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Autore: MissAdler    20/08/2020    8 recensioni
Cosa è successo durante quella fantomatica volta a Malta? La mia versione di questa coppia meravigliosa che di recente è diventata la mia nuova ossessione. Storia composta di due capitoli.
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Joe / Yusuf Al-Kaysani, Nicky / Nicolò di Genova
Note: Lemon, Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Quella sera una luna grande e piena inondava di un bianco chiarore gli antichi bastioni di Żurrieq. [1] La mite aria notturna portava con sé il profumo dolciastro e penetrante delle tamerici salmastre, lambiva i vostri abiti leggeri, vi spettinava i capelli e seccava le labbra. A Malta il mare era ovunque, anche nella brezza dispettosa che appiccicava la pelle e solleticava la punta del naso.
Camminavi con ancora addosso l'impronta delle sue dita e il marchio rovente dei suoi baci, segni invisibili che però continuavano ad ardere come un fuoco inestinguibile sul tuo corpo.
In quella grotta il tempo si era dilatato, azzerando i mesi appena trascorsi, riallineando l'universo così come si erano riallineate le vostre anime.
Oh, non che si fossero mai allontanate davvero, questo sarebbe stato impossibile, perché attraverso i secoli erano infine diventate una cosa sola. Ma era pur vero che, nonostante il dono dell'immortalità, restavate due uomini fatti di carne e sangue, destinati malgrado tutto a provare bisogni, a scoprirvi sensibili alla fame, alla sete, ai più comuni istinti.
Il corpo di un innamorato brama sempre la pelle di colui che gli appartiene, ed era stato quel bisogno incontrollabile a condurvi tra le rocce millenarie di quella baia, a tenervi avviluppati sott'acqua per un tempo che vi era parso interminabile.


