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Autore: HellWill    22/08/2020    0 recensioni
CONTIENE SPOILER DI «SENTIERI SCONOSCIUTI».
Circa vent'anni dopo la fine di «Sentieri Sconosciuti», Kame detto "Sparviero" ha guadagnato un nuovo allievo, Nearco.
Nearco ha dodici anni, è fissato con la botanica, ed è autistico: il solo tocco altrui lo fa urlare di dolore e fastidio, e il suo interesse speciale per le piante lo renderà un grande assassino, almeno secondo Kame.
Genere: Dark, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sentieri Sconosciuti'
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«Allora, come sto?» chiese Sparviero: il suo vestito era pressoché identico a quello di Nearco, solo che i fili, i bottoni e le catenine per chiuderli erano d’oro invece che d’argento. I lunghi capelli blu erano raccolti in una crocchia di fili d’oro e perle grige, in modo mascolino, e gli occhi viola rilucevano tranquilli e fiduciosi nell’allievo.
«Molto bene. Vi sta d’incanto» annuì Nearco, poi si passò una mano fra i capelli che aveva bagnato per portarli all’indietro: erano ricci ed indomabili, e stavano rapidamente tornando naturali.
«Anche tu stai molto bene… sembri quasi rispettabile come un adulto» lo prese in giro, e Nearco sorrise timidamente.
«Non ho mai avuto un vestito così costoso».
«Lo puoi tenere, dopo la festa. Spero sarà il primo di una lunga serie».
Sparviero si allacciò il bracciale che gli modificava il viso per far sparire la cicatrice che lo solcava, e rapidamente il volto assunse anche un filo di barba pulita e regolare. Nel notarlo, Nearco aprì la bocca e Sparviero disse, senza lasciargli il tempo di parlare:
«L’ho fatto modificare un tantino. Ho sempre voluto la barba, ora vedremo un po’» disse critico, e mentre lo osservava Nearco ne notò l’eleganza in tutti i gesti, come se avesse indossato una personalità diversa, in qualche modo più nobile. Il ragazzino si disse che un giorno, qualunque cosa accadesse, voleva diventare così; e non sarebbe mai più tornato a casa, perché semplicemente qualsiasi altro luogo era casa sua… che non fosse quella da cui era fuggito. Voleva essere libero, veloce, invisibile.
«Un giorno» mormorò Sparviero, come avesse sentito tutti i suoi pensieri. E probabilmente era così. Il viso del maestro s’addolcì un po’. Nearco aveva paura di essere scoperto, pur sentendosi assolutamente al sicuro per la presenza del maestro, così innalzò le barriere mentali e misurò l’ufficio a grandi passi.
«È quasi ora. Ripassa a mente per due minuti» gli consigliò Sparviero.
«Preferisco non ripassare» disse Nearco a disagio.
«Allora passiamo direttamente alla meditazione. Siediti».
«E se si sporca il vestito?» chiese nervosamente l’allievo.
«Siediti» ordinò perentorio Kame.
Nearco alzò un sopracciglio, tuttavia obbedì e imitò Sparviero, che si era seduto a propria volta ed aveva chiuso gli occhi.
«Ti hanno insegnato a meditare, quando vivevi ancora nel Regno Faël?».
«Non proprio?».
«Spiegati».
«Non lo so. Non ho mai fatto molta meditazione. Forse quando ero più piccolo e mio padre doveva calmare le mie crisi».
Sparviero tacque per qualche secondo, poi mormorò:
«Ti hanno insegnato qualcosa di particolare?».
Nearco annuì impercettibilmente, non sapendo nemmeno se lui lo vedesse. Avrebbe dato non sapeva cosa per poter vedere il maestro in quel momento, ma rimase con gli occhi chiusi.
«Allora lasciati scivolare nella coscienza, lentamente. Svuota la testa, non pensare assolutamente a nulla. Percepisciti».
Il resto venne da sé. Conosceva – più o meno – la procedura.
Lentamente i pensieri si annullarono, scivolarono nel dimenticatoio; e prese piede, al posto di essi, una curiosa sensazione di vuoto e soddisfazione al tempo stesso. Percepì ogni angolo di sé, e lentamente anche quella sensazione svanì lasciando il posto ad una percezione più ampia, più universale, come se riuscisse ad immaginarsi al posto di formiche e draghi al tempo stesso. E comprese che il suo posto nell’universo non era che minuscolo, infimo, in confronto a tutto il resto. Uscì da quella specie di trance senza pensieri, riposato, concentrato, pronto a tutto, e non appena Nearco aprì gli occhi capì perché Sparviero l’aveva fatto e gliel’aveva fatto fare.
