Fanfic su artisti musicali > Bangtan boys (BTS)
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Autore: biscotti_panati    25/08/2020    1 recensioni
Taehyung si sente inutile e perso, l'unica cosa che vorrebbe è che l'inverno non finisse mai.
Jimin è bellissimo, tanto angelico quanto diabolico, ma ha un sogno che sa di non poter realizzare.
Jungkook sta crescendo, ha paura del futuro e di quello che potrebbe diventare, ma sa cosa non vuole essere.
Jin sembra perfetto, eppure nasconde segreti che faticano a restare nell'ombra.
Namjoon è chiaramente un genio, uno scienziato pazzo esemplare... se solo riuscisse a trovare una soluzione alle sue ricerche.
Yoongi non riesce ad accettare se stesso e quello che prova, ma seppellire i suoi sentimenti è impossibile.
Hoseok è interamente perso nel suo mondo, ma farebbe di tutto per i suoi amici.
****
Wolf: Jin, Taehyung, Jimin, Jungkook
Human: Namjoon, Yoongi, Hoseok.
****
Estratto
"Jungkook…" provò nuovamente a richiamarlo Taehyung, la voce poco più che un sussurro disperato. Dovevano andare via di lì alla svelta. Ma Jungkook ormai non c'era più e quello che emergeva era solo il suo lupo che cercava di prendere il sopravvento.
Dalla labbra del ragazzo uscì un urlo animalesco, di puro dolore, che non fece altro che sovraccaricare l'aria di tensione.
[...]
"È troppo tardi". Bisbigliò Jimin, il cuore stretto in una morsa.
****
Namjin, Sope
****
Genere: Fantasy, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Jeon Jeongguk/ Jungkook, Kim Seokjin/ Jin, Kim Taehyung/ V, Park Jimin
Note: AU, Otherverse | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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CAPITOLO 1





Agosto 2010

 

A Georgia, nel Vermont, l'estate sembrava non essere mai arrivata. La calura era durata il tempo di due settimane poi, come per magia, la città era piombata in un autunno precoce.

Da tre giorni ormai pioveva ad intervalli regolari e l'azzurro del cielo se ne stava coperto dietro uno spesso strato di nuvole grigie. Le previsioni meteo parlavano di temperature insolite e di un cambio di stagione improvviso.

Gli alberi avevano già cominciato a mutare i colori. Le foglie, che prima erano di un verde brillante, si stavano facendo gialle e se ne stavano curvate all'ingiù, pronte a volteggiare nell'aria da un momento all'altro.

La vecchia Volvo sfrecciava silenziosa lungo l'autostrada 89, verso sud. La stazione radio locale aveva lasciato spazio ad una playlist che riportava alla luce canzoni vecchie e dimenticate. Le note di A Boy Named Sue facevano rivivere gli anni '70.

Taehyung non era mai stato un fan di Johnny Clash, ma doveva ammettere che quella era una canzone piacevole.

Si chiedeva cosa avrebbe fatto lui se avesse ricevuto alla nascita un nome tanto orribile come Sue. Probabilmente avrebbe cercato di nasconderlo sotto un soprannome qualsiasi, uno di quelli che lo avrebbe fatto sembrare un duro. O almeno, questo era quello che credeva.

Prese l'uscita 18 e fece scivolare la macchina verso la statale 7, seguendo la strada. In realtà la 7 collegava bene St.Albans con Georgia, ma l'autostrada permetteva di viaggiare ad una velocità maggiore e di accorciare i tempi, per questo le volte in cui Taehyung usava la statale si potevano contare sulle dita di una mano.

Presto fu nei pressi della biblioteca locale, ma la superò alla svelta lasciandosela alle spalle. Avrebbe dovuto restituire dei libri, ma non li aveva portati con sé e non aveva tempo per fermarsi. Probabilmente questo gli avrebbe inimicato ancora di più la Signora Fisher; quella donna aveva un modo di fare intimidatorio.

Ogni volta che si apprestava a concedere un prestito, faceva scivolare gli occhiali a mezzaluna sulla punta del lungo naso sottile, incurvando eccessivamente un sopracciglio. Squadrava il tesserato da testa a piedi, come a valutare se questo fosse degno o meno, dava una masticata alla sua gomma alla fragola e con aria di sufficienza registrava il libro.

