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Autore: T612    30/08/2020    1 recensioni
L'unica cosa che desidera Kobik è avere una "vita normale": purtroppo tale definizione non tiene conto di una Zarina come madre, un Soldato attaccabrighe come padre ed una intera famiglia adottiva di casi umani.
[What if? - WinterWidow + Kobik]
Genere: Angst, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James ’Bucky’ Barnes, Natasha Romanoff/Vedova Nera
Note: AU, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'M.T.U. (Marvel T612 Universe)'
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Codice VERDE
Protocollo:
Bimba iperattiva
Missione: Gatto randagio
Status: (finalmente) conclusa




 

«Sto bene, ora

«Quindi?» chiede James con un sorriso saccente e l'indole di chi, al momento, non importava di lasciarsi alle spalle un'orfana per mano di una Vedova irritante e molto più scorbutica di quella che aveva scelto di sposarsi. «Tasha ha chiesto di me, Yelena. E Stryker è mio, fine della discussione.»

«Non esiste che mi tagli fuori, Barnes.» insiste la bionda, avanzando di un passo minacciosa nonostante le mancassero almeno venti centimetri in altezza per risultare anche intimidatoria. «Sai meglio di me che è un lavoro per minimo tre persone, non di certo due. Ed ora come ora, Stryker è un problema mio tanto quanto è vostro

A detta di sua madre, zia Yelena quando si intestardiva su qualcosa diventava peggio di un dobermann al quale veniva sottratto l'osso… ormai era questione di attimi prima che si lanciasse ad azzannare James alla gola e, semplicemente, Kobik non voleva assistere quando la cosa si sarebbe verificata – dati i presupposti un cedimento da parte di suo padre era pressoché utopico, ma la Belova poteva ancora sperare in un compromesso se sapeva giocare bene le proprie carte e premere i tasti giusti, anche se ciò che preoccupava davvero la bambina era il fatto che entrambi mantenessero il tono di voce calmo e pacato. Kobik preferiva le urla, almeno in quel caso sapeva cosa doveva aspettarsi. 

Era da mezz'ora ormai che i due tiravano avanti quel teatrino di "sì" e "no" scandito dalla condivisione di dati, James aveva convocato Yelena al terzo piano appena Natasha gli aveva riattaccato il telefono in faccia, accogliendola con un cipiglio irrequieto a solcargli il volto ed una richiesta di babysitting sulla punta della lingua, vedendo i propri piani andare in fumo quando la piccola siberiana aveva allungato le mani in direzione della foto di Stryker saltando i convenevoli e chiedendo per quanto fosse prevista la loro partenza – James ci aveva seriamente provato a dissuaderla, ma perfino Kobik non poteva dare torto alla zia quando affermava di essersi guadagnata la partecipazione alla disputa già per via del suo viaggetto in orbita per conto di Hill, riordinando i documenti ceduti da Fury e recapitati nell'ufficio del cognato quella mattina stessa. Yelena voleva partecipare alla caccia e James non poteva portargliela via, la consapevolezza di avere il proprio sangue sul tavolo delle trattative e il dovere di badare all'incolumità della sorella, che in quel preciso istante si trovava in Illinois a risolvere gli errori dell'idiota che si trovava di fronte, erano dei meri incentivi. 

«Tu non conosci Stryker, Yelena.» rincara la dose James, ancora intestardito a non cedere di nemmeno un millimetro dalla propria posizione. 

«Ma conosco Logan, Natasha e te… e dei tre mi sembra che solo il primo sia passato per il suo tavolo operatorio, o sbaglio?» ribadisce piccata la donna, sottolineando la propria posizione paritaria nella disputa, armandosi di pazienza per indurre l'uomo a scendere a patti con lei. «Ragioniamo per ipotesi, vuoi? Arrivi a Chicago e che fai, Barnes? Aiuti Nat a far sparire i campioni, e poi?» 

