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Autore: JeanNott    24/08/2020    1 recensioni
"Credi che i seguaci di Grindelwald e i Mangiamorte siano stati i soli criminali ad avere alle spalle un'organizzazione? E se ti dicessi che è esistita, e io credo fermamente esista ancora, un'organizzazione criminale ancora più complessa nella struttura, ancora più efficace e segreta di tutte le altre? I babbani la chiamerebbero 'mafia'. E forse sarebbe il termine giusto, se non fosse che, in questa particolare mafia, non ci sono né pistole né bombe, ma bacchette magiche e incantesimi nuovi, misteriosi e oscuri."
Questa è la storia di un mondo magico visto da una nuova prospettiva, politica, economica e teorica.
È la storia di James Nott, fratello dimenticato di Theodore Nott, di Sheila Graves, la strega più prodigiosa del suo tempo, e di una legione organizzata di terroristi.
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Corvonero, Minerva McGranitt, Nuova generazione di streghe e maghi, Theodore Nott
Note: Otherverse | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nuova generazione, Più contesti
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Il sospetto ipotetico


Il treno era fermo da più di venti minuti. Agli studenti era stato ordinato di scendere e di raggiungere la stazione di Hogwarts a piedi. A guidarli erano stati Hagrid, arrivato il più presto possibile dopo aver saputo dell'incidente, e Aurora Sinistra. I soli a restare nei pressi della locomotiva furono James, Doris, Horace, Filius e quattro studenti, Louis Elwin, Greg Blythe, Carl Jekyll e Sheila Graves. 
La professoressa Irvine si era offerta volontaria per restare fuori ad attendere la preside e la squadra di Auror che sarebbe arrivata da lì a poco. Filius Vitious, invece, si era impegnato a perlustrare i vari scompartimenti del treno. Se fosse stato per lui, avrebbe riparato tutte le vetrate rotte, ma James glielo aveva impedito categoricamente. "Serve capire cosa è successo. I frammenti di vetro sono un importante indizio", gli aveva detto. Filius non si era sognato di contraddirlo.
In una delle ultime carrozze prima della cabina del capotreno, c'erano Lumacorno, James e i quattro studenti.
"Mi passi quella fialetta."
"Quale, James?" 
"Quella verde scuro, forza."
La valigetta di Lumacorno, piena di pozioni, boccette di vetro, erbe strane e altri vari ingredienti, era aperta su un piccolo tavolino che stava nel mezzo dello scompartimento. Su questo, James stava posando, volta per volta, le schegge di vetro tirate fuori dal braccio di Sheila. 
"Ce ne sono ancora poche…" disse James alla ragazza, con voce rassicurante, "abbiamo quasi finito."
 
 Sheila aveva ripreso coscienza. Era seduta con le gambe a penzoloni e la schiena sprofondata nel sedile. Il suo volto era contratto in una smorfia di dolore. Da quando si era svegliata, infatti, aveva dovuto sopportare l'estrazione di tutte quelle schegge, dalle mani, dal braccio, dalla faccia e dal collo… Ne era piena.
James, dal canto suo, aveva cercato di fare del suo meglio. Ogni tanto, proprio come stava facendo ora, le passava sulle ferite un unguento cicatrizzante per evitare che queste sanguinassero o facessero male. Purtroppo, la parte più dolorosa era la rimozione dei frammenti di vetro. Ora toccava ad una grossa scheggia, conficcata nella sua spalla sinistra. Era davvero enorme, forse la più grande. "Questa potrebbe fare parecchio male", le confessò James. 
Sheila annuì debolmente. Prese un bel respiro, e si preparò all'estrazione del vetro. Ma quando il professor Nott fece per tirarlo fuori con la pinzetta, anche se il colpo era stato secco e deciso, questo non diede segnale di volersi muovere. Lui tentò di nuovo… Niente. Non c'era verso. Allora provò con la bacchetta. La tirò fuori, la puntò verso il pezzo di vetro e pronunciò la formula dell'incantesimo. Questa volta, il tentativo andò a buon fine. Sfortunatamente, le aveva fatto molto, molto più male del previsto. 
Carl, Greg e Louis, seduti nello scompartimento affianco, sentirono chiaramente il gemito di dolore di Sheila. Gli si gelò il sangue. 
"Maledizione, starà bene?" ululò Greg, quasi come avesse provato quel dolore sulla sua pelle.
Carl scrollò il capo, sconsolato. Tra loro, Louis sembrava quello più sconvolto. Aveva gli occhi sgranati, il viso esangue e non aveva smesso di tremare per tutto il tempo. 
"Ma esattamente, cosa diamine è successo?" intervenne Carl. "I-io non h-ho capito. Perché sono saltate in aria le finestre?" 
James si stava chiedendo la stessa cosa. Anche se era in parte sicuro che il colpo fosse stato sferrato dall'esterno, non da qualcosa, ma da qualcuno. Ma da chi? E come? Ora non aveva tempo per pensarci. La ferita di Sheila, dopo l'estrazione della scheggia, si era allargata in una piccola piaga, da cui, per giunta, stavano uscendo fiotti di sangue. Il modo in cui si stava comportando quella ferita non era affatto normale: l'unguento non sarebbe bastato. Ancora una volta, aveva bisogno della bacchetta. 
Sheila non riusciva a sopportare la fitta lancinante che aveva alla spalla. La ferita le bruciava da morire e, col passare dei minuti, la cosa non faceva che peggiorare. Forse, se si fosse lasciata andare… Se avesse chiuso gli occhi, un'altra volta… 
"Ehi, ehi, guardami!" la scosse il professor Nott. Sheila riaprì gli occhi. 
"Devi restare vigile, hai capito? Guarda me, lascia perdere la ferita. Tieni d'occhio me, chiaro?" 
La sua voce era riuscita nell'impresa di tranquillizzarla. 
"È solo sangue… Abbiamo quasi fatto…" continuava a ripeterle
Sheila si mise a guardarlo, proprio come gli aveva consigliato lui. 
Il professor Nott era un tipo magro, anche se abbastanza robusto, e dalla carnagione olivastra. Aveva i capelli ricci, di un bruno molto scuro, e le sopracciglia leggermente folte. I lineamenti del suo viso erano dolci e smussati, e le sue labbra, di un rosa spento, erano piuttosto sottili. A colpirla particolarmente, però, furono i suoi occhi grigi, metallici, solcati da due profonde occhiaie. Sembrava non dormisse da giorni, o più. Il suo volto era sì giovane, ma stanco. La sua espressione era sì quella di una persona forte, vigorosa, ma anche di un uomo vissuto e provato dalla vita. Molto probabilmente, non aveva che una trentina di anni. Durante quel lasso di tempo, a forza di osservarlo, le era quasi venuto il dubbio che lo avesse già visto prima di quel giorno, da qualche parte. Però non poteva esserne sicura. 
"James, credo che siano arrivati i tuoi colleghi", aveva detto Lumacorno, guardando fuori dal finestrino. 
"Non sono miei colleghi. Ex… Ex-colleghi", disse James tra i denti, quasi infastidito.
"Sì, insomma: loro. Sono arrivati", la buttò lì Lumacorno.