Jin diceva che era un modo di fare che si portava dietro da anni e che non le si doveva fare troppo caso, ma Taehyung non poteva che storcere il naso quando doveva chiederle consiglio.

Senza che davvero se ne accorse, era già arrivato a Georgia Center. Superò la scuola locale, dove aveva fatto le elementari, e a quel punto abbandonò anche la 7.

Si stava addentrando sempre più nel fitto della foresta e adesso la sua visuale era occupata da alberi ad alto fusto. Le foglie dei pioppi e delle grandi querce rosse svolazzavano veloce al suo passaggio e i piccoli abitanti del bosco correvano via quando sentivano l'avanzare dell'auto.

Quando, un'ora prima Jin lo aveva chiamato, Taehyung era nel bel mezzo del suo turno di lavoro. Non dovette faticare molto per rispondere, perché il mercoledì pomeriggio la caffetteria era quasi vuota. Il fatto che l'avesse chiamato in un momento come quello e che fosse stata una conversazione concisa, lo aveva insospettito. Jin gli aveva semplicemente intimato di andare al rifugio subito dopo il lavoro e di non fermarsi altrove. Dal suo tono sembrava avere fretta di dirgli qualcosa di importante. Così alle 5 spaccate di pomeriggio Taehyung, slacciato il grembiule, salutò Bete, la titolare, e lasciò Il Green Mountain Cafe.

Se quella con Jin fosse stata una conversazione come le altre avrebbe quanto meno provato a intavolare una finta protesta per scappare a quell'ordine tanto autoritario, ma qualcosa nel tono del suo interlocutore gli suggerì di fare esattamente quello che gli consigliava.

Alla radio Johnny Clash aveva lasciato il posto a John Denver. Take me home, Country Road gli lasciava addosso una strana sensazione di malinconia con la quale non voleva avere a che fare, quindi spense lo stereo. Avrebbe perso troppo tempo a cercare una nuova stazione radio che gli piacesse e, ad ogni modo, era già arrivato.

Davanti al rifugio era parcheggiata la Land Rover di Jin. Sia lo sportello del guidatore, sia quello del sedile posteriore erano aperti, ma di Jin non c'era traccia.

Taehyung si affrettò a parcheggiare, si slacciò la cintura e uscì velocemente dall'abitacolo. Percorse la distanza che lo separava dalla veranda e si accorse che anche la porta interna era aperta.

"Jin" urlò prima ancora di essere dentro.

Il rifugio sembrava essere stato investito da un uragano. Fece un passo all'interno, e qualcosa di bagnato schizzò sui suoi pantaloni leggeri e inzuppò le sue scarpe.

I libri della libreria erano stati riversati per terra, pagine strappate galleggiavano nello strato di acqua che allagava le assi di legno del rifugio. I cuscini del divano erano stati squarciati a metà e le piume erano sparse per la stanza. Alcune, zuppe com'erano, restavano attaccate alle gambe delle sedie rovesciate sul tappeto, altre si spostavano lentamente seguendo il flusso d'acqua. La grande lampada ad uovo, collocata sulla cassettiera nell'angolo, era caduta per terra. Il paralume si era ammaccato e i cocci della ceramica colorata erano sparsi in ogni dove. Anche le poche fotografie, appoggiate da Jin con cura sul tavolino da caffè del salotto, erano rovesciate e le cornici rovinate. L'unica luce che rischiarava la scena era quella che proveniva dalla cucina.

Il cuore di Taehyung perse un battito. Deglutì a vuoto, ma si fece coraggio e proseguì. Più avanzava nell'abitacolo allagato e più sentiva il rumore dell'acqua che continuava a scrosciare.

"Jin" chiamò di nuovo, ma senza risposta.

Dalla sua posizione riusciva a vedere che il lavello della cucina era stato tappato. Si affrettò a chiudere l'acqua, ma appena toccata la manopola ritrasse la mano. Era bollente, e lui che aveva camminato in quel lago fino ad adesso, nemmeno se ne era accorto. Un brivido gli percorse la schiena.

