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Autore: Mahlerlucia    20/08/2020    1 recensioni
Prendi una lacrima, passala sul volto di chi non ha mai pianto.
Prendi il coraggio mettilo nell’animo di chi non sa lottare.
Scopri la vita, raccontala a chi non sa capirla.
(Mahatma Gandhi)
[Atsushi x Akutagawa || #ShinSoukoku]
Genere: Angst, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Atsushi Nakajima, Ryuunosuke Akutagawa
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Manga/Anime: Bungou Stray Dogs
Genere: Angst, Introspettivo, Sovrannaturale
Rating: giallo
Personaggi: Atsushi Nakajima, Ryūnosuke Akutagawa (Osamu Dazai)
Pairing: #AtsuAku #ShinSoukoku #Sskk
Avvertimenti: Missing moments, Tematiche delicate
Tipo di coppia: Shonen-ai

 
 

 

1.  Indelebili cicatrici
 
 
 

“Jinkō!”

Atsushi aveva deciso di non dargli più alcuna soddisfazione in seguito all’ennesima discussione non prevista, giusto un attimo prima che gli uomini della Guild li rinchiudessero in quella dimensione sconosciuta e dalla quale non sapevano più come uscire. All’interno di quei pochi metri quadrati il pavimento si muoveva in maniera sinistra, creando attrito con le pareti circostanti. La giovane recluta dell’Agenzia dei Detective Armati arrivò a pensare che si potesse trattare di uno scherzo di Lucy Montgomery, viste le evidenti affinità tra le abilità della ragazza e l’inesistente staticità di quel posto dimenticato dagli dèi. Ma ben presto comprese che la faccenda doveva riguardare qualcosa di ben più oscuro e misterioso.

“Dazai-san, mi senti? Sono Atsushi! Dazai-san!”

Tentò in tutti i modi di ripristinare un collegamento audio tra il suo auricolare e il microfono del suo mentore, ma ogni speranza venne definitivamente spazzata via dall’impossibilità di udire suoni originati da quello stupido aggeggio.
Come se questo non fosse sufficiente ad incrementare la sua evidente frustrazione, la sua attenzione venne catturata dall’improvvisa risata di colui che da diversi minuti se ne stava accasciato a ridosso di un muro pericolante, con un braccio dolorante e le forze ridotte ai minimi termini. Akutagawa teneva gli occhi semi-chiusi, una mano sporca di sangue rappreso a coprirgli la bocca e sembrava ridere più per mera amarezza che per qualunque altro moto di realizzazione personale. Non c’era alcuna nota di colore in quella reazione non richiesta, tantomeno la volontà di dare un seguito alle sue intenzioni con un nuovo attacco a suon di Rashōmon. Esattamente come il suo rivale, aveva capito che qualsiasi sforzo sarebbe risultato vano.

“Cosa c’è di tanto divertente?”

“Dimmi un po’, Jinkō: come ci si sente a non ricevere risposta da parte di Dazai?”

Atsushi strinse le palpebre e spostò lo sguardo verso il basso, complice l’ennesimo movimento incerto del suolo. L’ultima cosa che avrebbe desiderato in quel delicato frangente era cadere di nuovo vittima delle provocazioni di quel sottoposto della Port Mafia. Non gli era ancora ben chiaro come fosse possibile, ma ad ogni nuova missione che gli veniva assegnata se le ritrovava tra i piedi quasi si trattasse di un cane abbandonato in cerca di un passatempo. Stava cominciando a sospettare che dietro a tutto questo ci potesse essere lo zampino dello stesso Dazai, visti e considerati gli apprezzamenti fatti il giorno in cui, con il prezioso aiuto di Kyōka, insieme erano riusciti a salvare Yokohama dai malefici piani della stessa Guild.

“Non mi risponde perché qui dentro non c’è campo. Non c’entra nulla con la sua volontà.”

“Sei proprio un idiota! Dazai-san non è certo il tipo da farsi mettere all’angolo da una semplice interferenza di rete. Si percepisce lontano un miglio che non lo conosci affatto!”

