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Autore: ryuji01    21/08/2020    0 recensioni
Forse il caso, forse Archeus ci aveva condotti su quelle isole disperse in mezzo all’oceano, dove parve per un giorno arrivare la fine del mondo. Tuttavia sapemmo presto che nessuno si sarebbe ricordato di quello che avvenne in quel luogo.
In qualche modo, benché quello sia il destino di ogni umana cosa, ne fummo tristi. Non perché volessimo essere ricordati come eroi, anzi sarebbe sbagliato ricordarci come tali: dopotutto eravamo semplicemente degli esseri umani. Però, il fatto che i posteri non avrebbero mai potuto imparare dalle nostre esperienze, dai nostri pianti, in fondo in fondo velò di sconsolazione i nostri spiriti. Non che, comunque, per noi umani sia così facile apprendere.
Ma avevamo una, una sola certezza: che pace sarebbe stata, fintanto che tutti si fossero ricordati che ad illuminarci, è la stessa luce.
Genere: Avventura, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Anime
Capitoli:
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Nel caso vi troviate proprio persi, anche se vi consiglio di continuare la lettura fino in fondo ad ogni capitoletto, alla fine di tutto trovate un glossario con le traduzioni.
 
Hala
Passato

Con la luce diurna che diveniva sempre più intensa, Huali si svegliò, tirandosi a sedere con un grugnito arioso. Si stropicciò gli occhi, e guardandosi attorno rimase per un attimo confuso: si trovava in una stanza fatta completamente di legno, alle cui pareti erano fissati dei pannelli in kapa, sulle quali erano pitturate delle scene familiari.
Per quanto, però, sembrasse il tutto e per tutto quella di un’abitazione alolense tradizionale, la stanza era ammobiliata con dei mobili esotici ben tenuti, ma dall’aria consunta da una vita. Sul lato opposto alla porta c’era un divano di bambù, e lì a fianco, dietro Huali, si ergeva una libreria piena zeppa di tomi, sui cui ripiani più alti si trovavano degli strani gingilli.
« Sei sveglio, finalmente. » Lo accolse Kōnane, affacciandosi all’interno della stanza, e d’un tratto anche i ricordi si ridestarono.
La notte precedente aveva attraversato la foresta, barcollando al seguito di Kōnane, che lo aveva invitato a dormire a casa sua. Non aveva memorie ben chiare del tragitto percorso per arrivare fin lì: le forme della foresta la sera si fondono in una monocromia indistinta, e con esse anche concetti come illusione e realtà perdono completamente di significato, miglia diventano metri, metri diventano miglia. La mente ottenebrata dal sonno, aveva proceduto per inerzia, andando talvolta a incespicare in una radice sporgente.
Kōnane, calmo, aveva dimostrato la propria dimestichezza con quell’ambiente, prendendosi il tempo necessario per misurare il cielo e le stelle, così da esser certo della propria direzione, e controllando con regolarità se erano incappati nel territorio di un manana, tutti i sensi allerta nel caso ne avesse trovato tracce. Agli occhi assopiti dell’altro, ogni gesto che il ragazzo compiva sembrava un rito, possedeva una connaturata spiritualità, come se a ricolmarlo di significato fosse stato il tempo stesso.
Ad un certo punto, quando ormai non aveva più cognizione alcuna, Huali aveva osservato la foresta diradarsi sempre più a ogni passo che si avvicinavano alla città, così come anche le stelle avevano cominciato ad affogare nella luce dei bracieri che illuminavano la città. Il resto del cammino doveva averlo fatto in un attimo di sonnambulismo inerte.
« Huali, ci sei? Su dai, sbrigati a rimetterti in sesto, la colazione è quasi pronta. » Riprese Kōnane, notando che il ragazzo non si ripigliava.
Stiracchiatosi, Huali si alzò dal giaciglio di coperte dove aveva dormito e, senza essere ben sicuro di aver capito, si diresse oltre le due pesanti coltri in kapa appese alla porta da cui aveva fatto capolino l’altro.
