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Autore: fefi97    25/08/2020    2 recensioni
[Martìn x Andrés; il canon non esiste; stanno insieme e sono scemi]
Quando litighi con il tuo fidanzato bastardo ed egocentrico all'alba di una rapina potenzialmente mortale, cosa mai può andare storto? Apparentemente, tutto.
A volte non basta aprire gli occhi per vedere veramente qualcosa, ma Martìn farà del suo meglio.
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Berlino, Palermo
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Apri gli occhi

 

 

 

 

 

Si sono appena addormentati, Martìn ha la testa posata sul petto di Andrés. Si solleva a ogni respiro, con un ritmo lento e rassicurante.

Martìn si sveglia al suono delle urla.

Dopo qualche momento di smarrimento, riconosce le voci.

Sono il ragazzo idiota ma sexy che ride in modo strano e la donna bionda.

Martìn vorrebbe tornare a dormire, ma le urla sono sempre più forti e insistenti e alla fine si ritrova del tutto sveglio.

Sbircia in alto, verso Andrés, ma l'uomo è ancora addormentato, il viso sereno alla luce fioca della lampada. Martìn lo accarezza con dita delicate, poi con un sospiro rimuove il braccio dell'altro dai suoi fianchi e si alza. Raccoglie da terra la sua vestaglia e se la infila mentre cammina verso la porta. La chiude piano, per non svegliare Andrés, poi cammina lungo il corridoio. Man mano che si avvicina alla coppia che urla, si fa un'idea dell'argomento della discussione.

Denver vuole che Monica resti al sicuro con il bambino, Monica vuole entrare con lui nel Banco di Spagna.

A Martìn non interessa.

Vuole soltanto che chiudano la fottuta bocca, visto che sono le fottute tre di notte.

C'è anche Nairobi adesso a urlare come un'aquila contro Denver, un braccio intorno alle spalle di Monica.

-Che cazzo succede? - sbotta Martìn, con voce roca per il sonno, irritato.

-Succede che mi sono rotta del patriarcato! - sbotta Nairobi e Martìn non può fare a meno di roteare annoiato gli occhi.

-Vuoi sapere cos'è il patriarcato? - si porta una mano in basso, facendo inorridire Monica – Ce l'ho attaccato ai coglioni il patriarcato. Sono le tre di notte, andate a lavare i piatti e non rompete il cazzo! -

La situazione degenera piuttosto rapidamente.

Nairobi gli lancia una scarpa, Helsinki e Tokyo si affacciano dalle loro stanze, destati dal rumore, Marsiglia e Bogotà fanno capolino poco dopo.

Ora sono tutti in corridoio, tranne Andrés e Sergio, a gridare e a imprecare uno addosso all'altro.

-Senti un po', ma perché non torni a succhiare il cazzo a Berlino, eh? - gli urla contro Denver, esasperato.

Martìn sorride e apre la bocca per rifilare una risposta tagliente, qualcosa di talmente gay da far avere gli incubi a quella piccola merda impregnata di machismo per giorni, ma improvvisamente sente un petto caldo dietro di lui, una presenza rassicurante e conosciuta.

Denver chiude immediatamente la bocca, distogliendo lo sguardo.

È stupido, ma non così tanto da far incazzare il capo dell'operazione ancora prima di essere dentro il Banco di Spagna.

-C'è qualche problema? - la voce di Berlino è pacata, ma non per questo meno intrisa di autorità.

Denver rimane cautamente in silenzio, ma Nairobi ricomincia a urlare, subito imitata da Tokyo.

Solo l'arrivo di Sergio riesce a calmare le acque.

Vengono rimandati tutti a letto come bambini indisciplinati e la mano di Andrés è calda e solida contro la sua schiena mentre ritornano nella loro stanza.

-Quel coglione di Denver – borbotta Martìn, mentre si libera di nuovo della vestaglia e scivola sotto le coperte – Tutto questo casino perché è talmente inutile che nemmeno sua moglie lo ascolta. -

Berlino canticchia in accordo, mentre si stende accanto a lui.

Trovano con facilità la posizione di prima, la testa di Martìn sul suo petto, il braccio di Andrés intorno ai suoi fianchi.

-Sì, ho sentito – Andrés sospira, gli occhi rivolti al soffitto scrostato – Devo dire che posso capirlo. -

Martìn si muove, incastrando il mento sulla sua clavicola per potergli rivolgere uno sguardo curioso.

-Mh? -

Andrés abbassa la testa per guardarlo, un sorriso un po' triste sulle labbra.

-Avere la certezza che sua moglie e suo figlio siano al sicuro. Non volere che Monica entri con noi, volere che rimanga con il bambino. Posso capirlo. Se fossi nella sua situazione, vorrei lo stesso. -

Martìn sorride, anche se è un po' confuso.