Entrambi aprirono gli occhi e restarono qualche minuto in silenzio, fissando il vuoto come per riprendersi dalle sensazioni assolute che avevano appena provato.
«Prima di ogni missione» disse semplicemente Kame, e Nearco annuì.
Sparviero s’alzò in una sola fluida mossa, subito seguito da Nearco. L’allievo lasciò perdere le domande, chiedendosi poi perché tendesse sempre a complicarsi la vita, e si accorse che Sparviero, muto e immobile, fissava il sole che scendeva inesorabilmente sull’orizzonte ma ancora lontano dalla sottile linea bianca che segnava il confine dell’ignoto all’occhio, con Sinjìn al fianco in forma di lupo. Nearco si chiese se stavano parlando mentalmente, così restò zitto. Avevano tutto un pomeriggio davanti e già erano pronti… Dopotutto il ballo iniziava piuttosto presto, prima ancora che tramontasse il sole, verso l’Ora Nona. Ormai era fine inverno, e anche se faceva ancora freddo nelle altre parti del Regno più a sud, nelle Terre delle Tenebre la neve era quasi perenne.
«Non fidarti mai troppo di nessuno, Nearco» mormorò Sparviero a quel punto, e Nearco inarcò le sopracciglia.
«È un avvertimento?».
Sparviero non rispose, ma si limitò a fissarlo impassibile, con negli occhi una scintilla che l’allievo non seppe interpretare.
«Domani affronteremo le illusioni magiche: sono troppi quelli che sanno farle e troppo pochi quelli che sanno distinguerle. Devi essere uno di quei pochi».
Un bussare alla porta li interruppe.
«Oh, siete pronti» disse Vex non appena Nearco aprì la porta; quando l’uomo vide Sparviero senza la cicatrice, fece un fischio basso e lungo.
«Stai proprio bene. Una faccia intatta ti dona alquanto» ghignò.
«Vex ci accompagnerà alla festa in quanto spia. Si assicurerà che tutto vada per il verso giusto».
«Nonostante le minacce, ho comunque un debito verso di te» Vex fece l’accenno di un inchino con un sorriso di sfottò, e Nearco inclinò la testa di lato.
«Viene anche il vostro allievo?» chiese, per essere cortese, ma Vex scosse il capo.
«Non è ancora minimamente pronto per un ricevimento del genere. Anzi, mi stupisce che Sparviero ti porti con sé».
Nearco si chiese se Vex sapesse che quello sarebbe stato il suo primo contratto, ma cogliendo un’occhiata di Kame si decise a non dire nulla.
«Forse perché al contrario del vostro allievo io so cosa sia il rispetto per l’altrui persona» insinuò gelido, e Vex sorrise affettato.
«Pungente, il ragazzino. Sembra ignorare che potrei sgozzarlo con una mano sola mentre bevo una pinta di birra».
«Non ho problemi a prendere a pugni anche voi, se doveste toccarmi».
«Oh, credigli. Ha preso a pugni anche me» disse Sparviero, profondamente divertito dallo scambio fra i due, e Vex inarcò le sopracciglia.
«Ed è ancora vivo?».
«Lo vedi davanti a te, no? Direi che è vivissimo».
Vex arretrò di un passo, leggermente inquietato dalla faccenda, e Nearco sorrise in modo canzonatorio.
«Non male per uno magrolino come me, no?» chiese feroce. Sparviero gli pose una mano sulla spalla come per dirgli “basta così”; il solito pizzicore gliela rese insensibile, ma non si scostò.
Vex scosse il capo, e si lisciò l’abito: era vestito completamente di bianco, con una camicia nera sotto la giacca bianca dai bottoni dorati; le scarpe erano stivali neri che richiamavano camicia e bottoni con inserti dorati e la fibbia d’oro. Alla cintura portava una spada ed un pugnale, e Nearco posò la mano sulla propria spada, pur corta, e sul proprio pugnale. Sparviero aveva alla cintura anche lui spada e coltello, e altri due stiletti negli stivali.
«Dove andiamo di bello?».