Nel momento stesso in cui scostò le tende, una brezza fresca lo avvolse. Davanti a sé, c’era un giardino curato, al cui centro erano piantati sei alberi di pīʻai, mentre in fondo lungo tutta la recinzione cresceva rigoglioso del wauke, pianta dalle cui fibre si ricavava proprio il kapa con cui erano fatti i pannelli dentro la stanza. Nell’angolo a sinistra tra il recinto e l’edificio, invece, c’era un piccolo orto, dove dei germogli spuntavano appena dalla terra dissodata. Al centro del piccolo quadrato di terra marrone era stato piantato un alto paletto, su cui erano intagliati i ki‘i dei quattro numi protettori della regione.
Giusto a fianco dell’orto, Kōnane stava armeggiando con una stufa, di quelle pesanti in metallo battuto provenienti da oltremare, sopra la quale stava scaldando una padella piena d’olio.
« Allora » Iniziò Kōnane non appena lo vide. « Diciamo che per questa colazione mi sono lasciato prendere dall’entusiasmo e ho preparato un po’ di roba. Adesso, mi manca solo di cucinare le malasade e poi ho finito. Intanto che l’olio raggiunge la temperatura giusta, tu va pure a sederti. » Disse, indicando un tavolino sotto le fronde, già apparecchiato con delle stoviglie di legno.
Dopo qualche minuto di silenzio, Kōnane arrivò a tavola con un piatto zeppo di malasade ancora sfrigolanti e un altro con del kulolo tagliato a fette.
« Un attimo che vado a prendere le marmellate, e… da bere, cosa preferisci? Acqua, succo di pīʻai, latte di cocco… ? » Gli chiese, già quasi sulla porta.
« Aspetta un attimo, Kōnane. Hai preparato tutto questo per me?! »
« Beh, no, anche per me in veri… »
« Non intendevo quello. Nel senso… » Sospirò. « Grazie. »
« Di niente. Allora, da bere? »
« Succo. » Rispose in fretta.
« E succo sia. Ah, e se vuoi qualche pīʻai fresca, prendila pure dagli alberi. » Disse, scomparendo dietro le tende variopinte.
Huali tacque, mentre con lo sguardo indagava titubante e incerto quelle pietanze.
Si erano conosciuti da una manciata di ore, e quel ragazzo sapeva che era un criminale, ma ciononostante l’aveva trattato meglio lui, di quanto la maggior parte delle persone non avesse fatto negli ultimi cinque anni.
« Hoʻolohe ‘o Kōnane » Fece Huali per richiamare l’attenzione del ragazzo, appena uscito con in mano un vaso oblungo ricolmo di succo e due vasetti. « Mahalo, mahalo nui loa. » Quello stridulo sussurro, sul punto di scoppiare in una miriade di pezzi, risuonò nell’aria silente per qualche secondo.
Huali respirava lentamente, le labbra tremule, il capo chino per non mostrare le lacrime che cercava di trattenere.
« Mai hoʻokaumaha. E ʻai kāua i kēia manawa » Gli disse Kōnane, facendo finta di niente. « E finita colazione, possiamo parlare un po’, cosa ne dici? »
Il ragazzo annuì con un impercettibile cenno del capo, accompagnato da un verso strozzato.
« Bene. » Disse l’altro contento.
Huali, senza badare allo sguardo dolce del ragazzo che di fronte a lui mordicchiava una fetta di kulolo, ingoiava enormi bocconi di ogni pietanza, quasi senza masticarli, nella speranza che avrebbero sciolto il nodo alla gola, che gli impediva di respirare. Sforzo vano: l’odore inebriante di malasade, gli portava alla mente ricordi così felici, che si era costretto a non rimembrare per tanto tempo.
 
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Qualche mese dopo essere diventato pattuente, un Huali undicenne si ritrovò davanti a casa sua degli uomini corpulenti, vestiti con pāʻū lāʻī. Gli intimavano di sciogliere il patto che aveva stretto, sicché secondo la norme aloliane le persone comuni non dovrebbero poter controllare il mana: quella capacità spetta unicamente ai nobili. Tuttavia, forse per il coraggio dimostrato dai suoi genitori che avevano infranto la legge pur di salvare il proprio figlio, forse per non macchiarsi di infanticidio annullando il patto, l’amministrazione decise di agire fuori dagli schemi prestabiliti. Così, quegli uomini raggirarono con parole millantatorie Huali, e la sua bambinesca ingenuità, e ai genitori non rimase rimasto nient’altro se non prepararsi a salutare il proprio figlio, che da lì a qualche parte avrebbe lasciato casa per frequentare la Kula Aliʻi o Alola, accademia dove i figli dei nobili vengono istruiti a nelle più svariate arti e scienze, e in particolare ad utilizzare i propri poteri. Finita l’Accademia, viste le sue origine, l’unico ruolo che avrebbe potuto assumere in quanto pattuente era quello di guardia reale, e forse gli avrebbero fatto anche aiutare la polizia per dei casi complessi, anche se ne dubitava: avrebbe portato troppa attenzione attorno ad un semplice ragazzo.
