Libri > Harry Potter
Ricorda la storia  |      
Autore: Shireith    23/08/2020    2 recensioni
Il tempo e una lauta colazione – quest’ultima soprattutto – avevano contribuito ad alleviargli il sonno e così Harry si era trovato a pensare che forse non tutto era perduto. In biblioteca Hermione si sarebbe presto tuffata tra le pagine di un libro e lui e Ron avrebbero passato la mattinata tra una chiacchiera e l’altra – perché lo studio, superfluo anche solo sottolinearlo, era fuori discussione.
Lasciatosi alle spalle la Sala Grande con al seguito Ron ed Hermione, un ingenuo e ignaro Harry aveva dunque proceduto tranquillo tra i corridoi dell’immenso castello
– e poi eccolo.
Il suo incubo peggiore.
Allock!
Storia ispirata al contest "La cerimonia di smistamento" indetto da Artnifa sul forum di EFP.
Genere: Comico, Commedia, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gilderoy Allock, Harry Potter, Hermione Granger, Ron Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Babbano o babbeo?



«Oh, Harry! Oh, Harry, Harry, Harry
  Parole – o una sola pronunciata tante, troppe volte – che avevano tramutato in realtà il suo incubo peggiore, preannunciando l’inizio di una giornata pessima.
  Per colpa di Hermione – solo e soltanto di Hermione – che aveva insistito tanto affinché lui e Ron l’accompagnassero in biblioteca, i due si erano alzati di buon’ora tra uno sbadiglio (Harry) e un epiteto poco simpatico rivolto a Hermione (Ron) e avevano raggiunto l’amica nella sala comune.
  Il tempo e una lauta colazione – quest’ultima soprattutto – avevano contribuito ad alleviargli il sonno e così Harry si era trovato a pensare che forse non tutto era perduto. In biblioteca Hermione si sarebbe presto tuffata tra le pagine di un libro e lui e Ron avrebbero passato la mattinata tra una chiacchiera e l’altra – perché lo studio, superfluo anche solo sottolinearlo, era fuori discussione.
  Lasciatosi alle spalle la Sala Grande con al seguito Ron ed Hermione, un ingenuo e ignaro Harry aveva dunque proceduto tranquillo tra i corridoi dell’immenso castello – e poi eccolo.
  Il suo incubo peggiore.
Allock!
  «Professore…»
  Appellandosi alle sue incredibili quanto irritanti doti teatrali, l’uomo agitò un braccio in un tacito invito a non proseguire oltre. «No, Harry, non dirmelo nemmeno!»
  Harry non voleva dirgli proprio niente.
  «So che cosa vuoi…»
  No, non lo sapeva.
  «… e la risposta è sì.»
Perché?
  Non sapeva nemmeno a cosa volesse alludere, in realtà, Allock: non avevano detto proprio nulla, loro tre. L’avevano incrociato per un caso dettato dalla cattiva sorte e quello aveva preso a parlare, parlare, parlare.
  Harry cercò, e trovò, lo sguardo di Ron, sul cui volto si era già dipinta una smorfia eloquente che solo Allock pareva incapace di decifrare: continuò, imperterrito, a masticare cose. Hermione seguiva il treno dei suoi discorsi vanesi con sguardo brillante d’interesse, annuendo di tanto in tanto con molta più enfasi di quanta se ne potesse tollerare.
  Ron avrebbe potuto urlare.
  Harry, invece, s’arrese a rimanere fermo dov’era mentre Allock proseguitava: «Dunque, il mio smistamento…»
   
