui
il povero tecnico cadde a terra svenuto, ricevendo tuttavia uno sguardo
freddo
come la morte da parte di una anziana poco disposta a vederli
bighellonare in
giro e origliare i fatti degli altri.
“mi…
mi sa tanto che Tarn si sia accorto che eravamo qui” fece
quindi Tess, facendo
un passo indietro nel mentre che osservava la ciclope prendere per una
caviglia
lo sfortunato collega di lavoro ancora esamine “meglio
tornare alle nostre
faccende!”
Decisero
di allontanarsi da lì in tutta fretta, non curandosi del
fatto che la vecchia
pazza stava comunque portando il malcapitato inquisitore verso
l’infermeria
della piccola dottoressa affinché si desse quanto prima una
svegliata.
[…]
Quello
che i suoi sottoposti non potevano sapere era che Tarn, prima ancora di
salire
a bordo della propria nave, aveva contattato via comm-link
l’anziana ciclope
per impartirle l’ordine di allestire una stanza per miss Natah nei suoi ampi appartamenti.
Il
mech era solito usare si e no tre delle stanze presenti nei suoi
quartieri –
compresa, oltre la sua camera da letto, anche uno studio ed un piccolo
“museo”
dove conservava i cimeli più esotici
appartenuti un tempo al suo defunto signore – mentre le altre
cinque restavano
tristemente vuote fatta eccezione per il bagno padronale con tanto di
vasca per
un rilassante bagno d’olio. Una buona occasione quindi per
mettere a suo agio
la vedova di Megatron, quel tanto che bastava da darle l’idea
di essere la
benvenuta a bordo. Ma allo stesso tempo cosciente di essere sotto
l’occhio
vigile del suo nuovo signore, indisposto a farla volare via dai propri
artigli.
“Questa
sarà la tua stanza d’ora in avanti. È
ancora molto spartana ma…”
“Va
benissimo così. Ringrazio entrambi per
l’ospitalità”
Seduta
su quella che da quel giorno in avanti sarebbe stata la sua cuccetta la
ragazza
osservò con aria stanca l’arredamento essenziale
della stanza in questione.
Oltre al letto era presente un armadio con all’interno alcune
coperte e una
scrivania su cui una anziana ciclope aveva appena disposto la colazione
per la
sua nuova ospite, il tutto in un ambiente ancora minimalista ma nulla
che non
potesse sopportare. In fin dei conti una volta lasciati gli agi della
villa di
suo padre aveva vissuto per diverso tempo nel sottoscala della
biblioteca in
cui lavorava, prima di racimolare abbastanza per permettersi un
appartamento
tutto suo, quindi ad una vita semplice era abituata.
Ma
oltre a questo, Tarn confidava che la ragazza fosse stata educata da
buona
caminoana alle sue regole non poi così diverse da quelle
scritte in Towards
Peace. Per quanto potesse sembrare una società tranquilla e
amante della pace
era risaputo che ancora oggi su Caminos fossero seguite regole
piuttosto medioevali per quanto
concerne la vita
privata dei nobili più che delle persone comuni al loro
servizio.
E
il tanto discusso diritto di rivendicazione esisteva in forma simile
anche su
quel pianeta di rammolliti… quindi, magari,
Natah non avrebbe fatto troppe storie sul fatto che fosse lui ora il
suo nuovo
“compagno”. Ma di questo c’era tempo per
parlarne in diversa sede, comprendendo
perfettamente che ora la femme era troppo stravolta per sostenere un
colloquio.
“per
oggi avrai la giornata libera, così come anche per le
prossime” fece lui,
estraendo da uno scomparto nascosto nel petto il registratore che gli
aveva
dato il suo ex leader “so che magari non è il
momento più opportuno per certe
cose, ma Megatron ci teneva davvero che venissi protetta da noi. A
costo di
dare la sua vita”
Le
consegnò lo strumento sul quale egli stesso aveva speso
giorni a memorizzare ogni
singolo dettaglio in video – ogni sua sillaba pronunciata
– notando per un
momento la sua espressione facciale confusa farsi più cupa
quando accese il
dispositivo riconoscendo il volto del suo estinto compagno.
