Crossover
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Autore: Registe    29/08/2020    3 recensioni
Quarta storia della serie "Il Ramingo e lo Stregone".
La guerra tra l'Impero Galattico e la famiglia demoniaca si è conclusa, ma non senza un costo. Vi è una cicatrice profonda che attraversa mondi e persone, le cambia, rimane indelebile a marchiare i frammenti di tutti coloro che hanno la fortuna di essere ancora vivi. Qualcuno decide che è il momento giusto per partire, cercare di recuperare qualcuno che si è perso. Qualcuno decide di dimenticare tutto e lasciarsi il passato alle spalle.
Qualcun altro decide invece di raccogliere i frammenti di una vita intera e metterli di nuovo insieme, forse nella speranza che lo specchio rifletta qualcosa di diverso.
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Film, Libri, Videogiochi
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Ramingo e lo Stregone'
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Capitolo 8 - Mille volti







Jango Fett








“Scommetto che non avevi mai visto una cosa simile!”
Boba, il figlio di Jango, sembrava un vulcano di Mustafaar in piena eruzione. Camminava avanti e indietro per il corridoio, fermandosi solo per girarsi e chiamarla.
Assumere l’aspetto di un kaminoano si era dimostrato più complesso del previsto; le gambe lunghissime e sottili sfidavano qualsiasi anatomia che conoscesse, e muovere un passo dopo l’altro senza sembrare ridicola richiedeva una pratica che non aveva avuto il tempo di padroneggiare. Sospettava che nell’edificio vi fosse una gravità leggermente aumentata, ma tenne le proprie lamentele per sé. La vasca di bacta aveva fatto miracoli, ed erano bastate poche ore di immersione per sentire il ginocchio sinistro tornare come nuovo; non appena era uscita dal settore medico si era ritrovata il ragazzo sulla porta con un sorriso strano e la richiesta di venire con lui intanto che suo padre finiva di parlare con nemmeno lei aveva ben capito chi.
La sopraelevata mozzava il fiato. I corridoi bianchi erano enormi ed avrebbero potuto ospitare almeno una decina di kaminoani uno vicino all’altro, anche se incontrarono solo un paio di questi nel corso del loro tragitto; la struttura si articolava su una decina di livelli connessi tra loro da ascensori che non mandavano il minimo rumore, e nonostante dalle vetrate si potesse ammirare la furia dell’oceano all’interno di quel luogo non si udiva nemmeno il più piccolo muggito. L’unico suono era quello dei loro passi ed il ronzio di qualche droide sonda che levitava lungo i corridoi.
I comandi delle pulsantiere non erano scritti in Basic, e si sarebbe persa mille ed una volta se non fosse stato per Boba, che si muoveva tra quei livelli con estrema naturalezza. Presero un ascensore che li fece scendere di un paio di livelli, ma gli ambienti le sembravano davvero tutti uguali; si chiese se alcune aree potessero essere interdette agli intrusi come lei, ma il ragazzo si spostava senza codici ID o tessere a scansione, dunque per gli abitanti del posto quella zona non era da considerarsi off-limits. Se vi erano delle olocamere, non riuscì a vederle.
Arrivarono in una zona dove una decina di kaminoani stavano osservando degli schermi; ancora una volta Zam rimase sorpresa dal mancato uso del Basic, ma la sua attenzione venne di nuovo risucchiata dal piccolo Boba, che le prese la mano e la condusse verso una piattaforma a repulsione. Sebbene il ragazzo fosse l’unico umano incontrato fino a quel momento, la donna notò che nessuno degli abitanti del posto rivolgeva a loro o agli altri presenti più di uno sguardo fugace. Molto riservati, pensò.
La scena che si presentò sotto di loro, però, le fece dimenticare immediatamente tutto quello a cui aveva assistito.