In effetti Dazai sembrava sempre avere una soluzione per tutto ed era sicuro di non averlo mai visto realmente spaventato o impensierito da qualcosa. Avrebbe potuto tranquillamente spostarsi dalla base di comando per venire a cercarlo; o, quanto meno, avrebbe potuto premurarsi di mandare Kunikida o Tanizaki per aiutarli. Anche se non lo conosceva ancora così a fondo, si fidava di lui e non aveva alcuna intenzione di lasciarsi sopraffare dalle parole del suo acerrimo nemico, per quanto fossero obiettivamente valide e taglienti quanto spade appena affilate.

“Lo conosco da poco tempo, questo è vero. Ma sono sicuro che lui si fidi di me... altrimenti ora non mi troverei qui. Tu puoi dire lo stesso?”

Gli occhi di Akutagawa si aprirono a dismisura, perdendosi nel vuoto. Un angolo della bocca si sollevò lasciando presagire una nuova – e amara – risata che avrebbe aggiunto ulteriore benzina al fuoco che stava bruciando nel suo animo ferito dal giorno in cui aveva deciso di entrare nella Port Mafia. Tentò di alzarsi in piedi trattenendo il braccio offeso; chiuse gli occhi mostrando rancore dal modo in cui strizzava ripetutamente le labbra pallide e sottili.
Atsushi si maledisse per aver toccato quello che ormai aveva capito essere il punto più debole della fragile personalità di Ryūnosuke. Gli anni trascorsi in orfanotrofio gli avevano consentito d’imparare a riconoscere il dolore che si celava dietro le differenti espressioni altrui al punto tale che, in quel preciso momento, avrebbe potuto giurare di aver sentito qualcosa rompersi tra i pensieri di chi gli stava di fronte. Non gli restava altro da fare che prepararsi al peggio.

Rashōmon!”

Il più giovane si ritrovò sospeso in aria senza provare alcun dolore fisico. Una volta tanto Akutagawa si era premurato di non colpirlo direttamente con l’unico scopo di fargli del male; al contrario, voleva solamente intimorirlo mettendogli in chiaro questioni su cui avevano già avuto modo di discutere in precedenza, ma senza mai venirne davvero a capo. D’altronde, come avrebbero potuto trovare un punto d’incontro senza il parere di quello che continuava ad essere il pomo primario della discordia?
Atsushi sentì la presa del potere nemico stringersi lungo il suo esile busto e non riuscì a fare a meno di gemere flebilmente per il fastidio provato. Per potersi liberare da quella morsa infernale non poteva far altro che interpellare la sua abilità, ma preferì non prenderla in considerazione per evitare di aggravare ulteriormente la situazione.
Il viso del suo rivale divenne una maschera macchiata di smorfie colme di rabbia: non vi era ombra di dubbio sul fatto che alla successiva parola fuori posto non avrebbe esitato a farlo fuori.

“Akutagawa, per favore... basta! Quello che volevo dire riguardo la fiducia di Dazai-san...”

Sentì comprimere in maniera ancora più decisa il proprio corpo avvertendo nuovamente una scarica di dolore che lo trafisse in ogni dove. Pronunciare ancora una volta quel nome non era stata la più arguta delle idee che potesse avere, per quanto stesse solamente cercando di chiarire quella che era la vera accezione delle sue affermazioni.

“... volevo dire che la sua fiducia va in qualche modo guadagnata. Non puoi uccidere chiunque intralci i tuoi piani! È questo il motivo per cui Dazai-san ti sta mettendo alla prova! Ti è chiaro ora?”

“Dimentichi che un tempo era uno dei pezzi forti della Port Mafia. Non può venire a farmi la morale su questo! Vorrà dire che ucciderò prima te e poi lui.”

Ecco, ci risiamo con la storia dello sterminio di massa. Come non detto.
Una scossa molto più energica delle precedenti si fece largo sotto i loro piedi, aprendo un varco che li condusse in quello che doveva essere un condotto sotterraneo. Solo una volta liberatosi dalle grinfie del potere di Akutagawa, Atsushi si rese conto che era stato proprio lui ad unire le sue ultime energie a quelle della Tigre mannara per mandare in frantumi quella pavimentazione decisamente troppo barcollante. Lo fissò a lungo, avvertendo imbarazzo e gratitudine allo stesso tempo, senza mai omettere un certo grado di preoccupazione per le sue condizioni di salute.

“Akutagawa, la tua ferita...”

“Non ho bisogno della tua pietà, Jinkō! Se non fosse stato per me non saremmo mai usciti da lì!”

