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Autore: OharaNakamura    01/09/2020    6 recensioni
(Dal testo)
Anna si allontana lentamente, mentre cerco di aggrapparmi con tutte le forze a ogni briciolo di ricordo che ho di lei ma la sento scivolare via come gocce d’acqua.
[Questa storia partecipa al contest "Immergersi nell'immaginazione" indetto da Artnifa sul forum di EFP]
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Io e Anna
 

Chiamo l’ascensore, sono così esausta che neanche la mia pseudo claustrofobia può fermarmi. È stata una giornata particolarmente faticosa, sento il fondotinta pesarmi sul viso come se fosse fatto di calcestruzzo e il mascara comincia a pizzicare: sono veramente tanto stanca! Perché deve essere sempre così faticoso mostrarsi agli altri? Perché siamo costretti a indossare delle maschere? Perché dobbiamo fingere di essere qualcuno di diverso? Mi chiedo.

Il campanello dell’ascensore mi avverte di essere giunta al mio piano. Respiro profondamente, una, due, tre volte, sforzandomi di non entrare nel panico nell’attesa che le porte si aprano: è questa la parte che più detesto degli ascensori, non la paura che i cavi possano tranciarsi lasciandomi precipitare nel vuoto, ma che le porte possano non aprirsi mai più, condannandomi a una morte lenta e in completa solitudine. I dieci secondi nella quale la cabina dell’ascensore si assesta in corrispondenza del pavimento nella mia testa durano un’eternità. Vorrei che Anna fosse con me, a stringermi la mano, rassicurarmi e prendermi in giro… qualsiasi cosa pur di far cessare questo silenzio assordante.

Finalmente le porte scorrono e io sono finalmente libera. Mi dirigo velocemente verso la porta del mio modesto appartamento… un piccolo monolocale, a dire il vero, il massimo che possa permettermi con il mio stipendio, ma la vista spettacolare mi regala ogni volta l’impressione di riuscire a vedere la città quasi per intero. So che è soltanto una mia illusione, ma basta la sola idea a darmi una sensazione di controllo molto rassicurante. Chiudo la porta a chiave, lasciandola inserita nella serratura e tolgo le scarpe con gesti lenti, nonostante abbia voglia di lanciarle via.

Quando i miei piedi toccano finalmente terra ho l’impressione di non saper più camminare, mi sembra quasi che l’aderenza della pianta al freddo marmo delle mattonelle abbia qualcosa di innaturale. Comincio a togliere lo scomodo tailleur che utilizzo a lavoro mentre mi dirigo verso il bagno. Quando giungo a destinazione butto tutto nel cesto dei panni sporchi e mi dirigo verso il lavandino. Mi guardo riflessa nello specchio, il trucco ha cominciato a cedere e tracce di mascara sono sparse i punti del viso su cui non dovrebbero essere, merito della lunga giornata estiva e della mia pessima abitudine di toccarmi continuamente il viso.

Apro lo sportellino alla destra dello specchio, per poter prendere i dischetti struccanti e l’acqua micellare, così, dopo aver eliminato ogni traccia di colore dal mio viso e averlo deterso con cura, prendo dall’armadietto una crema idratante. La spalmo con movimenti circolari cadenzati finché la crema non si assorbe completamente, mentre la combinazione del massaggio regolare e il calore dei polpastrelli sul viso mi rilassa.

Un tubetto arancione, posto in alto, attira la mia attenzione, sono piccole pasticche bianche, divise in due da un solco profondo, ogni sforzo di distogliere lo sguardo diventa vano. È colpa loro se da qualche giorno Anna non è più accanto a me e io sono nuovamente sola. Senza che possa avere alcun controllo sui miei arti, mi muovo per afferrare il tubetto. È posto sullo scompartimento più elevato, devo sporgermi in punta di piedi, mentre con una mano mi sorreggo al lavandino per riuscire ad afferrarlo.
Faccio ruotare il tubetto, passandolo da una mano all’altra, completamente rapita dal rincorrersi di quei piccoli bottoncini bianchi da un estremo all’altro del flacone; guardarli mi rilassa e mi agita contemporaneamente. Ogni bottoncino è una piccola parte di Anna che sfugge dalla mia testa. Ruoto il tappo in senso antiorario, poi di nuovo nella direzione opposta, poso stizzita il tubetto sul lavandino e mi volto rapida verso la doccia. Il getto dell’acqua calda sul mio viso a contatto con la crema che ho appena spalmato crea una sensazione quasi sgradevole. Anna si allontana lentamente, mentre cerco di aggrapparmi con tutte le forze a ogni briciolo di ricordo che ho di lei ma la sento scivolare via come gocce d’acqua.