Doveva trovare Jin alla svelta.

Velocemente imboccò lo stretto corridoio e si diresse in bagno. La porta era spalancata e la scena che si apriva alla sua vista lo fece ghiacciare.

Il tappeto ai piedi della vasca, quello che aveva sempre odiato perché bianco e sterile, ora era ricoperto di macchie. Nella stanza, aleggiava un lieve odore metallico e la vasca era stracolma d'acqua rossa e densa.

Gocce di sangue erano schizzate ovunque: sulle piastrelle lucide del pavimento, sul tappeto, sulla parete, persino sullo specchio, ovunque. Sul bordo della vasca era stata appoggiata una lametta da barba la cui bordatura era di rosso violaceo insolitamente brillante. Non sapeva perché, ma in tutta quel agglomerato rosso cremisi, la lametta sembrava quasi una nota stonata.

Non ci fu bisogno di entrare a controllare per capire che anche l'acqua della vasca doveva essere bollente.

Cercando di non farsi prendere dal panico alla vista di quella scena, Taehyung deglutì a vuoto. Due, tre, quattro volte. Era una cosa talmente stupida, se ne rendeva conto, ma la vista del sangue lo terrorizzava.

Con mano tremante, afferrò il pomello della porta. I suoi piedi sembrano essersi fusi con il pavimento e ogni passo gli costava una forza sempre più grande. Si richiuse la porta del bagno alle spalle e cercò inutilmente di proseguire.

Cercò di prendere aria, ma nella sua testa la vista di tutto quel sangue denso che galleggiava nell'acqua della vasca non lo lasciava stare. Respirò a fondo, ma ciò nonostante la sensazione di un attacco di panico cominciava a diffondersi dentro di lui.

- Ti prego. Ti prego, no. -

Appoggiò prima le mani e poi la fronte alla porta. Si sforzò di pensare alla consistenza liscia del legno, cercando di metterne a fuoco il colore chiaro e di captare ogni più piccolo suono rimbombasse all'interno del rifugio. Per un attimo, ebbe come la sensazione di poter sentire i rumori di quello che era successo lì dentro; delle urla che avevano riempito quelle stanze prima del suo arrivo. Era come se le sentisse ancora intrappolate tra le mura a rimbalzare da una parete all'altra. Erano assorbite e rigettate via, assorbite e rigettate via, assorbite e rigettate via. Come se tutta la struttura fosse fatta di spugna: nulla poteva essere trattenuto troppo a lungo, ma nulla poteva scappare via per davvero.

Presto però, quella distorsione finì e riuscì a percepire solo il rumore del suo respiro affannato.

Ebbe la sensazione di riflette su quelle cose inutili per pochi minuti, ma probabilmente impiegò un tempo molto più lungo. A volte era come se il suo cervello passasse in modalità slow motion.

Quando fu abbastanza solido da non sentire le sue gambe fuse con il pavimento, cercò di uscire dal rifugio e di andare verso il giardino sul retro.

Probabilmente, se Jin era ancora in casa, si trovava nello scantinato.

Passò nuovamente dalla cucina e spalancò la portafinestra che dava sulla veranda. Di fronte a lui il piccolo giardino di Jin precedeva di poco il fitto bosco.

Il rifugio era un posto sicuro proprio perché isolato. Circondato com'era dagli alberi e dalla foresta, lontano da tutti, garantiva protezione e stabilità. I vicini più prossimi distavano 7 km in direzione sud-ovest. Una distanza ragionevole per non permettere a nessuno di sentire nemmeno un rumorino.

Taehyung aveva ancora le gambe tremanti quando scese i tre gradini che separavano il portico dal prato. L'erba era alta e restava attaccata ai suoi vestiti bagnati mentre, passo dopo passo, avanzava più velocemente che poteva.

Come immaginava, il lucchetto che sigillava lo scantinato era stato tolto e il pesante portone in acciaio era accostato.

Taehyung sollevò la grande porta, lasciando che la luce naturale entrasse ad illuminare le scale interrate che procedevano verso il fondo.

La temperatura sprigionata dal basso era altissima. Sembrava di aver trovato la strada verso l'inverno.