Sonno? Ti aveva chiesto Joe dopo aver cenato in un piccolo ristorante sul mare, i bagagli lasciati frettolosamente in quella villa vicino al mare che chiamavate casa e che dopotutto era l'unico luogo in cui vi sentivate davvero al sicuro. Per niente era stata la risposta immediata. E nella tua testa risuonava un grottesco dormiremo da morti, che era un po' come dire mai, e che avevi accuratamente evitato di pronunciare, non sapendo quanto effettivamente potesse apparire divertente.
Avevate passeggiato fianco a fianco lungo quei vicoli poco affollati – settembre era il periodo migliore per avere un po' di tranquillità – ridacchiando e guardandovi di sottecchi, avanzando lenti e ciondolanti tra quelle mura di pietra, sganciando gli sguardi solo per non perdervi la vista del vecchio mulino a cui eravate tanto affezionati.
“Ho sentito che qualche anno fa c'è stata una tempesta” aveva detto Joe a nessuno in particolare, con l'espressione crucciata, fissando l'unica pala rimasta a penzolare sulle rovine dinnanzi a voi.
“L'ultima volta funzionava...” avevi osservato in rimando, mordendoti il labbro per quel tono triste che proprio non eri riuscito a dissimulare.
“Di certo lo faranno ristrutturare, è un'attrazione turistica e una bella fonte di guadagno.”
L'ottimismo di Joe, che spesso e volentieri era anche piuttosto pragmatico, risultava sempre contagioso. Era un balsamo per il tuo costante e malinconico riflettere, l'unica cosa che ti tratteneva dall'arrovellarti e dal portare croci di cui potevi anche fare a meno.
“Già” avevi convenuto, sorridendo fiducioso in direzione di quella solitaria pala superstite e riprendendo a camminare al suo fianco. [2]
Ti sentivi ubriaco. Forse lo eri davvero, dopo la caraffa di ottimo vino bianco mandato giù ancor prima di iniziare a mangiare.
Con le dita nelle tasche dei jeans e le maniche della sottile maglia oversize arrotolate fin sotto i gomiti, ti ritrovavi a mettere un piede davanti all'altro senza rendertene conto, senza riuscire a percepire la dura consistenza del pavimento sotto le suole consumate. Sentivi il corpo formicolare di una tiepida elettricità, tanto leggero che temevi potesse staccarsi dal suolo e iniziare a galleggiare a mezz'aria da un momento all'altro, se solo Joe avesse continuato a guardarti in quel modo per un istante di troppo.
“Domani potremmo andare a Mdina...” aveva proposto dandoti una piccola gomitata sul braccio, come per mantenere un contatto che sembrava necessario alla sopravvivenza di entrambi.
Avevi annuito distrattamente, dopo che una zaffata del suo profumo ti aveva riempito le narici, cavalcando un caldo refolo di scirocco.
“O possiamo fare qualcos'altro” si era affrettato ad aggiungere dopo qualche istante di silenzio, “non so, magari Rabat... oppure ci facciamo un giro al mercato di Marsaxlokk. Compriamo due bei tranci di tonno e ce li facciamo alla brace! Tutto quello che vuoi, habibi.” [3]
Tenendo lo sguardo ostinatamente puntato davanti a te, ti eri lasciato sfuggire un sorrisetto colpevole, perché l'ultima cosa che ti interessava in quel momento era proprio cosa fare l'indomani e tutto ciò che avevi in testa era il ricordo di quel tardo pomeriggio trascorso nella grotta. Non ti era bastato, non eri soddisfatto e, anzi, se possibile ti ritrovavi più smanioso di prima.
Volevi gettargli le braccia al collo e sfregare le tue guance glabre sulla sua barba ancora impregnata di sale e sole. Volevi baciarlo e farlo lì, sotto quella luna d'avorio, senza preoccuparti di niente e nessuno, come se foste gli ultimi esseri umani rimasti sulla faccia della terra.
Per un momento, abbassando gli occhi arrossati dal vento sulle tue scarpe di tela, ti eri ritrovato a pensare che quella prospettiva non fosse poi così improbabile.
“Ehi...”
Quando ti eri voltato l'avevi sorpreso a squadrarti con un sorriso velatamente interrogativo.
“Stavo pensando” avevi ammesso.
“Tu pensi sempre troppo, Nicky.”
E così dicendo ti aveva scompigliato i capelli con la mano, come si fa con i bambini, compiacendosi del piccolo disastro che ora ti ritrovavi sulla testa.
Anche se non era tipico di te, avresti voluto propinargli un bel paio di affettuosi insulti, o magari vendicarti e infastidirlo a tua volta, ma ancor prima che potessi tirar fuori le dita dalle tasche per infilarle in quel cespuglio di ricci crespi, lui ti aveva spinto contro le mura del bastione, schiacciandoti col peso del suo corpo e premendo le labbra sulle tue.


Se la passionale irruenza di Joe riusciva a sconvolgere la tua metà cosciente, la parte più profonda di te era sempre consapevole di ciò che gli frullava per la testa, e ti sorprendevi ad aspettarti esattamente ciò che sarebbe accaduto, nell'istante stesso che lo precedeva. Le vostre menti, i vostri corpi, le vostre anime, ogni cosa appariva leggibile per l'altro come le pagine di un libro tenuto sempre aperto. Sapevi che ti avrebbe baciato contro quel muro, anche se solo all'ultimo momento te n'eri reso conto, e avevi ignorato quel promettente formicolio sottopelle solo per il gusto di lasciarti sorprendere e sconvolgere.
Vi eravate baciati come se il resto del mondo fosse davvero scomparso, ignorando l'allegro vociare di turisti poco lontano e la luce dei lampioni che vi privava della tetra corazza della notte, lasciandovi inevitabilmente allo scoperto.
Vi eravate baciati perché era giusto, perché dopo quei mesi di fatica e dolore ve lo meritavate. E l'avevate fatto ignorando ciò che vi circondava, perché quello che l'umanità vi aveva inflitto nel corso dei secoli a causa di quell'amore considerato così sbagliato, così impuro e aberrante, non vi aveva mai davvero scalfito.
Nonostante tutto, con lui al tuo fianco ti saresti creduto immortale anche se non lo fossi stato veramente. Ed era proprio così che ti sentivi in quell'istante, prigioniero tra il suo cuore e le antiche mura di Żurrieq. Eterno. Invincibile.


