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Autore: ValeS96    02/09/2020    3 recensioni
«Eravamo solo noi due nella notte, lì, a camminare con un passo che chiedeva solo tempo. Perché Nicolò mi aveva insegnato che per attraversare Genova serve tempo, che è Genova che ti deve attraversare.»
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Joe / Yusuf Al-Kaysani, Nicky / Nicolò di Genova
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NOCTURNE IN GENOVA



 
 
Eravamo solo noi due nella notte, lì, a camminare con un passo che chiedeva solo tempo. Perché Nicolò mi aveva insegnato che per attraversare Genova serve tempo, che è Genova che ti deve attraversare.
Era un poeta, Nicolò, sempre stato. Ma quando eravamo lì era diverso.
Non erano solo strade quelle che percorrevamo insieme, non era solo una via con un nome; quelle case ammassate, quelle porte scure e un po’ storte non erano solo numeri rossi e neri. Nicolò non passeggiava a Genova, lui respirava Genova, se ne vestiva; e si lasciava ferire da una malinconia che andava così profonda dentro di lui, che forse, sì, quella era l’unica cosa che poteva trafiggerlo e non guarire mai, una ferita che si riapriva ogni volta che ci tornava, ogni volta che respirava il sale sulle pietre dei muri e il tabacco agli angoli della strada.
Immerso nel mare, navigatore lontano, guardava Genova come si guardano le cose che si vorrebbero amare con ogni singola fibra di noi ma che poi vorremmo sempre ci attraversassero ancora di più, ancora, ancora, perché non è abbastanza, mai. Ancora, ancora.
E Nicolò cantava a Genova quell’ ancora silenzioso nell’eco dei muri stretti che zoppicavano verso il cielo, lo cantava facendo volare quel suo silenzio tra le finestre semichiuse, tra le case che si parlavano la lingua della notte, luci che si sussurravano le poesie antiche dei marinai; poi con un tremolio leggero si soffiavano la buonanotte in un fruscio di vento, una tenda che si alzava piano a salutare. E cantava muto attraverso quelle vie così strette che a volte sembrava ci volteggiasse, a volte sembrava ci si trascinasse con addosso tutto il peso che aveva dentro.
Uno spasimo in fondo agli occhi, lo riuscivo a scorgere nascosto dietro alle pupille scure nel buio: non riusciva a contenere Genova dentro di sé. Allora ne rubava i particolari da una saracinesca abbassata, da un graffito sul muro scrostato, dall’ insegna di una bottega che singhiozzava “chiuso” ma da cui ancora saliva profumo di incenso e basilico. Camminava tra le luci tremolanti della sera mentre ombre nuove gli attraversavano il viso, ed ecco che le ombre lo portavano da un’altra parte, via, lontano.
Era come accompagnarlo in una vecchia fotografia e tenergli la mano mentre lui, come se fosse sempre solo laggiù, assaporava qualcosa di cui voleva rendermi partecipe, ma che era inevitabilmente suo. Allora lo accompagnavo, niente di più, lo guardavo e seguivo il suo sguardo che rimbalzava nella striscia di cielo tra le case ormai spente; amavo in silenzio e in punta di piedi quella malinconia che gli bagnava le guance, gliela asciugavo piano con le dita. E dentro quegli occhi ora ci leggevo il mare, la città, tutto il suo vagare confuso e sempre stupito, una poesia che gli gravitava dentro e gli si fermava sulle labbra, così leggera, così pesante. E baciavo quella poesia per non farla scappare.

Solo allora capivo perché Nicolò non parlava mai di Genova, perché le parole gli morivano sulla bocca e abbassava gli occhi nel ricordare, l’eco distante che si affievoliva.
Ma capitava in alcune rare sere estive che una brezza notturna gli solleticasse i capelli; chissà, forse una brezza che era lì per lui, un vento solo suo venuto da lontano. Era allora, in quell’istante in cui spariva per qualche secondo da me, che capivo: si fermava, guardava un punto nel vuoto, e perso nel niente con gli angoli della bocca che si incurvavano lievi, mi diceva: «Ti va se andiamo a Genova?».



 


Note: è la prima storia che pubblico in questo fandom, in realtà una OS che è uscita piuttosto di getto e che non volevo lasciare abbandonata per mesi nel pc prima di decidermi a pubblicarla. Il titolo è tratto da “Nocturne in Tokyo” di Remo Anzovino, che ho ascoltato mentre scrivevo, un pezzo che amo infinitamente di un album che per me rappresenta una passeggiata nella notte di Genova.
Grazie a chi ha letto fin qui e spero a presto,

Vale






 
  
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