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Autore: Dalybook04    02/09/2020    1 recensioni
Ispirato a "Shatter Me" di Tahereh Mafi
Lovino era un mostro. Come altro poteva definirsi? Cos'altro poteva essere un ragazzo che distruggeva tutto quello che toccava e uccideva chiunque provasse a sfiorarlo? Un mostro, appunto.
Ormai erano passati anni dall'ultima volta che aveva toccato qualcuno; dall'ultimo abbraccio, l'ultima stretta di mano. Neanche si ricordava più come fosse sfiorare qualcuno. Essere tranquillo in mezzo agli altri, senza il terrore di toccare qualcuno per sbaglio e ucciderlo. Ma è anche vero che non vedeva nessuno da anni, per cui non soffriva la distanza. Non appena aveva mostrato i suoi poteri per la prima volta, la Restaurazione lo aveva preso e sbattuto in manicomio. Non ricordava molto, ma, se da allora aveva visto qualcuno, quel qualcuno erano scienziati e psichiatri, di cui aveva anche rimosso il ricordo. All'alba dei suoi sedici anni lo avevano sbattuto in cella, avevano smesso di drogarlo e lo avevano lasciato lì a marcire.
Poi, circa un anno dopo, quella porta si aprì.
ATTENZIONE: verranno trattati argomenti delicati, ci saranno scene anche pesanti, soprattutto nell'ultima parte della storia.
Inoltre saranno presenti coppie boy×boy
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Antica Roma, Nord Italia/Feliciano Vargas, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Note: come ho già detto, saranno trattati argomenti delicati, a cui spero di rendere giustizia.
Inoltre, nonostante l'idea di base sia ispirata dalla trilogia Shatter Me, la trama differisce molto, si evolve in modo completamente diverso, anche lo stile di scrittura è differente. Di simile c'è l'idea di base, fine.
Vi lascio alla lettura, spero vi piaccia.

Vi siete mai sentiti in balia della vita? Non so, un giorno ti svegli e ti rendi conto che tutto quello che hai fatto in vita tua non è mai servito a un cazzo. Che nel disegno dell'universo tu non servi a niente e sei solo un puntino inutile che morirà presto, in un tempo che per la nostra terra è meno di un secondo. E allora di te cosa rimarrà? Un pezzo di marmo conficcato per terra, i ricordi degli altri granelli di insignificante sabbia che ti hanno conosciuto e che moriranno portandoti con loro e poi? Poi il nulla.
È un pensiero deprimente, lo ammetto, ma anche rassicurante per certi aspetti. Se ci pensate, se tanto di te non rimarrà assolutamente niente, allora chissene frega. Chissene frega della figuraccia che abbiamo fatto l'altro giorno; chissene frega dell'esame che abbiamo la settimana prossima; chissene frega della persona che ci piace che non ci considera. Chi se ne frega. Nel disegno dell'universo tutto ciò è totalmente insignificante. Alla fine di noi non rimarrà assolutamente niente, ed è giusto così. Questo tipo di pensieri può essere rassicurante, può essere deprimente, può essere anche pericoloso. Infatti un pazzo potrebbe dire: "chissene frega se faccio una strage di quaranta persone. Nell'insieme non vale assolutamente niente". E potremmo pensarlo anche noi, a dirla tutta. Perché alla fine non varrebbe niente comunque.
Ma allora, se non valiamo niente, qual è il senso di tutto questo? Be', se lo sono chiesti in tanti. Non penso qualcuno sia arrivato a una risposta. Quindi penso che alla fine chissene frega. Meglio godersela. Se anche una risposta la trovassimo, nell'insieme non varrebbe assolutamente niente, quindi tanto vale godersi questo casino di universo per quel che possiamo e basta, no?
Fosse facile, risponderebbe Lovino. Il problema arriva quando tieni a qualcuno. Lì arrivano paranoie, problemi, e allora non puoi più fare come ti pare. Siamo animali sociali, purtroppo ci importa degli altri, siamo fatti per stare con loro, e allora puoi fare come vuoi fino a un certo punto.
Lui, per esempio, è sempre stato uno con la coscienza particolarmente bastarda. Ansia e paranoia sono sempre state le sue migliori amiche, e quelle non sono mica facili da mandare via. Se lo fossero lui a quest'ora sarebbe il presidente del mondo, grazie tante e vaffanculo.
Ma non è solo la sua coscienza ad essere bastarda, no no. Pure la genetica è stata particolarmente creativa nei suoi confronti.
