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Autore: Asmodeus    01/09/2020    9 recensioni
Will e Tom sono due soldati britannici al fronte, nel nord della Francia durante la primavera del 1917. Prima di un'importante battaglia, Will insegna a Tom come riconoscere le costellazioni nel cielo.
«E invece quella stella lassù a destra? Quella come si chiama Will?»
Tom stava indicando un punto preciso nel cielo, un luogo che lui conosceva molto bene.
«Lei è Aldebaran, nipper. “L’Inseguitore”, come la chiamano gli arabi». La sua voce era più calma di quella del più piccolo, meno entusiasta, ma osservando la sua stella un brivido gli attraversò tutto il corpo e alterò di poco la sua voce.
Tom doveva aver intuito qualcosa, perché tornò a voltarsi a guardarlo, sondando l’oscurità per catturare in qualche modo i suoi occhi metallici.
«Aldebaran» ripeté con calma il piccolo. «Ha un bel nome. Ma perché si chiama così? Chi insegue?»
Will chiuse gli occhi, un altro brivido improvviso lungo la schiena: aveva appena avuto una sorta di déjà-vu, un richiamo ad un passato molto lontano che si era di nuovo fatto presente in quell’attimo.

[Prima classificata al "Wish upon a star" contest indetto da inzaghina.EFP sul Forum di EFP.]
Genere: Guerra, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L'Inseguitore


Trincee della riserva della 37^ Divisione del Corpo di Spedizione Britannica, da qualche parte vicino ad Arras, Dipartimento del Passo di Calais, Francia Settentrionale; 5 aprile 1917

«Vedi quelle tre stelle laggiù, una vicina all’altra, tutte allineate?»
Tom seguì con lo sguardo la direzione indicata dal suo indice, mentre si muoveva disegnando figure nel cielo stellato: per un attimo si era perso tra tutti quei puntini luminosi, ma poi le aveva viste con facilità.
«Sì! Le ho viste Will! Quelle che somigliano ai tre puntini, no?»
«Esattamente. Ma più che “tre puntini” sono la Cintura di Orione, nipper[1]», confermò Will con un mezzo sorriso.
«E Orione dove sarebbe? Se quella è la sua cintura, lui è…». Tom si interruppe per qualche istante, e Will era certo che in quel momento si stesse scervellando mordendosi la lingua tra le labbra semichiuse, anche se non poteva vederlo bene nell’oscurità. Si era leggermente allontanato dal piccolo masso che sosteneva le loro schiene per vedere meglio, o forse per sfuggire in parte dal suo tocco gelido nonostante le divise a proteggerli.
«Aspetta! Lui è quelle stelle lassù, più in alto! È come un triangolo, giusto?»
Il buio continuava a impedirgli di vederlo con nitidezza, ma Will era certo che ora stesse sorridendo come un bambino.
«Molto bene Tom! Esatto, quelle sono le spalle di Orione, e la stella luminosa a sinistra si chiama Betelgeuse! Mentre se guardi bene, in basso…»
Will stava spostando la mano verso l’orizzonte e a destra prima di continuare a spiegare, ma Riccioli-di-segatura lo anticipò col suo solito entusiasmo.
«… in basso c’è un altro triangolo! E saranno i piedi, giusto?»
Tom era euforico, lo si capiva dalla voce, e Will non riuscì a trattenersi dal ridacchiare un po’ davanti a quello scambio di battute. Poteva permetterselo, quella sera si erano appartati dal resto dei commilitoni per godere un po' di pace. I vantaggi del servire nella riserva: si evitava di restare ammassati tutti insieme dentro le trincee, e ogni tanto si poteva pure parlare liberamente.
«Ha fatto centro di nuovo, caporale Owen!» si congratulò, scimmiottando la voce del sergente McLaggen, che negli ultimi giorni era giunto a verificare la preparazione nel tiro delle truppe. Tom si era dimostrato eccellente con l'uso del fucile, benché non avesse ancora avuto un vero e proprio battesimo del fuoco né ucciso alcun nemico. Un tedesco vivo e agguerrito, dopotutto, era un ben diverso bersaglio da un fantoccio d'addestramento.
«Quelli sono i piedi, e in particolare puoi notare sulla destra Rigel, che vuol dire proprio “piede sinistro”!»
Si voltarono istintivamente l’uno verso l’altro, per cercare i reciproci volti nonostante il buio di quella sera d’aprile impedisse ad ognuno di vedere più in là di pochi palmi. Sorridevano entrambi, e le pozze azzurre di Tom stavano scintillando di qualche luce ancestrale, come sempre.