Il più giovane abbassò appena la testa, iniziando a frugare con le dita tra le sue folte ciocche ci capelli chiari. Sorrise appena, con un fare talmente infantile da intenerire persino quell’apparente cuore impavido che sostava a mezza dozzina di metri da lui. Fece un cenno col capo, poco prima di rialzare il suo sguardo e rivolgerlo verso lui. Per pochi ed irripetibili istanti i due si studiarono senza remore o sospetti di alcun tipo, semplicemente come due coetanei a cui era stata affidata un’importante missione da portare a termine in condivisione. Poco importava da quale organizzazione provenissero: entrambi sapevano bene di essere costantemente controllati da chi li superva a livello gerarchico.
Atsushi voleva credere con tutto sé stesso di potersi fidare dell’altro, ma fintantoché avesse perseverato con le sue minacce di morte a destra e a manca, non gli sarebbe risultato per nulla facile lasciarsi andare ad un qualsiasi legame che potesse anche solo vagamente avvicinarsi all’amicizia. A discapito di questo, aveva appena promesso a sé stesso che avrebbe fatto di tutto per proteggerlo, pur non aspettandosi nulla in cambio. Un “nulla” che in realtà conteneva molto più di quello che entrambi potevano anche solo immaginare.

“Lo so e... ti ringrazio.”

Ryūnosuke ebbe l’accortezza di voltarsi nella direzione opposta un attimo prima che Nakajima potesse accorgersi delle sue guance arrossate; sulla sua pelle bianca come il latte avrebbero fatto immediatamente “scalpore”. Troppo.
Lo seguì tenendosi alla debita distanza di un paio di passi, senza riuscire a staccare gli occhi da quel lungo impermeabile nero che lo avvolgeva, un tempo appartenuto a quel senpai che tanto cercava di persuadere con la sua abilità e la sua fedeltà. Quest’ultima, con ogni probabilità, era andata perdendosi nel corso degli anni, ma non per motivi a lui direttamente imputabili.

“Tsk! Senza di me non combineresti nulla, questo lo hanno capito tutti, Dazai in testa.”

Atsushi si fermò alle sue spalle, stringendo i pugni lungo i fianchi mentre con labbra tremanti tentava di trattenere in gola qualcosa di veramente importante da rivelare. Allungò una mano per poggiargliela sulla spalla, ma memore di una precedente minaccia di taglio delle dita con conseguente omicidio, aveva preferito evitare.
D’altro canto, Akutagawa aveva avvertito l’arrestarsi dei passi del suo avversario; per quanto si potesse ostinare a negarlo, essere seguito e cercato da quel ragazzino lo inorgogliva in maniera non indifferente. Cercò di carpire cosa lo avesse bloccato a pochi metri da lui, dato che il suo infallibile sesto senso non gli stava mostrando alcun pericolo imminente.

“Akutagawa.”

Colse un insolito tremito in quella voce dai toni ancora piuttosto adolescenziali. Ryūnosuke lo percepì con la stessa intensità di una crepa nel petto, al pari di un imminente segnale che andava ben oltre il motivo di base per cui si trovavano in quel condotto senza luce, intenti a coprirsi le spalle a vicenda. Non ebbe il coraggio di voltarsi, facendo passare la sua codardia per superbia e disinteresse fittizio, com’era solito fare.

“Non siamo venuti quaggiù per farci una chiacchierata. E non è nemmeno mia intenzione sprecare fiato con un perdente come te. Di’ quello che ti preme dirmi e facciamola finita.”

“... Perché mi odi così tanto?”

Il sottoposto della Port Mafia non ebbe il tempo necessario per registrare l’importanza che quella domanda aveva per lui a causa dell’avvicinarsi di terzi incomodi dall’aria sospetta. Di certo non si trattava dei loro fidati collaboratori, dato che li stavano tenendo sotto scacco con una serie di armi da fuoco direttamente puntate sulle loro fronti. Di lì a poco si ritrovarono circondati e messi l’uno alle spalle dell’altro, impossibilitati persino a scambiarsi qualche tacito segnale palesato da semplici occhiate.
Partirono diversi colpi, ma riuscirono a schivarli per tempo con l’aiuto delle loro abilità fino a quando le pallottole non si esaurirono.
Akutagawa non esitò a sfoderare Rashōmon per stritolarli tutti per bene da entrambi i lati.