-Beh, amore mio, è una fortuna che nessuno di noi possa rimanere incinta, allora. -

La sua voce è scherzosa, Andrés dovrebbe ridere a questo punto, solo che non lo fa.

Lo fissa dritto negli occhi e a Martìn non piace quello sguardo, perché sa che non gli piaceranno le parole che sta per pronunciare.

-Se ti chiedessi di non entrare nel Banco di Spagna, lo faresti? -

Martìn si scosta da Andrés come se si fosse bruciato, mettendosi seduto. Andrés lo imita ed è serio, cazzo, è serio.

-Stai scherzando – sussurra comunque Martìn, il cuore che batte rapido.

-Saresti più utile fuori – dice velocemente Andrés, reggendo il suo sguardo anche se Martìn lo sta guardando come se fosse pazzo – Ci penso da un po' se devo essere sincero, anzi ci penso da quando Sergio è rispuntato. Sei un ingegnere, Martìn, non un ladro. Potresti aiutare Sergio e Marsiglia al di fuori del Banco. Sei una mente, non un braccio. -

Martìn rimane in silenzio per un tempo infinito, poi scoppia in una risata acida.

-Sono la tua Monica, Andrés? Sono la tua mogliettina che va tenuta al sicuro dalle cose brutte? Perché se è così puoi anche fotterti. -

-Sai che non lo intendevo così – sbotta Andrés, spazientito, stringendogli con forza il braccio quando vede il tentativo dell'altro di allontanarsi – Ma tu non c'eri l'altra volta, Martìn. Non hai visto Mosca morire. Non hai visto Oslo diventare un vegetale. Per poco non sono morto anche io. -

-Già – sussurra Martìn, pieno di rancore e di qualcosa simile alla paura – E di chi è la colpa se non c'ero? Chi è che mi ha lasciato indietro con tutte quelle stronzate sul desiderio e sulla distanza che attenua il dolore, mentre tu stavi per farti sparare addosso dalla fottuta polizia? -

Gli occhi di Andrés si oscurano.

-Non parleremo di nuovo di quello. Ti ho già chiesto di perdonarmi, tu mi hai perdonato. Non ci torneremo sopra. -

Più che chiesto, Andrés aveva preteso il perdono, ma ovviamente questo non lo dice.

Per un attimo Martìn apre la bocca, ribelle, ma lo sguardo di Andrés è così definitivo e allo stesso tempo vulnerabile che la richiude, trattenendo a stento la rabbia.

-Non ti chiedo di rimanere indietro perché ti considero inferiore a me o a qualsiasi altro componente della banda – continua Andrés, in tono più calmo, le dita che si stringono in modo quasi doloroso sul braccio di Martìn – Te lo chiedo proprio perché ai miei occhi vali più di qualsiasi altra cosa. Più di Rio, più di questo piano, più della mia vita stessa. E sicuramente più dell'oro. -

In qualsiasi altra occasione Martìn sarebbe commosso da quelle parole, ma ora è troppo pieno di rabbia, troppo pieno di risentimento. Troppo pieno della paura di lasciare entrare Andrés senza di lui, di nuovo.

-Il piano è anche mio, l'ho ideato io – dice piano, con voce soffocata e astiosa – Tu a stento ci hai messo qualche suggerimento. È stata tutta una mia idea, siamo qui solo per merito mio. E tu mi dici che sono solo un ingegnere, una mente, non un braccio? Fottiti Andrés, perché io lì dentro ci entro eccome, non resto qui a fare da balia al figlio di quei due coglioni – la sua espressione si riempie di gelido disprezzo – Forse mi stai confondendo con una delle tue cinque mogli. Io ho il cazzo come te, e sembrava che fino a due ore fa ne fossi consapevole pure tu. -

Riesce a liberare il braccio dalla presa dell'altro e si alza in piedi.

Andrés lo guarda in modo inespressivo, mentre Martìn raccoglie la sua vestaglia e se la infila.

Sembra riscuotersi solo quando lo vede andare verso la porta. Scende dal letto pure lui, facendo qualche passo nella sua direzione.

-E ora dove vai? -

-Non ho voglia di dormire qui – replica Martìn, senza guardarlo.

Andrés lo afferra per un polso, strattonandolo verso di lui. Gli fa male e Martìn fa una smorfia mentre si ritrova faccia a faccia con l'uomo che ama e odia con la stessa devastante intensità.

-Non fare il bambino adesso – sussurra, con durezza.

Martìn ride, del tutto privo di allegria.

-Prima sono una donna e adesso sono un bambino. Deve essere la mia serata. -

Andrés stringe le labbra, senza lasciar andare la presa sull'altro.