«In uno dei Portali che ha costruito Zashat. Quello di Ther, in particolare» disse Sparviero, prendendo la propria cappa nera e chiudendola con una spilla a forma di clessidra. Anche Vex si allacciò il mantello con la stessa spilla dorata, e l’assassino porse un mantello su misura a Nearco, con la stessa spilla sulla sommità.
Nearco se lo allacciò e i tre attraversarono i corridoi luminosi del Clan, diretti al tredicesimo piano sotterraneo con il montacarichi, e una volta lì camminarono fino al portale per Ther: Vex andò per primo, Kame per secondo, e Nearco li seguì. Fu come uscire all’esterno tutto d’un botto dall’ambiente caldo del Clan: la neve scricchiolava sotto i loro stivali mentre si lasciavano alle spalle la casa vuota che fungeva da tramite e da cui erano usciti. Le strade erano silenziose e deserte, e le poche finestre illuminate si spegnevano una ad una come una lenta processione. Superarono la seconda cinta muraria di Ther, capitale del Regno di Mame, e si diressero alla sommità della collina, dove c’erano le case dei nobili più importanti e ricchi della capitale. Lì, al contrario, le luci ad olio erano tutte spente, poiché era scortese non invitare gli altri nobili ad un ricevimento: Sparviero ghignò:
«Non invidio chi aveva contratti di furto questa sera» commentò, e Vex ridacchiò.
«Già… case vuote, ma piene di insidie proprio per questo».
I tre percorsero le strade dritte e regolari del quartiere ricco di Ther fino ad arrivare ad una villa perfettamente illuminata: i cancelli del giardino erano spalancati e una successione di carrozze ne occupava l’ingresso. I tre si infilarono fra il cancello e una carrozza, camminando sul sentiero di pietre levigate perfettamente sgombro da neve e ghiaccio, mentre le carrozze sfilavano lentamente davanti ai loro occhi.
«Perché non siamo venuti in carrozza?» chiese Nearco a quel punto.
«Perché siamo non-umani, Nearco. I non-umani non vanno in carrozza».
«Ho gli stivali sporchi» borbottò il ragazzino, e Sparviero gli sorrise appena.
«Non temere, ci sarà da pulirseli».
Una volta di fronte l’ingresso della villa, i tre presentarono i propri inviti al maggiordomo, che annuì e li lasciò entrare.
Una volta dentro, Vex finse di non conoscerli e fu annunciato:
«Vex Del Crepuscolo, Ambasciatore del Clan degli Artisti».
Una serie di sussurri concitati si levarono nell’ampio salone mentre Vex scendeva le scale, e i suoi capelli dorati rilucevano alla luce delle lanterne come fossero fatti d’oro puro. I visi erano ancora voltati verso di lui con sospetto e preoccupazione quando furono annunciati gli altri due.
«Ri Syltris, Curatore del Feudo Feirmeoir, e il suo apprendista Nearco Erikson».
Si levò un timido ed educato applauso, poi gli invitati continuarono a discorrere mentre l’orchestra di orchi accordava gli strumenti in un angolo della sala.
Il sole era già tramontato da un pezzo visto che era inverno, e loro come tutti gli altri si erano presentati con un elegante ritardo di un’ora.
Kame si tenne stretto a Nearco, che era disorientato dalla folla che gli si era parata di fronte una volta scese le scale per la sala da ballo, e lo guidò fino alla padrona di casa.
«Onorati di aver ricevuto il vostro invito, milady» si presentò Kame dolcemente, con un sorriso affascinante. La lady sorrise e entrambi si inchinarono.
«Questo giovanotto dev’essere il vostro allievo, non è così?» chiese la padrona di casa, e Nearco annuì sorridendo. «Che carino. Quanti anni hai, tesoro?» chiese, allungando una mano per strizzargli una guancia, ma Sparviero rispose al suo posto:
«Dodici anni. È un uomo, ormai».
In qualche modo, la frase fece ritirare la mano alla signora, che annuì dispiaciuta.
«È così, non è vero? Ah, crescono così in fretta!».
Sparviero sorrise e Nearco sospirò, lieto di aver evitato un altro contatto indesiderato. I due si allontanarono con un leggero inchino dalla signora, e si guardarono intorno: Vex stava intrattenendo conversazione con dei dignitari che provenivano dai Regni Orientali, e loro due dovevano darsi da fare.