“Fermo! Non li uccidere, pensa a quello che ti ho detto poco fa su Dazai-san!”

In un primo momento sembrò non voler dar retta alle sue parole disperate, quasi urlate. Il nome del suo mentore urtò il suo udito in maniera ancora più intensa di tutti quei miseri spari che aveva facilmente evitato giusto un attimo prima. Si voltò di nuovo verso Nakajima con l’aria di chi stava per schiacciare un ragno appena adocchiato all’interno del suo campo visivo.
Ancora una volta Atsushi si sentì in debito per aver parlato a sproposito. Mettere in piazza Dazai e le sue volontà era diventato l’unico diversivo con il quale riusciva a comunicare e, allo stesso tempo, a difendersi dall’ira ingiustificata di Akutagawa.

“Sta’ zitto! Non mi devi certo dire tu cosa devo fare!


“È per questo che mi odi?”

Ryūnosuke si liberò del peso di quei nemici per cui pensò che non era valsa nemmeno la pena di utilizzare il suo potere. Ritirò tutto all’interno del suo impermeabile, cercando di concentrarsi totalmente sull’ardua domanda che quel ragazzino ostinato insisteva a porgli. Si avvicinò alla consueta maniera poco rassicurante e sorrise in malo modo quando notò l’altro scattare sulla difensiva, con tanto di mani poste dinnanzi al corpo in maniera scomposta.

“Io ti odio perché tu esisti. Ti odio perché non ti rendi conto di quanto sei fortunato ad avere tutto mentre continui a rivangare e a piangere sul tuo passato. Ti preoccupi di un uomo che è morto, ma non di chi è vivo e non fa altro che apprezzarti inutilmente.”

“Ti riferisci sempre a Dazai-san, non è così?”

Akutagawa sollevò lo sguardo dalla gravosità di quello dell’altro, tentando di limitare il più possibile quel discorso ripreso più volte ma senza mai analizzarlo degnamente. L’invidia e l’insicurezza avevano corroso la sua personalità in maniera considerevole, senza che nessuno si fosse mai preso la briga di capire cosa si celasse sotto quell’astio provato nei confronti dell’intera umanità e che oramai non riusciva più a controllare. Nessuno tranne Dazai, per l’appunto.
Ma questo successe diversi anni prima, quando quel dannatissimo mentore che tanto stimava indossava ben altre vesti ed era spinto da intenti completamente opposti.

“Ti ho già detto di stare zitto... mi sembra. Stiamo perdendo tempo prezioso in chiacchiere.”

“Io spero davvero che tu ti stia riferendo a Dazai-san perché l’uomo che si occupava di me quando stavo in orfanotrofio...”

Gli occhi dal colore solitamente indefinibile del più giovane si tramutarono in due buchi neri pregni di terrore e rammarico. Due fessure incorporee che fissavano un punto non ben definito alle spalle del suo rivale, marcando la presenza di qualcosa che, con ogni probabilità, riusciva a vedere solamente lui attraverso l’orrore mai dissipato all’interno dei suoi ricordi.
Per quanto non fosse esattamente avvezzo alle modalità più congeniali utili a tirare su di morale qualcuno, Akutagawa non poteva ignorare l’evidente stato d’animo in cui versava il suo rivale. Il suo passato era diventato uno dei temi principali delle sue personali ricerche dal giorno in cui qualcuno lo aveva irrisoriamente paragonato a lui, con l’unico scopo di risvegliare le sue volontà attraverso la rabbia intrinseca che lo contraddistingueva.

“... è morto, Jinkō! Mettitelo definitivamente in testa e torna a concentrarti sulle cose davvero importanti!”

Le mani di Atsushi agguantarono il bavero della giacca scura del rivale, sino a portarlo a pochi centimetri dal suo volto. Le sue palpebre erano divaricate in maniera quasi innaturale mentre muoveva la bocca con l’intento di pronunciare parole di supplica o, peggio ancora, di mera vendetta.
Ryūnosuke cercò di avventare la sua presa, ma nel momento in cui si ritrovò ad entrare a contatto diretto con i suoi artigli da tigre, optò per un’iniziale accondiscendenza. Dopotutto non era necessaria la presenza di uno psichiatra per comprendere che Nakajima non era per niente in sé.

“No, ti sbagli... lui si trova proprio dietro di te...”