«Cancelliamo i dati dai server e troviamo Stryker - -... che ci conosce e sa come evitarci.» deduce James controvoglia, fulminandola con lo sguardo ed incrociando le braccia al petto con aria scontrosa per essersi lasciato sfuggire quel "piccolo" dettaglio non poi così trascurabile. «Fammi indovinare, tu sai come rintracciare Stryker senza far scattare trappole od aprirgli vie di fuga…» 

«Io, a differenza tua Barnes, ho contatti. Non debiti.» replica Yelena con una punta di cattiveria latente, sorridendo tronfia con l'espressione di chi sapeva di aver vinto e a cui non importava se l'esultanza avrebbe potuto farle rischiare l'osso del collo – a detta di sua madre, James digeriva a fatica chiunque osasse sbattergli in faccia le proprie contraddizioni e punti deboli, reagendo con lo stesso temperamento di un lupo capobranco sfidato… e Kobik, che ormai contava i minuti per poter udire delle urla rassicuranti, non era dell'umore adatto per assistere allo scontro, sparendo in un glitch e riassemblandosi al piano superiore in sala riunioni dall'unico uomo in grado di sedare la Guerra Fredda prima che i due "adulti" appena lasciati soli la scatenassero a tutti gli effetti. 

«Cristo-... Kobik.» la saluta zio Steve aprendosi in un sorriso dopo un breve microinfarto, allungando le mani per prenderla in braccio e farla scendere dal tavolo riunioni, mettendo in pausa qualunque domanda sui motivi della sua apparizione precipitosa per congedare il branco di ragazzini a ridosso della soglia. «Voglio un rapporto completo entro sera e fatemi il favore di spartirvi da soli le zone di ronda, per il resto avete il weekend relativamente libero.»

«Va bene, Cap… dato che siano tutti qui, pizza e Netflix stasera?» asserisce Kate spingendo il corteo fuori dalla porta invogliando i compagni a fermarsi per cena – principalmente per non mangiare da soli, concetto che si estendeva alla maggior parte di loro –, sgombrando la stanza in un battibaleno appendendosi alla maniglia di peso per chiudersela alle spalle, isolandoli dal baccano che filtrava dal piano di sotto. 

«Fammi indovinare K, è scoppiata la Guerra Fredda giù in cucina.» ipotizza Steve tornando a prestare la propria completa attenzione alla piccola, sospirando rassegnato quando la bimba annuisce e sollevando lo sguardo al soffitto per accorciare la tiritera in atto. «FRIDAY? Potresti convocare qui Barnes e Belova, per favore?» 

L'A.I. esegue il richiesto, lasciando poi libero accesso manuale alla banca dati al Capitano Rogers, il quale trasferisce il più dei documenti scansionati da James quella mattina al proprio server, aprendo una finestra olografica laterale dove appare automaticamente la mappatura GPS di Natasha delle ultime dodici ore. 

«Perché stanno litigando di preciso?» chiede l'uomo continuando a cullare la bambina addossata al proprio fianco, inducendola a perdersi nella calma rassicurante che si sforzava di emanare per distrarla dal maremoto che si stava scatenando al piano inferiore. 

«Holt ha assunto Stryker… o almeno, è quello che mi è sembrato di capire. Poi papà ha chiamato la zia e si sono messi a litigare.» lo aggiorna spiccia Kobik, stringendo più saldamente la presa alle spalle dello zio per reggersi, studiando diffidente le schermate colorate che le stavano scorrendo davanti. «Mamma ha appuntamento con Holt domani pomeriggio, papà non vuole che Talia ci vada da sola… e non vuole nemmeno zia Yelena tra i piedi. Non l'ha detto, ma io l'ho capito lo stesso.»

Se Steve voleva aggiungere qualcosa per rassicurarla non ne aveva avuto il tempo, la porta della sala riunioni viene quasi scardinata dall'impeto furioso con cui James fa irruzione, alimentato dal nervosismo mentre Yelena lo tallona e non molla l'osso cercando di guadagnarsi voce in capitolo. Si erano bloccati entrambi alla vista degli schermi luminosi, la piccola siberiana per prendere ordini dal "capo" in carica, il Sergente per sentirsi ribadire dal proprio Capitano che una strategia senza tattica era una battaglia persa in partenza, orgoglio testardo da difendere o meno. 

«Se avete finito di urlarvi addosso, direi che possiamo studiare un piano d'attacco senza causare un incidente internazionale, che dite?» li placa Steve inchiodandoli con lo sguardo dando loro il profilo, aspettando un cenno affermativo del capo da parte di entrambi prima di depositare Kobik a terra e sorriderle sereno, assicurandole di avere la situazione sotto controllo. «Mi fai un favore, K? Scendi giù nell'hangar, cerca Piper e chiedile se può preparare un Quinjet impostato con le coordinate di volo per Chicago.»