«Hai con te la boccetta?» chiese Sparviero, scorrendo con gli occhi sulla folla. Nearco annuì. «Bene. Va’ in bagno e incontra il nostro uomo. Ha una spilla a forma di ape sulla blusa. Fa’ presto».
Nearco annuì di nuovo e, con il cuore in gola, scivolò fra la folla come gli aveva insegnato Sparviero: seguiva il flusso di gente in una direzione e nell’altra, fino a che non arrivò ai limiti nord della sala, dove c’erano i corridoi da cui arrivavano i servi e il corridoio che conduceva ad una stanza da bagno di elegante marmo bianco e piena di decori dorati sul soffitto. Vi entrò, chiudendo a chiave la porta, e una voce gli sibilò:
«Sei tu?».
Nearco fissò lo sconosciuto: al petto portava una spilla a forma d’insetto, un’ape come gli aveva detto Sparviero. Nearco fece un cenno affermativo e tirò fuori la boccetta di veleno mentre il servo gli indicava il vassoio posato sul lavabo: c’erano solo due bicchieri, due flûte che contenevano per poco meno di metà un liquido chiaro e dall’odore fruttato.
«Il piano è questo: tu vai da loro e porti da bere. Al resto penso io» gli disse Nearco, a disagio, versando mezza boccetta in ogni bicchiere: questi si rabboccarono fino a raggiungere la pienezza per tre quarti tipica dei bicchieri che aveva visto fino a quel momento.
«Spero per te che ci sia anche il tuo maestro con te, altrimenti sei fottuto, amico» mormorò il servo, asciugandosi il sudore dalla fronte.
«Non vorrai tirarti indietro, spero» sibilò a denti stretti Nearco, minaccioso. Il servo scosse il capo.
«La mia padrona mi ammazza se scopre che ho fallito. C’è dentro anche lei con tutte le scarpe, cosa credi?».
Nearco finse di averlo sempre saputo, e annuì.
«Immaginavo che ci sarebbero state conseguenze per te. Vai, e sii coraggioso».
A quell’ora Sparviero doveva aver già raggiunto i due obiettivi… probabilmente stava intavolando un’amabile conversazione su come le mele stessero germogliando quell’anno, o qualcosa del genere. No, che stupido che era: quella era una conversazione che avrebbe potuto fare lui. Solo uno fissato con le piante avrebbe saputo che i semi di mela germogliano in inverno invece che in primavera, e quello era lui. Probabilmente Sparviero stava parlando di politica.
Si aggiustò la giacca ed uscì dal bagno, mentre il servo prendeva il vassoio e si dirigeva verso il corridoio dei servi.
«Quanto mi hai aspettato?».
«Oh, il necessario. Forse quasi un’ora».
Nearco fece un cenno affermativo e i due si separarono. Il ragazzino percorse la sala evitando le danze che si erano aperte nel frattempo e si diresse in giardino per una boccata d’aria. Senza il mantello faceva un gran freddo, nonostante il porticato li coprisse dalla neve che aveva ricominciato a cadere; più in là, dove le lampade ad olio rischiaravano appena l’oscurità notturna, c’era un gruppetto di quattro o cinque uomini adulti, fra cui Sparviero. Tutti lo fissavano in maniera sospettosa per via dei capelli blu e degli occhi viola, ma nessuno sembrava abbastanza maleducato da lasciare la conversazione per quel motivo. Nearco si avvicinò a loro e studiò i quattro uomini: due erano in carne, probabilmente nobili, e gli altri due seppur magri sembravano rilassati e molli nei modi almeno quanto i primi.
«Com’è il Regno Faël in questa stagione? Ho una casa di villeggiatura sul lago di Aror… in estate è magnifico poter fare il bagno al lago, dà una frescura meravigliosa» commentò uno dei due nobili, quello con gli occhi castani. Sparviero sorrise affabile e commentò:
«Oh, il Regno Faël è meraviglioso in questa stagione. I bambini giocano con la neve e i nomadi sono ben accolti dal popolo, che provvede a fornir loro legna da ardere in cambio di ninnoli e pentolame».
«Che adorabile scena bucolica» sorrise uno dei due uomini magri, e in quel momento arrivò il cameriere che Nearco aveva incontrato in bagno: portava due vassoi, uno con quattro bicchieri e l’altro con i due avvelenati. Al ragazzo balzò il cuore in petto: eccoli alla resa dei conti, dunque. Dal momento che Nearco, Sparviero e i due nobili erano i più vicini all’entrata, furono serviti per primi dal vassoio con quattro bicchieri; e ai restanti due ospiti non restò che accettare il loro destino già segnato.