Scese tutti i gradini e quando fu giunto ai piedi della scala una mano gli afferrò il polso.

Se non fosse stato per il forte odore di bosco che Jin si portava sempre dietro, Taehyung si sarebbe certamente messo ad urlare.

Quando i suoi occhi si adattarono alla mancanza di luce, poté vedere la faccia magra di Jin stagliarsi ad un palmo dal suo naso. I capelli neri gli ricadevano sulla fronte lasciando appena visibili le sopracciglia rade. Negli ultimi mesi, il suo taglio era diventato sempre più selvaggio e adesso i capelli risultavano un po' più lunghi sui lati. Gli occhi a mandorla, in genere dolci e gentili, ora sembravano più neri della pece.

Senza dire niente, si portò uno dei suoi indici storti alla bocca e gli intimò di fare piano, poi con un movimento appena accennato del capo indicò l'angolo più buio della stanza.

Lì, accanto alla stufa accesa, erano state ammassate una quantità non calcolata di coperte pesanti. Taehyung non si accorse subito della testa castana che sbucava da quegli strati di lana.

"Si è addormentato mezz'ora fa". Sussurrò Jin prima di lasciargli il polso. Gli diede le spalle e fece qualche passo nella direzione del ragazzo ammantato per poi accucciarsi ai suoi piedi e controllare che stesse bene.

Il cuore di Taehyung prese a battere velocemente. Fu come un lampo a ciel sereno, ma capì subito cosa era successo. Lo capiva, eppure stentava a crederci.

Si ripeteva che non poteva succedere adesso, non a Jungkook.

Deglutì a vuoto. Le sue gambe ripresero a tremare e per un attimo ebbe la sensazione di non riuscire a reggersi in piedi, ma ciò nonostante non cadde al suolo.

"Che cosa è successo?" Trovò infine il coraggio di chiedere. Era una domanda puramente formale, ma aveva bisogno di sentirsi dire come stavano le cose.

Jin fece un respiro profondo prima di dire "Si stava trasformando".

"N-non può essere" balbettò "Non siamo nemmeno ad Ottobre".

"Già". Jin allungò una mano e carezzò piano la testa del ragazzo, come a volerlo cullare lentamente in un sonno senza sogni. "Ma le cose stanno così, se fossi arrivato un'ora fa avresti visto tutto con i tuoi occhi".

Fece una pausa prendendosi un attimo di tempo per sistemargli i capelli, prima di continuare a dire "Sembrava una furia. Non l'ho mai visto trasformarsi così velocemente. Stava cercando di resistere in tutti i modi, ma ha cominciò a tremare e dopo meno di dieci minuti gli sono venute le convulsioni".

"Impossibile, ci vogliono ore per trasformarsi".

"Lo so. Ma questa volta è stato davvero veloce. Le dita si sono ritratte in un lampo e dopo poco sono uscire fuori le zanne. Sembrava come impazzito, come se fosse un animale in gabbia. Alternava momenti di lucidità ad altri in cui non capiva cosa gli stesse succedendo. Continuavo a chiamarlo ma era come se non mi sentisse. Ha distrutto tutto quello che ha trovato, credo tu abbia visto".

"Si, ho visto". Taehyung mandò nuovamente giù a vuoto cercando di non farsi sovrastare dai ricordi. "Ha-Hai provato a metterlo nella vasca?"

"Si, ho provato a riscaldagli il corpo ma non è servito a niente, così ho dovuto ..." Jin si interruppe di colpo come se un nodo gli stesse strozzando la gola.

"Hai dovuto tagliarlo". Concluse Taehyung.

Fu come se quelle parole avessero bruciato l'anima di Jin. La mano che poco prima stava carezzando i capelli di Jungkook, fu ritratta velocemente. Abbassò il capo come se si sentisse colpevole di un crimine orribile e tirò rumorosamente su col naso.

Taehyung gli si avvicinò e gli posò una mano sulla spalla "Hai dovuto, Jin. Non è colpa tua".