"Ferula" pronunciò deciso lui, ignorando completamente Horace. Delle bende si avvolsero sulla ferita ancora sanguinante della studentessa. Perché non riusciva a fermare l'emorragia? 

  Fuori dal treno, vicino ai binari, stavano arrivando due Auror, con passo veloce e pesante. Entrambi indossavano due impermeabili grigi, aperti su una camicia nera che mostrava fieramente due distintivi luccicanti. Doris Irvine gli andò in contro. 
"Signori, piacere, sono la professoressa Doris Irvine", gli disse porgendo loro la mano. Solo uno di loro gliela strinse, sorridendo appena. "Sono stata incaricata di accogliervi e guidarvi in…" 
"Sì, sì," troncò subito l'Auror a sinistra, "lei lasci fare a noi." 
Dette quelle parole, entrambi si allontanarono. Uno di loro, quello che aveva stretto la mano alla professoressa, era rimasto fuori, a dare un'occhiata ai dintorni, l'altro, quello che aveva parlato, era entrato dentro un vagone. Doris, sentendosi inutile, e a dirla tutta anche un po' offesa, rimase lì ad aspettare la McGranitt. Quei due non si erano neanche presentati. 
Pochi secondi dopo, si udirono dei nuovi passi provenire dalla stazione, rapidi e nervosi. Era la Preside che correva con la gonna sorretta all'altezza delle ginocchia, tutta paonazza e ansimante. 
"Doris, Doris!" gridò lei, facendo segno alla professoressa con le braccia. "Doris, ho fatto il prima possibile! Doris!" 

Dentro il treno, l'Auror con la faccia squadrata e gli occhi neri come la pece si era messo a cercare la carrozza con i vetri rotti. Per il corridoio si era scontrato con Filius Vitious, che aveva quasi rischiato di travolgere con la sua stazza. Lui lo aveva condotto prima nel vagone giusto, poi nello specifico scompartimento dove era stata trovata la studentessa ferita. 
"Le stavo dicendo," disse il professor Vitious con una voce squillante, "che non si capisce come, ma lei è stata l'unica a riportare delle ferite." 
"Mi spiego meglio", continuò, vedendo che l'Auror non capiva, "sappiamo che era proprio accanto alla finestra, quando è successo quello che è successo, il punto è che le schegge non volteggiano per aria!" 
Finì per confondergli ancora di più le idee. 
"Cosa intende? Si spieghi meglio!" sbottò lui, visibilmente impaziente. 
"Mi scusi, mi scusi. Sa, sono ancora sconvolto", replicò l'insegnante con una vocina imbarazzata. L'Auror sembrò emettere un ringhio, più che mugugnare. 
"Ascolti, la cosa è così sorprendente che mi riesce difficile da esprimere. I vetri sono esplosi, dall'esterno verso l'interno, da un momento all'altro. È stato un attimo, davvero. Nessuno ha fatto in tempo ad accorgersene. Lei può vedere benissimo la grandezza di queste finestre, sa bene che saremmo stati tutti feriti, se le schegge ci avessero colpito, a quella velocità. Ma non ci hanno colpito! Si sono fermate, hanno volteggiato! Bloccate, di netto, prima che potessero sfiorare chiunque se non, appunto, quella ragazzina", gli spiegò Vitious, tutto d'un fiato.
"E chi è stato?"
"A fare cosa, signor Fing?" 
"Ma come," abbaiò l'Auror, "a fare cosa? A fermare di colpo tutto! Chi è stato? Nott, è stato Nott. Non c'era Nott, su questo treno?" 
"Nossignore. Le ho detto che nessuno ha fatto in tempo ad accorgersene, figurarsi a rispondere!"
Fing si accigliò. 
"Sciocchezze, deve esserci stato qualcuno!" bofonchiò lui, rabbioso. 
"Non so dirle altro" concluse Filius, a mezza voce. 
L'Auror non era soddisfatto: "Lei deve capire che i-" 
"Fing!" 
James era arrivato da dietro le loro spalle. Aveva un'espressione severa e corrucciata e si stava pulendo le mani sporche di sangue con uno straccio.
"James Nott, che dio mi fulmini!" 
L'omone gli diede una forte pacca sul braccio. Stava sorridendo, ma non per questo il suo sguardo si era fatto meno intimidatorio. 
"Ho davanti un fantasma, forse? Non credo ai miei occhi. Sei sparito nel nulla per anni." 
"Fing, non è il momento", lo interruppe James, senza mezzi termini. 
"Sì, sì. Per carità…" convenne Fing, "Scusami, mi sono lasciato trascinare."
Non sembrava affatto pentito. James lo conosceva molto bene, anche se non lo vedeva da anni. Benché sembrasse tanto rigido e austero, in realtà era spesso ottuso, pigro, e con gli altri sempre presuntuoso, scontroso e irascibile. James non poteva dire di essere felice di rivederlo. Affatto. 
"James, come sta la ragazzina?" 
Vitious era sbucato da dietro la grosse cosce di Fing. 
"Sta bene, ma ha perso molto sangue", dicendolo, James si era fatto scuro in volto. La ferita che non riusciva a far rimarginare, gli aveva fatto sorgere un dubbio. Ora era stretta tra le bende, si poteva dire curata, ma non era sicuro della sua natura. "Una scheggia," continuava a pensare, "per quanto grande possa essere, non ferisce in quel modo."
"Dopo il primo soccorso, ho detto al professor Lumacorno di portarla in infermeria, ad Hogwarts. Probabilmente Doris Irvine gli sta dando una mano."
Vitious annuì. 
"James, senti qua…" intervenne l'Auror. 
"Professor Nott, gli rimproverò James. 
"Come, scusa?" 
"Professor Nott, non James."
Fing sbuffò sotto i baffi. 
"Professor Nott, sì certo. Allora…" 
James finse di non essere irritato. Se avesse potuto, sarebbe andato via, maledicendolo. Insomma, non si vedevano da anni, non sono mai andati d'accordo: chi gliela aveva data tutta quella confidenza? 
"... Il tuo collega, qua, mi stava dicendo che, in qualche modo, l'esplosione è stata, come dire, interrotta? fermata? Non so bene come dire", proseguì Fing con la sua voce cagnesca. 
"Esatto", rispose secco James. 
"Sei stato tu, no? Chi altri?" 
"No, non sono stato io. Il professor Vitious è stato chiaro, al riguardo."
L'Auror arricciò il naso. Per lui la soluzione era quella e basta, non poteva essere diversamente. 
"A me sembra che non ci sia altra spiegazione."
"Ti sbagli", lo corresse James, pazientemente. 
"Allora chi è stato? Trovami un'alternativa!" ruggì Fing. 
"Io? Devo trovarla io? Non è il tuo lavoro, questo?" 
"È anche il tuo, James. Non fare il finto tonto. Fai quella cosa che sai fare tu."
James scrollò le spalle. 
"Signore iddio. Lo sai benissimo."
"Ho lasciato il Dipartimento da dieci anni, Fing. Non è più il mio lavoro, è il tuo."
Fing ribolliva di rabbia. 