Tutti sollevarono i propri flûte per brindare, senza farli toccare fra loro.
«Alla festeggiata» propose Sparviero, tranquillamente, e gli altri annuirono.
«E all’alcol» disse l’altro uomo magro, che fino a quel momento non aveva parlato. «Causa di e soluzione a tutti i problemi» rise, e insieme tutti bevvero.
Sparviero prese a discutere di politica estera con i nobili in modo affabile e sempre con il sorriso sulle labbra, cortese ma non del tutto, un po’ tagliente nelle risposte per via del vago velo di disprezzo che avevano i due umani negli occhi.
Alcune dame si avvicinarono al porticato, nascoste sotto dei copri-spalle di pelliccia per combattere il freddo; la musica era appena finita e Nearco si fece coraggio: avrebbe chiesto a qualcuna di ballare, così da far trascorrere in fretta il paio d’ore che ci avrebbe messo il veleno a fare effetto. Sparviero parve avere la stessa idea quando vide le dame.
Entrambi si avvicinarono al gruppetto e Sparviero si inchinò di fronte alla più bella, una ragazza che sembrava avesse circa vent’anni, con i capelli raccolti in morbidi riccioli; vedendo che le veniva richiesto un ballo da un non-umano storse un po’ il naso, ma accettò ugualmente per non risultare scortese. Nearco allora si avvicinò alla più più piccola del gruppo, forse di tredici o quattordici anni, e si inchinò.
«Milady, potete concedermi questo ballo?» chiese educatamente, e la ragazzina sbirciò timidamente le sue orecchie a punta prima di acconsentire.
Le due coppie così formate si andarono a posizionare nella sala, e quando iniziò la musica cominciarono anche le danze. Sparviero sorrise in un modo che fece pensare ad un qualche predatore, e la sua compagna di ballo arrossì fino a diventare quasi fucsia; Nearco li osservò, cercando di non pensare al dolore che sentiva alle mani a contatto con la ragazzina di cui non conosceva il nome.
Lentamente, Sparviero portò le mani sulle braccia della ragazza, baciandole con dolcezza il collo. In mezzo alle danze nessuno notò il gesto, e in un attimo i pendenti alle orecchie della ragazza furono nelle tasche del principe, seguiti subito dopo dalla collana e dai bracciali. Nearco batté le palpebre, stupefatto: come aveva fatto? E soprattutto, come poteva la ragazza non essersene accorta?
La ragazza non si era ancora accorta di nulla, ma sul finire del ballo iniziò a girarle la testa, così Sparviero, pieno di premure, la accompagnò al tavolo delle vivande e le diede da bere un flûte di quell’alcol fruttato; lei accettò volentieri e in breve lui si procurò un’altra dama con cui ballare e da ripulire. Andò avanti per un po’, finché la musica durava, approfittando del fatto che fossero tutti abbastanza alticci da non notare più l’assenza o la presenza della maggior parte dei ninnoli che avevano portato alla festa.
Interrompendo le danze e lasciando la propria dama ad un altro cavaliere, Sparviero si procurò da bere e si tenne vicino all’ingresso del giardino, tenendo d’occhio gli obiettivi. Educatamente, finse di partecipare ad una discussione sui migliori cavalli dei Tredici Regni che stava avvenendo lì vicino, senza dire veramente qualcosa di significativo, e diede una scorsa alla sala.
Nearco, accompagnato ad una piccola lady dai capelli biondi, discuteva con alcuni ragazzi di poco più grandi di lui, probabilmente anche lui di cavalli. Sparviero si avvicinò lentamente, senza entrare nella conversazione, e la discussione si perse sulle varie razze di cavalli, quelle che ognuno di loro riteneva le migliori: i cavalli isarniani erano i migliori velocisti, quelli mamiani erano i migliori per i lavori nei campi, quelli di Ewerynd avevano poteri magici… Sparviero scoccò un’occhiata all’orologio che campeggiava sulle scale della sala, vagamente annoiato, e il servo loro complice si avvicinò offrendo un drink a Nearco e Sparviero, ultimi due bicchieri del vassoio.
