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Autore: pampa98    02/09/2020    6 recensioni
[Storia scritta per la "30 days hath september" del gruppo Facebook "Non solo Sherlock - gruppo eventi multifandom"]
What-if? in cui Jaime e Brienne si erano già conosciuti durante un ballo a Tarth.
Dal testo:«Mi chiamo Brienne» disse infine.
«Piacere di conoscerti, Brienne» Jaime tentò un inchino in movimento, che lei di nuovo ignorò. «Hai anche un cognome o sei nata dal niente?»
«Brienne di Tarth.»
Jaime ponderò quel nome nella sua mente. Tarth, l’isola di Zaffiro, governata da Lord Selwyn Tarth, la Stella della Sera e vassallo di Capo Tempesta.
«Tarth. Sì, la conosco» disse Jaime. «L’ho anche visitata una volta, sai? Mio padre mi portò lì a forza durante un ballo, nella speranza che mi innamorassi dell’erede di Tarth e lasciassi…»
Il dubbio che andò a insinuarsi nella sua mente trovò conferma nel rossore crescente di Brienne. Provò a immaginarla con i capelli più lunghi, un abito di seta avvolto intorno al suo corpo, circondata dal fasto di una celebrazione imponente. Una visione grottesca, ma che non era nuova nella sua memoria.
«Oh» fu il suo unico commento.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Brienne di Tarth, Jaime Lannister
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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IL PROFUMO DEL MARE



Jaime fu svegliato dalla sua schiena che sbatteva sul terreno duro. Si lasciò sfuggire un gemito di dolore e impiegò qualche secondo per ricordare che era incatenato e incappucciato. La seconda condizione non durò per molto: il telo che gli copriva la vista venne rimosso bruscamente e la luce del sole lo colpì in pieno viso, costringendolo ad abbassare lo sguardo. Quando lo rialzò, un ulteriore ricordo fece capolino nella sua mente.

«Sei ancora più brutta alla luce del sole.»

Le torce fuori dalla sua cella gli avevano permesso di constatare solo la stazza e vagamente il sesso del suo carceriere, ma non gli avevano mostrato i dettagli del suo volto. La donna – per così dire – lo sollevò di peso, spingendolo in avanti.

«Cammina» ordinò.

Una corda collegava le sue mani legate a quelle libere di lei e l’effetto del vino e della recente prigionia erano ancora troppo forti su Jaime perché potesse pensare di fuggire. Obbedì, dunque, e nell’attesa decise di cimentarsi nel campo prediletto di suo fratello: le parole.

«Immagino tu mi conosca già» disse, col tono allegro di una conversazione tra amici. «Ti rinfresco la memoria altrimenti: sono Jaime Lannister di Castel Granito.»

Lei continuò a camminare senza degnarlo di uno sguardo.

«Ora che ti ho detto il mio nome, tu dovresti dirmi il tuo» la incalzò lui.

Ancora silenzio.

«È una presentazione, donzella. Non ha senso farla da un lato solo.»

«Non chiamarmi “donzella”» lo rimproverò lei.

«Allora dammi un altro nome con cui chiamarti. A proposito, ma sei una donna, vero? Lady Stark ha detto di sì, se non ricordo male, ma sai, dopo tutto il vino che mi ha dato potrei avere la mente un po’ confusa.»

Con quelle parole Jaime ottenne una piccola reazione da parte sua: le gote si imporporarono, mettendo in risalto le numerose lentiggini che le ricoprivano tutto il volto.

«Mi chiamo Brienne» disse infine.

«Piacere di conoscerti, Brienne» Jaime tentò un inchino in movimento, che lei di nuovo ignorò. «Hai anche un cognome o sei nata dal niente?»

«Brienne di Tarth.»

Jaime ponderò quel nome nella sua mente. Tarth, l’isola di Zaffiro, governata da Lord Selwyn Tarth, la Stella della Sera e vassallo di Capo Tempesta.

«Tarth. Sì, la conosco» disse Jaime. «L’ho anche visitata una volta, sai? Mio padre mi portò lì a forza durante un ballo, nella speranza che mi innamorassi dell’erede di Tarth e lasciassi…»

Il dubbio che andò a insinuarsi nella sua mente trovò conferma nel rossore crescente di Brienne. Provò a immaginarla con i capelli più lunghi, un abito di seta avvolto intorno al suo corpo, circondata dal fasto di una celebrazione imponente. Una visione grottesca, ma che non era nuova nella sua memoria.

«Oh» fu il suo unico commento.