Si fece spazio tra James e la porta e si allontanò a passi pesanti. Stava mugugnando qualcosa tra i denti: "È un Auror anche lui, quella testa di caz-"
"Se fossi in te andrei a parlare con gli studenti che stavano nello scompartimento con la ragazzina", sbuffò James, alzando la voce per farsi sentire. 
Fing si bloccò in mezzo al corridoio, dandogli le spalle. 
"Dove sono?" sbottò. 
"Ultimo vagone, penultimo scomparto a sinistra." 
James vide Fing sparire dietro la porta della carrozza. 
"Perché, non sono diretti al castello anche loro?" chiese Vitious, dubbioso. 
"No, li ho fatti restare apposta."
Non era convinto fosse la cosa giusta da fare: lasciare andare Fing da solo, abbandonare quegli studenti alle sue grinfie… 
"È arrivata Minerva!" esclamò improvvisamente Vitious. 
James controllò fuori dalla finestra. Oltre al cappello a punta della Preside, notò che si era fatta sera. Di questo passo, la cena di inizio anno, e con essa la Cerimonia dello Smistamento, sarebbe stata rimandata di qualche ora. 
"Se non c'è altro da fare, io raggiungerei Minerva." 
James gli rispose con un cenno del capo, poi disse: "Io resto qui. Qualcuno deve pur accompagnare gli studenti al castello".
"Giusto", gli sorrise Vitious, e se ne uscì dallo scompartimento, lasciandolo solo. 
James titubò per qualche istante ancora, poi a testa bassa, s'incamminò verso l'ultimo vagone del treno. Sospirò: "Che Merlino mi maledica se Fing non sta già traumatizzando quei ragazzi". 

Arrivato nei pressi dello scompartimento dove stavano Louis, Carl e Greg, James si fermò. Accostò la schiena alla porta e restò ad origliare. Sarebbe entrato solo se necessario.
La prima cosa che udì fu il vocione di Fing:
"Aveva la testa sul finestrino, no?" 
"Sì, signore, sul finestrino", rispose sicuro uno dei ragazzi. 
"Va bene. Poi il vetro è saltato in aria e…"
"No, lei si è alzata. Prima si è alzata."
"E poi il vetro."
"Esatto, signore."
Nessuno disse niente per qualche secondo. Probabilmente Fing stava prendendo appunti, o fingendo di farlo come era suo solito. 
"Perché si è alzata?" chiese poi, come se la domanda gli fosse appena balenata in testa. 
"Non saprei. È stato tutto molto veloce."
"Forse", propose la voce sottile del secondo ragazzo, "ha sentito che il vetro stava per collassare."
"Potrebbe essere, sì."
"Quindi mi state dicendo che si è sentito?"  eruppe Fing. 
"Io non l'ho sentito."
"No, neanche io. Solo dopo."
"Se nessuno l'ha sentito, perché lei sì?" chiese ancora. 
"Aveva l'orecchio vicino al finestrino", disse il quarto di loro, il più piccolo. 
James pensò che doveva avere ragione. Era logico. 
"Sì, bene. Sarà andata così", concluse l'Auror, soddisfatto.
Non disse niente per un po', come se avesse capito ciò che c'era da capire e sapere ciò che c'era da sapere. In verità, non aveva concluso granché, niente di rilevante all'indagine. Non aveva nessun indizio in più sulla causa dell'incidente e nessuna pista sullo strano fenomeno di cui gli avevano parlato. Alla fine, sembrò arrivare proprio a questa conclusione. 
"Nessuno di voi ha altro da dirmi?"
James avvicinò ancora di più l'orecchio alla porta. 
"Quando il vetro è esploso, lei era in piedi tra le schegge", disse infine il ragazzino del primo anno. "Poi ha perso i sensi ed è caduta e…" 
"Tutto qui? Era immaginabile, ragazzo. Non mi fare perdere tempo!" lo apostrofò Fing. 
"Certo, ma…" 
"Allora, avete idea di chi possa essere stato, o no? Non mi raccontate fesserie!" 
James strinse il pugno. Se avesse continuato a interromperlo in questo modo, sarebbe intervenuto. 
"No, però…" 
"Perfetto. Non abbiamo altro da di-" 
La mano di James era già sulla maniglia, quando la voce del ragazzino, inaspettatamente, riuscì a soverchiare quella di Fing. 
"Con lei sono caduti tutti frammenti di vetro, signore! È stata lei ad attutire il colpo!"
James si accigliò visibilmente. Aveva ancora la mano sulla maniglia, ed era pronto ad entrare, ma non riusciva a muoversi. Era completamente stordito. 
"In che senso, scusa?" 
Per la prima volta, si trovava d'accordo con Fing, sulla domanda da porre.
"Deve essere stata lei, per questa e per altre coincidenze…"
"Suvvia, non dire baggianate! Prima mi avete detto che la ragazza è del primo anno, no? Questa cosa che hai detto ora è completamente assu-" 
James spalancò la porta dello scompartimento. Guardò fisso negli occhi Louis e gli chiese, tutto agitato:
"Quali coincidenze?" 
Tutti si voltarono di scatto, spaventati. 
"Nott, cosa ci fai qui?" ringhiò Fing, furioso. James lo ignorò. 
"Quali coincidenze
"Ehm", mormorò Louis, abbassando lo sguardo. 
"Sa lanciare incantesimi senza bacchetta, professore, glielo giuro!" proruppe Greg. 
"Lo abbiamo visto con i nostri stessi occhi!" continuò Carl. 
"Professore, lei mi deve credere quando le dico che quella è magia serissima."
"Più che seria, Greg. Perfetta!" 
"Impeccabile, Carl!" 
"Effettivamente non mi sorprenderei se fosse stata lei a salvarci", concluse il ragazzo biondo. 
Fing scoppiò a ridere. La sua risata era  così grave e tonante che finì per assordare le orecchie di tutti. James, al contrario, stava in profondo silenzio. Da un lato, era decisamente scettico. Dall'altro si rendeva conto che, la cosa, poteva avere senso. O almeno, da un certo punto di vista. Magari la ragazzina era semplicemente ricca di potere magico. E quell'incantesimo di protezione, più che voluto e pensato, non era stato che uno sfogo di questo potere. "Non è raro che i maghi come lei, alla sua età, siano capaci di magie tanto impressionanti. Ovviamente, nessuno di questi è in grado di controllare queste esuberanze. Non senza una educazione magica, non senza bacchetta", pensò. Eppure, gli sguardi entusiasti di quei due ragazzi mentre ne parlavano… la certezza e la limpidezza delle loro parole… 
"Sentite, se non avete niente di meglio da dire, io me ne andrei fuori dal mio collega a dare un'occhiata all'area circostante", sentenziò Fing, ancora col volto contorto dalle risate. 
"Ottuso come sempre, Fing", sibilò James. 
"Scusa, come?" 
"Ottuso come sempre", gli scandì. 
Fing si fece livido in volto. Strizzò gli occhi dalla rabbia e strinse i pugni, ma non disse niente. Probabilmente perché non sapeva replicare alla parola "ottuso". 
"La ragazza ha un potere grezzo, comune a tutte le streghe e ai maghi della sua età. Ti devo forse ricordare di quel caso in Galles, tre anni fa?" 
Fing emise un sordo brontolio che James non seppe bene come interpretare. 