Nearco diede un’occhiata all’orologio e poi vagò con lo sguardo per il salone, come cercando qualcuno; scusandosi cortesemente, disse di aver visto una propria conoscenza dirigersi in giardino. Sparviero continuò a discorrere con il gruppo di giovani, poi si allontanò scusandosi per parlare nuovamente con la festeggiata che si stava avvicinando al giardino come Nearco.
«Le ho già detto che lei è incantevole stasera? Più del solito, intendo» la adulò Kame, sorridendo, e la signora arrossì pur sotto il pesante trucco di cipria che le impolverava il viso.
«Oh, Sir Ri, non esageri».
«Questa festa è meravigliosa. I miei complimenti anche per essa» sorrise, aprendole le porte del giardino. La signora uscì fuori, poi alzò le mani e scosse il capo.
«No, no. Fa troppo freddo. Io entro. Lei resta fuori?».
«Oh, sì. È meglio così. Mi trovo a mio agio nel freddo e nel gelo» disse, e un bagliore inquietante gli passò negli occhi viola. La nobildonna rabbrividì.
«Buona continuazione allora» gli fece un sorriso educato, e Sparviero si avvicinò a Nearco e ai loro due obiettivi. Entrambi non sembravano star molto bene.
«Signori, va tutto bene? Vi vedo un po’… scossi» mormorò Sparviero, come in confidenza.
«Ma certo» abbozzarono un sorriso, e quello con gli occhi scuri si schiarì la voce. «Allora, ragazzo… cosa hai detto che studi?».
«Oh, in generale magia. Sono un mezz’elfo».
«Capisco» disse. «Che branca?».
«Di tutto: illusione, attacco, difesa…» rispose Nearco, impacciato. I due uomini si guardarono intorno e trovarono un posto in cui sedersi. Gli tremavano le mani, avevano le pupille estremamente dilatate, e respiravano a fatica, come avessero un macigno sul petto. Nearco li guardò affascinato, cercando di non lasciar trasparire nulla di ciò che provava all’esterno.
«Signori, sicuri che vada tutto bene?» chiese Sparviero, inquieto.
«Certo» rispose quello dagli occhi grigi, e l’altro tentò di far continuare la conversazione.
«Che ne pensate del Clan degli Artisti? Di quell’ambasciatore che ha fatto il suo ingresso in maniera così teatrale…».
«Non mi è parso un ingresso diverso dagli altri. È stato annunciato, ha sceso le scale» obiettò Nearco, non capendo.
«Parlavano tutti» commentò quello dagli occhi scuri. «come fosse sceso il Re in persona per questa festicciola da due soldi».
«Questo è molto scortese da parte vostra» fece notare Sparviero, con un leggero sorriso sulle labbra.
«Vi rendete conto che Kame ha fatto non meno di mille vittime in vent’anni?» l’uomo dagli occhi scuri sputò il suo disprezzo in una sputacchiera.
«Sono certo che è soltanto uno qualunque» disse Nearco, cortese. «Uno come me e voi, che però si è fatto strada nelle tenebre».
«Ve lo immaginate? Nient’altro che un uomo. Solo un uomo» commentò quello dagli occhi grigi.
«Si dice sia un non-umano, però» osservò Sparviero.
«Sì, d’accordo, un non-umano… ma comunque un uomo. Solo un uomo, eppure con così tanto potere da poter annientare un paese… un Regno. Incredibile. Un assassino a capo di un Clan Reale. Inaudito» commentò l’uomo dagli occhi scuri. Nearco spostò il peso da un piede all’altro, a disagio. Quand’è che sarebbero morti?
Un cameriere si avvicinò a loro e offrì loro ancora da bere; Sparviero prese il calice, ma Nearco rifiutò gentilmente: non poteva permettersi di ubriacarsi, e a poco valeva contro la sua paura la rassicurazione della spugnetta magica che avevano ingoiato prima di recarsi alla festa.
«Dèi se fa caldo… non sentite caldo anche voi?» mormorò a denti stretti l’uomo dagli occhi chiari, e Sparviero li guardò stupito: erano effettivamente madidi di sudore, con le pupille dilatatissime nonostante le luci della sala che penetravano dalle enormi vetrate.
«Ho anche l’impressione di vedere meno» sussurrò il suo compare, e Sparviero riprese la conversazione, con un sorrisetto soddisfatto.