«Che bello! Orione!» Tom si era voltato, e la sua voce arrivava leggermente deviata al suo orecchio ora. Ne intuì il profilo nell’oscurità, che fissava di nuovo il cielo, basso sull’orizzonte. I corti riccioli bruni scomparivano, lasciando il posto a quello che sembrava un reticolato spinato sulla sua testa.
«E invece quella stella lassù a destra? Quella come si chiama Will?»
Tom stava indicando un punto preciso nel cielo, un luogo che lui conosceva molto bene.
«Lei è Aldebaran, nipper. “L’Inseguitore”, come la chiamano gli arabi». La sua voce era più calma di quella del più piccolo, meno entusiasta, ma osservando la sua stella un brivido gli attraversò tutto il corpo e alterò di poco la sua voce.
Tom doveva aver intuito qualcosa, perché tornò a voltarsi a guardarlo, sondando l’oscurità per catturare in qualche modo i suoi occhi metallici.
«Aldebaran» ripeté con calma il piccolo. «Ha un bel nome. Ma perché si chiama così? Chi insegue?»
Will chiuse gli occhi, un altro brivido improvviso lungo la schiena: aveva appena avuto una sorta di déjà-vu, un richiamo ad un passato molto lontano che si era di nuovo fatto presente in quell’attimo.


Aveva imparato a riconoscere le stelle nel cielo fin da piccolissimo, istruito dalla nonna.
«Non può essere che un Sassoon non conosca il cielo come le sue tasche! Che marinaio sarai sennò, William?» gli ripeteva ogni notte quella voce roca, una vibrazione di sofferenza ogni volta che il suo nome abbandonava quelle labbra più anziane di quanto facesse supporre la sua vera età. Gli occhi di metallo della nonna, identici ai suoi, scintillavano nel buio puntando come frecce verso la volta celeste, muovendosi come se fossero a casa propria e trascinando dietro di sé le lunghe dita rugose.
«Forza ragazzo. Dov’è Orione?» lo incalzava, per poi continuare «Le Pleiadi? Il Toro? I Gemelli? L’Auriga?» e via dicendo, con l’elenco di tutte le costellazioni visibili nel cielo; a volte cercava di ingannarlo, come quando gli chiedeva a giugno di individuare il Toro o a ottobre la Vergine, ormai al di là dell’orizzonte e non più visibili per vari mesi successivi.
Will era però sveglio, e riusciva sempre a rispondere a quelle interrogazioni celesti dimostrandosi degno erede dei suoi famigliari navigatori; sicuramente era più bravo di suo padre e di suo zio Frank, come nonna gli ripeteva sempre.
Un giorno non troppo lontano anche lui sarebbe diventato un abile marinaio, ricoprendo di onori la famiglia come papà e nonno prima di lui: il terzo William Sassoon al servizio nella Marina di Sua Maestà, una tradizione, un desiderio, un destino condiviso da tutta la famiglia.
Sul caminetto dall’angusta sala da pranzo di casa le fotografie di suo nonno, suo padre e suo zio Frank ricoprivano il posto d’onore: tutti e tre in divisa, le mostrine e i gradi ben in vista a far mostra di sé, gli occhi sorridenti sopra quelle bocche baffute e serene di soddisfazione e realizzazione. La nonna le spolverava ogni giorno con cura, portando ognuna di esse al petto per sentire un po’ più vicini i suoi famigliari lontani; poi si voltava sempre a guardarlo, come a provare a trattenerlo a sé ancora un po’, per fissare nella mente più che poteva il suo viso, prima che anche lui finisse contemporaneamente su un vascello all’altro capo del mondo e in una cornicina su quel caminetto.
Finire su quel caminetto, in una di quelle cornici, era il desiderio che lo spingeva a memorizzare tutte quelle nozioni astronomiche durante le lezioni della nonna, così come apprendeva a fare i nodi e a guidare piccole imbarcazioni mentre aiutava i pescatori a trascinare le loro barche a riva. Nessuno degli uomini di casa restava a Wight più di tre o quattro settimane all’anno, per cui tutto ciò che aveva imparato sul mare e le stelle e la navigazione lo doveva alla sua comunità o alla nonna.