Per tutti gli anni a venire, Huali si sarebbe ricordato quello che i suoi genitori gli dissero sulla soglia di cosa, quello che gli fecero promettere.
« Huali » Lo strinse in un lungo abbraccio la madre, per poi prenderlo per le spalle e guardarlo negli occhi.  « Sei pronto, Huali? »
« Sì, mamma, sono prontissimo. » Sorrise genuino il ragazzino.
« Allora, prima che tu parta, ti devo dire qualcosa. All’Accademia imparerai molte cose nuove ed incontrerai molte nuove persone. Ma non sarà così semplice come qua a Uluniu, perché il mondo lì funziona in modo diverso, e la gente che incontri potrebbe non trovarti simpatico o non ascoltarti, e il motivo è che sei diverso da loro. »
« Ma mamma, nessuno è uguale a me! Nel senso, le persone sono tutte diverse, tra di loro. » La guardò confuso il bambino.
« Lo so che non ha senso, ma non tutte le persone la pensano così, e in casi come questi che cosa dobbiamo fare noi? »
« Dobbiamo cercare di capire come la pensano loro, giusto? E poi… poi dobbiamo cercare di fargli capire come la pensiamo noi. »
« Giusto, Huali, e sempre col massimo rispetto, perché ricorda: il limite tra valere e prevalere è sottilissimo. »
« Ma io come capisco quando l’ho superato? >>
« Lo capirai col tempo, ma solo se non ti fermerai alle apparenze. Quando una persona si mostrerà ferita dalle tue affermazioni, allora prova a fare un passo indietro. Però sappi che molti per scacciare via il proprio dolore e la propria paura, utilizzano la rabbia e il disprezzo. Non averne paura, ma non stuzzicarli troppo: ci sono persone che semplicemente preferiscono prevalere. »
« Ci proverò. »
« Bravo, ē ku‘u keiki, e promettimi che sarai sempre te stesso. » Disse, assumendo un tono grave. « Promettimi che seguirai sempre quello che ti dicono le tue naʻau, e che se mai vorrai ridere, urlare o piangere, lo farai. »
« Perché dici che piangerò, mamma? Io sono sicuro che mi divertirò un sacco! »
« Ne sono sicura anch’io, tesoro, ma tu promettimelo. »
« Te lo prometto. »
« Giurin giurello? »
« Giurin giurello. »
« Vieni qui, è fatti abbracciare ancora una volta, Huali. »
Dopo qualche momento, alla stretta si era unito anche il padre.
« E non avere mai paura di voler bene, qualunque persona tu abbia davanti » Disse il padre, trattenendo le lacrime « D’accordo? »
« Va bene » Sussurrò il piccolo Huali, inspirando quel dolce profumo di malasade e marmellata, rimasto sui vestiti dei genitori che avevano passato la mattina a preparargli la colazione più ricca di sempre.
Inutile dire che Huali non sarebbe riuscito a mantenere quelle promesse, anche se con senno di poi ne avrebbe capito i perché. Se l’Accademia fosse stata soltanto un luogo di disciplina, non ci sarebbero stati problemi, ma in quelle aule i figli portavano avanti gli attriti e le diatribe delle proprie nobili famiglie, corroborando vecchie alleanze e creandone di nuove.
In un simile mondo, un ragazzo solare, che avrebbe voluto avere la libertà di parlare con chiunque avesse voglia, e di decidere chi gli stesse simpatico e chi no per conto suo, non avrebbe avuto vita lunga. Tutti quei soffocanti vincoli che non gli appartenevano, ma che lo riguardavano ciononostante, non era ancora pronto ad affrontarli. In un mondo già tanto opprimente, il piccolo Huali non avrebbe avuto la forza di affrontare la solitudine, che segue l’affermazione di sé stessi.
Così per sopravvivere e mantenere le relazioni che si era dovuto scegliere, il suo vero sé dovette diventare segreto, dispetto il consiglio materno, e l’odio divenne parte integrante della sua vita, riempiendo le sue giornate.