-Trovi davvero così offensivo il mio desiderio di tenerti al sicuro? -

-Sì, visto che il tuo desiderio di tenermi al sicuro significa ignorare il mio desiderio di entrare con te – dice con forza Martìn, fissandolo dritto negli occhi – Ascoltami bene Andrés, perché non lo ripeterò. Mai, mai in tutta la fottuta vita, lascerò che tu entri senza di me. Perché non me ne starò qui fuori con Sergio a sperare che tutto vada bene. No, perché sono io quello che farà andare tutto bene. Sono io quello che ti proteggerà – i suoi occhi si fanno vulnerabili e ansiosi senza che possa impedirselo – Perché non posso perderti, non posso. Ho rischiato già una volta di perderti, non succederà ancora. Non posso vivere senza di te. -

Andrés lo fissa, per un attimo Martìn vede i suoi occhi ammorbidirsi. Ma è solo questione di un istante, prima che riacquistino il solito luccichio ironico e le sue labbra si pieghino in un sorriso sarcastico.

-Adesso parli proprio come una dolce moglie, Martìn. -

La sua mano scatta ancora prima del suo cervello.

Colpisce la guancia di Andrés, forte, con una furia quasi sconosciuta.

Andrés, colto di sprovvista, barcolla e lascia andare il suo polso. Per un attimo i suoi occhi sono talmente scuri che Martìn è sicuro che lo colpirà a sua volta, ma Andrés si limita a fare un passo indietro, fissandolo gelido.

-Vuoi continuare la tua sceneggiata da uomo ferito nell'orgoglio? Va bene, accomodati. Vai a dormire da Sergio o da chiunque altro ti accolga – produce un sorriso sprezzante – Tanto sappiamo da chi tornerai domani, e il giorno dopo ancora. -

Martìn non risponde, si limita a uscire dalla stanza, sbattendo forte la porta.

Dorme nella stanza di Helsinki, visto che Nairobi è andata a dormire con Tokyo e Monica.

Non torna da Andrés il giorno dopo, e nemmeno il giorno dopo ancora.

Durante il giorno fanno finta di niente, siedono vicini e discutono del piano civilmente, quasi cordialmente.

Andrés ignora qualsiasi domanda su cosa abbia fatto in faccia e, a parte un piccolo tremito della mascella, non dice o fa nulla per rivelare il suo disappunto quando vede Martìn scivolare nella stanza di Helsinki ogni notte.

Gli altri sono tesi, alternano lo sguardo tra di loro, aspettando che si accoltellino da un momento all'altro.

Sergio sembra semplicemente esasperato.

Eppure, continuano a parlare con tranquillità, a sedere vicini, a fare finta di niente.

Sono vicini, eppure non sono mai stati così distanti.

 

 

 

Sorprendentemente, il primo a sventolare bandiera bianca è Andrés, avvicinandolo la sera prima del colpo.

Martìn sta prendendo da bere al grande tavolo che hanno allestito nel cortile del monastero, quando sente un corpo caldo premersi contro il suo fianco.

-Se stai cercando di punirmi, ti informo che ci sei riuscito – la sua voce è un sussurro sarcastico contro il suo orecchio, ma la mano stretta con forza al fianco di Martìn tradisce la sua disperazione – Torna da me stanotte. Per favore. -

Martìn sorride, senza voltarsi.

-Non so, il mio compagno di stanza è molto simpatico. Mi dispiacerebbe privarmi della sua compagnia. -

La mano di Andrés si contrae sul suo fianco e Martìn non ha bisogno di vederlo in volto per capire che è geloso.

Tuttavia, il suo tono è pacato e calmo quando parla.

-Mi manchi – spiega con semplicità, come se fosse un dato di fatto elementare. Martìn chiude gli occhi quando Andrés strofina il naso contro i suoi capelli, con tenerezza, ed è insolito che Andrés sia così affettuoso quando non sono soli, quando sono circondati dal resto della banda – Torna da me, su. -

Martìn emette un respiro spezzato, socchiudendo gli occhi.

-Chiedimi scusa – ordina, implacabile, sorridendo con cupa soddisfazione nel sentire Andrés irrigidirsi contro di lui – Chiedimi scusa e tornerò da te.-

Andrés gli lascia andare immediatamente il fianco, facendo un passo indietro.

Lentamente Martìn si gira, incrociando lo sguardo teso e allo stesso tempo determinato dell'altro.

Questo è un gioco di potere, lo è sempre tra di loro.

E entrambi odiano perdere.

-Non ho niente di cui scusarmi – dice infine Andrés, un po' acido – Sei tu che mi hai colpito. -

-Perché tu hai fatto lo stronzo! - scatta Martìn, furioso.