Quando arrivava la primavera ed era tempo del loro ritorno, poi, si appostava per giorni interi vicino agli Aghi, scrutando l’orizzonte in attesa di vedere arrivare il traghetto per Portsmouth che riportava a casa i suoi vecchi: l’Aldebaran. La nave appariva dal nulla sempre intorno al mezzogiorno del 21 marzo, col sole allo zenit, e allora Will correva a casa dalla nonna per annunciarle che sì, erano quasi arrivati, e poi si fiondava al porto ad aspettarli: papà sbarcava e lo abbracciava con un sorriso spalancato, e gli chiedeva subito tutto quello che aveva imparato dal loro ultimo sbarco, come ogni volta. Poi, insieme al nonno e allo zio si avviavano verso casa, dove la nonna e le sue sorelline li aspettavano col pranzo fumante in tavola, e lì i tre raccontavano le loro avventure da veri lupi di mare promettendogli che presto sarebbe partito anche lui con loro.
Dopo qualche giorno, era di nuovo tempo di salpare, ma l’ultima notte insieme la passava con papà a ripassare le costellazioni nel cielo come faceva con la nonna: lui gli indicava le stelle in silenzio, e Will doveva raccontargli tutto ciò che sapeva su di loro e perché fossero importanti per un vero marinaio. Era anche quella un’interrogazione, la più difficile dell’anno, ma terminava sempre allo stesso modo, con papà indicava il Toro, anzi il suo occhio scintillante per la precisione, e insieme padre e figlio chiamavano quella stella per nome: «Aldebaran
Era la loro stella, l’astro di famiglia. Will non sapeva se anche gli altri suoi amichetti avessero o meno delle stelle famigliari, ma per i Sassoon era così.
Aldebaran era stata scelta dal nonno come suo astro guida «perché raffigura colui che insegue i suoi desideri e non si arrende finché non li ottiene. Ecco perché è la nostra stella, Will. È la stella dei Sassoon, perché noi realizziamo tutti i nostri desideri. Sempre».
Papà diceva che quelle erano le esatte parole che il nonno gli aveva detto quando era lui un bambino ancora inesperto del mare, e Will gli credeva anche senza dover chiedere conferma al nonno.
L’interrogazione era a quel punto terminata, ma papà spendeva sempre qualche altro minuto per chiedergli di aggiornarlo sui suoi desideri, su cosa volesse realizzare da grande. Allora Will lo inondava dei suoi sogni, e gli raccontava di come si vedeva in viaggio su un veliero insieme a lui e al nonno e allo zio; gli dipingeva davanti i mari inesplorati che avrebbero solcato insieme e le terre che avrebbero scoperto, anche se tutti dicevano che al mondo tutto era già stato scoperto; e infine gli presentava la sua bella moglie bionda con gli occhi color del mare lo aspettava a casa con la nonna e i loro figli, che avrebbe poi interrogato sulle stelle e a cui avrebbe passato l’eredità di quel sogno del mare.
Ogni anno, ad ogni interrogazione, i suoi desideri si aggiornavano di alcuni dettagli e si ingrandivano sempre più, ma papà non aveva mai sminuito la sua fantasia: nemmeno quando gli aveva rivelato, imbarazzato, che aveva sognato di diventare Ammiraglio, un giorno.
Will si era ovviamente subito schermito, ben sapendo che non essendo loro nobili qualunque carriera da ufficiale fosse una chimera irraggiungibile, ma papà lo aveva immediatamente sgridato: «Non rinnegare i tuoi sogni, figliolo! Coloro che reprimono un desiderio lo fanno solo perché il loro desiderio è abbastanza debole per essere represso. Tu hai desideri deboli, Will? O sei un Sassoon, che desidera grandi cose, le insegue e le realizza?»
Will era rimasto stupito da quella frase, e non aveva saputo subito come rispondere: era rimasto in silenzio, e quell’interrogazione era terminata in quel modo inusuale quando papà lo aveva lasciato a riflettere sulla spiaggia, rientrando da solo a casa.
Il giorno seguente, però, aveva ripreso il discorso per concluderlo una volta per tutte, giusto un attimo prima di partire.
«Promettimi che non smetterai mai di desiderare l’impossibile, figliolo. E che non ti arrenderai mai nel realizzarlo, costi quel che costi!» Questo gli aveva chiesto suo padre, sulla banchina del porto giusto davanti l’Aldebaran. «Promettimelo, Will!»
Will aveva promesso, e suo padre gli aveva allora sorriso di nuovo.
«Molto bene. Ricordati di questa promessa, figliolo. Desidera in grande, desidera l’impossibile! E ti prometto che l’anno prossimo verrai con noi, quando ripartiremo, per realizzare insieme tutti i nostri sogni!»