Nel vostro letto, tra le lenzuola che odoravano di talco e gelsomino, eravate rimasti svegli fino all'alba, ansimando e sussurrando, lottando in un corpo a corpo che come sempre vi avrebbe visti entrambi vincitori e vinti.
Vi cercavate famelici e senza controllo come due fanciulli nella loro prima notte d'amore: distrutti dopo aver raggiunto il piacere, incapaci di resistervi già dieci secondi più tardi.


C'è qualcosa di decisamente pericoloso nel rigenerare il proprio corpo a tempo record, nel regolarizzare battiti e respiri come se invece di un folle orgasmo ci si fosse appena svegliati da un pisolino ristoratore.
Per secoli e secoli, nelle vostre notti d'amore e passione, non eravate mai davvero stanchi, mai sazi, mai pronti a dire basta, soprattutto dopo aver rischiato di perdervi, dopo aver sofferto e combattuto, dopo essere morti e risorti o aver visto l'altro fare altrettanto. Perché in qualche modo il sesso possiede in sé una tragicità che riconduce alla morte e che allo stesso tempo la scongiura.
Anche quella notte, dopo pochi secondi, i morsi non dolevano più, i segni violacei sul collo si schiarivano a vista d'occhio, le linee rosse impresse sulla schiena dell'altro per un impeto incontrollabile svanivano in un batter di ciglia, come se non ci fossero mai state.
E se normalmente dopo tre o quattro amplessi vi sentivate abbastanza appagati, finendo col crogiolarvi in un casto abbraccio soporifero, in quell'occasione sembrava impossibile riuscire a fermarvi.
L'avevi preso e ti eri lasciato prendere decine di volte, e più vi prendevate, più vi bramavate. Il dolore svaniva in un soffio, il piacere sembrava dilatare il tempo per poi azzerarlo in un nuovo inizio.
“Moriremo, amore mio” aveva ansimato Joe sul tuo petto, mentre ti muovevi sopra di lui aggrappandoti alle sue spalle. “Moriremo stanotte, lo so.”
“Non potrei desiderare una morte più bella” avevi soffiato tra i suoi capelli, circondandogli il busto con le gambe e premendo i talloni contro la sua schiena.
Quando facevate l'amore Joe era completamente in tuo potere. Anche quando era lui a prendere l'iniziativa, a inventare e condurre il gioco, agiva sempre e solo leggendoti nel pensiero e concretizzando i tuoi desideri più profondi, quelli che non esternavi mai a parole, come se fossi troppo puro per prendertene la responsabilità.
In verità puro non lo eri di certo, non nel senso più comune del termine almeno. Eppure non chiedevi nulla, non l'avevi mai fatto, non era da te. E forse non ce n'era nemmeno bisogno, perché dopo quasi mille anni Joe aveva imparato ad ascoltare e comprendere anche il più insignificante brivido sulla tua pelle, a interpretare una fugace scintilla nei tuoi occhi o un impercettibile sospiro trattenuto.
E quella notte, per la milionesima volta in poche ore, ti stava dando esattamente ciò che nemmeno sapevi di volere.
Bamot fiky, bamot fiky...” ripeteva sottovoce, come se stesse recitando una delle sue preghiere. [4]
Ma anche tu ti sentivi morire, mentre facevi scorrere i palmi sulla sua schiena contandogli le vertebre una ad una, come se fossero perle di un rosario. Ti sentivi vulnerabile in un modo che forse non avevi mai provato, e se dopo mille anni è ancora possibile sperimentare qualcosa per la prima volta, quella ne era la lampante dimostrazione.
Non vi eravate mai spinti così oltre, non avevate mai perso la testa in quel modo, neanche poche ore prima, nelle acque chiare della Blue Grotto, quando più che i corpi vi eravate scambiati le anime, con tutta l'urgenza del caso, ma senza quella foga letale.
Fammi morire dentro di te” ti supplicava nella tua lingua, che ormai padroneggiava come tu facevi con la sua, mischiandole e sovrapponendole, creando un dialetto solo vostro, che nessun altro avrebbe mai potuto comprendere.
E forse quella notte avevate finito col morire davvero, col cuore che galoppava impazzito e che a un certo punto non aveva retto più, che era esploso nel petto di entrambi e che poi aveva smesso di battere, tacendo per un istante che era sembrato infinito e che pure vi aveva visto riaprire gli occhi all'unisono, esausti fra i cuscini impregnati di sudore, a cercarvi con il corpo e con gli sguardi, ritrovando il vostro amore immutato.