È consapevole del fatto che tutti li stiano guardando, ma non gli importa.

Le labbra di Andrés si sollevano in un brutto sorriso.

-Ora dimostrare preoccupazione per il proprio compagno significa fare lo stronzo? -

Il viso di Martìn si arrossa per la rabbia e la frustrazione.

-Sì, se lo si fa come hai fatto tu. Dieci anni di rapine con te e quando ti fa comodo sono solo una merda di ingegnere. -

-Senti – sibila Andrés, abbassando la voce e guardandosi brevemente intorno. Tutti ritornano immediatamente a mangiare, facendo finta di non star sentendo tutta la conversazione – Non c'è davvero ragione di litigare. Non volevo che tu entrassi nel Banco di Spagna, lo ammetto. Ma l'operazione inizia domani e mi sembra chiaro che ho fallito. Hai vinto tu. Farai anche tu parte dell'azione suicida per salvare la vita di Rio, contento? Puoi smetterla di tenere il muso adesso. -

Martìn lo fissa, le mani serrate lungo i fianchi.

Vorrebbe tirargli un altro pugno, ma Andrés non glielo perdonerebbe, non ora che li guardano tutti.

-Penso che invece lo terrò ancora – sbotta, per poi superarlo con una spallata.

Sente gli occhi scuri di Andrés trafiggergli la schiena come pugnali, ma l'uomo non fa nulla per fermarlo.

Certo, Andrés è più subdolo che plateale, e gli è chiaro quella notte.

Sta per infilarsi nella camera di Helsinki, quando Sergio si schiarisce imbarazzato la gola. Lisbona è alle sue spalle, e non ha l'aria contenta.

-Credo che per stanotte faremo uno scambio di coinquilini – dice il Professore, aggiustandosi nervosamente gli occhiali sul naso – Helsinki, tu dormirai con Lisbona. Palermo con me. -

Martìn stringe gli occhi, senza muoversi di un millimetro.

-Te l'ha detto lui di farlo? Pensa che ci siano meno probabilità che succhi il cazzo al suo fratellino piuttosto che al ciccione qui? Perché posso totalmente succhiare il cazzo del Professore! - l'ultima parte la urla, e spera proprio che Andrés, già chiuso nella sua stanza, lo abbia sentito.

Sergio diventa pallidissimo, mentre Raquel si arrossa di rabbia.

-Basta con questa sceneggiata – sbotta con durezza, facendo un passo avanti - Domani ci aspetta una giornata impegnativa, dobbiamo riposare. Andiamo, Helsinki. -

Raquel bacia rapidamente sulle labbra Sergio, ancora sconvolto, e poi si infila nella stanza di Helsinki, che chiude la porta.

Adesso ci sono solo Martìn e Sergio, che si guardano male a vicenda.

-C'è bisogno che ti dica quanto sia controproducente e infantile questo vostro atteggiamento? - domanda Sergio piano, insopportabilmente dalla parte della ragione.

Martìn sbuffa e senza rispondere entra a passo di marcia nella stanza che Sergio occupava con Raquel.

Il Professore chiude la porta, mentre Martìn è già a letto.

Dovranno condividere il letto e una parte di Martìn capisce perché Andrés preferisca che lo divida con il suo leale e etero fratellino piuttosto che con un omaccione gay.

Non che il pensiero di Andrés che lo manipola attraverso suo fratello lo faccia stare in qualche modo meglio.

Quasi ride all'attenzione quasi maniacale che ci mette Sergio nel sistemarsi accanto a lui, attento a non sfiorarlo neppure per sbaglio.

Martìn gli dà le spalle, rannicchiandosi d'un lato, anche se sa che non riuscirà a dormire.

E non è solo l'ansia del colpo dell'indomani.

Non riesce mai a dormire quando è lontano da Andrés. Il che significa che non dorme bene da tre notti.

Si chiede se Andrés dorma bene senza di lui.

Probabilmente no, ma il bastardo si farebbe sparare piuttosto che ammetterlo.

Improvvisamente, il silenzio viene interrotto dal sospiro profondo di Sergio.

-Gli manchi sul serio. Per quel che vale, è dispiaciuto per il vostro litigio. -

-Te l'ha detto lui? - domanda Martìn acidamente, senza voltarsi.

-Più o meno. Diciamo che ho letto il sotto testo delle sue parole – Sergio ora sembra un po' divertito e Martìn li odia entrambi.

-Se era così dispiaciuto, poteva scusarsi – sbotta, irritato.

Sergio fa una pausa delicata, piena di tatto.

-Sappiamo entrambi che non lo farà mai – dice poi, in tono gentile.

Martìn non risponde.

Già. Sanno entrambi che non lo farà.