"Non capisci. Non è stato un semplice taglio. Gli ho... Gli ho quasi aperto un braccio" la sua voce si fece debole "Io-io continuavo a tagliuzzarlo, ma non riusciva a stare fermo e allora... Allora ho dovuto - ho dovuto andare più in profondità e c'era ... c'era sangue ovunque e-e non sapevo come farlo smettere...". Jin piangeva in silenzio cercando di soffocare i singhiozzi più rumorosi. Il senso di colpa che provava trasudava dal suo corpo.

"Non è colpa tua". Ripeté di nuovo Taehyung, ma la sua voce era poco più di un sussurro. "Hai dovuto farlo. Se non fosse stato per te, ora non sarebbe qui con noi".

"No, no. Non- non capisci, urlava così forte. Era ancora umano. Chiamava il mio nome".

Una morsa si strinse attorno al cuore di Taehyung. Sapeva che cosa stava passando Jin e sapeva cosa aveva passato Jungkook.

Jungkook era diverso dagli altri del branco, odiava essere un lupo, odiava perdere se stesso e scomparire nel bosco. Ogni volta che arrivava il tempo di trasformarsi cercava di reprimere il suo lupo più che poteva. Si forzava, forzava la sua natura in una lotta contro se stesso.

All'inizio cercava di rubare al tempo qualche settimana, poi qualche giorno, e infine poche ore. Le sue trasformazioni erano sempre precoci, e anche quando riusciva a resistere fino a metà autunno, lasciando che fosse Jimin il primo a trasformarsi, non riusciva ad andare oltre. Il suo tempo da lupo era il più lungo di tutti. Riusciva a tornare umano solo a primavera inoltrata, ma sentiva i sintomi della trasformazione anche dopo essere tornato dal bosco. Tremava spesso, anche in pieno maggio, e sembrava sempre sul punto di doversi trasformare di nuovo.

"Lo so che è difficile, ma hai fatto la cosa giusta. Non era il momento per lasciarlo andare, sai quanto sia pericoloso trasformarsi da solo. Avrebbe potuto morire senza un branco".

"Ma con che coraggio potrò di nuovo guardarlo in faccia?"

"Ti perdonerà. Anzi, non credo nemmeno che sia arrabbiato con te. Lo conosci, per lui è importante rimanere umano".

"Gli avrò sicuramente lasciato una cicatrice. Ho provato a ricucirlo ma non è venuto un buon lavoro".

"È un ragazzo forte, non si fa scrupoli per una cicatrice e sicuramente non è la prima che si procura. È sempre stato spericolato".

"Ma se..."

"Jin" lo interruppe Taehyung "datti pace. Hai fatto tutto quello che doveva essere fatto. Nessun altro avrebbe saputo fare di meglio".

Jin si ammutolì. Taehyung sapeva di non averlo convinto con quanto gli avesse detto, ma in ogni caso lui non disse più una parola.

Di fronte a loro Jungkook ebbe un sussulto. Era posto a meno di trenta centimetri dalla stufa e aveva il corpo riporto da coperte, eppure sembrava tremare ancora.

La sua testa si alzò e i suoi occhi assonnati cercarono quelli di Jin.

"Jin" disse.

"Ehi ragazzino".

"Perché stai piangendo?"

"È-è la polvere. Gli scantinati mi mettono allegria". Jin si passò velocemente la manica della camicia sugli occhi, per togliere ogni traccia di pianto. Si stava sforzando di fare finta che niente fosse diverso da prima. Il suo tono di voce era dolce come una cucchiaiata di melassa e il suo sorriso tirato cercava di trasmettere serenità.

Jungkook si guardò intorno spaesato. Mise a fuoco Taehyung e il resto dello scantinato scuro, ma prima che poté effettivamente ricomporre il puzzle di eventi di cui lui stesso era stato protagonista chiese "Perché siamo nello scantinato?"

Il viso di Jin si fece bianco di colpo. Era già stato difficile spiegare quello che era successo a Taehyung, come avrebbe potuto spiegarlo anche a Jungkook?

"Non ricordi niente?" Chiese allora Taehyung in soccorso.

Jungkook scosse la testa.

"Stavi per trasformati così Jin ha dovuto portati qui giù. Fa un caldo del diavolo, non lo senti?"