Eh sì, perché tra tutti i poteri che poteva dargli proprio quello di distruggere qualsiasi cosa solo toccandola doveva scegliere, come se non fosse abbastanza bravo a rovinare tutto per conto suo. Ah, e quando dico "qualsiasi cosa" intendo proprio qualsiasi cosa, comprese le persone. Motivo per cui, quando a undici anni aveva quasi fatto fuori il suo fratellino per sbaglio, era stato spedito in culo ai lupi, in un fottuto manicomio fatiscente a marcire per il resto della vita merdosa che si era ritrovato.
Per i primi anni lo facevano uscire per fare esperimenti e studiarlo, ma da quando aveva raggiunto i sedici anni non erano più tornati a prenderlo, limitandosi a dargli due pasti merdosi al giorno. Era convinto che avessero buttato via la chiave della sua cella, tanto il cibo glielo passavano da una fessura e della sua igene se ne fottevano altamente, e invece un giorno quella porta si aprì e ne entrò un ragazzo, con in mano alcune coperte e un cuscino. Dalla poca luce che filtrava dalla porta e dalla finestra, Lovino vide che era abbastanza muscoloso, abbronzato, con i capelli ricci e scuri e gli occhi verdi. La porta si richiuse all'istante alle sue spalle.
-sei qui per farmi fuori?
Quello rise -no. Sarò il tuo compagno di stanza.
E che stanza. Pochi metri quadrati di spazio, un materasso sottilissimo con due coperte sudice e un cuscino lercio e una finestra minuscola con tanto di sbarre. Romano avrebbe potuto rendere tutto quello schifo cenere solo toccandolo, ma non se n'era ancora andato. Sapeva che era meglio così, era solo un pericolo ambulante.
-mi dispiace per te- disse solo, senza neanche alzarsi dal suo angolino sudicio -che hai fatto per farti sbattere qui con me?- che avessero deciso di sfruttarlo per le condanne a morte? Col cazzo, usassero una sedia elettrica piuttosto, non avrebbe fatto il lavoro sporco per loro.
Il sorriso del tizio vacillò un secondo -lunga storia.
-non vuoi parlarne. Va bene, come ti pare.
Il ragazzo gli porse la mano, dando dimostrazione di un'intelligenza al di sotto della media -io sono Antonio.
Lovino guardò prima la sua mano tesa e poi lui -non ti hanno detto niente di me o sei solo coglione?
-non mi hanno detto niente.
-mh- onestamente puntava sulla seconda -ti basti sapere che non ti conviene toccarmi. Mai.
-ah, va bene...- si mordicchiò il labbro, combattuto -quindi non posso abbracciarti?
-no.
-perché?
-non mi piace parlarne. E poi perché dovresti abbracciarmi?
-amo gli abbracci- esitò, poi la curiosità ebbe la meglio -ti è successo qualcosa di brutto?
-no. Non è quello a cui stai pensando.
-sicuro?
-eh.
-sicuro sicuro? Potrei aiutarti...
-no, senti. Non ho bisogno del tuo aiuto o della tua pietà. Non toccarmi, non rompermi le palle e andremo d'amore e d'accordo.
Antonio alzò le mani in segno di resa -okay, okay. Non mi hai detto come ti chiami.
-Lovino. Tanto per essere chiari, qui non c'è mai un cazzo da fare se non guardare fuori da quella finestra, per quel poco che si vede, mangiare quando te ne portano, dormire, pensare, cagare o pisciare in quel cesso là nell'angolo o farsi una sega. In caso di quest'ultima sei pregato di farlo il più lontano possibile da me, grazie.
Quello rise -va bene. Dove posso sistemare...- indicò le coperte e il cuscino che teneva tra le braccia con un cenno della testa.
-dove ti pare, sai che me ne frega.
Antonio annuì, posò il cuscino a terra e sistemò le coperte affianco alle sue, stendendosi a pancia in su, un po' troppo vicino per i suoi gusti. Istintivamente si allontanò leggermente, rannicchiandosi contro il muro.
-hai un materasso, che fortuna.
Lovino sbuffò -è praticamente una sottiletta, ma sì. Ero piccolo quando sono arrivato, si vede che gli facevo pena.
-quanti anni avevi?
-undici.
-oh- rimase in silenzio per un po', con gli occhi sgranati -oh.
-già. Tipo... ogni mese mettono del sapone per darsi una ripulita sopra il vassoio del cibo, anche se non fa quasi niente, mentre una volta all'anno mi passano dei vestiti nuovi. Almeno credo sia ogni anno, stando qui si perde la cognizione del tempo.
-e quanti... quanti vestiti ti hanno dato?