-So che sei arrabbiato con lui – sussurra Sergio, dopo un po' – E non solo per quello che è successo qualche giorno fa. Penso che tu sia stato arrabbiato con lui per anni interi, dopo il modo in cui ti ha lasciato. E so che Andrés pensa che tu lo abbia perdonato e forse persino tu lo credi, ma io lo so che non l'hai fatto del tutto. Forse una parte di te non lo perdonerà mai. Ma domani è un giorno importante, Martìn. So che pensi che il tuo piano sia infallibile, ma non lo è. Ci sono così tante cose che possono andare male. Dobbiamo essere tutti concentrati, professionali. Non posso mandarvi lì dentro in queste condizioni. Devi cercare di mettere da parte il tuo rancore, Martìn, perché domani sarete Berlino e Palermo e Berlino sarà il tuo capo. Devo sapere che farai quello che dice, quando lo dice. Devo sapere che non ti lascerai trasportare da questioni personali, perché questo metterebbe in pericolo tutti noi, soprattutto Rio.-

Martìn rimane in silenzio per lungo tempo, gli occhi spalancati nel buio.

-Non sono stupido – dice, il suo tono più stanco che arrabbiato – Non manderò a puttane il piano per uno stupido litigio. -

-Sì, lo so – risponde immediatamente Sergio, prendendolo di sorpresa – Non sei tu quello che mi preoccupa davvero, infatti. -

Non parlano più, ma Martìn sa che entrambi stanno pensando alla stessa persona.

Nessuno dei due riesce veramente a dormire.

 

 

 

Il giorno dopo l'aria è talmente tesa che si potrebbe tagliare con un coltello.

Martìn e Andrés sono seduti ai due lati opposti del tavolo e non si guardano.

-Professore, io con questi due combinati così non ci entro là dentro! - sbotta Nairobi durante la colazione e Martìn ha il sospetto che sia stata eletta portavoce di tutti, visto le occhiate nervose che si scambiano a vicenda – Manderanno a puttane tutto, gli dica di chiarirsi! -

-Nairobi, non posso dare ordini di questo tipo – risponde Sergio con calma, senza neppure alzare lo sguardo dalla sua tazza fumante di caffè – Invaderei il vostro libero arbitrio, in questo modo.-

-Non so che cazzo sia questo arbitrio, ma Nairobi ha ragione. Sembra che si vogliano ammazzare, Professore! – interviene Denver a voce alta.

Martìn a quel punto alza gli occhi, rivolgendo uno sguardo ironico al ragazzo davanti a lui.

-Perché, tra te e la tua bionda è il paradiso, vero? Prima di immischiarti in cose che non ti riguardano, pensa a riportare la pace nel tuo piccolo matrimonio clandestino, d'accordo? E tu – guarda Nairobi con un sorriso cattivo – Io penserei piuttosto ai sentimenti irricambiabili che provi per il nostro grasso amico, invece di pensare a me. Anzi inviterei tutti a pensare alle proprie fottute relazioni, visto che siamo qui perché la signorina Tokyo aveva un prurito che il dolce Rio non riusciva più a soddisfare. -

Ovviamente Denver, Nairobi e Tokyo cominciano a insultarlo, provocati, e in breve tempo tutti urlano e si rinfacciano cose.

Martìn tace, soddisfatto, e così fanno Raquel, Sergio e Andrés.

È Sergio a imporre il silenzio alla fine e tutti riprendono a fare colazione, anche se sono tesi per la discussione e per quello che succederà a breve.

Quando si alzano da tavola, Andrés lo afferra per un polso e lo guarda negli occhi per la prima volta.

-Martìn, dobbiamo... -

Ma Martìn non ha voglia di ascoltarlo, perché gli occhi di Andrés lo rendono debole e lui non vuole essere debole, non questa volta. Nella loro relazione è sempre stato lui quello che cedeva per primo, quello che perdonava e capiva, abbassava la testa e incassava.

Non vuole essere lui a cedere per primo, per una fottuta volta, anche se probabilmente è stupido impuntarsi all'alba di una rapina.

Sottrae il polso dalla presa dell'altro, guardandolo con freddezza.

-È Palermo, Berlino. -

Andrés per un attimo ha l'espressione di chi ha ingoiato un vasetto di yogurt scaduto, ma poi si apre nel solito sorriso sarcastico.

-Bene, Palermo. Vedi solo di non dimenticarti chi comanda nel Banco di Spagna, d'accordo? Sii una brava mogliettina. -

Non gli spacca la faccia solo perché Bogotà, rimasto prudentemente nei paraggi, lo trascina via letteralmente di peso.

Con il senno di poi, quello non è il modo migliore per iniziare un colpo impossibile.

 

 

 

Le cose iniziano bene.