Il ragazzo scosse nuovamente la testa, ma la sua espressione cambiò di colpo. Nel suo sguardo si fece largo quella sensazione di malinconia che arrivava ogni volta che doveva trasformarsi.

"Hai fatto un bel casino ragazzino. Hai distrutto tutto al rifugio". Proseguì Taehyung.

"D-davvero? M-mi dispiace". Balbettò raggomitolandosi ancora di più tra le coperte.

"Non dispiacerti. Hai finalmente fatto fuori anche quell'orrenda lampada ad uovo, ora possiamo sostituirla con il modellino di guerre stellari in vendita su ebay. Oppure con qualcos'altro".

"La mia povera lampada ad uovo". Borbottò Jin. "Era un pezzo unico del 1930 apparteneva alla madre della madre di mia madre".

"Quella roba aveva più anni di tutti noi messi insieme. Ha fatto il suo corso".

Nonostante Taehyung e Jin si stessero impegnando per non far pesare a Jungkook l'accaduto, il ragazzo riuscì solo ad imbastire un debole sorriso. Probabilmente l'unica cosa che riusciva ad occupare la sua mente era la mancata trasformazione. Anche se non ricordava niente, l'idea che il suo lupo fosse arrivato così presto doveva averlo destabilizzato.

"A proposito, forse è il caso che vada su a sistemare. Ci metterò un po'. Tae resti tu con Kookie vero?"

"Certo".

Quando Jin si richiuse alle spalle la porta dello scantinato, Taehyung si sedette per terra accanto a Jungkook.

Appoggiò la schiena al muro e lasciò che la sua spalla si scontrasse con quella del ragazzo. Jungkook adagiò lentamente la sua testa nell'incavo del collo di Taehyung tirandosi dietro le coperte per coprire anche lui.

Taehyung avrebbe voluto ricordargli che dovevano esserci almeno trentasei gradi in quello scantinato, ma decise di non dire niente. Il corpo del ragazzo era ancora provato dalla trasformazione e non avvertiva la temperatura come lo faceva lui, che invece era stabile nella sua forma umana.

"Mi dispiace Taehyung". Sussurrò Jungkook cercando di nascondere ulteriormente la faccia nell'incavo del suo collo. Era mortificato, lo si capiva dal tono di voce.

"Non dispiacerti Kookie. Sono felice che tu sia ancora con me. Era troppo presto per lasciarti andare".

"Ma ho fatto un casino. Ho distrutto il rifugio e nemmeno me lo ricordo".

"Ah, non è importante. Il rifugio si può sempre sistemare, e poi Jimin ha fatto di peggio in passato".

"Non è vero".

"Dici così solo perché tu non lo conoscevi ancora durante i suoi primi anni. All'inizio non riusciva proprio a controllarsi, ma adesso è migliorato tanto".

Jungkook si ammutolì, tornando a rannicchiarsi nella sua coperta. I suoi grandi occhi da cervo fissavano intensamente le punte delle converse di Taehyung bagnate e sporche d'erba. Nella sua testa doveva esserci un caos infinito di eventi non compresi.

"Come fa Jimin a contenersi? Come riesce a gestire il suo lupo?" chiese infine.

"Non lo so". Ammise Taehyung. Non aveva mai avuto problemi con il suo lupo come succedeva a Jungkook e Jimin. Era sempre l'ultimo a trasformarsi e il primo a tornare umano. Proprio lui che desiderava tanto fuggire via da quella forma.

Forse, più si desiderava una cosa e meno la si poteva avere.

"Io ci provo a resistere, cerco di fare l'impossibile, ma mi batte sempre. È più forte di me. Mi sento così debole". La voce di Jungkook era appena un sussurro.

"Forse è per questo che vince. Perché cerchi di combatterlo e non gli lasci spazio. Se magari capissi come farlo uscire, piano piano, non farebbe tante storie, no?"

Jungkook si ammutolì nuovamente.

Non aveva nemmeno diciassette anni, ma era incredibilmente riflessivo. La vita non era stata giusta con lui. Avrebbe potuto avere tutto, invece si era ritrovato a non avere niente.

"Dovresti provare a chiedere a Jimin. Sarebbe felice di aiutarti".