«Secondo me, quando Kame era solo un bambino, nemmeno immaginava tutto ciò… Ve lo immaginate? Un potente assassino come quello, un tempo era solo un ragazzino con amici e sogni e giochi» commentò Sparviero, e i due uomini lo fissarono senza capire. «Certo è che ora è qui…» mormorò, bevendo dal proprio calice.
«Qui, in quest’epoca… qui in questo tempo. Qui in senso figurato…?» mormorò uno dei due, e Sparviero sorrise come un lupo, in maniera del tutto inquietante. I due uomini parvero avere un istante di intuizione, perché si sollevarono di scatto come per iniziare a correre, ma persero l’equilibrio e riprecipitarono seduti scompostamente, come bambole di pezza.
«Sei tu!» sibilò uno dei due ex-sicari.
«Non siete voluti entrare nel Clan degli Artisti quando ne avete avuta l’occasione… vi avremmo protetti dalle ritorsioni dei vostri vecchi mandanti» commentò Sparviero, finendo il contenuto del bicchiere. Nearco fissò i due in modo morboso, non voleva perdersi nemmeno un attimo di quella condanna a morte. I due stavano cominciando ad avere degli spasmi che gli muovevano involontariamente le mani, e i visi erano paonazzi mentre il fiato era sempre più corto, come avessero un peso sul petto. Il primo a irrigidirsi e poi mollare la presa sulla vita fu quello con gli occhi chiari: la vita lo lasciò soffice e cadde all’indietro senza appoggio, oltre il muretto, nel giardino. Il secondo gettò uno sguardo al primo, con gli occhi colmi di tristezza, e lo seguì, appoggiato alla colonna come se dormisse ad occhi chiusi e bocca aperta, con il labbro penzoloni non più vivo. Sparviero lo spinse delicatamente per farlo stare assieme al suo compagno, non visti dal resto degli ospiti.
Il resto della serata trascorse tutto sommato piacevolmente, e quando fu ora di andarsene Sparviero, Vex e Nearco furono gli ultimi a salutare la padrona di casa.
«Spero la serata sia stata fruttuosa» sorrise la donna, accettando il baciamano di Spaviero, e lui sorrise in modo inquietante.
«Oh, ma certamente milady. Non vedo l’ora di rivederla il prossimo anno. Vi consiglio una pulizia accurata del giardino» scoccò un’occhiata all’entrata dello stesso, e lei annuì, stringendo appena le labbra: ai nobili non piaceva parlare d’omicidio, li faceva sentire sporchi; per questo assumevano altre persone per farlo al posto loro.
Insieme, i tre si dileguarono nell’ombra, tornando al Clan degli Artisti.
Vex chiese freddamente, una volta lì:
«Allora, com’è andato il Patto col Demone?».
«Domani ci pagano… prima paga per lui, prima tassa da pagare, prime emozioni» commentò Sparviero cauto, studiando l’allievo: era pallido e taciturno, forse scioccato dalle implicazioni di ciò che aveva fatto. O forse si stava immaginando le cose. In ogni caso i due si separarono da Vex e andarono nella stanza di Nearco, dove il ragazzino si spogliò con calma, mentre Sparviero si sedeva alla scrivania e lo fissava in silenzio, chiedendosi se dovesse aspettare una reazione o se dovesse scatenarla lui.
«Cosa provi, ora che hai ucciso ben due persone?» si decise a chiedere, una volta che Nearco fu in mutande e con il maglione largo e nero indosso. Il ragazzino si strinse nelle spalle.
«Nulla. Non provo nulla. Credevo… sarebbe stato diverso. Credevo che sarei stato felice di avercela fatta, e invece… non provo niente di niente».
«Credevi che saresti stato felice?» chiese Sparviero, scettico. Poi scosse la testa. «Uccidere non è un giochetto, e non è qualcosa su cui smaniare. Te l’avrò ripetuto una decina di volte. “Ti spaventerai e te ne andrai”. È questo che provi? Sei spaventato, ora?».
«No!» esclamò Nearco, sulla difensiva.
«Per gli dèi, dovrai pur provare qualcosa!» esclamò Sparviero di rimando, quasi ringhiando. Il suo bel volto era sfigurato dalla collera, e Nearco notò che non si era ancora tolto i bracciali.
«Non provo assolutamente nulla» disse, e Sparviero sospirò.