"Riannon Greatwind. A sette anni, il giorno del suo compleanno, soffia le candeline della torta, ma non riesce a spegnere l'ultima. Per la frustrazione soffia ancora, molto, molto forte, e tutta la casa viene spazzata via da una tromba d'aria assieme a buona parte delle proprietà del quartiere."
Carl e Greg sembravano molto divertiti dalla storia. 
"Quindi secondo te è successa una cosa simile?" bofonchiò Fing, tutto imbronciato. 
"Certamente, è logico" disse James con fare disinvolto.
"Bene, allora finiamola qua. Poi si vedrà", tagliò corto. Subito dopo, varcò la soglia della porta con una lunga falcata e sparì dalla vista, brontolando a denti stretti. James scosse il capo, sorridendo un poco. Quell'uomo aveva modi così grotteschi che quasi facevano ridere. 
Poi guardò gli studenti e si fece tutto serio.
"La storia non finisce qui. Ne riparleremo." 
Se avesse deciso di accompagnarli al castello, ne avrebbero parlato durante il tragitto, ma così non fu. Una volta uscito dal treno, infatti, Doris, Filius e Minerva erano ancora nei dintorni, e decise di affidare Carl, Greg e Louis a loro. D'altra parte, ora, aveva un motivo in più per restare ancora qualche minuto. Il secondo Auror, quello che era rimasto fuori, era Richard (Rick) Brennan, forse una delle persone che conosceva meglio al mondo. 

 Sheila era stesa sul letto dell'infermeria. Fuori si era fatto buio, e Madama Chips aveva deciso di accendere tutti i candelabri della stanza. Il soffitto, che Sheila stava guardando annoiata, si era illuminato di una soffusa luce arancione. 
Sospirò. Anche se la pozione che le avevano dato la stava aiutando a sopportare il dolore, le ferite le facevano ancora male, specialmente le più grandi.  La cosa più saggia da fare sarebbe stata dormire, ma Sheila non ne voleva sapere. Si era rifiutata di bere qualsiasi altra pozione al di fuori di quella che aveva già bevuto, proprio per evitare che gliene somministrassero una soporifera. Sapeva di aver fatto arrabbiare Madama Chips, in questo modo, però era convintissima di quel che stava facendo: non voleva dormire. 
Da quando si era stesa, non la smetteva di pensare a quanto era successo sul treno. Rimuginava e rimuginava, alla ricerca di una qualche risposta sensata. Era successo tutto così velocemente che riusciva a ricordare solo piccoli frammenti, immagini sfocate dell'evento. Nella sua testa era tutto così confuso. Ricordava solamente di aver sentito un forte rumore, di aver avuto un terribile presentimento e di aver messo un braccio avanti, verso la finestra. Poi, sentendosi mancare, tutto era diventato nero. Non riusciva a richiamare alla mente nessun'altro ricordo. 
Ma ciò che davvero la teneva sveglia, e che funzionava meglio di tutte le bevande eccitanti messe assieme, era l'idea di poter mancare alla Cerimonia dello Smistamento.
Per non parlare del fatto che, anche se aveva visto prima una deprimente infermeria che una luminosa sala d'ingresso, si trovava in un maestoso castello magico, affascinante, misterioso, e bellissimo. Non le sarebbe mai saltato in mente di dormire così, nel bel mezzo della sera, quando tutti erano in giro per gli immensi corridoi e le titaniche sale di Hogwarts; quando tutti gli studenti del primo anno si stavano godendo il loro ingresso fra le mura del castello, nel loro primo, primissimo giorno di scuola.
Madama Chips le si avvicinò. 
"Va tutto bene? Ti senti meglio?" le chiese. 
"Sì, sto molto meglio." 
Ovviamente stava mentendo. Ma Madama Chips sembrò crederci, almeno in parte.
"Vedrai che domani mattina potrai alzarti dal letto", fece lei in tono rassicurante. 
"Domani?" esclamò Sheila. 
"Sì, signorina, domani." 
"E la Cerimonia dello Smistamento?" 
Il suo incubo stava diventando realtà.
"Non se ne parla, nelle tue condizioni!" continuò Chips, tutta severa. 
"Ma sto bene!" 
"Mi dispiace, ma devi restare a letto."
Il volto di Madama Chips si era irrigidito e non dava segno di voler cedere alle suppliche. Sheila sprofondò nel cuscino. Sapeva perfettamente che continuare a replicare non sarebbe servito a nulla. Tacque.
"Faresti bene a dormire, piuttosto."
Madama Chips le rivolse un'ultima severa occhiataccia e girò i tacchi. Sheila la seguì con lo sguardo. Questa volta, si stava allontanando più del normale. Notò, infatti, che era diretta in fondo alla stanza, verso una piccola porta di legno. Quando vi entrò, il cuore di Sheila fece un sussulto: poteva approfittarne per scappare! 
Si alzò col busto. Poi inspirò profondamente e saltò giù dal letto. Una fitta la attraversò dalle spalle alla punta delle dita. Il dolore era stato così forte che gli occhi le si erano riempiti di lacrime, ma non si diede per vinta. Si fece ancora una volta coraggio e si chinò, non senza fatica, sulle sue scarpe. Se le mise in fretta e furia e uscì barcollando dall'infermeria, facendo attenzione nel chiudere piano la porta. "Questa sera," pensò, "non sarà grigia e triste come le altre!" 

 Girò per i corridoi a lungo, scendendo a fatica le scale, salendole alle volte, ma non aveva idea della direzione da seguire. Sicuramente era riuscita a seminare Madama Chips, ma aveva anche finito per perdersi. In cuor suo sperò di incontrare qualcuno, anche al costo di beccarsi una ramanzina. Ma per molto tempo, non vide anima viva. Be', viva forse no, ma morta… 
Il fantasma di un frate paffuto e col sorriso stampato in faccia, vedendola da lontano, le venne incontro. Quando Sheila lo notò, emise un grido di terrore che rimbombò per tutto il corridoio. Non aveva mai visto un fantasma in vita sua. Prese a correre.
"Dove vai? Torna qui", le urlò dietro il fantasma, con voce preoccupata. 
Anche se correre le riusciva a fatica, continuò a farlo fino alla fine del corridoio, ma trovandosi davanti a una solida parete di pietra, fu costretta a fermarsi. Cercò febbrilmente una porta nella quale sgattaiolare, ma niente da fare: era un, vicolo cieco. Il fantasma la raggiunse. 
"Perché corri? Non ti faccio niente!" 
Sheila era pietrificata dalla paura. 
"Dove vai tutta sola per il castello? Non devi prendere parte alla Cerimonia dello Smistamento anche tu?" 
A quelle parole, Sheila si rasserenò. Alla fine, le avevano già parlato dei fantasmi e sapeva che non bisognava temerli, che erano tutto sommato innocui. Forse lui l'avrebbe potuta aiutare. 
" S-sì," balbettò, "ma non so come raggiungere gli altri".
"E che problema c'è?!" fece il fantasma, raggiante. "Ti ci porto io, no? Ora dovrebbero essere tutti nella Sala Grande."
Dette quelle parole, il fantasma cominciò ad allontanarsi, volteggiando. 
"Seguimi, forza", la esortò. 