Odiava chi gli impediva di scegliere con chi avere rapporti e a chi voler bene; odiava i propri genitori, che non avevano fatto abbastanza per convincerlo a non andare all’Accademia; e, nell’ebrezza del branco, odiava pure chi tutti gli altri gli dicevano di odiare.
Infine, a promesse infrante, finì per odiare anche sé stesso.
Forse per questo, che cinque infernali anni dopo, quando avrebbe conosciuto un ragazzo, in una maniera un po’ rocambolesca, Huali avrebbe deciso di rischiare di essere arrestato pur di rimanerci insieme anche solo per una giornata. Kōnane sarebbe stata la prima persona, dopo anni, che nessuno gli avrebbe detto di odiare; la prima persona, prima ancora di sé stesso, a cui forse avrebbe potuto voler bene, senza averne paura.
 
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Finita la colazione, i due ragazzi rimasero in giardino a parlare, le sedie rivolte verso l'uka, dove si ergeva il monte Lanakila.
Il sole aveva quasi raggiunto l’hoʻokuʻi, ma il vento che soffiava dal kai rendeva l'afa sopportabile.
« Senti Kōnane: ieri mi hai detto che sei un monaco dei ghiacci, no? Ecco, ma i monaci non dovrebbero vivere nei pressi del proprio tempio? »
« Tecnicamente sì, ma diciamo che sono un’eccezione. Sai, io non sono diventato accolito per vocazione, ma piuttosto come naturale conseguenza dell’aver sempre vissuto assieme ad un monaco.
« Te l’ho detto, no? Che sono stato io a decidere di non accettare il patto offertomi dal manana guardiano, perché non mi sentivo pronto. Ecco, non è che non sia vero,  ma a dirla tutta anche se mi fossi sentito pronto, il mio kumu si sarebbe rifiutato di farmi accettare, perché non conosco il vero mondo. Mi ha detto che avendo sempre vissuto sulla montagna non avevo mai avuto la possibilità di incontrare nuove persone, da cui imparare e con cui condividere esperienze; che non avevo mai avuto l’opportunità di trovare una mia via, che non fosse quella che mi ha mostrato lui.
« Se ci penso, forse si sente in colpa perché, con il fatto che non poteva allontanarsi dal tempio, mi ha dovuto crescere in montagna, limitando i miei contatti col mondo. Ma non me ne sono mai fatto un problema io: dopotutto se non mi avesse raccolto dalla strada quando ero ancora piccolo, oggi non sarei qui, probabilmente.
« Così, l’hanno scorso, mi ha mandato qua da dei suoi vecchi amici. I libri che hai visto dentro li hanno accumulati loro nel corso degli anni, alcuni risalgono a quando la stampa non era ancora stata importata qua sulle isole.
« Sugli ultimi ripiani, invece, non so se li hai visti, ma ci sono degli strani oggetti. Quelli provengono da oltremare: li ha portati il figlio dei signori al ritorno dai suoi viaggi. Sai, è un grande studioso, loro figlio, anche se all’apparenza non si direbbe. La sua naturale simpatia e il suo profondo rispetto nei confronti degli altri lo hanno aiutato a stringere dei profondi legami con le persone, che incontrava durante le sue avventure. Adesso, viaggia meno frequentemente rispetto a prima, perché è stato scelto dai sovrani come kahuna nui in materia di affari esteri. Lavora anche come organizzatore dei festival qua in città, anche se quella è una funzione che ha ereditato dai genitori.
« Loro erano esperti delle tradizioni di queste isole. Mi hanno insegnato un sacco di cose, anche a cucinare le malasade. Purtroppo qualche mese fa il mare li ha reclamati. »
Il mondo tacque, mentre Huali realizzava piano cosa implicava il racconto di Kōnane. Quel ragazzo, che aveva visto il kai solo da lontano per gran parte della propria vita, sorrideva sincero, ma nei suoi occhi aleggiava una certa malinconia.
« E tu invece? » Ruppe Kōnane il silenzio, leggero come una piuma. « Qual è la tua storia? Sai, con il fatto che i motivi della tua ricerca non sono ben chiari, si spettegola molto su di te qua in città. C’è chi dice che è perché hai ucciso un tuo compagno all’Accademia, chi perché hai rubato il monile di una qualche nobildonna, e chi pure si è inventato tutto un intrigo amoroso. »
Huali cacciò una risata amara, per poi prendere a parlare.