 
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“Buongiorno, mio adorabile carnefice” ti aveva sussurrato Joe, strofinando la punta del naso sulla tua nuca.
Il mattino vi aveva sorpresi ancora addormentati, stretti in un abbraccio che sembrava impossibile da sciogliere. Vi eravate abbandonati al sonno solamente alle prime luci dell'alba e il cinguettio degli usignoli vi aveva riscosso dolcemente quando il sole era ormai alto nel cielo.
Il vostro nido d'amore, così lo chiamava ironicamente Booker, era una vasta costruzione eretta nel XVII secolo, nel punto esatto in cui sorgeva un modesto tugurio dove vi eravate rifugiati poco dopo il vostro incontro, in seguito alla fuga da Gerusalemme. L'idea di demolirlo e rimpiazzarlo con qualcosa di più grande e accogliente era stata sua. Diceva di desiderare una reggia in piena regola dove trascorrere insieme le pigre estati afose e gli inverni più gelidi e ostili. Voleva costruire per te un imponente castello, come quello in cui eri cresciuto a Genova, con pregiati arazzi alle pareti e una dolce brezza marina ad accarezzare le imposte della tua stanza. Era come se in qualche modo cercasse di restituirti una parte della tua vita e della tua giovinezza di cui temeva potessi sentire nostalgia.
In verità tu non avevi mai amato la tua casa, né la ricchezza della tua famiglia, o il tuo titolo nobiliare e gli obblighi insensati che ne derivavano. Eri partito per la Terra Santa senza voltarti indietro e, dopo aver incontrato Yusuf Al Kaysani, non avevi più pensato a quel mondo e a quella società così distante da ciò che eri realmente. Gli studi teologici, la piccola chiesetta di pietra a picco sul mare, col suo crocefisso di legno e la Bibbia ingiallita e consumata, le cavalcate sulla spiaggia la mattina presto... erano queste le uniche cose che facevi per te stesso e che ti ritrovavi a desiderare con malinconia, quando ti eri spinto lontano da casa. Poi però c'eri tornato con lui, a Genova, in diverse occasioni, ma non avevi mai rimpianto quelle mura spesse e il cipiglio severo dei tuoi genitori, né il disagio che provavi nel sentirti ingiustamente più fortunato di coloro che erano lì per servirti.
Per questo, secoli dopo e al termine di una concitata discussione, avevi convinto Joe che non era necessaria una reggia, ma soltanto una casa che fosse a misura di tutti e due, accogliente e calda come l'abbraccio in cui vi crogiolavate ogni notte.
Quella villa, che odorava costantemente di mare e rosmarino, custodiva tutto ciò che eravate stati e che continuavate ad essere, come un museo dedicato a voi, alla vostra storia, al vostro eterno amore.
Amavi quegli spazi ampi e luminosi, i disegni di Joe incorniciati alle pareti dei corridoi, le scalinate di marmo che conducevano al piano superiore, i tappeti persiani per cui avevate abilmente contrattato secoli prima, in un affollato mercato di Dubai. Amavi il piccolo patio deliziosamente ombreggiato dai rami di mandorlo, il pozzo di pietra al centro del cortile, l'immensa biblioteca in legno, che occupava quasi un piano intero della casa e che, con le sue introvabili prime edizioni e gli appunti scritti a mano da un Dante Alighieri in pieno delirio, avrebbe probabilmente fatto gola a chiunque. Amavi i pavimenti, i soffitti, le tende morbidamente drappeggiate sulle grandi finestre quasi sempre socchiuse, le bianche mura secolari, erose in superficie dalle sferzate di un indomito maestrale. Ma più di tutto amavi quell'aroma dolce e familiare di piante aromatiche e spezie, un po' come se in quella terra situata esattamente a metà strada tra i vostri due mondi ogni parte di voi potesse trovare un equilibrio perfetto, anche i profumi che avevano impregnato la vostra infanzia, mille anni prima. [5]