Si erano abbracciati forte, legati ancora di più grazie a quella promessa che intrecciava ancora e ancora i destini di tutta la famiglia. Poi suo padre si era voltato e aveva salito la passerella fin sul ponte dell’Aldebaran, affiancandosi al nonno a allo zio Frank, ed i tre pian piano si erano allontanati insieme al battello sparendo al di là dell’orizzonte, ad inseguire insieme ancora una volta il desiderio di una vita.

Erano passati esattamente diciassette anni da quel giorno, il 5 aprile 1900. L’anno successivo a inizio primavera, all’arrivo dell’Aldebaran al posto di suo padre era sceso un uomo che non aveva mai visto, coi baffoni e alcune medaglie al petto sopra la divisa. Il tenente di vascello Jameson, così si chiama quell’uomo, gli aveva chiesto di essere accompagnato a casa da sua nonna, glissando ogni domanda sui suoi famigliari. Will lo aveva portato a casa, insieme a due giovani marinai che portavano con sé un piccolo baule in legno chiaro dipinto con lo stemma della città di Liverpool. Quando li aveva visti arrivare, la nonna era scoppiata a piangere, prima ancora che il tenente Jameson potesse aprir bocca. Solo allora Will aveva capito.
Suo padre, suo nonno e suo zio avevano perso la vita mentre erano in servizio sulla Manchester[2] , un brigantino britannico che trasportava kerosene da New York a Yokohama. La nave era salpata dagli Stati Uniti e sarebbe dovuta arrivare in Giappone a inizio febbraio, ma nessuno aveva avuto più sue notizie già a dicembre, dopo un violentissimo tifone nel Pacifico. Erano state inviate varie imbarcazioni di soccorso lungo la rotta, ma non erano state rilevate tracce della nave o dell’equipaggio; pertanto, la Marina aveva sospeso le operazioni di recupero, dichiarando deceduti tutti gli uomini in servizio sulla nave. Il tenente Jameson era stato dunque inviato dalla vedova Sassoon per comunicarle la triste notizia, e riconsegnarle i pochi effetti personali dei famigliari scomparsi e rimasti presso la sede della compagnia a Liverpool.
Quel giorno, l’equinozio di primavera del 1901, Will era diventato improvvisamente adulto. Nonostante non avesse ancora compiuto nove anni, la sua vita era cambiata per sempre: da quel momento aveva sviluppato una fobia e una repulsione – per non dire un vero e proprio odio – per il mare, e tutti i suoi sogni di bambino si erano infranti in mille pezzi. Qualunque desiderio avesse espresso nel corso degli anni a suo padre era ormai svanito, sepolto, annegato nelle acque della sofferenza e di quell’ultima promessa di suo padre, per sempre tradita.
Non sarebbe mai divenuto un marinaio, men che meno un Ammiraglio, né avrebbe navigato mai più in vita sua; non avrebbe scoperto nuove terre sconosciute o solcato mari inesplorati, e nessuna moglie bionda lo avrebbe aspettato per mesi a Wight, in attesa del suo ritorno dall’altro capo del mondo. Ognuno di quei desideri, ora, gli sembrava falso e pericoloso, così come tutti i racconti e le sagge parole di suo padre. Smise di studiare il cielo stellato, di imparare a fare i nodi e a guidare le imbarcazioni, e lasciò che tutta la sua fanciullezza pian piano affogasse anch’essa all’interno del suo cuore, insieme al dolore e al mito di famiglia di Aldebaran.
«Scelta infausta, quella di una stella che insegue qualcosa e mai lo raggiunge. Ricordatelo, Will: non inseguire mai nessuno, mai più. Non desiderare quelle follie di altri mondi e di carriere brillanti. Tutto ciò che ti serve è qui, a Wight, con me». Quelle erano state le parole della nonna anni dopo, pochi giorni prima di morire per una brutta polmonite. Parole dure, ma vere, e che lui aveva eletto a sua massima di vita, da lì e per sempre.


«Will? Ehi, che fai, dormi?»
La voce di Tom irruppe nei suoi pensieri, trasportandolo lontano dal letto di morte della nonna e ricacciandolo dentro a quell’altro, immenso letto di morte che erano le trincee. Aprì nuovamente gli occhi, scrutando nel buio alla ricerca di quelle pozze azzurre e scintillanti che gli davano sempre un po’ di serenità. Anche alla vigilia della battaglia, anche a poche ore dalla probabile morte.
«Scusa, ci sono, ci sono» sussurrò, riconoscendo in pochi attimi quel profilo familiare. «Non dormivo, stavo… ricordando». Arricciò le labbra secche per inumidirle con la saliva, sospirando nell’aria fredda della notte.