E poi vanno male.

E poi sempre peggio.

Finché non precipitano completamente, con Tokyo e Nairobi che vengono circondate da tutta la sicurezza del governatore, capitanata da Gandìa.

-Helsinki, con me! - esclama Berlino, non appena Stoccolma gli dice cosa è successo.

Martìn non ha dubbi su cosa fare. Corre dietro di loro, diretto alla balaustra sopra l'ingresso, dove potranno mirare meglio agli uomini.

Berlino volta appena la testa, lo guarda e emette una sorta di ringhio.

-Rimani con gli ostaggi, Palermo. -

Martìn, ovviamente, non ascolta.

Può avercela a morte con Andrés, può addirittura arrivare a odiarlo.

Ma il problema è proprio questo: Martìn non può davvero odiarlo.

Lo ama troppo per farlo.

E sarebbe bello, a volte, amarlo solo un po' di meno, non tanto, quel che basta per sentirsi completo anche quando l'altro non è accanto a lui.

Ma non è così e Martìn non può lasciarlo andare da solo verso il pericolo.

Così si sistemano in tre punti diversi, lui, Berlino e Helsinki, puntando dall'alto alle guardie che circondano Tokyo e Nairobi.

-Mi chiamo Berlino e sono il comandante di questa rapina, quindi vi invito a puntare le armi contro di me, signori. Sono io il pezzo grosso qui – esclama Andrés, facendo proprio quello che Martìn si aspettava che facesse.

Purtroppo o per fortuna, il piano non sembra funzionare, così Martìn interviene.

È un fiume in piena mentre blatera di camaleonti e di biologia. Sente lo sguardo furioso di Andrés su di lui, ma non si ferma. Parla direttamente con Gandìa, lo minaccia, gli dice di dare ordine di abbassare le armi o non vedrà più sua moglie e suo figlio e chissà che fine faranno senza di lui.

E mentre lo dice pensa proprio che funzionerà, perché Berlino ha ragione.

Chiunque vorrebbe tenere le persone che ama al sicuro.

Martìn vuole tenere al sicuro Andrés al momento, come ha voluto per tutta la sua vita e come continuerà a volere.

Gandìa esita, ma poi ordina di abbassare le armi, e per un attimo Martìn pensa di esserci riuscito.

Con la coda dell'occhio gli sembra persino di vedere Andrés rilassarsi impercettibilmente.

Poi succede tutto molto in fretta.

Gandìa spara contro di lui, ma prende la teca di vetro alle spalle di Martìn.

Lui cade, i pezzi di vetro gli vanno negli occhi, c'è sangue, dolore e urla.

Le urla non sono tutte sue.

Sente Andrés urlare incessantemente il suo nome, sopra gli spari.

Martìn non vede niente, ma sa che le mani che lo stanno toccando non sono di Berlino.

-Palermo! Palermo, resisti, cerca di... -

Non deve nemmeno darsi la pena di rispondere a Helsinki, perché d'un tratto è spinto via da lui e le mani che lo stanno toccando con estrema attenzione sul collo, evitando accuratamente il suo viso, sono le mani dell'uomo che ama.

-Martìn! -

Martìn non riesce a vedere il suo volto, ma capisce dalla sua voce che è terrorizzato.

Quasi sorride tra sé. Non ha mai visto Andrés terrorizzato per qualcosa, ma immagina che sia legittimo esserlo adesso, con l'uomo che ama tra le braccia, dei pezzi di vetro conficcati negli occhi.

-Andrés, non vedo niente – mormora, certo che l'altro lo sentirà.

-Andrà tutto bene, amore – sussurra Andrés piano e Martìn capisce che questo era qualcosa destinato solo alle sue orecchie.

Poi c'è uno spostamento d'aria e capisce che Berlino si è messo in piedi, rivolto a tutti questa volta, del tutto calato nel suo ruolo di leader.

-Helsinki, dobbiamo portarlo via da qui! Tokyo, prendi una barella, sbrigati! Muovetevi! Nairobi, lega questi figli di puttana, fai particolare attenzione a lui! -

Martìn sa che lui è Gandìa.

E sa che Gandìa non rivedrà più sua moglie e suo figlio, non importa che il Professore abbia detto di non fare vittime.

Conosce Andrés.

Gandìa è un morto che cammina, lo avrebbe già ucciso, se non dovesse prima pensare a Martìn.

È tutto confuso mentre qualcuno lo solleva con delicatezza, probabilmente Helsinki. Viene portato via su una barella, almeno crede, non si rende davvero conto di quel che succede.

L'unica cosa che gli sembra reale è la mano di Andrés stretta nella sua.

Qualcuno gli ha messo una benda sugli occhi e quando la tolgono il silenzio che lo circonda non è un buon segno, secondo Martìn.