“Che diavolo stai dic-”

“... lui non mi lascerà mai in pace finché vivrò, lo capisci?! Lo capisci con che condanna sarò costretto a vivere per il resto del mia vita... Aku-ta-ga-wa?!”

Il suono del suo nome pronunciato a sillabe separate fece partire un brivido lungo la sua schiena, accompagnato dall’idea che quell’uomo demoniaco si trovasse davvero alle sue spalle e fosse pronto a sferrargli un qualsiasi attacco per il semplice fatto che stesse difendendo quella stupida Tigre umana.
Con un rapido e ben più deciso gesto delle braccia, se lo scrollò di dosso lasciandolo cadere di proposito. Si voltò d’impeto per verificare che davvero non ci fosse nessuno... e – escludendo gli uomini che li avevano attaccati poco prima che giacevano a terra privi di sensi – di fatto fu proprio così.
Tornando a concentrarsi su Atsushi, notò con un certo sollievo che i suoi occhi avevano ripreso colore, nonostante palesasse una certa perplessità sul motivo per il quale era finito con il sedere per aria di fronte ad un membro della più importante organizzazione mafiosa di Yokohama.
Akutagawa non aveva più alcun dubbio sul fatto che non fosse l’unico a soffrire realmente per tutto ciò che l’infanzia gli aveva riservato. Nakajima viveva costantemente in una dimensione parallela fatta di illusioni e ossessioni, rimandi compulsivi al suo passato e una paura irreversibile di rincontrare una qualunque persona che lo potesse riportare indietro di diciotto anni per fargli rivivere ogni singolo momento di quel suo personale inferno; a partire proprio da quell’uomo che per tutti era morto, ma che per lui vivrà per sempre.

“... Akutagawa, che cosa è successo?!”

“Ah, lascia perdere. Dato che sei un debole, hai perso i sensi per qualche minuto, niente di più. Ora basta dormire e muoviti. Abbiamo già perso troppo tempo.”

Atsushi non si era fidato troppo delle sue parole, c’era qualcosa nel tono della sua voce – solitamente ben più perentorio – che lo aveva tradito. Non avrebbe saputo spiegare bene di cosa si potesse trattare, ma preferì non indugiare oltre rispetto alle sue direttive.
La Guild ed i suoi uomini li stavano aspettando.
 
 
 
 
To be continued...









 

Angolo dell’autrice


Ringrazio anticipatamente tutti coloro che passeranno a leggere questa mia mini-long! :)

Scrivo per la prima volta nel fandom di Bungou Stray Dogs dopo aver recuperato tutte le stagioni dell’anime, “Dead Apple”, “Beast” e trovandomi attualmente in piena fase di lettura del manga originale. E tutto questo da circa quindici giorni al massimo; perché sì, mi sono letteralmente innamorata di questo fandom, dei suoi personaggi e di tutto quello che ruota attorno a loro (e poco importa se non è esattamente il mio genere, dato che vengo da un amore smodato per gli spokon). Chiedo venia per eventuali cose “improponibili” che potreste leggere, ma essendo la prima fanfiction che scrivo in questo fandom accetto tutti i consigli possibili ed immaginabili da chi ne sa molto più di me! :)

Capitolo 1.
Questa storia originariamente doveva essere una one-shot, ma considerando che volevo darle un finale più degno (se ci riuscirò, sia chiaro), è diventata una mini-long che al momento non dovrebbe prevedere più di tre capitoli (ma non vi fidate troppo, mi conosco e sono capacissima di aumentare la dose in corso d’opera).
Da chi potevo partire se non da Atsuhi e Akutagawa che si odiano e si amano come se non ci fosse un domani?! La storia verterà su una missione che i due si troveranno a svolgere assieme contro gli uomini della Guild, il tutto sempre sotto l’occhio vigile e attento del nostro Dazai (il quale verrà nominato spessissimo in quanto “pomo della discordia primario”, appunto). Inutile sottolineare quanto li shippi, anche se per la prima storia dedicata a loro ho preferito focalizzarmi sull’introspezione piuttosto che su aspetti più “intimi”. Per quello c’è tempo, son giovani e se son rose... oh, povero Jinkō! XD

Il testo è scritto in terza persona e al tempo passato.
Il titolo generale della mini-long riprende quello della medesima canzone dei Florence + The Machine.

A presto,

Mahlerlucia


 
 
   
 
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