«  In verità, non saprei veramente dirti il motivo per cui i poliziotti pensino che mi stiano braccando, però posso dirti che l’unica ragione che ho io per farlo è che me l’ha ordinato la persona nei cui confronti mi sento veramente colpevole, per quanto lei ne possa dire. Per quanto riguarda la mia accusa, c’entra qualcosa con delle pietre che avrei rubato… sinceramente non ho capito bene la storia.
« Lo so che è un po’ deludente come spiegazione, ma non so veramente cosa dire. In compenso ti posso raccontare come sono arrivato io a stringere un patto con un manana.
« L’avrai già capito, ma io non ho nobili origini. La mia famiglia possiede una piantagione di palme da cocco a sud-est di Liliʻi, ed è lì che ho sempre vissuto. All’incirca quando avevo undici anni, però, mi sono ammalato. Se mi chiedi di cosa, non lo so, i dottori ad oggi non lo hanno ancora capito. Fatto sta, comunque, che stavo morendo, e allora i miei genitori sono andati nella foresta, e hanno pregato i comfey perché mi aiutassero. Uno di loro ebbe pietà, e stringemmo il patto. È solo grazie a quello che posso vivere, ed è per questo che il poʻo kumu dell’Accademia ha deciso di non togliermi il potere, ma piuttosto di istruirmi a controllare.
« Ah, e tutta la storia di come ho ottenuto i miei poteri è anche il motivo per cui non vedi nessun comfey volarmi attorno: diciamo che non mi ha salvato, perché volesse vivere una straordinaria avventura insieme a me. Mi ha solo fatto un grande favore. »
« Beh, vedo che siamo entrambi messi bene. » Se la rise Kōnane.
« Già. » Sospirò Huali, che in qualche modo non riusciva a non sorridere. « Comunque, cambiando discorso: ti posso chiedere una cosa? Non è che avresti qualcosa con cui posso tingermi i capelli. Perché, non li vedo, ma sono quasi certo che si inizino a vedere delle ciocche rosa e, sai com’è, è un po’ difficile passare inosservato in una folla se li lascio al naturale. Figurati scappare dalla polizia.»
« Forse qualcosa riesco a inventarmelo. »
 
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Oltre le fronde, il cielo era terso, e la luce che penetrava tra gli alberi era così intensa da costringere Huali a socchiudere gli occhi per proseguire nella foresta.
Benché fosse felice di avere finalmente trovato qualcuno con cui stare in compagnia, sapeva che se ne doveva andare: se qualcuno l’avesse scoperto, avrebbe condannato Kōnane, una colpa che non avrebbe sopportato.
Adesso, stava andando a recuperare il macete e la sacca, che aveva nascosto nella foresta prima di entrare in città. In genere, cercava di evitare i grandi centri abitati, ma quando doveva visitarli per forza, preferiva non avere alcun intralcio a impicciarlo, nel caso fosse stato necessario scappare.
Tuttavia, se i suoi piani fossero andati in porto, questa sua condizione non sarebbe durata ancora molto a lungo. Si era stufato di girare in tondo su ‘Ula‘ula per non farsi trovare; tornare sempre al punto di partenza svuotava di un fine ogni suo sforzo, ogni sua azione, imprigionandolo in un ciclo che temeva non si sarebbe mai spezzato. Pertanto, aveva escogitato un piano: approfittando della Ho‘olaule’a o ka māuiili o ka hā‘ulelau, festival che avrebbe tenuto impegnati i poliziotti e i pattuenti mandati ad aiutarli, si sarebbe recato al porto di Pō e sarebbe salpato per Poni indisturbato.
Prima di andarsene, Huali ne aveva discusso anche con Kōnane, che aveva concordato. Era una scelta azzardata Poni, perché se una volta arrivato qualcuno lo avesse scoperto, non avrebbe avuto vie di scampo, essendoci solo un porto su quell’isola. Al contempo, però, era anche l’isola meno abitata di Alola e, se fosse riuscito a raggiungerne l’uka, non avrebbe avuto problemi a nascondersi, e magari sarebbe potuto anche stanziarvisi e vivere una vita calma.