Più di trecento uomini erano radunati in file perfette, con indosso delle armature bianche. Si muovevano all’unisono, come una sola persona, più coordinati di qualsiasi soldato Zam avesse mai incontrato; su due file erano disposti degli schermi olografici con delle figure, tra cui riconobbe anche un muunyak di Jelucan, che apparivano in movimento, quasi fossero ripresi da una olocamera. Gli uomini erano disposti in file da dieci persone, armati di un modello di blaster leggero che da quella distanza non riconobbe, e presero a sparare. Iniziarono all’unisono, senza in apparenza alcuna luce o segnale acustico ad avvisarli: spararono precisamente tre colpi ciascuno, poi con un gesto fulmineo passarono il blaster ai compagni sulla fila posteriore e si chinarono, per far colpire agli altri i bersagli. Dove i colpi delle armi esplodevano gli schermi simulavano delle esplosioni o delle bruciature sulle bestie, ma non furono quei simulatori dettagliati ad attrarla.
Aveva combattuto anche lei per anni nelle scuole mabari, ma una tale sincronia era tanto perfetta da suonarle irreale. Sapeva che in alcune accademie militari erano richieste capacità di combattimento in squadra più elevate rispetto alla media, ma qualcosa in quegli uomini le ricordò i droidi.
Le file continuavano a sparare. Le ultime si trovavano ad una distanza considerevole dal bersaglio, ma facevano fuoco con gli stessi movimenti fluidi, senza fermarsi per prendere la mira; le parve di assistere ad un unico, fluido movimento sparso per tutta la lunghezza del plotone, quasi come un’onda di braccia ed armi. Girò lo sguardo, e vide che sopra l’olografia erano comparsi dei dati: pur non capendo con esattezza a cosa si riferissero, ne dedusse che si trattasse di qualche sorta di punteggio per l’esercitazione, eppure nessuno degli uomini degnò lo schermo neppure per un istante, limitandosi ad alzarsi in piedi e cedere il posto ad una seconda unità che uscì da un portone scorrevole.
Ma la cosa che le fece davvero correre un brivido lungo la schiena fu che, guardandoli ancora meglio, i volti di quegli uomini erano tutti uguali.
All’inizio pensò ad un’allucinazione, ma il sorriso estatico dipinto sulla faccia di Boba le fece capire che era proprio per quel motivo che il ragazzo l’aveva condotta lì. “Sono fantastici, vero?”
Zam li osservò ancora, mentre il secondo plotone prendeva il posto di quello precedente nella medesima posizione e iniziarono a sparare ai bersagli; avevano gli stessi visi, le stesse espressioni. Lo stesso sguardo scuro puntato sugli obiettivi.
“Impressionanti …” mormorò.
“Nulla che possa superare l’originale, a mio parere”.
Zam e Boba si voltarono all’unisono, e la figura di Jango apparve dalla direzione opposta da cui erano arrivati. Entrambi smontarono dalla piattaforma e si avvicinarono a lui. Era ancora coperto dalla testa ai piedi con la sua armatura anche all’interno della struttura; chinò leggermente la testa nella sua direzione per farle capire che aveva notato la sua trasformazione. “Ovvio che no, pa’. Assolutamente” fece Boba, perdendo qualsiasi interesse nello spettacolo sotto di loro.
La donna notò che alcuni kaminoani si erano voltati in direzione di Jango, pur senza proferire parola. Si scansò, dritta ed impettita come loro, per evitare di attirare ulteriormente l’attenzione e seguì l’uomo attraverso i lunghi corridoi, facendosi guidare verso una distesa di sopraelevate. Boba le prese ancora una volta la mano e deviò il loro percorso per indicarle tre intere pareti incastonate da capsule non più grandi di un suo braccio piene di un liquido verde-azzurro, dove dei droidi fluttuavano ed applicavano delle scansioni.
E, per quanto non fosse un’esperta in maniera, il contenuto di quelle capsule erano chiaramente dei feti umani.
“Qui è dove li producono!” disse il ragazzo, puntando il dito verso una delle pareti. Agli angoli di quella stanza noto delle gigantesche tubature trasparenti che salivano verso il soffitto e diramavano conduttori minori ad ogni fila di contenitori, pompandone all’interno un liquido grigiastro. Nella stanza un kaminoano fluttuava su una piattaforma, pad alla mano. Boba doveva aver seguito i suoi occhi, ed indicò il condotto principale. “Quello è il t’yau. Il nettare della crescita. Altrimenti ci metterebbero una vita a diventare adulti, no?”