Fece il suo ingresso in Sala Grande in mezzo a tante facce giovani e disorientate, le loro voci che subito si mescolarono in un coro confuso e pregno d’agitazione. Ogni tanto qualche parola solitaria gli giungeva alle orecchie e allora Gilderoy apprese cosa la maggior parte di loro andava farfugliando: alcuni speculavano sulla Casa che li avrebbe accolti per i prossimi sette anni, altri commentavano questa o quell’altro aspetto della Sala Grande, altri ancora mormoravano incantesimi basilari – servivano davvero?
Gilderoy, i denti smaglianti e perfetti, rivolse un sorriso a quel pensiero e scosse con vigore i ciuffi biondi: no, non servivano – almeno così gli era stato riferito. E lui, che della parola degli altri non tanto si fidava, si era premurato di assicurarsi che quella fosse la verità – lo era. Il Cappello Parlante non poneva nessun tipo di domanda inerente alle materie che avrebbero studiato nei prossimi sette anni; che cosa gli avrebbe detto una volta sedutosi sullo sgabello, tuttavia, non gli era dato saperlo.
Appurato che, anche qualora gli incantesimi fossero stati parte dello Smistamento, una mente tanto brillante come la sua non avrebbe incontrato difficoltà, poteva stare tranquillo.
   
  «C’era un incantesimo del quarto anno – o forse era il quinto? – che mi ero tenuto da parte per l’occasione: peccato non averlo potuto sfoggiare!»
  Harry alzò gli occhi al cielo, Ron contrasse il volto in un’ennesima smorfia, Hermione annuì adorante.
  «Dov’ero rimasto?»
   
Gli occhi azzurri e vispi ispezionarono la Sala Grande mentre il cervello s’arrovellava nel tentativo di registrare più informazioni possibili – i grandi tavoli che accoglievano gli studenti delle quattro Case; il soffitto stellato sopra le loro teste; i volti ancora ignoti dei professori, compreso quello che si stava occupando dello Smistamento.
La pergamena che l’insegnante stringeva tra le mani riportava nome e cognome di tutti i primini; la lista fu più veloce del previsto a sfoltirsi e Gilderoy ogni tanto osservava i suoi coetanei prendere posto sullo sgabello con le guance bianchissime. Ogni volta i loro volti mutavano in un’espressione di sollievo e un sospiro sfuggiva alle loro labbra quando il Cappello Parlante invocava il nome di uno delle quattro Case e quello veniva acclamato in un misto di fischi e plausi infervorati.
Mentre una ragazza al suo fianco gioiva per qualcosa («Per fortuna non ci chiedono di fare incantesimi, io non ne conosco nemmeno uno!»), l’attenzione di Gilderoy verté su un argomento ben più serio che i primini, colti dalla foga del momento, spesso ignoravano. Gilderoy temeva – con suo estremo rammarico – che lui fosse l’unico a dare il dovuto peso a una componente importante che avrebbe accompagnato lui e tutti gli altri per sette, lunghi anni.
I direttori delle Case, i Prefetti, la bravura della squadra di Quidditch, le sale comuni di cui spesso si sentiva parlare – tutti argomenti validi di cui era lecito preoccuparsi, certo.
E poi c’era quello.
I colori delle Case.
Gilderoy amava i colori e riteneva che sfumature come il blu, il rosso, il verde e il giallo fossero altrettanto affascinanti: questo, però, a patto che uno sapesse come indossarli – e lui ne era capace, ovvio.
Il verde e l’argento di Serpeverde non l’allettavano.
Il giallo di Tassorosso? Carino, se non fosse stato per il grigio.
Grifondoro? Non male, a suo modo.
Corvonero?
«Allock, Gilderoy!»
Strappato ai suoi pensieri, fu l’istinto a guidare il suo sguardo verso il professore che aveva appena chiamato il suo nome. Senza farsi intimorire dagli occhi che frugavano alla ricerca del ragazzino che era stato chiamato, Gilderoy si passò una mano tra i ciuffi dorati, si assicurò che la sua tunica fosse in ottime condizioni e solo e soltanto allora s’incamminò a testa alta verso il Cappello Parlante.
Gli fu posato sul capo – sperò che i capelli non ne risentissero – e trasalì quando udì una voce bagnargli le orecchie. Era… strana. Si esprimeva con lentezza, in una parlata tipica dei maghi anziani e saggi.
«Mh…» rifletté il Cappello. «Vedo ambizione in te, ragazzo; sei determinato, vorresti raggiungere traguardi importanti.»
Gilderoy sorrise: inseguire la gloria era tra i suoi obiettivi di vita e ne andava fiero.
«Eppure… eppure c’è dell’altro. Una certa curiosità, oltre che ingegno – e tu ne vai fiero, vero, ragazzo?»
Di nuovo, Gilderoy ne diede conferma: nella sua mente rimbombò un convinto e deciso, forte dell’autostima del giovane Allock.
«Molto bene, allora – CORVONERO
Il tavolo dei Corvonero esplose in un miscuglio di esclamazioni e divenne poi un mormorio mentre un altro nome di primino rimbombava nella Sala Grande e Gilderoy veniva caldamente accolto dai ragazzi più grandi.
Fu il Prefetto, il primo a rivolgersi a lui. Gli tese una mano amica e pronunciò in tono solenne: «Benvenuto, Gilderoy Allock, la nostra Casa è lieta di averti. Speravamo tutti che un mago brillante come te potesse unirsi a noi. Sono sicuro che farai grande cose, porterai gloria e fama allo stimato nome di Corvonero.»
   