Da quando aveva iniziato a scappare la sua visione del mondo era completamente cambiata. Nel momento in cui era fuggito non aveva niente con sé, e non si era potuto fermare a recuperare uno zaino, o una borsa o un qualsiasi oggetto utile. Così, per i primi tempi del suo vagabondaggio non solo aveva provato la fatica di una vita nella foresta, lontano dalla civiltà, ma anche l’impossibilità di portarsi dietro quel cibo che riusciva a recuperare nel suo cammino. Aveva spesso finito di abbuffarsi di bacche, noci, funghi e radici, non sapendo quando sarebbe riuscito a mangiarne altre. In compenso, quei quattro anni di addestramento all’Accademia in materia di sopravvivenza, combattimento e botanica si erano rivelati utili.
Dopo un mese che viveva così, aveva capito che non poteva andare avanti in quella maniera, anche se il motivo per cui decise di tirarsi insieme, fu soprattutto il fatto che non sopportava più il suo stesso puzzo.
Ironico che fu proprio allora che entrò nel mondo dei mea pale kānāwai. Approfittando della sua condizione disperata, che il suo aspetto tradiva, lo assunsero per dei lavoretti. Agli inizi, gli facevano fare giusto il corriere, ma quando capirono chi era, sotto minaccia di rivelare la sua posizione alla polizia, lo costrinsero a usare il suo potere. Non che avesse mai opposto troppa resistenza: gli servivano i soldi, e le loro richieste non gli erano mai sembrate avere fini troppo dannosi, alla fine gli chiedevano quasi sempre di far desistere qualche imprenditore a costruire nuovi palazzi. Nell’ultimo periodo c’era anche stato un aumento delle commissioni che, da quello che aveva capito, a Hau‘oli avevano iniziato a smantellare vecchi edifici per costruire dei grattacieli.
In ogni caso, grazie ai soldi che aveva guadagnato, Huali era riuscito a comprarsi dei nuovi vestiti, pietre focaie, il macete e le altre cose, che stava andando a recuperare.
Da lontano, sentì dei gravi e rauchi ruggiti riecheggiare tra gli alberi, le cui folte fronde riparavano i placidi abitanti di quell’arcano luogo dal cocente sole. Pian piano che si allontanava dalla baia, la vegetazione diventava più scura e fitta, e il rumore delle grandi foglie del sottobosco, che frusciavano al ritmico passo del ragazzo, diveniva una strana melodia.
Giunto al capannello di cespugli in mezzo al quale aveva nascosto la sacca, si chinò e allungo il braccio tra i rami per recuperarla, ma improvvisamente si sentì invadere da un sopore. Non sapeva da dove proveniva quell’immensa stanchezza, fatto sta che fece solo in tempo ad annusare uno strano aroma nell’aria, prima di cadere in un sonno profondo.

 
Glossario:
ē ku‘u keiki: figlio mio (vocativo)
Ho‘olaule’a o ka māuiili o ka hā‘ulelau: Festival dell’equinozio d’autunno
Hoʻolohe ‘o Kōnane: Ascolta Kōnane.
kahuna nui: consigliere
kai: mare, zona costiera
kapa: materiale in scorza d’albero, ottenuto con la raschiatura della parte rugosa della scorza e la battitura con mazzuolo o martello di legno, normalmente usato per confezionare indumenti (Treccani)
Kula Ali‘i o Alola: figura politica di un certo rilievo
kulolo: piatto tipico hawaiano,
kumu: maestro, insegnante, e in genere qualsiasi tipo di modello (sia persona che pattern)
Mahalo, mahalo nui loa: Grazie, grazie mille.
Mai hoʻokaumaha. E ʻai kāua i kēia manawa: Non preoccuparti. Adesso mangiamo.
manana: libero adattamento della parola pokémon
na‘au: interiora, tradizionalmente intese come centro e origine delle emozioni
pāʻū lāʻī: gonna tradizionale hawaiana, fatta di foglie di cordyline fruticosa (nome italiano irreperibile)
pīʻai: bacca
poʻo kumu: preside
uka: entroterra
wauke: gelso da carta (broussonetia papyrifera)
 
Spazio autore:
‘Giorno popolo. In ritardo di dieci giorni posto il secondo capitolo, ma mi giustifico dicendo che questo capitolo fu un tempo 3 capitoli. Infatti, per stringere la storia complessiva ho cancellato una linea di trama che aveva già sviluppato abbastanza, e così quei 9 capitoli che aveva preparato in anticipo sono divenuti la metà… tutto qua.