«Ti conviene risparmiare il fiato, Sterminatore di Re» disse Brienne, allungando il passo. «La strada per Approdo del Re è ancora lunga.»

«Ti chiedo scusa per non averti riconosciuta subito» continuò, ignorando il suo consiglio. «A mia discolpa, posso dirti che questa armatura ti dona molto di più?» Non riuscì a trattenere una risatina.

“Credo che sia colpa del colore. Il blu sarebbe meglio: si abbinerebbe ai tuoi occhi.”

Ricordò il momento in cui aveva pronunciato quella frase e la risata gli morì sulle labbra.
 

 
⚔ ⚔ ⚔


Avrebbe potuto apprezzare la bellezza dell’isola se non fosse stato costretto a indossare un abito da sera e presenziare a un ballo di cui non gli importava niente. Suo padre aveva deciso che, dopo Dorne e le Terre dei Fiumi, poteva tentare di far sposare suo figlio maggiore con l’erede di Tarth. Uno spreco di tempo, gli aveva risposto Jaime, ma Tywin lo aveva preceduto informando Robert del viaggio e il re, dopo essersi fatto una grassa risata e averlo pregato di non lasciare che restassero solo uomini onorevoli nella Guardia Reale, gli aveva dato il permesso di allontanarsi da corte.

«Non puoi andartene davvero, lasciandomi qui sola» lo aveva rimproverato Cersei quando era venuta a conoscenza dell’intrigo.

«Sarà solo per qualche giorno, giusto il tempo di far contento nostro padre. O hai forse paura che mi innamori della Vergine di Tarth?» aveva riso, vedendo il suo sguardo disgustato.

«Non lo faresti mai» gli aveva risposto. «E sia, parti. Promettimi solo che tornerai presto.»

Jaime si era chinato verso di lei, pronunciando quel voto sulle sue labbra.

Avrebbe fatto il suo dovere, presentandosi alla figlia di Lord Selwyn e danzando con lei se necessario, e il mattino seguente avrebbe preso la prima nave che lo avrebbe riportato da Cersei.

Per sua fortuna si erano radunati insieme a lui una cinquantina di giovani, tutti più interessati di lui al matrimonio, perciò probabilmente Jaime sarebbe riuscito a passare inosservato e, se fosse stato abbastanza fortunato, non avrebbe nemmeno dovuto conoscere la ragazza.

«Sterminatore di Re. Tutti mi aspettavo di vedere, meno che te.»

Jaime si voltò, trovandosi faccia a faccia con il fratello minore del re, il quale gli rivolse un ampio sorriso.

«Lord Renly» lo salutò. «La sorpresa è mia. Non credevo fossi interessato al… matrimonio.»

«Non lo sono infatti» rispose, sorseggiando del vino. «Lord Selwyn mi ha invitato a partecipare e ho pensato che sarebbe stato scortese rifiutare.»

Jaime annuì.

In quel momento fu annunciato che Lord Selwyn e sua figlia Lady Brienne erano pronti a ricevere i loro ospiti. Tutti i presenti si voltarono verso la porta e Jaime notò che molti di loro avevano uno strano ghigno stampato in faccia.

«Tu la conosci?» chiese a Renly.

Lui scosse la testa.

«No, ho solo… sentito delle voci.»

«Lo dici in modo strano.»

«Non sono voci molto lusinghiere, ecco.»

Non appena la ragazza entrò nella sala, Jaime ne capì il motivo. La prima cosa che provò fu compassione: era evidente dal modo in cui si sforzava di tenere la testa alta e combattere il rossore che avrebbe preferito essere gettata in una fossa con un orso piuttosto che trovarsi lì. Era più bassa dell’uomo che la accompagnava, ma il fatto che lui sovrastasse di almeno una testa tutti i presenti dimostrava che anche la figlia era molto alta – troppo, per essere una donna. Il corpo tozzo e mascolino era stato rivestito con un delicato abito rosa che stonava sulla sua pelle bianca e la rendeva solo più ridicola.

Poi Jaime provò un senso di rabbia verso Selwyn Tarth. Se quell’uomo non era cieco, doveva sapere che l’unico modo per dare un marito a sua figlia era decidere a tavolino qualcuno che fosse abbastanza interessato a governare l’isola alla sua morte da tollerare il pensiero di sposarla. Organizzare un ballo era il modo meno efficace per maritarla e il più sicuro per renderla lo zimbello del regno.

O forse no.