«Altro?» domanda la bambina molleggiando sui talloni, notando di sfuggita come Steve e James avessero appena racchiuso un'intera conversazione in uno sguardo, raggiungendo la porta dopo una leggera virata incontro alla mano di suo padre, il quale si era sporto a scompigliarle i capelli in un gesto di scuse. 

«C'è il menù del thailandese appeso al frigo, portalo a Kate e dille di ordinare a domicilio per tre.» afferma l'uomo con una scrollata di spalle, mentre la piccola deduce su due piedi di dover trascorrere le notti a venire a Brooklyn fino a quando i suoi genitori non fossero tornati a casa – sperava fossero poche, il letto degli ospiti di zio Steve era scomodo. «Ti piace il thailandese, vero? Possiamo ordinare altro, se vuoi.»

«Il thailandese va benissimo, zio.» lo rassicura la piccola, muovendo un passo nel nulla attraversando il pavimento, lasciandosi alle spalle un alone azzurro. 

Kobik aveva salutato James sulla rampa di decollo due ore più tardi, sforzandosi di non palesare la paura del distacco che le rodeva lo stomaco in sordina, illudendosi delle promesse fatte da suo padre che le assicurava un rientro in tempi brevi senza alcun tipo di incidente – Yelena, a tal proposito, si era strozzata nel tentativo di trattenere una risata, chinandosi a posare un bacio sulla fronte della nipote e trascinando James per le orecchie fino ai comandi ribadendo la mancanza di tempo da perdere, mentre Sharon si affrettava a raggiungere la bimba per portarla via dalla pista di decollo. 

«Perché non posso andarci anch'io a Chicago?» sbotta Kobik quando le porte dell'ascensore si chiudono, cercando lo sguardo azzurro della donna per ricevere delle rassicurazioni fini a sé stesse. «Mi manca Mamma… e Papà non sta davvero bene, doveva lasciare tutto in mano alla zia almeno per stavolta.»

«Sai che Bucky non ragiona così… e Nat manca anche a lui, per questo è corso a tirarla fuori dai guai.» spiega Sharon puntellandosi alle pareti a specchio dell'abitacolo, mordendosi le labbra lasciando trasparire involontariamente un'ondata di sollievo all'idea che grazie al ritiro e la promozione, Steve non aveva più motivo di lanciarsi in picchiata nelle peggiori battaglie. «Ce li vedi Buck e Natasha a gestire il branco di ragazzini a tempo pieno? Senza il permesso di andare in escandescenza e condannarli ai lavori forzati quando non si applicano?» 

Kobik sghignazza, immaginando i propri genitori alle prese con gli adolescenti che in quel preciso istante stavano affollando il divano con i cartoni delle pizze in grembo ed il catalogo Netflix aperto, al come di norma li evitassero e cercassero le due spie di loro sponte solo per avere in cambio una sessione di allenamento più divertente di quella a cui li sottoponevano gli altri Avengers – la piccola ricordava ancora quanto si fosse divertita a far nevicare in palestra quando James si era intestardito a voler testare la bravura sul terreno impervio e la resistenza dei ragazzi alle basse temperature, addestramento conclusosi con una battaglia di palle di neve all'ultimo sangue che vedeva moglie e marito a sfidarsi dal fronte opposto. Kobik sapeva che il "divertimento" non poteva trasformarsi in una routine, che un allenamento "serio" nel senso stretto del termine prevedeva una costanza ed una serietà che i ragazzi ancora non avevano, al contrario di James che la imponeva in modo autoritario e Natasha che la cercava maniacalmente… in quell'ambito i suoi genitori adottivi erano fantastici solamente se assunti a piccole dosi, probabilmente con loro al comando avrebbero finito per distruggere i ragazzi uno ad uno – Billy era troppo sensibile, Elijah decisamente orgoglioso e Kate assurdamente indolente per permettere loro di girare alla larga dall'esaurimento nervoso che con ogni probabilità James sarebbe finito per causare loro e Natasha avrebbe fatto in modo di alimentare di riflesso… dopotutto al Dipartimento chi non si piegava veniva spezzato, e certe abitudini erano dure da abbandonare da parte di entrambi. Se il dilemma veniva visto da una certa prospettiva, bisognava ammettere che c'era più di un buon motivo se era Steve quello al comando, lasciando a James e Natasha il lavoro sporco dal quale Kobik e i ragazzini andavano protetti ad ogni costo. 