Poi, mi ero dimenticato di dirlo prima, ma non sono assolutamente un esperto in cultura polinesiana o in lingua hawaiana, e pertanto quello che vedete e il prodotto di qualche anno di approfondimento in materia, e molta fantasia. Aggiungo che, la storia è ambientata in un periodo in cui ancora non esistevano le pokéball (a parte a Johto), idealmente inizio ‘900.  Però, per far combaciare tutto, benché io mi basi grossomodo sulle culture reali, vedrete anche nei prossimi capitoli che ho fatto un mappazzone. In sintesi, volevo dirvi che, i fattori reali che ho messo sono per solleticare la vostra curiosità in ambiti che (forse) non conoscete, ma per affrontare alcuni temi e argomenti ho dovuto piegare i dati reali e il clima generale di pokémon (non del manga) ai miei servigi.
Se avete letto fin qui, vi ringrazio e al prossimo capitolo.
 
Curiosità:
I nomi delle città di settima generazione sono stati presi dall’hawaiano, e in genere sono stati usati degli aggettivi (impropriamente detti) che descrivono la città o la sua atmosfera.
  • Malie: calmo
  • Hauoli (da hau‘oli): allegro, felice
  • Lili (da lili ‘i): piccolo
  • Poh (da ): buio, scuro
Benché in hawaiano il colpo di glottide sia un fonema che distingue delle coppie minime, ossia parole che variano di una sola lettera (esempio italiano: mano – nano; esempio hawaiano ko‘u mio – kou tuo), capisco perché l’abbiano tolto. Dopotutto anche in italiano corrente diciamo Hawaii [aˈwai] o [aˈvai] e non Hawai‘i [həˈvɐjʔi]. Tuttavia, visto che se non mi lamento non è un vero angolo curiosità, darò un consiglio/lancerò una preghiera a tutti quelli che vogliono iniziare a studiare giapponese e si trovano a lavorare con la traslitterazione del testo, e adesso vi spiego cosa c’entra con tutto questo. Il nome utilizzato in italiano per la città di Poh, è una ripresa paro paro  del nome giapponese, che tuttavia hanno trattato come fosse un nome giapponese, usando la romanizzazione degli vocali lunghe con un’acca. Ciò vuol dire che, in giapponese esistono parole, in cui alcune sillabe hanno una vocale che viene sostenuta più a lungo [se siete milanesi, questa è l’esatta differenza tra mangia (mangiare) e mangiaa (mangiato)]. Questo, in genere, viene dall’evoluzione fonetica delle sequenze vocaliche –ou ed –ei, ad esempio quelle di parole come ryokou viaggio, eiga film e Toukyou Tokyo. Quando si vuole fare una traslitterazione di un testo si può scegliere tra più opzioni, di cui vi mostrerò i risultati:
  1. ryokou, eiga, Toukyou
  2. ryokō, ēga, Tōkyō
  3. ryokô, êga,  Tôkyô
  4. ryokoh, ehga, Tohkyoh
Premetto che non tutte queste versioni hanno la stessa frequenza di apparizione, e che per qualche motivo non si tende ad abbreviare –ei. Ciononostante, voglio comunque esortarvi a usare la prima o la seconda opzione (quest’ultima in particolare, e soprattutto se in ambito commerciale). Il perché è presto detto: la terza opzione è una storpiatura della seconda, fatta da persone che non sapevano cos’era un macron; la quarta opzione è un’aberrazione della natura, creata da persone che volevano un modo semplice per digitare, ma non hanno considerato la leggera incongruenza grafica che ne consegue. Purtroppo, per la sua comodità, quest’ultima è quella per cui optano e hanno sempre optato i traduttori dei videogiochi pokémon; basti pensare a Johto e non Jouto, Sinnoh e non Sinnou, Poh e non Pō (l’effettiva parola hawaiana). Però, per dimostrarvi che non sono così rompipalle come sembra, vi dico che Johto lo pronuncerò per sempre yoto.
Infine, ho scelto di creare un aggettivo per Alola, e come avete visto ho deciso di andare per alolense. L’alternativa era alolate. Non mi sembrava di usare la versione inglese alolano. Nel caso avete altre idee? consigli?
   
 
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