“Suppongo che la nostra ospite non abbia mai visto uno stabilimento di clonazione, Boba”.
Zam si trovò a deglutire a secco. Vi era qualcosa di disturbante in ciò che aveva sotto gli occhi. “No … Ammetto di no”.
Sapeva che su diversi pianeti dell’Orlo Intermedio si praticava stabilmente la clonazione di piante ed animali per sopperire al fabbisogno della popolazione dei pianeti e di varie colonie orbitanti, ed anche che spesso i prodotti venissero manipolati geneticamente tanto da avere ben poco in comune con gli originali. Ma quelli … erano esseri umani. E se si stavano esercitando con i blaster con delle armature addosso era chiaro che il loro scopo fosse solo …
Fu grata quando un ascensore li portò all’esterno. L’aria ed il vento freddi furono come uno schiaffo in faccia, e dopo qualche passo di distanza si lasciò dietro quel corpo affusolato e riprese la sua forma; alzò il viso verso l’alto e trasse sollievo quando sentì la pioggia bagnarla con tutta la violenza possibile. Per un attimo chiuse le palpebre, ma vi erano ancora le immagini di quegli embrioni in batteria. Le nuvole di Kamino erano così dense e scure da impedirle di vedere il cielo, ma era un quadro ben migliore di quello stabilimento bianco.
“Boba, vai a prendere i kit da pesca. Ci vediamo tra mezz’ora sul molo 565”.
“Viene anche Zam?”
“Tu vai”.
Sentì la porta scorrevole chiudersi alle loro spalle, seguita dai passi del cacciatore di taglie diretti verso di lei. “Perdona la sua esuberanza. Sei la prima donna che vede. A parte le kaminoane, s’intende”.
Lei scrollò le spalle, ma rimase a contemplare il cielo. La pioggia spazzava via qualsiasi luce sopra l’oceano, eppure alcune creature che non aveva mai visto prima battevano le gigantesche ali incuranti della violenza degli elementi; si muovevano solitarie, ed alcune scendevano in picchiata tra i flutti e ne riemergevano con qualcosa nel becco, ogni singola piuma ed ala del corpo impegnate a resistere ai venti ed alle onde. Se ne avesse mai avuta l’occasione, le sarebbe piaciuto trasformarsi in uno di quegli esseri e buttare i ricordi degli ultimi giorni nei gorghi neri. Spiegare le ali e sparire.
Lui le venne vicino, muovendo i passi ancora in avanti fino a raggiungere l’estremità del piazzale. Era uno spazio grande abbastanza per ospitare due speederbike, forse solo un’area accessoria, ma come il molo dava a strapiombo sull’oceano senza alcuna ringhiera di protezione; Fett si portò lungo il bordo, incurante del metallo scivoloso sotto i suoi stivali o delle raffiche di vento che avrebbero potuto sbalzarlo al di sotto, armatura o meno. Gli si avvicinò, titubante ma allo stesso tempo rapita dal disegno che i fulmini tracciavano all’orizzonte. “La prima volta vedere le vasche di clonazione fa un certo effetto a tutti. Poi ci si abitua”.
“Non credo che potrei mai riuscirci”.
“Dipende solo da quanto ti pagano”.
Già, dimenticavo con chi sto parlando … pensò tra sé.
Sotto il casco, l’uomo non aveva una faccia, e in quel momento ne fu quasi felice. Le avrebbe evitato di vedere cose che non le sarebbero piaciute. “I cloni soldato sono molto più creativi e versatili delle macchine, anche se si fa prima a pensare a loro come dei droidi”.
“I crediti comprano la coscienza molto in fretta, Mando?”
Qualche luce dietro il sensore plineale del casco si accese. Lui non mosse il collo, ma sapeva che senza alcun dubbio i sensori di rotazione fossero puntati su di lei. “I crediti vanno e vengono. Ma i kaminoani possono offrire molto più dei soldi”.
“A parte la pioggia ed i cloni non mi pare abbiano altro. E non mi sembra che tu vada matto per la pioggia”.
“Appunto”.