“Siamo ancora qui” avevi farfugliato senza muoverti, sentendo il corpo immobile e pesante al pari di una scultura di marmo.
Non era una domanda, ma ti era uscita talmente impastata di sonno da farti sembrare più sbalordito di quanto non fossi.
“Così pare.”
Il suo respiro bollente ti accarezzava il collo, proprio all'attaccatura dei capelli. Il vostro odore, l'odore di quella notte folle e surreale, ancora aleggiava attorno a voi - su di voi - caldo, denso e rassicurante come un impalpabile bozzolo protettivo.
“È stato incredibile” aveva mormorato Joe con voce roca. Poi, stringendoti più forte tra le braccia, l'avevi sentito borbottare qualcosa in un idioma antico, una parola che dapprima non avevi compreso ma che poi avevi riconosciuto e tradotto prontamente.
Piccolo? Ho quasi mille anni anch'io, sai?” avevi protestato pigramente, stiracchiandoti come un gatto contro il suo corpo tiepido.
Non avevi mai imparato bene il persiano, e anche Joe l'aveva abbandonato dopo pochi decenni dal vostro primo incontro, ma qualche parola riuscivi ancora a ricordarla. E comunque non era poi così diverso dall'arabo.
“Tu ne hai novecentodiciassette, io novecentoventi” aveva puntualizzato mettendosi a sedere sul letto con aria presuntuosa. “Sono chiaramente più vecchio di te!”
Subito gli avevi fatto notare, senza nemmeno prenderti la briga di voltarti verso di lui, che se foste stati due uomini comuni avresti avuto comunque le sembianze di un trentenne e che di certo non potevi essere considerato “piccolo”.
“Dimostrerei comunque tre anni più di te, hayati, resto sempre il più grande.” [6]
Poi ti aveva spettinato i capelli, ridacchiando mentre si lasciava di nuovo cadere al tuo fianco.
La verità è che certe volte ti piaceva sentirti un bambino tra le sue braccia, così come ti piaceva prenderti cura di lui a tua volta, difenderlo dalle insidie del mondo e salvarlo quando era necessario. E anche quando non lo era, in fin dei conti.
Il rifugiarti in lui non ti aveva mai fatto sentire debole, così come lui non lo era mai stato nell'esternare apertamente le emozioni. Eravate uomini valorosi, guerrieri letali, eppure l'amore era sempre stato la vostra forza e la vostra salvezza. Eravate diversi eppure identici, sui piatti di quella bilancia immaginaria perfettamente equilibrata. Nessuno dei due surclassava mai l'altro, non sarebbe stato possibile anche volendo. Ci avevate già provato del resto, sotto il sole rovente del deserto, combattendo alla pari una battaglia impossibile da vincere.