A
quel punto la seeker non resse più, portandosi una mano alla
bocca nel
tentativo di frenare dei singhiozzi ormai fuori controllo colta da un
esaurimento che difficilmente l’anziana decepticon e il
padrone di casa
sarebbero riusciti a colmare al momento. La cosa migliore da fare era
di
lasciarla in pace con i suo dolore, in modo che potesse assimilarlo a
dovere
ora che aveva compreso che Megatron non c’era davvero
più, confidando che si
sarebbe ripresa il prima possibile da brava nobile qual era.
“Assicurati
che nessuno ci disturbi” fece Tarn alla ciclope, una volta
che furono usciti in
silenzio dalla camera della femme “sono sicuro che i miei
uomini non perderanno
tempo a curiosare, ma questa è davvero l’ultima
cosa di cui la ragazza ha
bisogno”
E
per una volta tanto, la vecchia megera fu soddisfatta di notare uno
slancio di
saggezza nel suo affascinante
comandante.
[…]
“Mi
chiedo a cosa possa servire tutto ciò…”
“A
pagare le riparazioni per il tetto di casa nostra, come prima cosa!
È risaputo
che questo genere di cose attiri più shanix che
babbei”
“La
tua risposta è… logica. Ma avrei gradito che
facessi tutto da sola”
L’atona
risposta di Shockwave in realtà nascondeva una certa noia
dovuta alle prodezze
giornaliere di sua sorella Shockblast e al suo volersi scattare foto
sexy da
postare sui suoi social network – cosa che lui avrebbe fatto
volentieri a meno –
piuttosto che mettersi a lavorare in laboratorio assieme a lui per
completare
diversi esperimenti lasciati incompiuti. Sul serio, sua sorella era una
donna
intelligente ma davvero alle volte non capiva perché
sprecare le proprie
potenzialità scientifiche per una effimera
notorietà basata sul poderoso
fondoschiena che ora stava
cercando di fotografare. E d’accordo che si trattava
certamente di una attività
più remunerativa rispetto che star dietro ad esperimenti
disgustosi – in fin
dei conti non aveva torto quando diceva che con quegli shanix si erano
sistemati la loro antica torre – ma vedere quelle due bocce gli veniva solo da sbuffare
seccato.
“anche
perché da protoforme ricordo
di aver scritto ‘carico pesante’ alle sue
spalle”
ricordò lui quasi con logico divertimento, ed ormai saturo
di una situazione
paradossale che lo aveva portato fino al salotto personale di sua
sorella.
Supina
su di un tappeto, e con il suddetto fondoschiena slanciato verso
l’alto, la
bella ciclope iniziava a irritarsi di fronte alla reticenza del
fratello
maggiore. Tanto da sbuffare seccata e ricordargli il motivo per cui lo
aveva
convocato con così tanta urgenza.
“il
treppiede della fotocamera olografica è andato rotto! Quindi
o mi aiuti con
questa cosa oppure…”
“oppure
Whirl potrebbe prendere il mio posto”
Poteva
sembrare alquanto strano che loro cugino – tra
l’altro facente parte degli
autobots e questo non era un particolare da trascurare –
gironzolasse ancora
per la loro torre… e difatti se l’era chiesto
persino il padrone di casa neanche
ventiquattro ore dopo che la sua festa nuziale era finita in malora.
Poco tempo
dopo si era ripresentato alla loro porta con una motivazione alquanto
vaga, riguardante
il fatto che voleva saperne di più sulla sorte della sua
adorata nonnina, piuttosto
indisposto a fornire dettagli cruciali sul reale motivo che
l’avevano spinto a
prendersi un altro permesso premio dai suoi superiori. Male che vada
Shockwave
lo avrebbe silurato sui due piedi nel caso avesse iniziato a
manifestare
cattive intenzioni, e comunque si trattava di un parente di primo grado
a cui
nonna voleva bene.