-vuoi sapere quanti anni ho?- quello annuì, stendendosi sul fianco per guardarlo in faccia -credo diciassette. Più o meno.
-oh. Io ne ho ventidue.
-buon per te.
Antonio sogghignò -comunque non rimarrò qui a lungo.
-tipo carcere? Hai fatto qualcosa di sbagliato e ti hanno sbattuto qui per qualche mese o anno?
Scosse la testa -in teoria dovrei stare qui per tutta la vita, ma so che i miei amici stanno già cercando di farmi evadere.
Sbuffò una mezza risata -buona fortuna.
-potresti venire con noi.
Si irrigidì -no.
-non ti sei stancato di stare qui? I miei amici sono brave persone, non ti farebbero del male. C'è un posto...
-no, non hai capito. Io devo stare qui.
-perché?
-perché non...- "perché sono un pericolo pubblico" -perché sì.
-Lovinito...
-chi ti ha autorizzato a chiamarmi così?- sbottò.
Fece un sorrisino colpevole -scusa. Comunque non penso che tu meriti di morire qui dentro.
Rise -che ne sai? Potrei aver fatto fuori decine di persone.
-eri un ragazzino quando sei arrivato qui. Cosa mai potrebbe fare un bambino di così terribile da finire qui?
Si trattenne a stento dal ridergli in faccia -esistere.
-sei figlio di un dissidente politico o qualcosa del genere? È per questo che sei qui?
Lovino scosse la testa -acqua.
-uffa. Allora... uhm...- fece un'adorabile espressione concentrata. Non che Lovino lo trovasse adorabile -sei stato testimone di qualcosa che non avresti dovuto vedere?
-in caso mi avrebbero fatto fuori direttamente.
-uhm...- rimase in silenzio per un po', pensando. Poi sbuffò -non ne ho idea.
Fece un leggerissimo sorriso -prova a indovinare. Io non ti dirò niente.
-sfida accettata. Dunque...

Quel giochetto idiota andò avanti per ben due mesi. Antonio si inventò di tutto, persino che avesse viaggiato nel tempo e in realtà da piccolo avesse la coscienza di un adulto e quindi avesse combinato qualcosa di terribile. Quella teoria lo fece quasi ridere.
-ma ti pare? Che idiota- si coprì la bocca con la mano per non fargli vedere il suo sorriso.
-però ti ho fatto sorridere.
-solo perché sei ridicolo, bastardo.
-meglio di niente.
Lovino roteò gli occhi. In quel momento lo sportello sulla porta si aprì e ne entrò un vassoio con due porzioni di... non era sicuro di voler sapere cosa, e due bicchieri d'acqua.
Antonio lo prese e lo mise a terra, in mezzo a loro -che meraviglia, sembra di essere in un ristorante a cinque stelle.
-come no. Questa... roba molliccia e verdognola è degna dei migliori chef.
-manca solo una candela e sembrerebbe un appuntamento romantico- Lovino rischiò di strozzarsi.
-cosa hai detto?!- maledì in silenzio la sua voce, improvvisamente più acuta.
Antonio sembrò stupito -era una battuta- a quelle parole l'italiano riprese a respirare. Poi quello fece un sorrisetto -credo.
Lovino abbassò il viso per nascondere le sue guance rosse -sei un bastardo.
-grazie, querido!
-non era un...
-facciamo una scommessa- lo interruppe. Lovino fece un verso di scherno.
-che ci dovremmo giocare? Il diritto a stare di più sul cesso? Se vuoi il mio cibo non serve scommettere, te lo do più che volentieri.
-il diritto a vantarsi con l'altro?
-mi piace. Ci sto. Che vorresti scommettere?
-riuscirò a farti ridere. Ma ridere sul serio, spontaneamente.
Sbuffò divertito -buona fortuna. Non so neanche se ricordo come si fa. Il solletico però non vale.
-certo. Anche se sono fantastico a fare il solletico.
-non dovresti vantartene.
-è un'abilità che ho maturato negli anni. Mi sono allenato tanto. Ho anche preso una laurea. Mi ci sono impegnato parecchio, quindi me ne vanto eccome.
-ripeto, sei un idiota.
-un idiota che ti farà ridere.
-aspetta e spera.
Quel giorno Lovino si sentiva stranamente di buon umore. Forse perché aveva dormito meglio, forse perché quel giorno il cibo era quasi mangiabile, o forse perché da fuori entrava nella cella un leggero venticello, che permetteva loro di respirare e portava fuori il puzzo di sudore e di chiuso che aleggiava perennemente lì dentro. O forse, ma solo forse eh, perché stare con Antonio lo faceva stare bene. Lo faceva sentire... umano, in qualche modo. Come se persino lui meritasse una seconda occasione, una vita dignitosa. Come se... come se anche lui meritasse degli amici e... e forse persino di essere amato da qualcuno.