Dopo un giro a La Valletta e due cartocci di pesce fritto mangiati percorrendo i vicoli di quella cittadina brulicante di vita, il resto del pomeriggio l'avevate trascorso in spiaggia, distesi al sole, a godervi il rumore delle onde che si infrangevano lente e spumose sul bagnasciuga. Agli occhi dei pochi bagnanti presenti sul posto sareste potuti sembrare una semplice coppia di amici in vacanza insieme, con i vostri costumi colorati, la borsa frigo e l'ombrellone arcobaleno.
Nessuno avrebbe potuto immaginare quello che avevate fatto la notte precedente. E se anche l'avreste sbandierato ai quattro venti nessuno vi avrebbe creduto, perché un essere umano non può avere più di venti orgasmi senza restarci secco. Anzi, forse ne bastavano molti di meno.
“Mi piace come ti stanno” avevi constatato indicando i suoi Ray-Ban specchiati.
Non avevi saputo resistere e glieli avevi comprati un paio d'ore prima, in un negozietto in centro. Joe adorava quel film... quel Top Gun di cui tutti parlavano, in cui Tom Cruise sfoggiava proprio quel modello. [6b]
“È il fascino dell'aviatore, Nicky!”
“Stanno molto meglio a te, in realtà” gli avevi confessato con un piccolo sorriso timido, mentre si sedeva alle tue spalle e iniziava a spalmarti una densa lozione protettiva. Lui aveva sorriso mimando un languido bacio con le labbra, per poi iniziare a massaggiarti la schiena delicatamente.
“Joe, si può sapere perché lo stai facendo? Se mi scottassi guarirei comunque in dieci secondi.”
“Beh, voglio risparmiarti dieci secondi di sofferenza!”
“Allora dovresti mettertela anche tu.”
“Nah! Io non mi brucio mai.”
Ti eri girato a guardarlo da sopra la spalla, con fare vagamente malizioso. Lo conoscevi talmente bene da decifrarlo a colpo d'occhio.
“Almeno così posso toccarti” aveva ammesso a bassa voce, guardandosi attorno per rendere il concetto più chiaro.
E all'improvviso ti eri ricordato del resto del mondo, dei bambini che ridevano e sguazzavano nell'acqua a pochi metri dalla riva, delle anziane abbronzate che si spalmavano la sabbia bagnata sui polpacci, convinte che fosse un toccasana per le ossa mangiucchiate dall'artrosi, dei pescatori che attendevano pazienti seduti sugli scogli, con una canna ritta e immobile in una mano e un panino mangiucchiato nell'altra.
Avevi capito con troppi secondi di ritardo ciò a cui Joe si riferiva, perché nei momenti in cui i vostri occhi si agganciavano il resto sembrava svanire.
Non ti saresti mai abituato al modo in cui il mondo percepiva e giudicava la fortuna che avevate. Semplicemente lo sopportavi e attendevi speranzoso che un giorno le cose sarebbero cambiate, ringraziando Dio per averti dato la possibilità di assistere a quel futuro miracolo, anche se a distanza di chissà quanto tempo. Joe, dal canto suo, avrebbe preso a testate chiunque si fosse permesso di giudicarvi o darvi contro, cosa che in passato vi aveva effettivamente causato parecchi guai, come generose dosi di frustate, notti in prigione, punizioni corporali varie e un paio di condanne a morte per sodomia.
Negli ultimi tempi vi eravate impegnati a risultare più discreti, le sue reazioni si limitavano perlopiù a paternali infinite su quanto tu fossi meraviglioso e su quanto potessero essere infantili e infondati i pregiudizi sul vostro sconfinato amore. In certe occasioni ti eri commosso, in altre avevi rimpianto quelle rapide ed efficaci testate.
“È ingiusto” ti eri lasciato sfuggire senza rendertene conto. Lamentarti non era da te, non lo era mai stato.
“Lo so” aveva risposto lui premendo il pollice tra le tue scapole, mordendosi il labbro per desistere dal baciarti i capelli.