Contro ogni sua previsione, tutti gli invitati si avvicinarono a lei, facendole i complimenti e lottando per avere il diritto al primo ballo. Dall’espressione stupita della fanciulla, era chiaro che anche lei si era aspettata un altro tipo di accoglienza.

«Spero che questi gentiluomini sappiano cosa fanno» mormorò Renly.

«Che intendi dire?»

Il ragazzo gli rivolse uno sguardo d’intesa.

«Non è mia intenzione offendere e non lo farò. Ma la ragazza non è la creatura più desiderabile del regno eppure tutti questi avvoltoi le si sono avvicinati come se fosse la Fanciulla scesa in terra. Voglio credere che lo stiano facendo per gentilezza e non per deriderla. È poco più di una bambina, non se lo merita.»

Jaime osservò nuovamente la scena di fronte a sé. La banda aveva dato il via alle danze e Brienne stava ballando con un uomo dai capelli bruni che cercava di sussurrarle qualcosa all’orecchio. Quel qualcosa doveva essere divertente, perché lei sorrise e Jaime capì che sotto quel corpo massiccio si nascondeva un’anima semplice e innocente.
 


Aveva trovato il modo di dileguarsi intorno al quinto ballo. Le preoccupazioni di Renly forse erano ben fondate, ma non era un suo problema: questa poteva essere l’unica sera in cui quella ragazza avrebbe ricevuto qualche complimento, che se li godesse finché duravano.

Quando la stanza era diventata troppo calda, i servitori avevano aperto le porte a vetri che davano sulla terrazza e Jaime aveva colto l’occasione per allontanarsi. Il riflesso della luna sul mare zaffiro era uno spettacolo ancora più suggestivo di quello del giorno e Jaime inspirò a pieni polmoni l’aria fresca intorno a lui. Quella era una sensazione di cui sentiva la mancanza: la puzza di escrementi del Fondo delle Pulci arrivava fino alla Fortezza Rossa e per lui che non si allontanava mai era raro poter respirare qualche altro profumo naturale.

Rise, pensando che avrebbe potuto acconsentire al matrimonio portando questa come motivazione: magari al suo ritorno Cersei avrebbe fatto in modo che l’odore del mare fosse più forte della puzza.

Dei passi lo distolsero dai suoi pensieri. Si voltò distrattamente e vide una persona andare ad appoggiarsi al parapetto dal lato opposto al suo. Lei non lo aveva visto, ma lui l’aveva riconosciuta. Restò fermo per qualche secondo, cercando di capire cosa avrebbe fatto, ma lei si limitò a prendere una boccata d’aria e guardare l’orizzonte come aveva fatto lui fino a quel momento.

«Stanca della festa?» le chiese.

Brienne ebbe un sussulto, credendo di essere sola.

«N-Non ti avevo visto» disse.

«L’ho notato» Jaime mosse qualche passo verso di lei. Era in penombra, la luce delle candele non arrivava a illuminarla.

«Non ti ho ancora porto i miei omaggi, temo. Dovrei rimediare.»

Il suo corpo si irrigidì e lei voltò di scatto la testa, tornando a fissare il mare.

«Non è necessario» disse con fermezza.

«Beh, sono venuto per questo.»

«In tal caso non sono interessata» sbuffò lei. «I tuoi compagni mi hanno omaggiata a sufficienza.»

Jaime aggrottò le sopracciglia, riportando lo sguardo verso la sala. Si erano formati dei gruppetti che parlottavano tra di loro e in uno di questi notò il primo uomo con cui Brienne aveva danzato, ridere e indicare verso di loro. Il suo sguardo intercettò poi Renly, che gli lanciò un’occhiata che voleva dire “Te l’avevo detto” e un’altra che lo invitava a lasciare in pace la ragazza.

Jaime Lannister, però, non era il tipo d’uomo che accettava facilmente un consiglio.

«Non sono miei compagni» le disse. «Mi dispiace che siano stati crudeli, ma è una prerogativa di molti uomini: non sanno apprezzare le donne brutte.»

Brienne strinse le mani intorno alla ringhiera e Jaime la sentì trattenere un singhiozzo.

“È orgogliosa”, pensò.

«Lo so» rispose lei. «Non era necessario che fingessero.»

«No, non lo era.»

In quel momento sentirono la musica cessare e un servitore annunciò che la cena era pronta. Brienne sospirò e si preparò a rientrare.

«Non vieni?» gli chiese, voltandosi verso di lui quando non lo vide muoversi.