La pioggia batteva sull’armatura, e gli schizzi le rimbalzarono addosso. “Voi clawditi dovreste pensarci su. Siete rimasti in pochi, e ti assicuro che davanti ai crediti non c’è nessuno più discreto dei kaminoani”.
Le occorsero diversi secondi per capire cosa davvero le stesse dicendo quell’uomo. E, quando ne prese coscienza, per la seconda volta un brivido freddo le prese la schiena.
Era chiaro che il cacciatore sapesse quanto fossero rare le loro nascite; pochissime, la maggior parte abortite o incapaci di sopravvivere ai primi anni di vita. Ricordava che al tempio mabari dicevano che fossero stati gli umani di Zolan ad aver cambiato l’aria del pianeta con le loro centrali ed i reattori, e quante storie venivano sibilate tra di loro con rabbia. Ognuno di loro sapeva di essere fortunato.
I clawditi nati morti erano da secoli superiori a quelli nati vivi, e la caccia aveva fatto il resto. Zam sapeva di rarissimi casi di ibridi con altre razze, ma per la maggior parte di loro si trattava di stupide fantasie senza un briciolo di raziocinio; tanti parlavano di danni nel loro codice genetico dovuto alla capacità di alterare il proprio aspetto, ma di quella parte non se ne era mai curata. Anche se l’idea di vedere il proprio viso replicato all’infinito su dei soldati poteva definirsi soltanto con un aggettivo: aberrante.
Scacciò il pensiero tornando al discorso precedente. “Dunque hai chiesto ai kaminoani un clone?”
“Certamente. Il migliore che avessero” disse “Mi pagano per fornire il DNA di quelle truppe. Uno solo me lo sarò guadagnato, no?”
Anche attraverso il casco sentì la sua voce cambiare. Un tono caldo, quasi … personale. Era certa che sotto quella maschera l’uomo stesse sorridendo.
Boba.
Il ragazzo.
Rivide come un guizzo il suo sorriso mentre osservava dall’alto l’esercito di cloni che si addestravano, o i feti nutriti dal nettare della crescita; ripensò ai soldati con i suoi stessi capelli scuri e la pelle color del bronzo, ed ancora una volta all’entusiasmo così strano in un ragazzo di quell’età.
Non disse nulla, e fu grata ad un tuono di interrompere il flusso della sua mente.
Poi Fett fece un gesto lento, e con la mano destra armeggiò sotto il casco. Sentì il rumore di qualcosa che si sganciava, e l’attimo successivo Zam si ritrovò a fissare il Mandaloriano dritto negli occhi.
Era più grande dei cloni nel cortile d’addestramento, ma più imponente. L’unica somiglianza con i soldati erano i corti capelli neri, ma sul suo viso una barba di qualche giorno e gli occhi segnati mostravano … vita. Una sottile cicatrice gli attraversava il viso all’altezza dell’occhio sinistro, e lo sguardo puntato su di lei non tradiva una certa curiosità. Gli avrebbe attribuito forse una quarantina d’anni, ma era negata ad assegnare l’età agli esseri umani. Non era senza dubbio un uomo che avrebbe potuto definire “bello”, ma le donne non gli sarebbero di certo mancate, specie con tutti i soldi fatti sulla pelle altrui. Eppure aveva scelto un clone come figlio, e in quel viso bagnato dalla pioggia vide il volto del giovane Boba tra qualche anno.
“Te l’ho detto, ci si abitua” disse lui, sollevando il labbro.
Zam non disse nulla.
In fondo, sorrise tra sé, non aveva molto altro da dire.
Jango Fett aveva un figlio, e lei no.
Discorso finito.
“Da quel che so, voi Mandaloriani non vi levate l’elmo solo per compiacere una donna” fece. Il  modo in cui l’altro contrasse la fronte le fece capire che le dicerie che giravano su quei guerrieri avevano più di un fondo di verità. “Che ti serve, Fett?”
“Ho contattato il Vigo Antonin. Ha preso questa storia meglio del previsto. O comunque, è disposto a chiudere un occhio … fece “… in cambio di qualcos’altro, ovviamente”.
“Vieni al punto. Hai detto che sono libera, giusto? Per quel che mi riguarda, il Vigo è affar tuo”.