«Non ti ricordavi più perché si chiama così?» alluse il più piccolo, indicando col dito la sua stella; cercava di scherzare, ma il tono era abbastanza serio. Gli si era avvicinato ancora di più, i loro visi a pochi palmi di distanza per potersi vedere meglio nonostante l’oscurità. Gli sembrava che ora facesse pure più freddo di prima, e l’odore dell’aria prometteva ora pioggia.
«No, certo che me lo ricordo, quello. Pensavo solo… a casa». Will non riusciva del tutto a lasciar andare i ricordi, complice quella strana coincidenza di data di cui si era ricordato solo in quel momento. «Che strano, proprio il 5 aprile… buffo».
«Beh allora, me lo vuoi spiegare perché si chiama così? E che ha di strano il 5 aprile scusa?»
Tom lo squadrava nel buio, i suoi occhi attenti e indagatori come sempre, e ancora liberi da quel velo di tristezza e realtà che lui ormai conosceva da troppo tempo. Avrebbe voluto fermare quel momento, come molti altri momenti: cristallizzare il tempo e congelare quegli attimi tra loro due, isolarsi da tutto il resto e rimanere a vivere in quelle bolle, per sempre. Anche solo per proteggere Tom da ciò che li aspettava di lì a breve.
Ma anche quello era un desiderio impossibile, come tutti quelli che aveva mai avuto. Prese fiato anche per riportarsi del tutto nel presente, e poi cominciò a spiegare.
«Si chiama così, Inseguitore, perché i popoli antichi pensavano che inseguisse le Pleiadi. Che sono quelle stelle luminose più in alto, quasi a forma di chiocciola». Indicò un ammasso luminoso non lontano da Aldebaran, permettendo a Tom di individuare il gruppo di stelle. «Le vedi, nipper
Il piccolo annuì, facendogli segno di continuare con la spiegazione. «Le Pleiadi erano le sette bellissime figlie di Atlante, che furono inseguite da Orione e tramutate in stelle dagli dèi per proteggerle dal cacciatore. Ma poiché Aldebaran sorge e cala insieme a loro gli arabi l’hanno chiamata così, anche se nella leggenda non sta inseguendo loro. È difatti l’occhio del Toro, quella grande costellazione lì, che si sta scagliando infuriato contro Orione».
Will si fermò un attimo, per assicurarsi che il piccolo lo stesse ancora seguendo, prima di concludere il racconto. «In realtà, alla fine, sono tutte comunque collegate tra loro. Tutte queste stelle sorgono e calano intorno allo stesso periodo: appaiono nel cielo a metà ottobre dicendoci che stiamo entrando nell’autunno inoltrato, e ci salutano ora, a inizio aprile, annunciando che tra poche settimane sarà finalmente estate. Mentre quando sono allo zenit, allora è pieno inverno ed è tempo di ritirarsi al sicuro in casa, e non avventurarsi fuori».
Tom beveva dalle sue labbra tutte quelle informazioni, in silenzio e attento come uno scolaretto. Gli piaceva vederlo così incantato dalle sue spiegazioni, come un tempo accadeva a lui con le lezioni notturne della nonna. Nonostante quello che era successo poi, di quelle interrogazioni serbava ancora bei ricordi, e questo niente avrebbe potuto portarglielo via.
«Come sai tutte queste cose sulle stelle, Will? Chi te le ha insegnate?» gli domandò a bruciapelo il piccolo, cogliendolo completamente di sorpresa e incapace di difendersi.
«Io… me-me ne parlava nonna» balbettò deglutendo rumorosamente.
«Quando ero piccolo, lei… lei mi portava sulla spiaggia e mi insegnava i nomi delle stelle». Avrebbe potuto fermarsi lì, ma per qualche motivo andò avanti: «E… Aldebaran era la mia, la nostra stella».
Le parole fuggirono dalle sue labbra, perdendosi nell’aria fredda della notte. Non lo aveva mai raccontato a nessuno, al di fuori della famiglia, e non sapeva come mai gli fosse scappato detto così, lì e in quel momento.
«Quindi… Aldebaran è la tua stella preferita, giusto? Di te e di tua nonna? Per questo la conosci così bene».
Per qualche assurdo motivo, Will aveva temuto che Riccioli-di-segatura lo avrebbe deriso per quella confessione, ma ciò non accadde. Davanti al commento del più piccolo rimase in silenzio, abbassando lo sguardo mentre l’altro lo fissava nel buio, serio. Erano domande retoriche, dopotutto, non si aspettavano delle risposte.