Cenare seduti a terra vi era sempre piaciuto, lo facevate fin troppo spesso quando eravate soli e soprattutto lì, tra i cuscini rivestiti in seta colorata, al sicuro tra quelle mura che erano per voi l'unica casa possibile.
Quel pomeriggio, giù alla spiaggia, avevate scambiato due chiacchiere con una coppia di giovani sub italiani armati di fiocina. Alla fine, prima di salutarvi, vi avevano regalato un grosso polpo appena pescato.
“Lo devi fa' bollito con le patate” aveva precisato mentre giungeva insieme pollice e indice, in un ok che sembrava più una minaccia.
Il concetto era semplice. O lo cucinavi con le patate, oppure quel polpo sarebbe morto invano.


Dopo cena eravate rimasti distesi su quei cuscini, lo stomaco pieno e la mente sgombra e rilassata, sospirando a occhi chiusi.
Una roca voce di donna cantava dal giradischi accanto al camino spento, il profumo del prezzemolo fresco ancora si diffondeva dalla cucina, mischiandosi a quello più denso e corposo del caffè.
“Non ci credo che giù al molo tu abbia comprato proprio questo 33 giri!”
“Ehi, avevi detto di scegliere musica italiana!”
Joe non aveva risposto subito, limitandosi a ridacchiare sotto i baffi senza sollevare le palpebre.
“Che diavolo dovrebbe significare sapor mediorientale?” aveva esclamato poi, senza smettere di ridere. [7]
Ti eri voltato aspettando che anche lui ti guardasse e, quando finalmente aveva aperto gli occhi, ti eri sorpreso ad arricciare le labbra, completamente rapito dalla sua bellezza.
“Non ne ho idea. Però mi piace.”
“La canzone o il sapor mediorientale?”
Entrambi, avresti voluto rispondere, ma ti era uscito un semplice e sommesso “tu”, che era molto più eloquente e accurato di qualunque altra spiegazione.
Eravate rimasti così, immobili, smarriti negli occhi dell'altro per minuti interi, forse per ore, a non far nulla se non perdervi insieme in quell'impulso nascente, in quel desiderio costantemente condiviso.
“Pensi di uccidermi anche stanotte?”
Infine era stato lui a spezzare quel silenzio, scandito solo dall'ago del giradischi che tamburellava sul bordo del vinile.
“Ci siamo uccisi a vicenda” avevi replicato. “Di nuovo, aggiungerei.”
“Non è stato male, no?”
“Per niente.”
E pian piano avevi avvertito quella familiare carica elettrica invaderti lentamente, farti pulsare il sangue e vibrare il cuore, attirarti verso di lui con uno slancio incontrollabile.
Lui lo sapeva. Lui sapeva sempre quello che provavi, quello che desideravi, quello che avresti voluto dire ma che avevi rimandato giù all'ultimo momento, consapevole del fatto che parlare tra voi fosse spesso inutile.
Ya'aburnee” aveva mormorato senza smettere di fissarti.
E tu ti eri sollevato su di lui in silenzio, adagiandoti sinuosamente sul suo corpo caldo e solido, certo del fatto che di lì a poco ti avrebbe scostato quella ciocca di capelli che ti copriva l'occhio destro.
Ya'aburnee era la vostra parola, una delle prime di cui ti aveva insegnato il significato, quella che ti era rimasta incisa sul cuore quando l'avevi baciato per la prima volta e ti era parso di ricevere in dono la sua intera vita, attraverso il suo respiro nella tua bocca. Pronunciarla in quel momento sembrava assolutamente perfetto. Era un po' come se ti stesse dicendo "seppelliscimi", memore di quello che avevate fatto la notte precedente. [8]
Nessuno ti avrebbe mai tolto dalla testa che la vostra immortalità non vi apparteneva davvero, che era un dono per l'altro, che il fatto di sapervi eterni a vicenda vi privava automaticamente della vostra più grande paura.
Non saresti mai stato senza di lui, Joe non sarebbe mai morto e non ti avrebbe mai lasciato solo al mondo. Mai. Tanto bastava per te. E anche per lui, che gioiva esattamente della stessa cosa.