“Non mi rimangio la parola. Ma pensavo che avresti potuto aiutarmi”.
Aveva uno sguardo serio, ma allo stesso tempo incuriosito.
“Fett, hai sbagliato persona. Non uccido per soldi”.
Non che avesse pensato a cosa fare una volta lontana da quel pianeta; ricominciare da un’altra parte, senza alcun dubbio, ma qualsiasi progetto futuro non avrebbe mai incluso ridursi ad un’arma a pagamento. Specie quando vi erano delle persone interessate nel migliore dei casi a vederla nella septoldeide.
Per il momento l’unica cosa cui riuscisse a pensare era lasciarsi dietro tutto ciò che aveva dovuto vedere nel corso delle ultime settimane, poi dei crediti li avrebbe comunque trovati. Lui si scrollò le spalle con fare noncurante, poi indossò di nuovo il casco. “Un vero peccato. Per entrare nel palazzo di Dreddon de Hutt dovrò comunque assoldare un partner. Per quella grossa larva credo che ci vorrà qualcosa di più consistente del mio armamentario”.
Lei lo fissò mentre una folata di vento più forte delle altre non ricoprì d’acqua l’armatura di Beskal. Nonostante fosse bagnata fino alle ossa, si ritrovò a sorridere sotto la tempesta, sicura che lui potesse vederla anche mentre le dava le spalle.
“Te lo concedo, Fett, sai come sedurre una donna”.
 
Narratore: “Registe … non per essere pesante ma … quanto dura questa storia?”
Registe: “Non chiedere. Potremmo risponderti”.
Narratore: “Voi sapete che avete già sforato il numero di flashback a disposizione? E perché ci sono quei fogli extra inseriti nel copione come sottilette dentro un hamburger?”
Registe: “…”
Narratore: “… fingerò di non aver visto …”
 
 
 




Secondo i file che Zexion si era studiato nel viaggio di andata, i rapporti tra Naboo e la sua colonia mineraria sulla luna di Onoam erano sempre stati difficili. Anche prima dell’ascesa dell’Impero i minatori erano entrati diverse volte in sciopero per rivendicare una quota maggiore dei guadagni, e alcune frange più radicali si erano persino spinte a commettere piccoli atti di violenza politica come rompere finestre e scudi di sicurezza di alcuni magazzini di proprietà dei membri del Consiglio Regale. I rapporti erano stati gestiti con discreta tranquillità per oltre dieci anni da Sio Bibble, uno dei più anziani esponenti del Consiglio e deputato alla gestione delle colonie, ma da quando il vecchio consigliere si era ritirato a vita privata la situazione era degenerata. L’Imperatore aveva destinato molti fondi al prestigio di Naboo, il suo pianeta d’origine, ma non aveva mostrato alcun interesse per i lavoratori e gli abitanti della sua stessa luna.
Se un tempo i minatori di Onoam rivendicavano un trattamento più equo e maggiori utili di profitto, adesso le loro proteste richiedevano soltanto un trattamento più umano.
Zexion si avvolse nella tunica scura che gli avevano fornito per la missione. Aveva cercato di spiegare all’agente 169 che non era l’uomo più adatto per svolgere quel compito, ma l’uomo era stato perentorio e non aveva voluto sentire spiegazioni in cui la parola magia fosse presente.
L’idea di scendere sottoterra gli stringeva il petto ancora prima di scendere dall’hovercraft: al Castello dell’Oblio Xaldin lo aveva addestrato da quando riusciva a ricordare a padroneggiare l’elemento dell’aria, a piegare il vento alle sue necessità. Il blocco elementale che il Superiore gli aveva apposto anni prima era ancora attivo, rendendolo capace di controllare soltanto quell’elemento seppure in maniera migliore rispetto ad altri incantatori dell’Amn; col piccolo problema, però, che tutti i luoghi dove non vi fosse un’areazione sufficiente avevano sul suo fisico effetti spiacevoli. Come se gli odori non fossero bastati.