Sheila pensò che non aveva alternative e lo seguì. 
Dopo alcuni minuti passati a girovagare, arrivarono nei pressi di un lungo e stretto corridoio. 
"Eh eh," rise bonariamente il fantasma, "questa è una scorciatoia che noi fantasmi del castello percorriamo sempre. Certo, di solito attraversiamo direttamente le pareti, ma c'è anche una porta lì in fondo, per voi gente in carne e ossa." 
"Cosa c'è dietro la porta?" fece Sheila, un po' intimorita. 
"La stanza dove tutti gli studenti del primo anno aspettano di essere smistati! Perché tu sei del primo anno, no? L'ho capito subito."
Sheila annuì. 
"Sai, io sono il fantasma della Casa Tassorosso, non te l'ho detto? Tutti mi chiamano Frate Grasso, oh oh oh!" 
La sua risata l'aveva messa di buon umore, anche se era spaventata all'idea di dover incontrare qualche professore, una volta varcata la soglia della porta. In fondo, era scappata dall'infermeria senza dire niente a nessuno. 
"Eccoci qui. Devi solo aprirla ed entrare", disse indicando la porta. 
"G-Grazie…"
"Figurati! Sempre disponibile per gli studenti in difficoltà." 
Il fantasma le fece un ampio sorriso a trentadue denti, un inchino e scomparve dietro una parete. 
"Se non fosse stato per lui," pensò la ragazza, fissando meravigliata il muro dove il Frate Grasso era sparito, "starei ancora vagando per i corridoi."
Dopo aver realizzato di non poter far altro che aprire quella porta, Sheila si fece forza ed entrò.
 La stanza era gremita di cappelli a punta e casacche nere.
Gli studenti erano ammassati in gruppo, ma tra di loro non c'era l'ombra di un insegnante. Quando Sheila si chiuse la porta alle spalle, tutti si girarono verso di lei, di scatto, e il forte chiacchiericcio di quando era entrata si andò a spegnere. Sheila si sentiva a disagio. Aveva buona parte della testa fasciata, e così anche le mani e le braccia. Doveva solo ringraziare di non essere in pigiama. 
Si avvicinò mogia mogia al gruppo. Avevano tutti ripreso a parlare sottovoce e guardare altrove. Sheila sapeva che molti di loro, ora, stavano spettegolando su di lei, ma cercò di non farci caso. Più che altro, si stava chiedendo dove fosse Louis, l'unico studente del primo anno che conosceva. 
Una ragazzina alta e smilza le si affiancò. 
"Da dove vieni?" chiese questa. 
"Sheila rimase a guardarla per qualche attimo, prima di decidere di risponderle. 
"Dall'infermeria…"
"Oh, l'avevo immaginato", sussurrò. Poi le porse la mano e disse: "Ciao, comunque, sono Leta."
"Sheila", si presentò, stringendole la mano. 
"Sei venuta da sola, Sheila?" 
"In realtà, ecco…" farfugliò guardandosi intorno, circospetta, "sono scappata dall'infermeria."
"Cosa?!" esclamò sottovoce la ragazza, spalancando la bocca. 
"Non volevo perdermi lo Smistamento. Questa sarebbe stata la mia unica possibilità di farlo, o almeno di farlo come si fa di solito."
"Ma… Ma…" 
"Ero troppo curiosa", concluse alzando le spalle. 
"Potresti finire nei guai!" commentò Leta, per tutta risposta.
"Be', non può andare peggio di così", fece lei, ironica, e si diede un colpetto alle bende che aveva sul braccio. Poi si lasciò sfuggire una risatina. Leta scosse il capo. 
"Comunque," continuò Sheila, "dove sono gli insegnanti?" 
"Stiamo aspettando il vicepreside, ma non è ancora arrivato. Qui ci ha portati il custode della scuola, credo si chiamasse Gazza. Ci ha detto di aspettare."
"Chi è il vicepreside?" 
"Non ne ho idea."
Improvvisamente, l'altra porta della stanza, quella più grande e centrale, si spalancò. Da questa entrò la minacciosa figura di Madama Chips. 
"Eccoti qui, delinquente!" sbraitò lei, indicandola.
"Oh, diamine", fece Sheila, terrorizzata. 
"Si può sapere come ci sei arrivata fin qui?" 
Madama Chips si avvicinò lentamente, sbattendo i piedi a terra. 
"Sei andata via senza dirmi niente. Sei fuggita! Hai idea di quanto tu sia stata sconsiderata?" gridò. Era furiosa. 
"Mi dispiace, è solo che…"
"È solo che niente! Non ci sono scuse, chiaro?"
Tutti avevano gli sguardi rivolti verso di loro.
 "Ora te ne ritorni dritta dritta in infermeria e non voglio sentire lagne!" 
Sheila abbassò lo sguardo. Alla fine, era stato tutto inutile, fuggire di soppiatto, perdersi nei corridoi, seguire un fantasma… Avrebbe dovuto aspettarselo. 
"Poppy, andiamo, ormai è qui! Facciamole fare lo Smistamento", disse ad un tratto una voce ovattata. 
Sempre dalla stessa porta, fece il suo ingresso il professore paffuto con i baffoni bianchi che l'aveva accompagnata fino ad Hogwarts. 
"Professor Lumacorno, non ci provi!" lo minacciò Madama Chips. 
"Ma scusa, che differenza fa se resta per ancora qualche minuto?" 
"Come che differenza fa? Ne fa eccome. Non può disubbidire in questo modo e pretendere di averla vinta, così!" 
Le labbra di Madama Chips si erano fatte sottili sottili, come una linea, e aveva il volto tutto rosso dalla rabbia. Il faccione del professore, invece, era sorridente e bonario.
"Ah, coraggio! La ragazza ne ha passate abbastanza, per oggi. Facciamole godere lo Smistamento, e magari anche una bella cena corposa, se se la sente." 
Così dicendo, diede una pacca sulla spalla alla donna. 
"Su su", la incitò, "tu vai pure. Dopo te la faccio riportare io."
Madama Chips gli lanciò un'occhiata feroce, ma non ribattè. Forse, in fondo, concordava anche lei. Poi guardò Sheila dritta negli occhi e disse: "E tu non pensare di passarla liscia…"
Sheila deglutì e lei se ne andò, sempre sbattendo i piedi. 
"Non ti preoccupare, le passerà", fece Lumacorno, guardandola. 
Sheila aveva i suoi dubbi.
"Bene," disse rivolgendosi a tutto il gruppo, "studenti del primo anno, senza indugio ché siamo già in ritardo, preparatevi ad essere smistati!" 
Molti gioirono, altri, invece, impallidirono per la paura. Leta cominciò a tremare. Sheila, dal suo canto, era ancora preoccupata per Louis, che sembrava sparito nel nulla. Finché, come per magia, anche lui non fece la sua comparsa, accompagnato da un uomo ricurvo, con i capelli lunghi e unti e lo sguardo corrucciato. 
"Le ho portato questo qui, professore," disse l'uomo con voce melliflua. 
"Oh, bene bene. Ragazzo, coraggio, mettiti in fila anche tu, da bravo!" 
E lo spinse verso gli altri. 
"Così, perfetto. Siamo al completo, sì?"
