COME MOLTE NOTTI FA

Correva. Correva, correva, correva.
Ma non smetteva di inseguirla.
Le sembrava di aver percorso kilometri infiniti per strade male illuminate e maleodoranti, ma non poteva fermarsi. Non poteva.
L’estate stava lasciando spazio all’autunno e alle pioggerelle tipiche di inizio ottobre: la strada era disseminata di pozzanghere, e Nonoko ne aveva centrata qualcuna, inzuppando le Converse, suole consumate e marchio semi-cancellato. I polmoni stavano iniziando a bruciarle (non era mai stata particolarmente atletica), ma aveva bisogno di andare fino in fondo. Di tagliare il traguardo. Aveva gli occhi secchi, i lunghi capelli neri raccolti in una coda alta e una felpa (troppo grande per lei) color grigio topo. E correva per i vicoli della città, sotto lo sguardo di manifesti penzolanti e di lampioni sfarfallanti, verso un vecchio portone color cioccolato, con le maniglie di bronzo ossidate e un citofono gracchiante di lato. Correva verso le luci ovattate e il perenne profumo di dolci sfornati che la casa di Anna le riservava. Ogni. Volta.
Erano passati dieci anni. Entrambe si erano rifatte una vita, in posti diversi, con persone diverse e cieli diversi. Non guardavano più la stessa luna da troppo tempo.
Nonoko non pensava che rivederla le avrebbe fatto così male. Perché il tempo aveva continuato a scorrere, trasformando la sua migliore amica in una delle cose più belle che avesse mai visto in tutta la sua vita, e lei se l’era persa, quella trasformazione. Non aveva osservato quel timido bocciolo di ciliegio sbocciare e splendere come un piccolo sole pallido. Era andata avanti, concentrata sul trovare uno scopo, uno qualunque, che le avrebbe dato pace. Che le avrebbe dato la forza di andare avanti da sola.
Era patetica.
Si fermò, ansante. Era proprio lì davanti. Doveva darsi una mossa, o l’avrebbe raggiunta. Ma era già troppo tardi. Una morsa vigorosa le strinse lo stomaco, bloccandola.
La paura. Già, la paura era arrivata prima.
Nonoko chiuse gli occhi. Era davvero così codarda? Non riusciva neanche a mettersi diritta. Guardava l’asfalto bagnato, che aveva assunto una sfumatura violacea per via dell’insegna di un negozio lì vicino.
«Nonoko?»
Oh, no.
La ragazza alzò lo sguardo, incontrando un paio di occhi azzurri e ondulati capelli raccolti in una coda da un fiocco bianco.
Non poté fare a meno di avvampare. Era troppo carina,
«E-ehi… Anna.»
Riuscì a mettersi in piedi.
È già qualcosa.
«Anna… Io…»
Deglutì. Lo sguardo dell’amica si fece insistente.
«Voglio rivedere la luna insieme a te, come facevamo una volta!»
Si pentì subito delle parole pronunciate. Il rossore sulle guance diventò così vivace che iniziò a sentire caldo.
Non le era mai successo.
Voleva aggiungere qualcosa, rettificare.
Annullare, tornare indietro.
La pioggia riprese a cadere, più fitta di prima. La felpa assunse una sfumatura di grigio più scura. Anna continuava a fissarla, però. In silenzio.
Poi, uno scoppio.
«Credo che dovremo rimandare. Però, se per te è lo stesso, ti offro una tazza di tè.»
Le allungò la mano. E Nonoko avrebbe voluto baciargliela, percorrere la lunghezza del suo braccio pallido con le labbra per poi poggiarle sulle sue. Ma si limitò a sorridere e ad accettare l’invito, stringendogliela forte.
Come facevano di notte molti anni prima.