«Kobik, va tutto bene?» chiede Sharon titubante, spaventata dall'improvviso sguardo cupo che aveva distorto i lineamenti della bambina per una frazione di secondo, cambiando velocemente discorso ad un suo cenno affermativo della testa. «Hai fame? Credo che il fattorino sia arrivato ormai.»

La piccola si era tuffata sul divano a cena conclusa, Steve e Sharon si erano messi di impegno a pulire la cucina prima di contattare James, si erano portati avanti con il lavoro per l'indomani ed avevano ripassato per l'ennesima volta il piano – Kobik, d'altro canto, si era appisolata in grembo a Peter, schiacciata tra Elijah e Cassie con il chiacchiericcio della quinta stagione di "Stranger Things" a conciliarle il sonno, le dita a fessura di Parker a schermarle lo sguardo quando appariva il Mind Flayers sullo schermo per spaventarla. Zio Steve l'aveva raccolta dal divano ad un orario imprecisato della sera, Kobik aveva percepito appena il ding dell'ascensore che portava in garage, il "occhio alla testa" di zia Sharon quando l'uomo si era chinato a stenderla sui sedili posteriori dell'auto e le dita della donna che si erano mosse pigre tra i suoi capelli per tutta la durata del viaggio fino a Brooklyn. La bambina aveva spalancato gli occhi di colpo quando Sharon l'aveva adagiata sul letto degli ospiti, placando i suoi timori porgendole Baloo e facendosi spazio sul materasso, allargando le braccia ed ordinando un "accoccolati" che prometteva sogni sereni fino al mattino dopo – Kobik a volte si chiedeva se la donna fosse in grado di leggere nel pensiero, se ci fosse una spiegazione mistica per la sua efficienza nel soddisfare sempre all'istante i bisogni di chi la circondava quotidianamente, o se banalmente l'Agente Carter era una spia particolarmente empatica per carattere. 

Natasha aveva telefonato a colazione, Kobik era riuscita a sentire la zia e il suo papà bisticciare in sottofondo come da copione prima che la rossa abbaiasse loro l'ordine di fare silenzio, per poi chiederle candida e con tutt'altro tono di voce se erano più buoni i pancake che le aveva preparato Steve per colazione o i propri, che nel caso doveva farsi passare la ricetta insieme a quella del tiramisù di zia Sharon. Il resto della mattinata era trascorsa con calma elettrica, gli zii l'avevano portata a scuola ed aveva trovato la Mini Cooper di Kate ad attenderla all'uscita come il giorno prima – nessuno l'aveva detto, ma quando le due ragazze avevano raggiunto il Complesso gli zii le avevano fatto capire che non volevano che Kobik assistesse al collegamento radio con i suoi genitori, affermando che il Centro Operativo diventava un luogo caotico che trasudava tensione quando tutti i membri collegati erano in azione… ma alla fin fine era stata la bambina a spuntare la disputa accesa, scatenando "casualmente" un mezzo uragano capriccioso all'interno della stanza pur di farsi dare ascolto. 

Kobik non aveva mai partecipato ad una missione sul campo, ignorava come funzionasse di preciso, ma le faceva uno strano effetto sentire le voci di Natasha, James e Yelena mentre osservava i rispettivi puntini in movimento su una mappa digitalizzata, affiancata dalle riprese del circuito stradale fuori dalle Holt Industries e la visione via satellite dell'intero isolato. Evidentemente, come i suoi genitori e gli zii avevano fatto ricerche sul conto di Allan Holt, il multimiliardario doveva aver fatto ricerche su sua madre perché quando Natasha aveva messo piede nella hall della struttura a braccetto con James, il caldo comitato di benvenuto era stata una segretaria temeraria armata di mitragliatrice riparata dal bancone della reception. Il Chicago PD era stato avvisato di un possibile scontro armato quel mattino stesso da Capitan America in persona, quindi le volanti a sirene spiegate avevano occupato il perimetro dell'edificio in tempi record, portando in salvo ed allontanando i civili mentre James e Natasha davano spettacolo, un'intera armeria addosso da scaricare e l'obiettivo di creare un diversivo rumoroso per distogliere l'attenzione da Yelena, che nel frattempo si era data all'arrampicata su vetro risalendo la facciata del palazzo fino all'attico dove sapevano si sarebbe barricato Holt, pronto a darsi alla fuga con il suo miglior ricercatore a bordo dell'elicottero parcheggiato sul tetto della struttura. 