Quando sente Andrés imprecare, capisce che è grave, molto grave.

-Posso togliergli le schegge di vetro, le vedo – esclama Tokyo, che gli sta puntando una luce negli occhi.

Martìn non la vede, lo sa solo perché Andrés lo tiene informato su ogni loro mossa.

Ora ti togliamo la benda.

Ora dobbiamo farti aprire gli occhi.

Ora ti puntiamo la luce.

-Tu non lo tocchi – sbotta Andrés e per Martìn è strano sentirlo privo del solito autocontrollo. Può quasi immaginarlo mostrare i denti a Tokyo – Ha bisogno di un fottuto oculista. Chiamate il Professore. -

-Non c'è tempo per questo, Berlino – sbotta Tokyo, spazientita – Dobbiamo agire subito! Ho una mano fermissima, posso estrargli i pezzi di vetro con delle pinzette! -

-Delle pinzette! - ride Martìn, agitandosi sulla sua barella – Avete sentito tutti? Tokyo vuole operarmi agli occhi con le pinzette che usa per depilarsi la fica! -

Non sa bene cosa succeda poi, ma può immaginarlo. Sente qualcuno estrarre una pistola, Tokyo probabilmente, poi Andrés sottrae la mano dalla propria e capisce che anche lui ha estratto la sua.

-Prova a puntargli di nuovo addosso quella merda e giuro che ti ammazzo - lo sente sibilare, basso e letale – Te lo giuro, Tokyo. Non sopporterò le tue stronzate anche qui. Abbassa quella fottuta pistola. È per difendere te e Nairobi che sta così, ricordatelo. -

Per un po' nessuno si muove, nessuno dice niente.

Solo Martìn ansima e si agita, in preda al dolore.

Poi sente un ringhio sommesso e uno spostamento d'aria, e capisce che Tokyo ha abbassato la pistola.

Andrés lo riprende per mano, ma non è la stessa mano di prima.

Capisce che non ha ancora abbassato la pistola.

-Denver! - urla Andrés, forte e autoritario – Chiama il Professore. Digli di contrattare la liberazione di tre ostaggi in cambio di un oculista e della attrezzatura adatta per operare! Muoviti! -

Martìn sente dei passi frettolosi tutto intorno a lui e capisce che tutti se ne sono andati per eseguire i loro compiti.

Il piano deve andare avanti, dopotutto.

Ma Andrés è rimasto.

Sente il suo respiro affannato sul viso, ora tutte e due le sue mani stringono quella più piccola di Martìn.

-Non... non devi stare qui – riesce ad ansimare, voltando la testa alla cieca. Darebbe qualsiasi cosa per poter vedere Andrés, qualsiasi – Il piano deve andare avanti, sei il capo, devi... -

-Stai zitto, per una volta nella tua vita stai zitto – lo interrompe Andrés con un tono di voce strano. Anche se Martìn in realtà l'ha già sentito, poco prima. È il tono che Andrés usa quando ha una paura fottuta, e immagina che abbia una paura fottuta di perderlo al momento.

-Non avrei dovuto provocare Tokyo per le pinzette. Se Sergio non riesce a far entrare l'oculista, potrebbe davvero essere l'alternativa migliore – dice improvvisamente Martìn, solo per rompere il silenzio che è sceso tra loro.

Non sopporta il silenzio.

In questo non sarà mai come Andrés.

-Non avresti dovuto fare molte cose – ribatte l'altro, rigido – Ti avevo detto di rimanere con gli ostaggi. -

Martìn sospira, strizzando inutilmente gli occhi per metterlo a fuoco.

-Sei arrabbiato? -

La stretta sulla sua mano si amplifica, sente il volto di Andrés avvicinarsi.

-Sono furioso – sussurra, e per qualche motivo a Martìn viene un po' da sorridere – E non pensare che sia finita qui, testa di cazzo. Ho intenzione di dirti un po' di cose, non appena ti avremo rimesso in piedi. -

-Sarò cieco allora, non puoi prendertela con un invalido.-

Dovrebbe essere uno scherzo, ma Andrés non ride.

Martìn sente le labbra di Andrés posarsi sulle sue con estrema attenzione, leggero come una carezza, ma abbastanza per fargli emettere un gemito patetico contro la sua bocca.

L'altro si allontana subito, rimanendo però abbastanza vicino da sfiorargli la guancia con il naso.

-Non diventerai cieco. Io ti amo, Martìn, tu devi guarire – dice deciso e Martìn crederebbe a qualsiasi cosa pronunciata con quel tono, l'ha già fatto in passato.

Ti amo, Martìn, ma devo proteggere te e quello che abbiamo.