"Dici?"

Taehyung annuì, poi in un gesto affettuoso alzò una mano e gli scompigliò i capelli. Era proprio un peccato che questa vita fosse toccata a lui.

"Sai" cambiò discorso "Jin si sente un po' in colpa".

"Perché?"

"Ha dovuto tagliarti per tenerti così".

"Oh. Non me ne sono nemmeno accorto". Jungkook si scoprì appena il corpo per cerca i segni del taglio.

Quando rimosse lo strato di coperte anche Taehyung poté vedere la manica stracciata della camicia. I bordi del tessuto lacerato erano sporchi di sangue, ma non fu per quello che dovette distogliere lo sguardo.

Il braccio sinistro era stato ricucito talmente male da sembrare la copia brutta di un salame da affumicamento. La cicatrice era lunga e ampia e si prolungava fino all'avambraccio. I suoi bordi erano frastagliati e qua e là la pelle maciullata non trovava un giusto punto di chiusura.

"Wow. Devo aver fatto qualcosa di terribile".

Taehyung deglutì a vuoto "Non riusciva a farti restare qui. Ha dovuto farlo, capisci?"

"Non sono arrabbiato. Non mi importa di una stupida cicatrice. Non deve nemmeno sentirsi in colpa". Si affrettò a ricacciare il braccio sotto lo strato di coperte e tornò ad appallottolarsi sulla spalla di Taehyung.

"Beh, preparati comunque a mangiare pancake da 'mi-dispiace-di-averti-tagliato' per tutta la settimana". Disse Taehyung cercando di mettere su un sorriso che potesse essere convincente anche per Jungkook.

Trascorsero in silenzio alcuni minuti, ognuno perso nei propri pensieri. Nonostante fosse una situazione assurda, Taehyung non poté non trovare l'intimità di quel momento come un qualcosa di piacevole. Era nei momenti in cui gli altri avevano più bisogno della sua spalla dove poter riposare, che lui si rendeva conto di quanto fosse bello essere vivo.

Considerava Jungkook e Jimin come dei fratelli e Jin come suo padre.

Jin era molto giovane quando l'aveva trovato, eppure non si era tirato indietro e l'aveva preso con sé. Aveva cresciuto prima lui, poi Jimin e infine Jungkook. Ora, dopo undici anni, Taehyung poteva dire di sentire che loro erano una famiglia e Jungkook era il fratellino che aveva bisogno di supporto e sostegno.

"Taehyung" sussurrò Jungkook dopo un po'.

"Si?"

"Mi porteresti a vedere il tramonto?"

La macchina andava piano sul sentiero sterrato. Taehyung aveva accettato di portare Jungkook a guardare il tramonto solo a patto che si portasse dietro tutte le coperte in cui era infagottato e che non uscisse dall'auto. Attorno a loro il bosco era silenzioso.

California Dreamin' dei The Mamas & Papas risuonava a basso volume nell'abitacolo.

Jungkook non lo diceva, ma era emozionato all'idea di aspettare il tramonto. Taehyung sapeva che i colori del cielo gli piacevano e gli davano serenità. A volte Jungkook lasciava trapelare ancora quegli istinti da bambino che lo rendevano adorabile.

Taehyung procedette sullo sterrato per diversi chilometri dirigendosi al laghetto artificiale al centro del bosco.

In primavera, quel luogo era magico. I giunchi seguivano il soffiare del vento, e se si era fortunati, qualche volta si poteva trovare le ninfee a riempire la superficie dello stagno. I colori del tramonto si rispecchiavano nell'acqua, e per un magico attimo si finiva a pensare che la vita potesse durare in eterno. Ma quella era una magia limitata ai primi giorni di aprile, quando non c'era troppo caldo, poi tutto spariva.

Durante quel periodo, Jungkook non era mai umano.

Taehyung si domandava se il ragazzo avesse mai visto lo stagno fatato dei suoi ricordi o se godeva solo della vista che offriva in estate, quando ce lo portava lui.