Era strano offrire assistenza da remoto, quando l'unico modo per avere un quadro generale dello scontro era lavorare di fantasia, basandosi su riprese frammentarie di circuiti di telecamere e voci concitate che gridavano contro un pericolo che la piccola non poteva vedere – la privazione della vista la disorientava, e principalmente per questo motivo gli allarmi, le luci e le proiezioni l'avevano soverchiata, instillandole una punta di panico che era velocemente cresciuta ed esplosa in una crisi travolgente. 

«Shh Kobik, va tutto bene. Se la stanno cavando bene, tranquilla.» sussurra zio Steve al suo orecchio quando gli oggetti abbandonati sulla scrivania iniziano a tremare, soffocando i gemiti di Kobik contro la stoffa della propria maglietta per impedire ai tre operativi di venirne distratti, precauzione inutile dato che sia Natasha che James sollevano la testa di scatto allarmati al primo respiro rantolante della figlia chiedendo spiegazioni, subito sviata da un Capitano leggermente irritato. «Ve la state cavando bene, vero?!» 

«Potrebbe andare peggio.» li anticipa Yelena con tono di voce asciutto, il respiro corto per la scalata ed il tono agitato per l'elicottero già sul punto di spiccare il volo, visibile anche da New York grazie alle riprese in tempo reale via satellite. «Infatti… le prede stanno scappando, ho un'idea per evitarlo.»

«Questa è la tua idea?!» sbotta Steve spezzando la calma in cui si stava rifugiando Kobik, sollevando la testa di scatto verso gli schermi quando nota la piccola siberiana prendere la rincorsa ed allacciare un rampino al carrello di atterraggio, librandosi in aria risalendo la fiancata del velivolo ed iniziando a scardinarla da fuori. «Yelena…!»

«Se avevi un'idea migliore potevi parlare prima.» ribatte scorbutica la ragazzina, cambiando l'oggetto del suo interesse quando spinge lo sguardo a terra e non vede più la chioma rossa della sorella agitarsi sul marciapiede a fianco di James, i quali erano scomparsi pure dalla visuale delle telecamere stradali ora che Kobik lo notava, agitandosi ulteriormente facendo tremare gli infissi alle finestre. «Dove siete andati a finire?» 

«Siamo dentro.» giunge tempestiva la voce del Soldato d'Inverno, una nota di concentrazione a colorargli il tono di voce, ignorando la ragazzina rivolgendosi direttamente a Steve. «Mi collego al circuito delle Holt, dammi un minuto.»

«Non ce l'abbiamo un minuto, звезда моя.» replica Natasha all'istante, rumori di spari, corpi a terra ed uno schianto di metallo in sottofondo. «Porta del laboratorio aperta, ti muovi?» 

«Ci sono, arrivo.» annuncia James mentre una finestra olografica del Centro Operativo si apre di volontà propria, iniziando a trasmettere il girato dell'edificio prontamente schedato da FRIDAY, la quale analizza ogni clip in default portando in primo piano la telecamera del corridoio in cui si trovavano in due. «Ti ho dato le telecamere. Ora guarda in camera e calmati, Pulce.»

Kobik solleva la testa di scatto, puntando gli occhi sul pannello di trasmissione individuando suo padre che la salutava attraverso l'obiettivo della telecamera, affiancato da una Natasha che gli teneva aperta la porta del laboratorio sorridendo nella stessa direzione, preferendo ignorare i corpi delle sentinelle riversi a terra. 

«Fa un bel respiro profondo, è tutto sotto controllo.» afferma la donna rafforzando il concetto, cambiando atteggiamento nel giro di due secondi netti tornando a concentrarsi sulla missione in corso. «Non possiamo far crollare le fondamenta, vero Steve?» 

Se il Capitano Rogers voleva sottolineare l'ovvio non ne aveva avuto l'occasione, accecati ed assordati tutti dal sibilo ed il successivo boato luminoso scatenato dall'esplosione, mandando in frantumi le vetrate della hall e facendo crollare un paio di pilastri. 