E se quella notte avreste finito con l'uccidervi d'amore poco importava, perché sareste morti insieme e insieme avreste riaperto gli occhi, ritrovando in quelli dell'altro la bellezza della vita e l'ineffabile disegno di Dio. Avresti riscoperto la gioia di essere ancora vivo proprio come stai facendo ora, in quegli stessi occhi che ti guardano luminosi e che ti infondono una speranza quasi ingenua, forse persino folle, mentre sui monitor dietro di voi il ritmo delle pulsazioni si impenna e la paura vi abbandona del tutto.
Dovremmo tornarci” pensi ad alta voce.
Sarebbe bello” mormora Joe sorridendo, tornando con la mente lì dove siete stati insieme, nel luogo che chiamate casa, e dove sai che tornerete.


 

 

 
Fine



 
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يقبرني




ANGOLINO DELL'AUTRICE:


Salve a tutt*. Dopo tanto tempo sono riuscita a tornare su Efp con una nuova storia.
Purtroppo non è stato un bel periodo per la scrittura, soprattutto per via di un plagio che ho subito tempo fa.
Pensavo che non avrei scritto più nulla per un bel po', poi ho guardato The old guard. Niente da fare, mi è partita l'ossessione già dopo i primi venti minuti.
Nicky e Joe non si possono non amare, mettiamoci che io provo una stima immensa per Luca Marinelli e le sue doti attoriali (ok, forse provo anche qualcos'altro ma ssshhhh), mettiamoci che le scene con loro due sono oro puro, mettiamoci pure che questa ship è CANON... come si fa a non impazzire??
Anyway.
Questo è ciò che ho immaginato io pensando a “quella volta a Malta”, spero che come idea vi sia piaciuta.
La frase della canzone a inizio storia è di Coez, s'intitola “La musica non c'è” e mi fa troppo pensare a loro!
Se vi va di farmi sapere cosa ne pensate mi fa piacere.
Ringrazio Koa e Marta per aver letto il primo capitolo in anteprima e avermi dato il loro parere, grazie anche a chi ha recensito e a chi lo farà!
Se vorrete entrare a far parte del nostro gruppo Facebook sugli Immortal Husbands siete benvenut*!
MissAdler





Note:

 
[1] Un comune di Malta situato nel sud dell'isola, con una popolazione di circa 10.000 abitanti.
[2] Ci sono tre mulini a Żurrieq: tal-Qaret, nella frazione di Nigret, ta’ Marmara e Xarolla, sul confine con il villaggio di Safi. Il mulino Xarolla (quello a cui faccio riferimento) è il più famoso perché ha ancora i suoi componenti originali ed è ancora funzionante. Realizzato nel 1724 per volere del Gran Maestro Manoel de Vilhena, il mulino fu danneggiato durante una tempesta verso la fine degli anni ’70 e smise di essere utilizzato. Nel 1992 il comune di Żurrieq ne iniziò il restauro, riportandolo allo stato originale e rendendolo di nuovo funzionante.
[3] Come nel capitolo precedente, in arabo: “amore mio”.
[4] In arabo: “muoio per te”.
[5] Mi sembra superfluo specificare che faccio riferimento alla villa che compare nelle foto in alto. Si tratta davvero di un'immobile in vendita a Żurrieq e io me ne sono letteralmente innamorata!
[6] Ovviamente arabo: “vita mia”.
[6b] Top Gun è uscito proprio in quell'anno! E penso che Joe starebbe da dio con quegli occhiali!
[7] Ebbene sì, il 1986 è anche l'anno di uscita di Bello e impossibile della Nannini. Ora ditemi che non parla di Joe, se avete coraggio! ;)
[8] Letteralmente significa "seppelliscimi" e si dice alle persone che più amiamo, con la speranza che vivano più a lungo di noi perché non saremmo in grado di sopportare la loro assenza. (fonte: questa pagina e altri siti trovati con Google)
   
 
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