Nessuno gli rispose, ma lui sembrò comunque convinto: "Ottimo!" 
Louis aveva adocchiato Sheila dal primo istante in cui aveva varcato la soglia della porta. Quando gli fu possibile, lui le corse incontro, felice di vederla in piedi, sana e salva. 
"Dunque, credo conosciate le quattro Case di Hogwarts," fece Lumacorno con voce stentorea, "in caso contrario, non vi preoccupate! Il Cappello Parlante, incaricato di smistarvi, vi canterà una bella filastrocca riassuntiva…"
Louis, che era troppo impaziente per aspettare che Lumacorno finisse il suo discorso, si mise a sussurrare all'orecchio di Sheila: "Stai bene?" 
"Sì, sto bene", rispose sottovoce. 
"Mi avevano detto che eri in infermeria."
"È una storia lunga. Prima sono dovuta scappare, ma non sapevo come…" 
Si fermò un attimo. Si era resa conto che non c'era tempo per dirgli tutto. "Allora, per farla breve, sono riuscita a convincerli a farmi partecipare allo Smistamento. In realtà, è tutto merito del professor Lumacorno che-" 
A quanto pareva, il discorso del vicepreside era finito, perché tutti si stavano già incamminando verso l'uscita. 
"Te lo spiego dopo", tagliò corto Sheila. 
Louis fece un segno di assenso col capo. 
Una volta che furono fuori dalla stanza, tutti gli studenti vennero abbagliati, alla vista della Sala Grande. Sheila non aveva mai visto niente di così sorprendente. La sala era enorme e tutto l'ambiente era illuminato da una luce dorata, accecante. C'erano centinaia di studenti seduti su quattro lunghissimi tavoli. Le pareti erano decorate con colonnine gotiche, finte arcate e gargoyle. E il soffitto, probabilmente stregato, dava su un cielo stellato. Sheila non riusciva a credere ai propri occhi. Aveva rischiato molto quella sera, ma ne era valsa la pena.
"Ehi, Sheila", le bisbigliò Louis, "Sheila!" 
"Cosa?" 
"Tieni questi."
Louis le stava porgendo con una mano il suo mantello, con l'altra il cappello a punta. 
Sheila lo guardò stranita. 
"Prendi. Non ti vorrai sedere di fronte a tutti con quelle bende insanguinate. Copriti!" 
"No, non ti preoccupare. Tu poi cosa metti?"
"Io non ho l'aspetto di una mummia. Forza!" 
Sheila si mise a ridere. Louis ridacchiò a sua volta. 
"Dai!" la incalzò. 
"Va bene, va bene."
Prese il cappello e se lo mise in testa, senza problemi. Ma le riuscì difficile avvolgersi il mantello attorno alle spalle. Tutta quella adrenalina le aveva fatto dimenticare delle ferite, ma queste non avevano smesso certamente di fare male e bruciare. 
Sheila strizzò gli occhi: la spalla sinistra sembrò prendere fuoco. 
"Ahia!" mormorò. 
"Che succede?" chiese Louis preoccupato. 
"Niente, niente. Sentiamo", disse con un filo di voce. 
Proprio in quel momento, infatti, sul piccolo sgabello di legno, il famoso Cappello Parlante aveva iniziato a intonare la sua filastrocca. 

  James arrivò appena in tempo alle porte del castello. Dietro di lui c'erano Fing e Brennan, i due Auror della stazione. Avevano corso per tutto il tragitto, dal treno al cortile principale di Hogwarts. Ma mentre i due Auror al suo seguito non avevano più fiato, James non dava neanche l'idea di aver corso. 
"Di' un po', James, come fai ad essere così allenato?" chiese ansimando Rick Brennan. 
"Semplice", rispose James ridendo, "mi alleno, appunto. Tu, a quanto pare, ti sei dato alla pigrizia."
"Ah-Ah, divertente. Io ho una famiglia e dei figli, a differenza tua!" 
"E io sono depresso, fai un po' tu."
James e Rick scoppiarono a ridere come due scemi. Fing ringhiò infastidito: "Ci muoviamo?" 
"Scusaci, Amelius", fece Rick, con una punta di ironia. 
James nel frattempo si era messo a salire i gradini verso il portone d'ingresso. 
"Il tuo umorismo fa sempre più schifo, James." 
"Intanto hai riso", lo riprese lui. 
"Hai proprio ragione", asserì Rick, ridendo ancora. 
Giunsero, infine, davanti al portone. Entrarono e si fecero strada nel corridoio d'ingresso. 
James indicò ai due le scale che conducevano al piano superiore. 
"Voi due potete andare a parlare con Sheila Graves. Io faccio un salto alla cena e poi vi raggiungo."
Fing si era già incamminato prima che potesse finire la frase. Rick restò ancora un po' a parlare con James. 
"Ti sei fatto qualche idea? Non hai detto niente né alla stazione, mentre analizzavi il treno, né per tutto il tragitto."
"Lo sai che non sei cambiato per niente?" gli fece notare James, sperando di spostare l'attenzione su un altro argomento. 
"Dai, andiamo. Non hai pensato a niente?" 
"Sempre lo stesso naso appuntito, gli occhi tondi…" 
"James…" sbuffò. 
"I capelli dello stesso castano chiaro… non c'è traccia di alcun capello bianco!" 
"Va bene, ho capito. Non ne vuoi parlare."
"Come sei perspicace!" commentò James con sarcasmo. 
Rick scosse il capo e se ne andò via con il suo solito passo ciondolante. 
"Stai diventando sempre più antipatico", esclamò infine, prima di svoltare l'angolo e sparire dalla vista. 
James non poteva che concordare: "Caspita se ha ragione", disse tra sé e sé. 
Poi, prese di nuovo a camminare a passo svelto in direzione della Sala Grande. Vi arrivò subito ed entrò. 
Tutti i tavoli erano gremiti di studenti, e anche il tavolo degli insegnanti era al completo, mancava solo lui. Malgrado tutto, la cerimonia non era stata rimandata e quel primo settembre sarebbe trascorso come gli altri primi di settembre, almeno tra le mura del castello. Si fece strada tra le tavolate in direzione di quella dei docenti. 
"Grifondoro!" urlò il Cappello Parlante. 
A quanto pareva, lo Smistamento non era ancora finito. Buona parte dei nuovi studenti erano ancora affilati dietro lo sgabello. 
"Eldridge Blandina!" disse Horace scandendo bene ogni sillaba.
La ragazza prese posto, Lumacorno le mise il Cappello in testa e… 
"Serpeverde!" 
Blandina trotterellò felice al tavolo della sua Casa, tra l'esultanza dei Serpeverde. James, nel frattanto, aveva quasi raggiunto i suoi colleghi. Guardandoli bene in volto, si rese conto che erano tutti un po' inquieti. Ma non c'era da biasimarli, d'altronde anche lui lo era. Specialmente dopo aver avuto la conferma, perlustrando il treno, che a far saltare in aria i vetri non era stato un incidente, affatto. 
I nomi e i cognomi degli studenti, intanto, si stavano susseguendo con sempre più velocità. Quest'anno il Cappello sembrava avere le idee molto chiare. 
"Elwin Louis!" 