Una volta giunto, il convoglio ESPL6 iniziò a scaricare il suo contenuto. Gli uomini si attenevano alle istruzioni, ed i pesanti macchinari imballati vennero fatti scendere in pochi minuti; Zexion sapeva di essere atteso, e decise di dare un taglio a quella missione avvicinandosi agli ingresso delle miniere.
I droidi di sorveglianza erano un modello molto vecchio, e mandarono un rumore metallico fastidioso durante la scansione dei suoi documenti.
Ienzo Whiteflame. Autentificazione confermata” fece la macchina, accendendo una luce verde sul petto “Lei è atteso. Da questa parte”.
Zexion sospirò. I documenti imperiali erano perfetti, e di certo quella sorveglianza antiquata non avrebbe mai potuto competere con i sistemi di sicurezza dei Servizi.
Salì con il droide sul montacarichi insieme alla prima parte dell’attrezzatura ed iniziò la discesa: dopo qualche livello la luce dell’ingresso scomparve, sostituita da quella di alcune lampade del tutto insufficienti, a suo giudizio, per lavorare. Sebbene la vista non fosse mai stato il senso su cui il ragazzo facesse più affidamento, la scarsa illuminazione unita alla poca ossigenazione ed alla presenza di polveri pesanti gli fece girare la testa. Tossì diverse volte.
Non era un ambiente salubre per nessuno, ma Zexion sapeva che in numerose attività si cercava di ridurre il numero di droidi rispetto al personale umano. Molte strutture dichiaravano che preferivano fornire un salario ai cittadini piuttosto che lasciarli senza lavoro, ma la verità era che in strutture come quelle di Onoam, dove si estraevano materiali industriali da raffinare molto richiesti, era facile manomettere dei droidi o riprogrammarli per contrabbandare quantità sufficienti per soddisfare altri acquirenti … meno legali. Le miniere di Kessel avevano subito diversi ammanchi di materiale dovuti ad azioni di sabotaggio ribelle dei loro droidi, ed avevano reagito aumentando a dismisura la sicurezza e lasciando le delicate attività di estrazione e di stoccaggio dei prodotti a personale umano.
Soltanto che a Kessel la schiavitù era considerata legale, e l’Impero aveva svuotato lì la maggior parte delle proprie carceri.
Su Onoam i minatori erano ancora liberi, ma Zexion si chiese quanto ancora la farsa dell’Imperatore sarebbe durata. Era ovvio che nel pianeta in cui godeva di maggior popolarità nessuno avrebbe mai calpestato pubblicamente i diritti umani di cui il pianeta si faceva da sempre portavoce, ma quella luna era lontana dalla capitale e molte cose sarebbero potute cambiare. Se i droidi potevano essere riprogrammati, dopotutto, gli esseri umani potevano provare sensazioni ben più pericolose di banali guasti. Potevano riunirsi, lamentarsi … pensare. Ed era per quel motivo che avevano inviato lui.
Quando finalmente toccarono il livello più profondo trovò un gruppetto di minatori ad aspettarlo. Un paio di assaltatori giravano di pattuglia, ma non appena lui uscì dal montacarichi parlarono con uno dei lavoratori e si allontanarono in un tunnel.
Una donna alta ed energica, dai capelli castani in disordine, uscì dal gruppo. “Sono Gea Oganae, rappresentate delegato dei minatori. Felice di incontrarla, signor Whiteflame. A dire la verità, non pensavo che qualcuno si sarebbe ricordato di noi”.
L’aria era tersa, ed il ragazzo si accorse di avere difficoltà a leggere gli odori. Poteva percepire un misto di astio, amarezza, delusione in quelle persone … ma anche un leggero sollievo per ciò che la sua presenza rappresentava. Ma erano caotici, frammentati, e gli sembrava che si muovessero dentro le sue narici. Gea Oganae gli venne vicino, prese una cassa metallica e gliela avvicinò. “Prima volta sottoterra?”
“Ammetto che … ammetto che mi manchi un po’ d’aria, sì”.
Grazie al cielo il suo malessere poteva essere interpretato in ben altri modi. Un uomo emerse dal gruppo e gli passò una borraccia d’acqua; Zexion si sarebbe evitato ben volentieri di bere da lì e prendersi chissà quali malattie, ma aveva un ruolo da ricoprire e quindi con un’espressione riconoscente la mandò giù tutta d’un sorso. Diede la mano alla delegata, e per poco quella non gliela stritolò. “Chiamatemi solo Ienzo, per favore. Niente formalità”.