Rimasero zitti per un po’, lui che fissava le sue scarpe così lerce che lo sporco si notava anche al buio, e Tom che guardava di nuovo verso il cielo. Poi fu il suo nipper a rompere il silenzio, cogliendolo ancora di sorpresa.
«Non so perché tu abbia così paura di parlare con me delle tue cose, Will. Non lo capisco proprio, perché io mi fido totalmente di te ma… lo accetto».
Era un discorso strano, profondo, che non si aspettava da quel ragazzino, o in generale da un altro uomo. Non si era mai aperto con nessuno che non fosse sua nonna o le sue sorelline, e sapeva che gli uomini non dovevano condividere tra loro certe cose. Ma Tom era diverso, e anzi stava continuando a parlare con quel tono di partecipazione che non aveva mai percepito prima.
«Però, se vuoi, se hai bisogno… io sono qui per ascoltarti ancora parlare di stelle. Mi piace quando mi spieghi le cose».
Riccioli-di-segatura continuava a guardare il cielo naso all’insù, e Will alzò la testa per vedere dove stesse guardando. Non rimase sorpreso nel vedere che stava fissando proprio Aldebaran.
Il più grande non rispose subito a quell’apertura dell’altro, ma si sistemò semplicemente meglio di fianco a lui e prese a osservare nella stessa direzione, resistendo alla tentazione di distogliere lo sguardo da quella stella maledetta.
Stava provando di nuovo rabbia, verso di lei e verso suo padre e soprattutto verso tutti quei vecchi discorsi sull’inseguire i propri desideri finché non li si realizza. Perché quell’apertura di Tom riaccendeva dentro di lui un desiderio che non poteva esprimere o realizzare, quello che doveva restare a tutti i costi un segreto e che mai e poi mai avrebbe potuto rivelare.
«Coloro che reprimono un desiderio lo fanno solo perché il loro desiderio è abbastanza debole per essere represso. Tu hai desideri deboli, Will?»
La voce di suo padre rimbombò nelle sue orecchie, come se provenisse direttamente da Aldebaran che lo osservava di rimando. Avrebbe voluto rispondergli, stavolta, e non rimanere ancora in silenzio come diciassette anni prima. Che no, lui non aveva desideri deboli, e che se non li aveva mai potuti realizzare ma li aveva sempre repressi era per colpa di cose esterne a lui: la morte di suo padre, la richiesta di sua nonna, e tutta la pressione di quella società malata che continuava a chiedergli di sparare a uomini come lui ma lo avrebbe ucciso qualora avesse espresso davvero ciò che sentiva nel petto per Tom.
Eppure, anche stavolta rimase in silenzio, incapace di parlare e di lottare, immobilizzato davanti a una domanda per cui non esisteva una risposta giusta. Perché sapeva che quell’ultimo, unico, forte desiderio che covava nel cuore non sarebbe stato compreso e accettato da nessuno, nemmeno da suo padre. Per sempre represso, come lui, finché una pallottola non fosse penetrata nel suo cervello o nel suo cuore mettendo fine a quella vita di rinunce e sofferenza.
Fu di nuovo Tom a tirarlo fuori dalla sua testa. Gli si era pian piano avvicinato, e quando parlò si accorse che i loro corpi si stavano toccando l’un l’altro, seduti contro quel freddo masso fuori dalla trincea.
«Credi che sopravviveremo, Will?» domandò piano, la voce piatta e stranamente priva di nervosismo. Il repentino cambio di argomento lo stupì, ma dopotutto Tom doveva aver pensato che lui non volesse più parlare di stelle, ed era tornato alla quotidianità.
«In che senso, nipper?» gli rispose, voltandosi verso di lui ma fingendo di non sapere di che cosa stesse parlando. I segnali c’erano stati tutti, ogni veterano sapeva cosa stava per accadere. Ma Tom non era un veterano, come se n’era accorto?
«Credi che sia scemo? Non sono esperto come te, ma l’ho capito anch’io che presto attaccheremo. Ormai è primavera. L’artiglieria a sud sta bombardando da giorni, non sono sordo, la sento. E Jonathan diceva che stanno per distribuire la carne. Non lo fanno mai, se non prima di una battaglia[3]».
Tom continuava a fissare il cielo, la voce atona e lontana; la sua mano sinistra era appoggiata vicino alla sua gamba, aperta come se volesse che qualcuno la stringesse, ma anche lei con poche speranze di veder realizzato il proprio sogno. Non credeva fosse così sveglio, e gli dispiacque scoprire che anche lui aveva capito tutto.