«Un fottuto bazooka.» strepita James allibito, la consapevolezza rassicurante di udire la sua voce che pian piano scioglie i nodi allo stomaco di Kobik dopo aver perso il segnale video. «A chi capita di avere un fottuto bazooka tra le mani?» 

«A te, звезда моя.» replica Natasha repentina, al punto che la bimba riesce quasi ad immaginare il suo sguardo verde demolire l'espressione stupita dipinta sul volto del marito, scatenando un pigro sorriso malizioso come rimpiazzo. 

«Touché… ma non mi sono portato dietro un bazooka questa volta, come la mettiamo?» ragiona James in minimi termini, velocizzando l'ultimo paio di sillabe suggerendo uno slancio suicida di Natasha incontro al pericolo, cogliendo di sorpresa gli assalitori con un attacco fisico. «Tasha, non puoi sopravvivere ad una granata in pieno petto, Cristo

«Zitto e dammi una mano, Yasha. Pensi di riuscire a- –…» lo silenzia la donna, la voce che correva di pari passo con i propri piedi, coprendo le sillabe successive con il fragore di una colluttazione. «– –…on ho sentito un no.»

«Non ti ho nemmeno detto sì.» giunge la risposta dell'uomo cristallina, a cosa si riferissero non era dato saperlo, le frasi di entrambi mangiucchiate o coperte dal fragore dei proiettili – era curioso, Kobik riusciva a percepire del sollievo sotto la tensione e la paura di zio Steve e zia Sharon, il primo che continuava a tenersela stretta tra le braccia e scrutava le finestre aspettando di vedere il vetro creparsi, la seconda che evidentemente aveva un collegamento radio privato con la sola Yelena da portare avanti… e la bimba forse riesce a capire da dove scaturiva quel sentimento altisonante e fuori luogo, improvvisamente consapevole che i propri livelli di ansia erano relativamente sotto controllo unicamente perché la carneficina in corso riusciva a sentirla ma, fortunatamente, non poteva vederla, rendendosi un "ostacolo capriccioso" egoista e dannatamente pericoloso. 

«Zio… credo-... credo che me ne andrò giù in… cucina.» afferma Kobik di punto in bianco, l'impellente urgenza di fuggire dal pericolo e togliersi dai piedi, dissolvendosi in un glitch e riassemblandosi in giardino, la traiettoria appositamente errata per limitare i danni della bolla di energia che rilascia, piegando l'erba e scuotendo gli alberi quando non riesce più a trattenerla – si sente vuota ora, mal calibrata, quasi sfasata… scarica

«Kobik!» urla Kate dalla terrazza del loft al terzo piano, corsa fuori ed appesasi alla ringhiera precipitosa appena udito il boato. «Tutto bene?» 

«Ovvio che non sta bene, Kat.» la riprende Billy raggiungendola sul terrazzo, facendo velocemente il punto della situazione e scegliendo di intervenire, finendo per inginocchiarsi ai piedi della bambina nel giro di un paio di secondi. «Ehi K… lo vuoi un abbraccio?» 

La bambina non se lo fa ripetere due volte, gli getta le braccia al collo e scoppia a piangere, scaricando la tensione del tutto – non sapeva che i ragazzi fossero al Complesso ma, tra tutti, Kobik è felice di trovarsi tra le braccia di Billi. Lui le piace, la raccoglie da terra e la porta in cucina, preparandole un sandwich senza croste con cui fare merenda. 

Steve era riemerso dal Centro Operativo quaranta minuti più tardi, ringraziando i ragazzi per essere intervenuti, rilassandosi contro lo schienale dello stesso divano sopra cui Kobik si era raggomitolata abbracciata a Baloo, guadagnando uno sguardo carico di sospetto. 

«Abbiamo finito, giusto perché tu lo sappia. Quando te ne sei andata Yelena aveva appena neutralizzato Stryker e Holt, si stava facendo spiegare da Sharon come pilotare fino a Washington per consegnarli ad Everett Ross.» la aggiorna l'uomo con un mezzo sorriso sulle labbra, anticipando le sue domande. «Nat e Bucky hanno distrutto tutti i campioni, sono un po' ammaccati, ma stanno bene e stanno tornando a casa.»