  «E al che io dissi…!»
  Mentre Allock si proliferava ancora nelle sue eroiche imprese, Ron, le cui smorfie erano ormai più numerose di tutti i libri che Hermione avrebbe mai letto in vita sua, meditava di screditarlo. Le parole prudevano sulla lingua, ansiose di scalfire l’ego smisurato di Allock – ma non vennero mai a galla. Una voce untuosa – Harry la conosceva bene e stranamente fu lieto di sentirla – interruppe l’epopea di Allock.
  Era Piton.
  «Gilderoy.»
  «Severus!»
  Pronunciarono il nome dell’altro nello stesso istante; Harry e Ron soffocarono una risata sotto lo sguardo disapprovatore di Hermione.
  «Stavo giusto illustrando a questi cari ragazzi le vicissitudini che mi hanno portato a essere il mago potente e stimato che sono oggi.» L’affermazione di Allock – stucchevole, non richiesta, palesemente falsa – fu accompagnata da un ampio semicerchio che disegnò in aria per indicare Harry, Hermione e Ron. «Vuoi unirti anche tu?»
  «No.»
  «Oh!» Harry riuscì a non ridere; Ron cedette all’istinto ed Hermione lo ripagò con un colpetto sul braccio che passò inosservato all’attenzione di Allock, già di per sé molto scarsa se non si trattava di millantare la sua prestante figura. «Capisco, certo», proseguì quello, «che tu non voglia risultare banale, dopo un racconto avvincente come il mio.»
  L’angolo sinistro delle labbra di Piton si storse all’ingiù in una smorfia di disgusto. «Sì», pronunciò lapidario. «Comunque, il professor Silente vuole vederti.» E procedette oltre, limitandosi a scrutare torvo i tre Grifondoro quando passò loro di fianco.
  Fu incredibile – divertente, anche: Harry non aveva mai amato tanto Piton in vita sua come in quel momento.
  Mentre Allock si allontanava, Hermione si strinse nelle spalle fino a farsi piccolissima. «Quindi, la biblioteca…»
  Il «No!» secco di Ron giunse all’istante, seguito da: «Andiamo a mangiare, ora!»
  «Ma se abbiamo da poco fatto colazione!»
  Harry sbuffò sonoro. «Il racconto di Allock è durato quasi due ore, Hermione.»
  Hermione impallidì. «E Sala Grande sia.»
   
  «Due ore, George, due! E quello sarebbe Corvonero? Ma non esiste una Casa per gli idioti?»
  «La stessa in cui saresti finito anche tu, fratellino?»
  Ron ignorò il commento – e le conseguenti risa generali – di Fred e si costrinse a tacere con un cucchiaio straripante di porridge. Poteva dire quello che voleva, Fred, ma per lui la verità era una soltanto: esistevano i Babbani ed esistevano i babbei – inutile dire in quale delle due categorie rientrasse Gilderoy Allock.
   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Shireith