Era la prima volta che Jaime l’aveva così vicina. Ed era la prima volta che notava i suoi occhi. Sembravano dei pozzi ancora più azzurri della acque dell’isola e le lacrime trattenute li rendevano ancora più brillanti.

Annuì, scoprendosi momentaneamente senza fiato.

Riuscì a parlare quando lei era già rientrata.

«È il vestito il problema.»

Lei si voltò, aggrottando le sopracciglia. Erano rimasti soli.

«Come?»

«Ti sbatte» insistette lui. «Credo che sia colpa del colore. Il blu sarebbe meglio: si abbinerebbe ai tuoi occhi.»

«Credevo che tu avresti evitato di insultarmi.»

«Ti sto dando un consiglio» spiegò lui, raggiungendola. «E facendo un complimento implicito. Hai dei begli occhi, forse l’unica parte salvabile del tuo aspetto, e dovresti valorizzarli.»

Brienne arrossì e lo guardò come se si stesse chiedendo se doveva ringraziarlo o meno per le sue parole.

«V-Va bene» rispose infine. «Andiamo, ora. Ci staranno aspettando.»

Jaime annuì e le porse il braccio.

«Cosa?» chiese lei con tono esasperato.

«Permettimi di accompagnarti, mia signora. Mostra agli omuncoli che ridono alle tue spalle che le loro parole non ti toccano.»

Lei abbassò lo sguardo, ma subito lo rialzò risoluta. Avvolse il braccio intorno al suo e annuì, sempre con quel forte rossore a coprirle il volto.

«Perdonami, non so ancora il tuo nome» gli disse mentre camminavano.

«Jaime» rispose lui. Stava per aggiungere anche il suo cognome, ma lei sembrava non conoscerlo e in quel momento si rese conto che non gli dispiaceva che qualcuno, al di fuori dei suoi fratelli, non lo vedesse come lo Sterminatore di Re. «Solo Jaime.»

 
⚔ ⚔ ⚔


«Muoviti, Sterminatore di Re» Brienne strattonò la corda, facendolo quasi inciampare. «Ti ho detto che la strada è lunga e voglio sbrigarmi.»

«Siamo in due, ma cerca di capire che la prigione mi ha stancato. E mi fanno male i polsi.»

«Non è un mio problema.»

Jaime sbuffò.

«Ti ricordavo più gentile» si lamentò lui.

«Non ti ricordavi affatto di me.»

Pronunciò quelle parole con un velo di tristezza e Jaime non ebbe difficoltà a capirne il motivo. Avevano trascorso il resto di quella sera lontana insieme, affiancati di tanto in tanto da Renly, e il mattino seguente Jaime aveva tirato di spada con lei, scoprendola più abile di quanto credesse. Suo malgrado aveva lasciato l’isola con un giorno di ritardo rispetto ai suoi piani.

«Mi sono scusato. Non sono al massimo delle mia capacità, donzella, cerca di capirmi.»

«La forza per blaterare però ce l’hai ancora» constatò lei.

Jaime rise.

«Un paio d’ore e avrò la forza di fare molto altro. Intanto slegami, dai. Camminerò più veloce così.»

«Non mi risulta che ti servano le mani per camminare in fretta.»

«Non riesco a tenere un buon ritmo con le braccia bloccate» si giustificò lui. «Andiamo, non avrai mica paura che scappi?»

«Naturalmente no. E nemmeno che tu cerchi di uccidermi, perché dovresti?» lo canzonò lei.

«Una volta eri più gentile» borbottò Jaime.

«Potrei dire lo stesso di te. E ora sali» gli intimò. Jaime non si era nemmeno accorto che fossero arrivati in riva al fiume.

«Hai bisogno del mio aiuto per remare.»

«Grazie dell’offerta, ma so che sei ancora indebolito dalla prigionia e non mi sembrerebbe giusto farti faticare.»

Suo malgrado Jaime si lasciò sfuggire un ghigno. Entrò nella barca e si sedette, guardandola mentre la sospingeva lontano dalla riva e iniziava a remare.

«Se non posso aiutarti in alcun modo» disse Jaime, «farò un pisolino allora.»

«Ottima idea.»

Jaime chiuse gli occhi, lasciandosi cullare dai flutti del fiume. Il profumo della natura gli riempì le narici. Era la seconda volta che, allontanandosi da un luogo fetido, trovava nell’acqua una fonte d’aria pulita. E, in entrambe le occasioni, c’era Brienne con lui.

“Forse porta con sé il profumo del mare”, si disse, prima che il sonno lo avvolgesse.

 
 
 
 
   
 
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