“Così mi piaci, ragazzo. E come vedrai qui sotto si bada al sodo. Quindi la MinoTech ha deciso di ricordarsi delle nostre preghiere?”
“Non sarei qui, altrimenti”
Lei lo squadrò, per poi fissare un secondo montacarichi che scendeva con altro materiale imballato. “Dopo sette anni … pensavamo che avreste buttato le nostre richieste nel cesso!”
Zexion sospirò. Da quello che sapeva la MinoTech probabilmente trattava le richieste di aiuti umanitari e di beni di prima necessità a titolo gratuito con la stessa nonchalance con cui il governatore Tarkin faceva terminare chiunque osasse esprimere apertamente il proprio dissenso, ma era una cosa che quegli uomini non potevano sapere. Era una fortuna che i Servizi Segreti possedessero un archivio completo di tutte le richieste umanitarie o di soccorso fatte dai vari pianeti, ed era ancora più una fortuna che una di esse fosse venuta proprio dalle miniere di Onoam.
“Sono solo un inviato, signora. La politica aziendale non è di mia competenza, ma sono contento che i nostri prodotti possano esservi utili” disse. “Vi abbiamo inviato forniture per oltre mille minatori: cinture di sicurezza, maschere atmosferiche, filtratori d’aria, campi energetici portatili anticaduta e qualche altra cosa che potrebbe esservi utile. Forse non sono gli ultimi modelli sul mercato, ma giacevano nei nostri magazzini e la MinoTech ha ritenuto più opportuno regalarli a voi”.
Non occorrevano i suoi poteri per leggere la gioia sul viso dei lavoratori. Quando l’ultimo carico venne portato sottoterra un paio di loro si stacco dalla delegazione e si avvicinò titubante alle casse; Gea gli scoccò un’occhiata, e ad un cenno di assenso di Zexion gli uomini iniziarono a rimuovere gli imballaggi dalle casse con fare trepidante. Uno ad uno si avvicinarono tutti i membri del comitato di benvenuto, raggianti, e quando i droidi rimossero i sigilli ci furono delle grida di giubilo che si propagarono per tutto il settore quando le prime cinture di sicurezza, ancora avvolte negli imballaggi, vennero tirate fuori.
“Non avete idea di quanto possiamo esservi grati, Ienzo” fece Gea. “Non avete idea dell’inferno che c’è qua sotto”.
Il ragazzo capì che la parte più delicata della sua missione era appena iniziata. “La questione mi meraviglia, signora Gea. Queste miniere sono una delle principali fonti di reddito di Onoam, credevo che i rappresentanti dell’Impero tenessero in … considerazione la vostra attività” disse, scandendo bene le parole. Gli odori della sua interlocutrice gli giungevano confusi. “Non vengono stanziati dei fondi dalla capitale?”
“Gli unici fondi che arrivano da Theed, ragazzo, sono quelli che il governatore Saruman ha destinato alla creazione delle sue terme personali. Tre mesi fa una sua ordinanza ha sospeso la retribuzione di qualsiasi straordinario ed ha aumentato le ore di lavoro ed i turni notturni; abbiamo scavato persino il giorno dell’anniversario della Fondazione” fece, scoccando un’occhiata severa verso alcuni minatori che erano usciti dai tunnel per recarsi ad assistere all’arrivo dei materiali. Degli assaltatori li rimandarono indietro con i blaster puntati e quelli furono costretti ad arretrare, ma al ragazzo non sfuggì l’odore euforico che veniva dagli astanti. “Non avremmo mai chiesto l’elemosina alla MinoTech se non fossimo al limite”.
“Avete ricevuto altri aiuti?”
Si voltò mentre pronunciava quella domanda, osservando le casse come se si fosse trattato di un argomento di poca importanza. Nonostante le polveri gli bruciassero nei polmoni, gli giunse comunque il tocco dei pensieri della rappresentante.
“Non di questo genere”.
E capì che la missione non sarebbe stata invano.
  
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