Ancora una volta, rimase in silenzio, perché non sapeva cosa dire. Aveva iniziato a parlargli di stelle proprio per quel motivo: l’attacco sarebbe stato imminente, e voleva che il suo nipper arrivasse alla battaglia il più tranquillo e riposato possibile e senza alcuna tensione in corpo. E poi voleva che qualcuno potesse ricordare anche solo un po’ di tutto ciò che lui aveva imparato da piccolo: un suo regalo d’addio, per la persona per lui più importante.
In qualche modo trovò il coraggio di parlargli, anche se non sapeva bene cosa dire.
«Speravo non te ne accorgessi. Ma sì, credo che sopravviveremo, nipper. Se ce l’ho fatta io una volta, tu sicuramente almeno tu finirai questa guerra stando dal lato giusto del terreno – di sopra».
«Non riesci proprio a non essere cinico per più di un minuto, vero?» grugnì scuotendo la testa il più piccolo, per poi continuare. «Bene, comunque. Ma sappi che non accetterò di vivere sapendo che tu sei dal lato sbagliato del terreno, Will. Quindi vedi un po’ di toglierti quello che hai stasera dalla testa e di tornare tra noi, che avrò bisogno di te quando combatteremo».
«E perché dovrei ascoltarti, nipper? Tu hai sempre la testa fra le nuvole…» provò a controbattere, con poca convinzione.
Tom finalmente riabbassò gli occhi portandoli su di lui, e nella notte i loro sguardi tornarono ad incrociarsi.
«Perché oggi è il mio compleanno, Will. E questo è l’unico regalo che voglio, l’unico desiderio che ho. Averti qui con me, e ascoltarti parlare delle tue stelle».
Will rimase di stucco davanti a quella notizia. Voleva dirgli che non lo sapeva, chiedergli scusa per non avergli ancora fatto gli auguri e non aver pensato a nulla per lui – come se poi stando al fronte avesse potuto fargli un regalo! Ma il più piccolo anticipò ogni suo commento con quello sguardo che significava più di mille parole. Rimasero in silenzio ad osservarsi e a riflettere su quello che si erano detti. Nessuno dei due seppe dire quanto durò quel contatto visivo immerso nel buio, se pochi secondi o qualcosa di simile a tutta la notte. Ma Will sentì ardere di nuovo qualcosa dentro di sé, qualcosa che non sentiva da molti anni.
Papà gli aveva insegnato a desiderare cose forti, e lui aveva sempre pensato che significasse volere l’impossibile, qualcosa di grandioso e mirabile. Eppure, tutti quei sogni così grandi si erano dimostrati alla prova dei fatti deboli e reprimibili. Invece ora Tom desiderava qualcosa di semplice, eppure importante: un momento insieme a lui, un racconto che lo estraniasse da quella dura realtà da soldato e lo cullasse un po’ prima dell’inevitabile risveglio a suon di pallottole e rischio concreto di morte.
E per la prima volta dopo anni, il desiderio di qualcun altro combaciava con qualcosa che anche lui desiderava nel profondo. Non era più viaggiare intorno al mondo e scoprire luoghi nuovi, o essere dei veri lupi di mare con la famiglia perfetta che ti aspetta a casa; però almeno quella voglia di normalità tra loro era condivisa, era un obiettivo comune e perfettamente realizzabile. Un desiderio altrettanto forte, che avrebbe resistito ai suoi tentativi di soffocarlo per colpa della paura o del passato.
Forse il suo maggior desiderio sarebbe sempre stato debole, e difficilmente tra lui e Tom ci sarebbe stato qualcosa di più di quello che già c’era. Anzi, probabilmente uno di loro due – lui, sicuramente lui, non il suo nipper – sarebbe morto di lì a poco. Ma stavolta poteva realizzare qualcosa finalmente, e spezzare quella catena che l’aveva obbligato ad accontentarsi fino a quel momento, soffocando ogni desiderio avesse mai avuto.
Per questo, dopo quella che era sembrata un’eternità, inspirò nuovamente aria fresca, e riprese a parlare delle sue amate stelle e costellazioni.