«Facciamo così. Ti racconto le informazioni che so sugli obiettivi. È naturale che non provi nulla per persone che non conosci, ma sono certo che la cosa cambierà quando saprai la loro storia».
Nearco lo guardò scettico, ma non fiatò. Si sedette sul letto e si predispose all’ascolto.
«Non conosci neanche i loro nomi. Frank Samson e Gerald Grimes sono stati degli assassini brillanti, ai loro tempi. Purtroppo avevano la nomea di truffatori, perché ogni dieci colpi buoni ne accettavano uno impossibile da compiere e prendevano la prima metà della somma pattuita sparendo senza lasciar traccia, e senza compiere l’omicidio prestabilito. Dalle ricerche che ho fatto, ho potuto notare quanto quei due avessero un rapporto che rasentava l’amore, più che l’amicizia o la mera collaborazione in affari».
Nearco lo fissò stupito.
«Si amavano?».
«Oh, sì. Più di ogni altra cosa al mondo. Si sono ritirati due anni fa in una fattoria vicino Ther, dove conducevano un’esistenza semplice per far calmare le acque dopo il loro ultimo colpo truffaldino. Poi hanno voluto strafare: si sono comprati una carta nobiliare e una casa in città, frequentando feste e facendosi notare… i mandanti non erano molto contenti di scoprire che erano ancora vivi, e così hanno voluto rimediare».
«Non provo ancora nulla».
«Non ho finito».
Nearco tacque, contrariato.
«Insieme, avevano adottato tre bambini. Uno più bello dell’altro: Anna, Jamie, e Todd. Boccoli biondi, occhi azzurri e guance morbide. Ora sono soli, ad aspettare i loro papà, che non torneranno mai più. Per mano tua, Nearco, sono morte delle persone vere, che amavano, vivevano fino a poche ore prima. Sei sicuro che questo non ti causi nulla?».
A Nearco si torse qualcosa nello stomaco.
«Cosa ne sarà dei bambini…?» chiese, con un filo di voce.
«Beh, non hanno altri parenti… finiranno in mezzo ad una strada, maltrattati da chiunque passi. O potrebbero finire al Clan, fra qualche anno, quando si procureranno da mangiare topi di fogna e carne di drago e sarà la loro unica via per avere una vita dignitosa. Le possibilità sono infinite».
Nearco si chinò in avanti e chiuse gli occhi. Cercò di sopprimere la sensazione di oppressione al petto che gli aveva provocato quella storia, più sui bambini che altro, e mormorò:
«Penso di stare per vomitare».
«Per carità, fallo nel vaso da notte» disse Sparviero con calma, e Nearco si diresse in bagno di corsa, vomitando tutto ciò che aveva mangiato e bevuto alla festa, compresa la spugnetta magica. Sparviero lo seguì e gli pose gentilmente una mano sulla schiena, mentre Nearco singhiozzava.
Per la prima volta, il contatto non gli causò dolore né pizzicore né fastidio. Semplicemente un contatto della mano calda di Sparviero sulla sua schiena, nulla di più e nulla di meno. Grato per quella presenza nella sua vita, si asciugò il naso con la manica del maglione, singhiozzando, e Sparviero chiese esitante:
«Posso darti un abbraccio? Sembri averne un gran bisogno».
Nearco annuì appena e Sparviero lo avvolse fra le braccia. Nearco premette la guancia sul suo petto, ascoltando il suo cuore calmo, e pianse un altro po’.
«Ma non vorranno vendicarsi? A che pro farli entrare al Clan?» chiese il ragazzino poi, con voce tremante.
«Oh, la faccenda verrà insabbiata molto presto. Abbiamo dalla nostra i nobili, che faranno in modo di spargere la voce che è stata una reazione avversa a qualche cibo particolare servito alla festa».
Nearco annuì appena e sciolse l’abbraccio, sospirando.
«Grazie, maestro» mormorò, tirando su con il naso. «Queste cose le avrei scoperte io facendo quella parte di lavoro al contratto che avete fatto voi?».
Kame annuì.
«Ora riposa. Domani ti darò la tua paga» promise, e detto ciò uscì dalla stanza con uno svolazzo di mantello, lasciando Nearco solo con Sinjìn. Il gatto, per essere di conforto, si raggomitolò su di lui facendo le fusa non appena si mise sul letto, e insieme si addormentarono.

 
   
 
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