Ti amo Martìn, devi ascoltarmi.

Ti amo Martìn, devi perdonarmi.

E Martìn gli crede anche questa volta.

Gli stringe forte la mano in un muto assenso e Andrés si allunga a baciargli piano una guancia macchiata di sangue.

 

 

 

Non sa quanto duri l'operazione, non sa se sia andata bene o male.

Sa solo che quando riprende conoscenza ha una benda pulita sugli occhi e la mano di Andrés è ancora stretta alla sua.

-Penso di capirti adesso – mormora e sente Andrés trasalire appena, forse non aspettandosi che fosse sveglio.

-Quando hai detto che al posto di Denver avresti voluto che tua moglie e tuo figlio fossero al sicuro. Penso di capire cosa intendevi. Perché quando hai detto loro di puntarti addosso le pistole, ho avuto paura e ho desiderato che tu fossi ovunque, ovunque, tranne che qui dentro. -

La presa di Andrés sulla sua mano è quasi dolorosa, ma le dita che gli accarezzano i capelli sono delicate, gentili.

-Mi dispiace – mormora Andrés, spezzato, e Martìn darebbe qualsiasi cosa per vederlo, perché questa è la prima volta in più di dieci anni che Andrés chiede veramente scusa. Vorrebbe che Sergio lo sentisse, vorrebbe che tutti lo sentissero. Ma in fondo è grato di essere l'unico al mondo con questo privilegio. Lo custodirà nel cuore, insieme a tante piccole e amate sfumature di Andrés che solo lui conosce.

– Mi dispiace, Martìn. -

-Anche a me – riesce a dire dopo un po', riprendendosi dallo shock e accarezzando le nocche di Andrés in un modo che spera sia rassicurante – Dispiace anche a me. -

Per un po' nessuno dice niente, poi Andrés sospira.

-Ti togliamo le bende, d'accordo? -

Martìn deglutisce. Non si sente pronto per questo, non è pronto per fronteggiare qualunque eventualità.

-Ci vedrai – dice Andrés con calma, come se gli avesse letto nel pensiero – E se non ci vedi adesso, ci vedrai col tempo. Fidati di me. -

E Martìn si fida di Andrés, si fiderà sempre, non importa quanto possano litigare o farsi del male.

Andrés è la sua anima gemella e Martìn, proprio come un cieco, gli ha messo la propria vita tra le mani molto tempo fa.

Annuisce e Andrés gli stringe la mano un'ultima volta.

Gli toglie la benda con dita delicate, quasi impercepibili.

Martìn tiene gli occhi chiusi anche quando sente l'aria sulle palpebre.

Ha troppa paura, non può farlo.

-Apri gli occhi, amore – sussurra Andrés sopra di lui e Martìn obbedisce, senza pensarci due volte.

Sbatte un po' le ciglia e poi riesce ad aprire gli occhi di una fessura.

All'inizio non vede niente e il panico lo assale, ma poi riesce a mettere a fuoco.

E vede degli occhi caldi e castani, gli unici occhi che amerà in tutta la sua vita.

Gli occhi dell'uomo che ama, di solito pieni di ironia e intelligenza, adesso sono pieni di paura, di incertezza.

Martìn sa perché.

-Che cosa vedi? - sussurra Andrés, con voce sicura.

Ma Martìn sa la verità, perché può vedere i suoi occhi, anche se Andrés non lo sa.

E vede che ha paura.

Martìn non risponde. Si sporge in avanti, con gli occhi aperti, e bacia Andrés.

L'uomo è sorpreso, ma non lo allontana. Martìn sa che non lo allontanerebbe mai, non più. Non adesso, comunque. Non adesso che lo ha quasi perso.

-Tutto – sospira sulla sua bocca, godendosi gli occhi di Andrés illuminarsi di sollievo e di amore – Vedo tutto – dice, anche se tutto quello che vede sono gli occhi di Andrés.

Questa volta è Andrés a sporgersi per un bacio.

Nessuno dei due chiude gli occhi.

 

 

 

 

ANGOLINO

 

 

Okay, mi scuso per questa nuova schifezza, ma li amo troppo.

E dovevano essere felici in qualche fic.

Ho un kink per Berlino protettivo perché, insomma, questo è l'uomo che ha accettato di partecipare a una rapina solo se prima il suo fratellino gli prometteva che sarebbe scappato se le cose si fossero messe male.

Temo di avere anche esagerato sulla responsabilità di Martìn nell'ideazione del piano, sinceramente non mi ricordo chi dei due fosse stato più rilevante, ma amo Martìn e darei tutto a quel nanetto incazzoso.

Spero che vi sia piaciuta, grazie a chiunque abbia letto questo obbrobrio <3

Un bacione,

Fede <3

  
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