Sterzò a destra e con qualche sobbalzo arrivò finalmente in prossimità dello stagno. Qualcuno, non sapeva bene chi, aveva creato una piazzola, larga abbastanza per poter permettere ad una macchina di parcheggiare e di riuscire a vedere tutto lo specchio d'acqua circondato dagli alberi.

Mancava poco meno di mezz'ora al tramonto. Benché fossero arrivati, non spense il motore in modo che il riscaldamento potesse continuare a diffondersi nell'abitacolo.

"Era da tanto che non venivamo a vedere il tramonto". Disse Jungkook.

"È vero. Sarà passato un anno. L'ultima volta che ci siamo stati era prima dell'incidente di Jimin".

L'estate scorsa Jimin si era rotto un braccio ed era finito all'ospedale. Benché non fosse stato un incidente molto grave, si erano preoccupati tutti per il suo recupero ed erano diventati iperprotettivi. Pensandoci a posteriori, quell'incidente non aveva fatto altro che accrescere spropositatamente il suo bisogno di attenzione. Jimin si era ritrovato ad essere al centro del loro mondo per più di un mese, un mese nel quale gli era stato permesso di fare di tutto.

"Chissà come starà adesso. L'hai sentito?" Chiese Jungkook.

"Si, mi ha mandato un messaggio stamattina. Una volta varcata la frontiera ha avuto difficoltà a trovare un aggancio che potesse portarlo da lui. Ora crede di essere sulla giusta pista, ma è preoccupato che possa essere difficile convincerlo a venire da noi. Non lo biasimo, ma Jimin ha dei metodi persuasivi molto efficaci, quindi direi che sono tranquillo".

"Fa freddo in Canada?" Jungkook fece la domanda che faceva sempre. Il freddo era l'elemento che condizionava la sua vita.

"Non tanto. È estate anche da loro".

Il ragazzo allungò una mano verso la manopola della radio per alzare un pochino il volume, e contemporaneamente disse "Non glielo dire quando torna, però mi manca." Sussurrò appena.

Jungkook si vergognava un po' ad esprimere i suoi sentimenti, ma si sforzava sempre di farlo. Magari cercava di nasconderli appena, come aveva fatto in quel momento, ma in fondo bastava guardare i suoi grandi occhi da cervo per capire quello che provava.

"Tornerà presto. Altre due settimane e ce lo ritroveremo a ballare per il rifugio in mutande, come sempre".

Jungkook sorrise.

Il sole stava cominciando a calare.

"Sai Tae, ho sempre creduto che ogni singolo giorno avesse almeno due momenti che valessero la pena di essere vissuti. Il tramonto è uno di quelli".

"E l'altro qual è?"

"L'altro è l'alba".

Taehyung si girò a guardarlo "Per quale motivo?"

"Perché sono l'inizio e la fine di tutto. Sono l'unica luce e l'unico calore che danno senso al tuo tempo, non trovi?"

"E che ne è del resto della giornata?"

"Il resto della giornata è solo un proseguimento dell'inizio e un'anticipazione della fine".

Taehyung rise "Cos'hai mangiato a colazione stamattina? Bacon e filosofia?"

"Non ricordo cosa ho mangiato stamattina, ma sono sicuro che questo tramonto è del colore del tuorlo d'uovo". Gli occhi di Jungkook già stavano andando oltre l'orizzonte. Oltre lo stagno e il bosco, oltre quello che c'era dopo. La sua mente era persa altrove, da qualche altra parte. Forse era ferma alla trasformazione mancata, forse era concentrata solo sulla bellezza di quel tramonto.

Taehyung allungò una mano per stringere quella del fratello.

"Tae, se questo fosse l'ultimo momento della mia vita, sarei felice di essere con te".






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Ciao,
è la prima volta che scrivo qualcosa. Probabilmente sarà una storia insolita, ma vediamo cosa ne esce fuori.
Non aggiornerò con molta frequenza, anzi sarò un po' lenta perché non ho nulla di scritto e dunque procederò pian piano. Spero possa piacervi e intrattenervi un po'. 

Stay healthy

Biscotti_panati

 

P.S. Questo capitolo è stato revisionato. Spero non ci siano errori di battitura. Nel caso, scusatemi, ma il mio cervello è fuso e non riesce più a vederli!! 

 

   
 
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