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Autore: Kurrin Bright    20/08/2020    1 recensioni
{FE3H | Dimitri/Byleth + OC Centric | Post Azure Moon | Spoiler generici}
Madre e figlia arrivarono infine a un cespuglio di agrifoglio, i cui rami erano distanti tra loro. La donna s’inchinò alzandoli con un braccio e Olga la seguì, senza che fu invitata a ripetere il gesto. Macchie rosse e gialle la trasecolarono; si strofinò gli occhi e vide i piedi graziosi della madre ricoperti dai fiori artefici dei colori caldi e sgargianti.
Olga li osservò con attenzione.
«Calendule.»
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Byleth Eisner, Dimitri Alexander Blaiddyd, Nuovo personaggio
Note: Kidfic | Avvertimenti: nessuno
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Noiosa premessa
Due cose furono galeotte della mia assenza. Anzitutto, la reclusione in una casa che non amo ha ucciso la mia creatività; secondariamente, con la conclusione di Chevrefoil ho sofferto una sorta di depressione post parto a seguito delle enormi energie che ho speso per portarla a termine. Ma alla fine della fiera, tutte le strade portano all’OTP.
La storia si svolge all’incirca venticinque anni dopo la conclusione di Azure Moon e, come potrete notare, sono menzionati i miei quattro pykkoly ancelih OC nonché figli di Dimitri e Byleth.
In questo delirio, come si potrà notare, si accenna al linguaggio dei fiori e ad alcune piante. 
Le peonie sono menzionate unicamente nel titolo, ma andate in pace poiché un motivo c’è.
Buona lettura!

 


Olga Edelweiss Blaiddyd aveva sedici anni. Mentre i suoi fratelli maggiori, Nikolai Lambert e Tatiana Rhea, ricalcavano i tratti dei genitori, e Alexei Jeralt quelli del nonno materno, di cui portava il secondo nome, la giovane principessa era racchiusa nel semplice concetto di Olga. I lunghi capelli, lisci alle radici e ondulati sulle punte, di un insolito blu vivace - lo stesso dello stemma del regno di Faerghus e delle rare rose coltivate nelle aree verdi del castello, spiccavano su tutto il resto della sua immagine minuta.
Attraversava il giardino della reggia, l’unico capriccio mai esternato di sua madre, sollevando l’abito con le dita nel punto massimo in cui riuscivano a raggiungerlo. Nel mese della Luna dell’Arpa, la primavera cominciava davvero nel regno del Faerghus: le temperature erano timidamente più miti, la neve cessava, e i fiori sbocciavano. I cespugli di ortensie adiacenti ai cancelli alternavano i colori che più di tutti rasserenavano Olga: un azzurro spumeggiante, un lilla sbarazzino e l’imponente verde scuro delle foglie. Nonostante le scarpe eleganti, la sua camminata sulle pietre era talmente delicata da non fare altro rumore se non quello di una pioggia lenta e regolare.
Da lontano vide la regina: impossibile era non riconoscere il lunghissimo abito bianco e i gigli sui capelli, il cui verde brillante non ricordava quello di nessuna foglia o stelo del giardino.
«Madre.»
Ella si voltò, rivelando il viso levigato. Lei e Tati erano due gocce d’acqua, fatta eccezione per gli occhi: Olga e sua sorella avevano infatti ereditato le iridi azzurro-ghiaccio della dinastia Blaiddyd - strano che Nik, così simile al padre e al nonno, li avesse scuri come il mare di notte. Se non l’avesse conosciuta, avrebbe scambiato una madre e una figlia per gemelle.
«Al mi ha riferito che avete intenzione di abdicare dal ruolo di arcivescova», Olga ruppe il silenzio pur con la sua voce flebile.
La donna annuì socchiudendo le palpebre.
La fede per Alexei era tutto: ciò che lo animava, ciò che non gli faceva perdere il sorriso, ciò che muoveva i suoi ideali. Sua madre, arcivescova della Chiesa di Seiros, era la prima persona a cui puntava di essere. Conscia della sua emotività, Olga non fu stupita dal suo volto malinconico nel momento in cui egli le comunicò la notizia.
«Come mai?» chiese intrappolata dagli occhi rotondi della regina, la quale le diede le spalle.
«Seguimi.»
La principessa obbedì.