«Okay.» replica Kobik mesta, una richiesta di scuse che le annoda la lingua in fondo alla gola a renderla poco loquace, cercando timorosa lo sguardo limpido dello zio per fare pace. «Sono ancora troppo piccola per…»

«Restare al Centro Operativo mentre c'è una missione in corso? Sì.» conclude Steve per lei, sporgendosi ad accarezzare una guancia, tradendo un sospiro esausto. «Ma non sei ancora troppo grande per fare a meno dei capricci, quindi per questa volta ti perdono.»

La bambina sorride sollevata, sfregando la guancia contro la mano dello zio rispondendo alla coccola, mordicchiandosi le labbra prima di avanzare la richiesta. 

«Mi presti il cellulare? Voglio chiamare mamma e papà per sentire come stanno… e devo chiedere scusa anche a loro per i capricci, li ho distratti. Presumo.» afferma riflessiva la piccola, accettando lo smartphones del Capitano con la stessa importanza con cui si prendeva in mano una reliquia, pigiando il tasto per la chiamata automatica indirizzata al cellulare di James. 

«Visto che ci sei, digli che si sono guadagnati due settimane di ferie.» la informa lo zio alzandosi dal divano con nonchalance, concedendole un sorriso quando la bambina si solleva a carponi tra i cuscini del divano e si allunga lesta a cingergli la vita in un abbraccio. 

«Grazie. Grazie, grazie, grazie!» esclama Kobik mentre la linea elettrostatica crepita un “pronto?”, sciogliendo la presa per recuperare il dispositivo lanciato tra i cuscini. «Papà, zio Steve dice che tu e mamma siete in ferie!»

I due sospiri di sollievo dall’altro lato della linea diventano un chiaro monito di quanto la notizia fosse gradita, avvertendo in sordina la proposta di sua madre di volarsene a Parigi due settimane per staccare la spina e ricaricare le batterie, che una vacanza era esattamente ciò che le serviva.

«Quindi torniamo a casa? Casa, casa?!» chiede euforica la piccola, mentre suo padre brontola un richiamo alla moglie che suonava come un “Tasha, se me la distrai come puoi pretendere che io riesca a farle la ramanzina” e si concludeva con un “chiudi un occhio Yasha, non siamo morti, per stavolta va tutto bene” da parte della moglie, che ribaltava i ruoli dei suoi genitori ed automaticamente scagionava Kobik da ogni tipo di castigo.

«Quando torniamo a New York dobbiamo fare comunque un discorsetto, signorina.» la riprende James smorzando l’entusiasmo collettivo, facendo deglutire sonoramente la piccola. «Però sì, torniamo a casa. Casa, casa.»

Kobik lo sa che davanti a lei si prospetta una lavata di capo indimenticabile da parte di suo padre, che le toccherà preparare la tavola e lavare i piatti a mano per il prossimo mese per ingraziarsi sua madre, che se non prende almeno una B al prossimo compito di grammatica James e Natasha si inventeranno sicuramente una qualche lieve tortura psicologica per farle imprimere bene nel cervello il concetto di non doverli disturbare mentre erano al lavoro… però dopo settimane tornano finalmente a Parigi e di colpo, agli occhi di Kobik, tutto il resto sembra impallidire e perde d’importanza. Tornano a casa per due settimane, come premio di consolazione le basta e le avanza. 








Commento dalla regia:
Se siete arrivati fin qui in fondo vi ringrazio. Il capitolo, e la storia in sè a dire il vero, non hanno molte pretese, ma sono state terapeutiche per me per staccare la spina e chiudere questo ciclo senza aver rimpianti sul aver potuto o meno ampliare determinati argomenti o filoni. Questa è la conclusione migliore che sono riuscita a scrivere per "loro", per il Sergente e la Ballerina che nascondo un buon 90% di me stessa equamente spartito in ogni dialogo, e quel 10% lasciato a Kobik che guarda ancora a Mamma Marvel con profondo affetto ma, come in ogni relazione lunga e travagliata che si rispetti, ha bisogno di una "pausa di riflessione".
Forse rassicuro gli "affezionati" comunicandovi che qualcos'altro bolle in pentola, ma dato che ignoro la mia costanza nel reperire il materiale e la mia volontà nel rimettermi a scrivere, non mi sbilancio in false promesse e mi limito a dirvi "arrivederci".
Per ora è tutto gente!
_T :*
   
 
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