James si fermò. Era curioso di sapere in quale Casa sarebbe finito.
Il Cappello ci pensò per un minuto intero. 
Louis, nel frattempo, si era fatto pallidissimo.
"Corvonero!" gridò infine. 
James sorrise soddisfatto e riprese a camminare. Arrivato al tavolo degli insegnanti, venne accolto dal saluto di Doris Irvine e da quello della preside. 
"James, siediti pure," fece quest'ultima indicando il posto affianco al suo. 
James la ascoltò, ma prima che potesse sedersi, l'occhio gli cadde per sbaglio sulla gracile figura di Sheila, ritta in piedi, tra una studentessa con i capelli rossi e uno studente tarchiato. 
"Che ci fai lei qui?" chiese esterrefatto. 
"Oh, parli della signorina Graves? Ha avuto la brillante idea di farsi a piedi, da sola, tutta la strada dall'infermeria alla Sala Grande."
"È scappata?" 
"Precisamente", confermò Minerva in tono contrariato. 
James impallidì. 
"Ma è impazzita?" 
"Insomma, sì, è stata sconsiderata. Ma alla fine, chi poteva negarle questo momento, se non sta poi tanto male?" 
James scosse il capo con veemenza. 
"No, no", mugugnò, "non va bene, dannazione!" 
Non sapeva neanche lui il perché, ma aveva un brutto presentimento. Forse era per quella ferita che non voleva rimarginarsi, o forse per il sospetto che gli era venuto osservando meglio quelle schegge di vetro, sul pavimento del treno. 
"Suvvia, non essere tanto intransigente!" lo redarguì Minerva, scherzosamente. 
James restò in piedi, attendendo che Horace pronunciasse il nome della ragazza. Era arrivato alla lettera G, finalmente. 
"Glazier Leta." 
La ragazzina con i capelli rossi che stava affianco a Sheila si mise seduta sullo sgabello. Appena le venne messo il Cappello in testa, questi gridò subito:
"Tassorosso!"
Quando la ragazzina se ne fu andata, toccò a Sheila. 
"Graves Sheila!" 
La ragazza vacillò per un attimo. Poi prese, lentamente, a camminare verso lo sgabello. James aveva gli occhi fissi su di lei. 
 
Sheila non stava per niente bene. Il dolore alla spalla sinistra si era fatto così intenso che le era venuta la nausea. Sedendosi sullo sgabello, tirò un sospiro di sollievo, perché era convinta sarebbe caduta da un momento all'altro, stando in piedi.
Il professor Lumacorno le posò subito il Cappello sulla testa. Sheila pregò che fosse smistata in fretta. 
"Hai fretta, forse?" 
Disse una vocina nella sua testa. Era il Cappello. 
"Uhm… Qualcosa ti turba, vedo."
Sheila si irrigidì. Non si aspettava che il Cappello potesse leggere così bene la mente. 
"Oh, vedo, vedo. Deve far molto male. Ma stai affrontando tutto con grande coraggio. Andrebbe premiato!" 
"Ora mi mette in Grifondoro", pensò, senza farci caso. 
"No, no. Io non ne sarei così sicuro," le rispose lui, inaspettatamente. "Vedi, ho una certa esperienza nel riconoscere i Grifondoro, ma a te sembra che manchi qualcosa… O che ci sia qualcosa di troppo, magari."
Il Cappello fece una pausa in cui si limitò a emettere lunghi e profondi uhm, uhm. Poi riprese: "Ecco, vedo grande generosità e forza d'animo, spirito di amicizia. Ma tu vuoi qualcosa in più degli amici, non è vero? Tu vuoi qualcosa per te, e solo per te. Certo, brami meraviglia e magia, ma sei ambiziosa e vuoi scoprire cose nuove, più stupefacenti, più misteriose di quelle che ti sono state e ti saranno offerte. Di certo non ti manca l'intelligenza e la curiosità, per farlo. Eppure, tu vuoi qualcosa di più, qualcosa di ancora più grande…"
Il Cappello cadde in un profondo silenzio. Sembrava essersi spento. 
"Oh oh", riprese, poi, greve, "Questo sì che è curioso, curioso per davvero… Vedo oscurità, nel tuo passato. Una zona della tua memoria senza immagini e senza voce, senza suoni e senza volti. Forse so, forse ho capito…"
Sheila rabbrividì. Cominciò a respirare a fatica, come se un grande masso le si fosse posato sul petto. 
"Io credo che più che il coraggio, io credo che più che l'ambizione e la lealtà, a te serva…" 

James aveva i nervi a fior di pelle. Erano passati più di quattro minuti da quando Horace Lumacorno aveva posato il Cappello sul capo di Sheila. Al tavolo degli insegnanti stava cominciando a passare di bocca in bocca la parola Testurbante. E in tutta la sala, ormai da tempo, non volava una mosca. 
Ad un tratto, proprio quando nessuno se lo stava aspettando, il Cappello urlò, a squarciagola: "Corvonero!" 
Sia dal tavolo dei Corvonero che, in parte, dal tavolo degli insegnanti si levò un fragoroso applauso. 
Lumacorno tolse il vecchio copricapo dalla testa di Sheila e la invitò ad alzarsi e sedersi con i suoi nuovi compagni. Vedendo che Sheila non si alzava, James si era allontanato con circospezione dal tavolo degli insegnanti.
"Dove vai?" gli chiese Minerva, vedendolo andare via. Ma lui non rispose. 
Intanto, Horace aveva ripreso ad elencare i nomi, ignorando completamente che lo sgabello non era ancora stato liberato. 
"Hepburn Valerie?" 
James scattò in avanti. Sheila si era alzata, aveva fatto due passi in avanti e ora era sul punto di cadere. Lui la cinse subito alle spalle, aiutandola a stare in piedi. 
Horace sussultò: "Oh, diamine! Tutto bene?" 
Sheila sussurrò con un filo di voce: "S-Sì, sto bene…" 
James non fece a meno di notare che era bianchissima in volto.
"Non mi sembra", fece lui, con apprensione. 
Valerie Hepburn, intanto, si era rimessa in fila. James le lanciò un'occhiata e poi disse: "Torna qui."
"Professor Lumacorno," sentenziò guardandolo, "vada avanti con lo Smistamento."
"Va bene, va bene. Valerie! Forza vieni, cara." 
 
Il professor Nott portò Sheila nella stanza dove lei e gli altri del primo anno avevano atteso il vicepreside.
"Ecco, siediti qui."
Una sedia apparve dal nulla, a comando, dopo il colpo della sua bacchetta. Sheila vi si afflosciò sopra, senza forze.
"Torno in infermeria?" chiese lei sottovoce. 
"Certamente, cosa pensavi sarebbe accaduto?" fece James in tono canzonatorio. 
"Mi dispiace, io credevo di stare bene. Poi la spalla, all'improvviso…" piagnucolò. Si sentiva in colpa. Stava dando a tutti un gran da fare, da Madama Chips al professor Nott, da Lumacorno a Louis. 
"Tranquilla, ora. Non fartene un cruccio", la rincuorò il professore. 
"Sono scappata dall'infermeria, facendo preoccupare tutti e…" 
"Ah, se è per questo, probabilmente lo avrei fatto anche io," confessò sorridendo, "non so starmene con le mani in mano."