La
verità ovviamente la conosceva solo il ciclopico autobot, e
più che ottenere un
permesso per motivi familiari – che difficilmente avrebbe
ottenuto – era fuggito
a gambe levate dopo aver causato un possibile casino sulla nave su cui
viaggiava. E di quel casino ben se ne ricordò quando vide
l’adorata cugina
inginocchiata a terra e con quel suo culo che non aspettava altro che
pinzettato da lui… ma sapeva che non era quello il momento,
e ciò che riusciva
a fare al momento era restarsene imbambolato di fronte alla porta di
ingresso.
“Ehm,
siete sicuri che io possa andare bene per…”
“purchè
mi fai queste benedette foto, Whirl! Iniziano a farmi male le
ginocchia”
La
verità era che il pessimo soldato aveva cercato asilo dai
suoi discutibili
cugini dopo che aveva colto con le mani nel sacco quel piccolo ingrato
di Tailgate chattare con la bella
Shockblast su argomenti che un fottuto minicon non doveva decisamente
affrontare con un transformers più grande di lui di almeno
due taglie! Pertanto
le legnate che ne conseguirono, reso pazzo da una gelosia che non
credeva
neppure sua e convinto di salvare così l’onore
della bella femme, furono così
forti e violente da mandare lo sfortunato nano in coma in infermeria e
lui in
fuga per forza di cose.
Whirl
ovviamente non poteva sapere che la cugina adorava i mech di taglia
esile e i
minicon – rispetto a molte sue coetanee che sbavavano per il
cybertroiano più
massiccio in circolazione – trovando questi ultimi davvero
tanto carini e iniziando per questo
a flirtare
con uno dei suoi affezionati ammiratori che ben apprezzavano le sue
foto.
“bè
allora mi metto subito all’opera… però
credo che verranno un po’ alla cazzo,
eheh!”
L’idea
di tirare fuori suddetto arnese era una grande tentazione, ma Whirl
restava
comunque un signore e dunque sarebbe sicuramente riuscito a scaricare
una certa
tensione più tardi. Di tutt’altro parere invece
parve essere Shockwave, che
tosto si allontanò da quella stanza una volta consegnata la
macchina
fotografica nelle “mani” del cugino. Il ciclope
dall’armatura viola aveva ben
altro a cui pensare, conscio del fatto che aveva una anziana parente in
mano al
nuovo despota dei decepticons – si, la registrazione di Tarn
aveva raggiunto
anche lui – e una moglie che ancora non riusciva a toccare,
pertanto l’unica
cosa che riusciva a rasserenarlo un po’ era stare dietro ai
suoi esperimenti
incompiuti e portare pazienza.
Tuttavia,
neanche il tempo di un paio di scatti fotogenici, qualcosa
riportò lo
scienziato ciclopico sui suoi passi dopo quelli che erano stati si e no
cinque
minuti di assenza dalle stanze di sua sorella. Portando i presenti ad
allarmarsi e non di poco.
“Uh?
Fratello, che succede?!”
Shockblast
capiva sempre subito quando c’era qualcosa che turbava suo
fratello maggiore,
tanto da mettersi immediatamente in piedi nel momento esatto in cui
entrò in
tutta fretta in stanza dirigendosi insolitamente al mobiletto degli
alcoolici.
Era
successo qualcosa in quei pochi minuti di assenza. Qualcosa che aveva a
che
fare con una chiamata d’urgenza a cui lui aveva risposto e
che ora lo stava
spingendo a doversi riempire un bicchiere di cristallo per sbollire i
nervi e
non avere voglia di spaccare tutto e tutti.
“Si
tratta della DJD, cara sorella” fece finalmente lui, una
volta che finì di
sorseggiare tutto d’un fiato il liquore all’energon
che aveva scelto “hanno
detto che verranno da noi tra cinque giorni e di tenerci
pronti… qualunque cosa
voglia dire questa frase”