«Allora, dov’eravamo rimasti? Ah sì, parlavamo del Toro e delle Pleiadi. La vedi quella stella in alto a destra rispetto ad Aldebaran? Quella è Elnath, il corno destro, mentre quell’altra laggiù…»
Alzò la mano sinistra per mostrargli gli asterismi[4] celesti, perché la sua destra ora stava stringendo la mano dell'altro, nascosta dai loro corpi e al sicuro sia dagli altri che soprattutto dalle sue paure. Continuarono a scrutare insieme il cielo stellato per gran parte della notte, mentre i loro occhi si rincorrevano insieme lungo il cielo, astro dopo astro.
È vero, quelle non erano stelle cadenti, ma forse anche loro potevano realizzare dei piccoli desideri, dopotutto.

 



[1] ragazzino o bambino; termine utilizzato colloquialmente nell’Inghilterra del Sud, in particolare sull’Isola di Wight. Si usa riferendosi specialmente ai maschi molto giovani e di bassa statura, ed indica un ragazzo sempre in mezzo ai piedi, che ti pizzica e/o infastidisce (to nip). Da Urban Dictionary

[2] La Manchester fu un brigantino a palo varato a Sunderland nel dicembre 1891. Era di proprietà della Galgate Shipping Company di Liverpool, e trasportava kerosene dagli Stati Uniti al Giappone per conto della Standard Oil. Scomparve nell’inverno del 1900, probabilmente naufragando durante un tifone non lontano dalle Isole Marshall, nel pieno Oceano Pacifico. Nel luglio del 1901 uno schooner britannico ritrovò i possibili resti di un naufragio vicino all’atollo di Bikar, nonché tracce umane risalenti a mesi prima sulle piccole isole disabitate. Si suppone che i naufraghi attesero invano i soccorsi sulle isolette per giorni, prima di prendere nuovamente il mare per la disperazione e morendo nel tentativo di raggiungere altre terre abitate. Tutti i 31 membri dell’equipaggio furono ufficialmente dichiarati deceduti dalle autorità portuali di Liverpool.

[3] Effettivamente il giorno 6 aprile 1917 iniziarono i bombardamenti dell’artiglieria lungo tutto il sistema di trincee del settore intorno ad Arras, mentre la mattina del 9 aprile cominciò effettivamente la Battaglia di Arras, che si concluse il 16 maggio con la vittoria tattica britannica.
[4] Gruppo di stelle riconoscibile per la sua particolare configurazione geometrica. Può indicare sia intere costellazioni, che in effetti sono enormi asterismi, oppure solo parti di esse (ad esempio, la Cintura di Orione è un asterismo ben riconoscibile, all'interno di una costellazione più grande). 
🌠🌠🌠

Note dell'Autore:

Ben trovati a tutti!
Complimenti innanzitutto per essere arrivati fino a qui, questa volta mi sono dilungato parecchio con questa OS, per cui cercherò di essere il più breve possibile con queste NdA.
Vorrei semplicemente ringraziare inzaghina.EFP per avermi dato l'occasione di cimentarmi in questa originale grazie al suo contest "Wish upon a star", a cui questa storia appunto partecipa. Il tema del contest è appunto "i desideri", realizzati o meno che sia, e ogni concorrente doveva scegliere una citazione e un pacchetto contenente alcuni prompt e basato sul nome di una delle stelle più brillanti del cielo notturno. Come avrete capito, il mio era il pacchetto "Aldebaran", e spero di aver reso giustizia sia a questa stella meravigliosa che a tutti i prompt contenuti nel pacchetto. Per quel che riguarda la citazione, che ho utilizzato come massima del padre di Will, William Sassoon Jr., ho scelto una frase di William Blake. Non credo che il padre di Will lo abbia mai letto in vita sua, ma mi sembrava una buona frase motivazionale per spingere il proprio figlio a non rinunciare ai propri sogni. Non è andata subito così, ma comunque il povero papà aveva tutte le buone intenzioni del caso.
Tutte le informazioni riferite alle stelle citate nella storia sono effettivamente reali ("checkate" Wikipedia e troverete tutto!), ma ho preferito non inserirle nelle note per non appesantire il tutto.
Nella speranza che questa storia vi sia piaciuta, concludo augurando un grosso in bocca al lupo ai miei avversari; se Will e Tom vi hanno ispirato come personaggi, potrete ritrovarli anche nella storia L'isola d'erba, nella quale hanno fatto la loro prima comparsa. Vi ringrazio ancora per aver letto sin qui, e se vi va di lasciare una recensione per dirmi che ne pensate di questa "stellina" ve ne sarò eternamente grato! EDIT: Questa storia è anche candidata agli Oscar della Penna 2022 indetti sul forum Ferisce più la penna!
A presto, e che tutti i vostri desideri possano realizzarsi!
   
 
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