 
Il percorso che intrapresero fu labirintico: girarono ambiguamente per varie direzioni ignorando gli itinerari abituali fra i laghetti, i cespugli e i sassi vicino ai quali Olga e i suoi fratelli giocavano da bambini. Desiderava rivivere qualsiasi nascondino, qualsiasi avventura saltando fossati o sconfiggendo draghi. Ma Nik, il più grande, facile a essere scovato quanto a scovare gli altri, era ormai un re. Tati, che sognava in ogni loro storia un cielo tutto per sé, era un cavaliere di pegaso come la sua insegnante. Al, il più goffo e il più silenzioso, ora esercitava la sua dialettica da vescovo. La giovane principessa, d’altro canto, era convinta che le sue uniche qualità fossero tirare qualche freccia - grazie al suo gentile maestro - e ricordarsi a memoria i nomi delle piante e dei fiori.
Madre e figlia arrivarono infine a un cespuglio di agrifoglio, i cui rami erano distanti tra loro. La donna s’inchinò alzandoli con un braccio e Olga la seguì, senza che fu invitata a ripetere il gesto. Macchie rosse e gialle la trasecolarono; si strofinò gli occhi e vide i piedi graziosi della madre ricoperti dai fiori artefici dei colori caldi e sgargianti.
Olga li osservò con attenzione.
«Calendule», alzò lo sguardo. La regina annuì.
«Il lutto.»
Sua madre voltò la schiena. Appoggiò una mano gracile su un albero eretto al centro del prato, tratteggiato dalle siepi, ricoperto di licheni; questi ultimi venivano accarezzati dalle sue dita gracili e coccolati dal suo sguardo mesto.
«La solitudine.»


 
~


«Io non so quale promessa d’amore potrei dedicare.»
Il sovrano accarezzò con dolcezza una guancia della consorte; non avvertì differenza tra la sua pelle e il primo tocco dato a una rosa del giardino reale.
«Ma so, amore mio, che queste rose sono tanto rare e meravigliose quanto è prezioso il tuo amore.»
Da quando il Re Salvatore e la Custode dell’ordine furono tornati a Fhirdiad vittoriosi dopo la guerra, il palazzo reale iniziò a cambiare volto dalle sale restaurate al giardino, prima colmo di rovi ed erbacce. Le serve, aiutate dall’occhio vigile di Dedue, piantarono numerosi cespugli di rose i giorni poco seguenti al loro arrivo; in quel momento, esse mostravano per la prima volta i loro petali.
Dimitri sospirò greve.
«Non sono bravo con le parole, lo so» mormorò. «Ma volevo esprimere la bellezza della primavera, pensando… anche alla vostra.»
«Ancora a darmi del “voi”?», l’arcivescova inclinò dolcemente la testa; l’imbarazzo, così come la tenerezza nell’osservare il gesto, lasciò l’uomo senza parole. Egli appoggiò un palmo sul ventre dell’amata: meno di un mese mancava alla nascita, prevista per la fine del mese della Luna della Ghirlanda, del tanto atteso erede e primogenito. A lungo i due innamorati avevano discusso di politica, dei possibili nomi, delle preoccupazioni talvolta eccessive di Dimitri per le debolezze e le voglie di lei. In quel momento, tuttavia, soltanto il canto degli uccelli e il battito delle ali delle farfalle dominava il silenzio; fino a quando non si scambiarono un soavissimo bacio.

 

~


«Anche a me… anche a me manca…»
Olga non riuscì a trattenere le lacrime. Se Al fosse stato accanto a lei in quel momento, forse le sue sarebbero arrivate con maggiore tempestività.
La regina si accasciò bruscamente davanti all’albero, non curandosi delle pieghe o delle macchie di terriccio sul vestito.
«Ti ringrazio, piccola» sussurrò. «Ti chiedo, per favore, se puoi lasciarmi un poco qui in solitudine.»
«Certamente, madre» singhiozzò la principessa, ancora in preda al pianto. Rimase per una quantità incerta d’istanti a fissare, da lontano, il volto di lei fino a che vide, per la prima volta in sedici anni, da un suo occhio di smeraldo zampillare qualcosa.
   
 
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