Sheila scosse il capo. 
"Non avrei dovuto farlo!" insistette. 
"Oh no, non avresti dovuto", disse severamente. "Ma ora lascia perdere, Graves."
James le scostò i lunghi capelli ricci dalla spalla, poi disse, cupo: "È questa, no?" 
"Sì, professore."
"Uhm…" mormorò. Poi le tolse delicatamente il mantello, le sbottonò i primi due bottoni della camicia e rimosse le bende dalla spalla ferita. Notò subito che la zona si era arrossata e la ferita era diventata di un brutto colore violaceo.
James deglutì. 
"Come sospettavo. L'incantesimo non ha semplicemente rotto i vetri…"
Sheila aggrottò le sopracciglia, ma non aveva la forza per chiedere spiegazioni. 
Il professore le sfiorò appena la ferita, senza farle male. 
"È bollente", borbottò. E si fermò a lungo a riflettere, guardandole la spalla e allisciandosi il mento. 
"Professore," intervenne Sheila, sforzandosi, "se non è stato un incidente, allora…"
"Allora chi è stato?" continuò James, sovrappensiero. 
"... Allora qualcuno voleva fare del male agli studenti di Hogwarts", lo corresse Sheila. "Vuol dire che non siamo al sicuro, non è vero?" 
James arcuò le sopracciglia, sorpreso. L'unica persona che gli aveva fatto una domanda del genere era stata lei. Tutti a chiedergli chi poteva essere stato, perché lo aveva fatto, come ci era riuscito. Ma questo, in verità, era impossibile saperlo con precisione, al momento. La vera domanda, la più sensata da porre era proprio quella della ragazza: gli studenti sono al sicuro?
"Purtroppo, signorina Graves, credo proprio sia vero: non c'è la certezza di essere al sicuro", rispose, risoluto. 
"M-ma signore, chi avrebbe interesse a fare una cosa del genere?" 
"Nessuno", troncò lui. 
"In che senso? Qualcuno deve essere stato!" 
"Certo, ma formalmente non c'è nessuno," proseguì lui, con lo stesso tono spicciolo, "nessuno che ne sia capace e che abbia interesse nel farlo."
"Cosa intende con 'formalmente'? Se non sappiamo chi è stato, è chiaro che 'formalmente' non c'è nessuno, ma scoprendolo…" commentò diligentemente. 
"Non si tratta di scoprire niente", la interruppe James. "Se non c'è un sospetto e un movente probabile, il caso viene bollato come incidente, dal Ministero."
Sheila ne restò basita. Serrò la bocca e non disse niente. Allora James continuò: "È questo che intendevo per 'formalmente'. Formale è ciò che è già alla luce del sole, ed è giusto che sia alla luce del sole. Informale, o ipotetico e fantasioso, è ciò che se ne sta nell'ombra, e molti lo sanno, ma è giusto che rimanga nell'ombra."
Sheila non riusciva a capire. Forse perché il dolore alla ferita le stava dando alla testa, forse perché era troppo stanca, o forse perché, in effetti, era difficile da comprendere. 
"Lei mi sta dicendo", chiese debolmente, "che non c'è un sospetto? Nemmeno uno?  E quindi, se non c'è, per il Ministero è stato un incidente. Ma lei dice anche che un sospetto esiste, e che tutti lo sanno, anche se è all'ombra. Allora c'è un chi, no? Quindi quello che ha appena detto non ha senso. Il caso non può essere bollato come incidente."
James increspò il labbro in un sorrisetto. 
"Si tratta di un sospetto ipotetico, informale."
"Ma che vuol dire?" sbottò. "Un sospetto è un sospetto, giusto?" 
James scosse il capo con decisione. 
"No, non è un sospetto, perché, purtroppo, è già stato assolto."
Insomma, questo sospetto informale non era un sospetto e basta. Sheila non andò oltre, e si arrese, per sfinimento, a capire. Perché oltre alla spalla che bruciava, ora anche la testa le stava scoppiando. Si era accalorata parecchio, per la vicenda, senza sapere bene il motivo. Sicuramente c'entrava il fatto che ne fosse stata coinvolta in prima persona, ma c'era altro, qualcosa di identificabile: una sensazione, uno strano presentimento…
Con un ultimo sforzo della voce, tuttavia, Sheila tentò un'ultima domanda, più secca e diretta: "Ma lei mi saprebbe dire chi è il sospetto ipotetico, professore? Al di là delle formalità del Ministero."
James diede un colpo di tosse e si schiarì la gola. Sembrava voler prendere tempo. Nel frattempo, nella Sala Grande pareva che il discorso di inizio anno della preside fosse finito, visto il grande boato di esultanza che si sentiva dalla porta. La cosa sembrò incoraggiare il professore a fare in fretta. 
"Graves, tu sei una Nata Babbana?" 
"È una storia lunga," farfugliò imbarazzata, "ma posso dirle di conoscere il mondo magico e di esserne entrata a contatto prima di ora, signore. Anche se non so molto di Hogwarts, se devo essere sincera."
"Uhm?" 
"Lei dica pure. Se… Se non so qualcosa glielo chiedo", fece lei, sempre più debolmente. 
"Bene", continuò James, lasciando trapelare una certa confusione, "allora proseguo."
Si schiarì di nuovo la gola e poi iniziò. 
"Prima di tutto, ci tengo a ribadire che la mia è solo un'ipotesi e che non ne ho la certezza. Quindi ti consiglio di non darci troppo peso."
Sheila mormorò un "va bene". 
"Conosci l'Ordine dei Mangiamorte, conosci Grindelwald?" 
"Sì, abbastanza. Ho letto e mi hanno parlato di loro." 
"Bene, allora. Ti faccio una domanda. Credi che i seguaci di Grindelwald e i Mangiamorte siano stati i soli criminali ad avere alle spalle un'organizzazione?" 
"Insomma, io… I libri parlano solo di loro, le persone citano solo loro… Quindi sì, immagino di sì." 
James prese a camminare avanti e indietro lungo la stanza. Era palesemente agitato. 
"E se ti dicessi che è esistita, e io credo fermamente esista ancora, un'organizzazione criminale ancora più complessa nella struttura, ancora più efficace e segreta di tutte le altre?" disse poi, tutto d'un fiato. "I babbani la chiamerebbero 'mafia'. E forse sarebbe il termine giusto, se non fosse che, in questa particolare mafia, non ci sono né pistole né bombe, ma bacchette magiche e incantesimi nuovi, misteriosi e oscuri." 
A Sheila si gelò il sangue. 
"Lei crede sia stata la mafia?" domandò con voce tremante. 
"Io preferisco chiamarli terroristi. O meglio, quando ne parlo con gli altri, preferisco chiamarli tali. Perché formalmente l'Organizzazione non esiste più da anni. Tuttavia, ecco…" 
La preside spalancò la porta ed entrò nella stanza. 
"Tutto bene qui? Signorina Graves? Professor Nott?" proruppe. 
Sheila sapeva che, dopo quell'improvviso intervento, la conversazione tra lei e il professore sarebbe finita e che, da lì a poco, avrebbe fatto ritorno in infermeria.


 
   
 
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