Cerco di spingermi con la memoria il più indietro possibile; compiendo uno sforzo mentale non indifferente, riesco a ricordare il mio quinto compleanno, quando nessuno dei bambini che avevo invitato si era presentato alla festa. Sola davanti alla torta, cercavo di raccogliere il fiato necessario per riuscire a spegnere le candeline, tra un singhiozzo e l’altro, spinta da una strana sensazione di calore, mi volgo alla mia destra, e Anna era li, mi stringeva la mano sorridendomi. Da quel momento in poi il suo sorriso, ampio e coinvolgente, mi ha sempre accompagnata e incoraggiata nei momenti più difficili e più bui.

Nulla mi è così familiare come il suo volto, i capelli biondo scuro, tagliati in un caschetto ribelle e sbarazzino, non è mai cambiato nel corso degli anni e mai avrei potuto immaginare un’acconciatura che meglio rispecchiasse il suo carattere frizzante. Gli occhi allungati, verde intenso, costellato di sottili pagliuzze color oro, si riempiono di dolcezza e calore quando vuole essere incoraggiante, ma sono capaci di assottigliarsi diventando taglienti e sagaci quando vogliono sbeffeggiare qualcuno. Il nasino irriverente e il sorriso ampio e rassicurante completano quel quadro di straordinaria dolcezza e intelligenza.

Anna è sempre stata tutto per me. Era li, insieme a me, il mio primo giorno di scuola, quando stretta nel mio zainetto, mi apprestavo a prendere posto tra i banchi di scuola. Aveva condiviso con me la timida gioia di entrare in un mondo nuovo e la profonda delusione nello scoprire che non sarei mai stata nulla di più che un’eterna reietta, condannata all’esclusione sociale. Quello che non avevo trovato nel mondo, lo avevo trovato nella costante presenza di Anna, la mia più cara amica. Ricordo i pomeriggi trascorsi a guardare film e mangiare biscotti, le lunghe chiacchierate sui nostri libri preferiti e quella incontenibile frenesia di scoprire il mondo, che mi costringeva a seguirla fuori dalle confortanti mura domestiche.

Ricordo le infinite passeggiate nei luoghi più impervi e selvaggi e il tono dispotico con la quale mi intimava di portare a termine quello che avevo iniziato. Nonostante quell’aspetto fanciullesco e innocente, aveva un carattere vivace e terribilmente dispotico. Mi rimproverava quando non ero capace di ammettere i miei errori; mi esortava quando spinta a un moto di codardia, preferivo rintanarmi sotto le coperte piuttosto che affrontare la caotica società; prendeva le mie difese quando qualcuno era ingiusto nei miei confronti.

Candida come una rosa invernale, era capace di proferire le parole più terribili quando qualcosa la scaldava, infiammandola di ira. Eppure adesso è assopita nel suo rifugio mentale, e io sono rimasta nuovamente sola.


Quel piccolo tubetto arancione catalizza nuovamente su di sé la mia attenzione. Completamente. Lo afferro, facendolo ruotare su se stesso un paio di volte. Fisso le avvertenze poste sull’etichetta, che mi ricordano il nome e la pericolosità del farmaco in caso di abusi. Stringo il tappo bianco tra il pollice e l’indice e con movimenti molto lenti, lo faccio ruotare in senso antiorario. Lascio che una prima pillola cada sul palmo della mano libera, rivolta verso l’alto. La osservo con attenzione, cercando di cogliere giochi di luce inesistenti in quella piccola parte di Anna che sparisce dalla mia mente. Scuotendo nuovamente il tubetto ne lascio cadere un’altra, poi un’altra ancora, e ancora. Perdo il conto dei bottoncini sulla mia mano. Continuo fino a quando non ne resta più neanche uno nella confezione. Ognuno di questi insignificanti bottoncini è una piccola parte di Anna che potrebbe andarsene. Ma io non voglio più restare sola.




Angolo delle elucubrazioni d'autore

Salve a tutti, questa storia è stata scritta per il contest "Immergersi nell'immaginazione" indetto da Artnifa sul forum di EFP. La storia si basa su un'idea che avevo in mente da un po' di tempo, ma che non avevo mai avuto il coraggio di affrontare. Chiedo scusa se ho offeso qualcuno trattando di questa tematica così delicata in maniera inappropriata, non era nelle mie intenzioni!
Ringrazio tutti di essere giunti fin qui,
Ohara Nakamura

 
  
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