Dopo qualche ora (o almeno, ipotizzava fosse passata qualche ora. Stando chiusi lì si perdeva la cognizione del tempo, ma a giudicare dal modo in cui entrava la poca luce che entrava doveva essere tardo pomeriggio) bussarono alla porta. Lovino aggrottò la fronte, non era ancora ora di cena.
-che sta succ...
-Tonio, sono io- bisbigliò qualcuno dall'altra parte della porta.
-Gil!- Antonio si alzò e corse alla porta. Si inginocchiò e spinse la fessura da cui portavano il cibo per guardare fuori -sei davvero tu?
-certo. Conosci qualcun altro magnifico quanto me?
-concentrati sull'evasione- intervenne una voce dall'accento francese.
-giusto. Dobbiamo aprire la porta ma non sappiamo come.
-le guardie?
-Fran le ha fatte ubriacare. Dormono come agnellini.
-bastardo, che sta succedendo?- Lovino lo raggiunse e si inginocchiò affianco a lui, ma quando si sporse a guardare oltre la fessura non vide nulla.
Antonio sorrise -evadiamo.
-cosa?! Ora?
-sì, ora- disse qualcuno oltre la porta. Come l'aveva chiamato il bastardo? Gil? -se non vi dispiace fate dopo i piccioncini, ora abbiamo da fare. Qualche idea su come far saltare la porta? Non penso basti spingere.
-avete preso le chiavi?
-certo, mon ami, ma ci sono qualcosa come duecento chiavi, tutte uguali, e non abbiamo tempo per provarle tutte. Le guardie si sveglieranno tra poco, abbiamo perso un sacco di tempo a cercarvi tra le altre celle. Questo posto è gigantesco, è strano ci siate solo voi.
-lo spiegone a dopo, Fran. Abbiamo della dinamite?
-bravi idioti, così sveglierete le guardie- Lovino si morse il labbro -forse ho un... un'idea.
-e cioé?
Non rispose. Si alzò, si sfregò le mani tra loro e sospirò nervosamente -allontanatevi dalla porta.
-non fare rumore- gli raccomandò quello che doveva essere Fran -se farai crollare la porta...
-non è per quello che vi ho detto di allontanarvi- la verità era che non voleva rischiare di ucciderli per sbaglio. Non usava da tanto il suo potere, aveva imparato a fatica a trattenerlo, ma non a sfruttarlo. Era imprevedibile e lo sapeva, ma non pensava ci fossero molte soluzioni.
-dove andremo dopo questa cosa?- si voltò verso Antonio, che si era messo dietro di lui.
-un posto sicuro.
-non... non mi giudicheranno?- si sentiva un idiota, ma aveva paura. Era stato sbattuto lì dentro per anni per qualcosa su cui non aveva il controllo, capitelo.
-io mi so rendere invisibile e il mio amico qui trasforma l'acqua in vino, che può controllare e rendere soporifero- intervenne il tizio oltre la porta -non c'è molto da giudicare.
Sgranò gli occhi, poi si disse che in fondo non è che avesse tanto da sorprendersi. Annuì -okay. Allora vado.
-in fretta, grazie.
Antonio gli sorrise e sollevò i pollici nella sua direzione per fargli coraggio.
Lovino sospirò e appoggiò una mano sulla porta, proprio al centro. Non successe nulla. Aggrottò la fronte, poi chiuse gli occhi. Si concentrò e cercò in se stesso la fonte del suo potere, quel qualcosa che gli rodeva dentro e che lo rendeva così diverso, e lo spinse fuori attraverso la mano. Sentiva quel potere come un proprio arto, come un braccio o una gamba. Lo sentì passare dalla punta delle sue dita alla superficie della porta, farsi strada tra le cellule di quest'ultima e ridurle tutte in cenere, assorbirne la forza e annullarla completamente. Percepì anche le energie di altre tre persone, Antonio e gli altri due, e si sforzò di imbrigliare la sua energia per impedirle di aggredire qualcuno. Qualcosa, una stretta alla base dello stomaco, voleva appropriarsi anche delle loro forze, fare sue le loro e quelle di tutto il mondo, finché non sarebbe rimasto nessuno tranne lui e montagne di cenere scura. Lovino strinse il pugno e si conficcò le unghie nel palmo della mano per ritornare in sé.
-porca puttana- sentendo quel commentò riaprì gli occhi. La porta era sparita, solo un mucchietto di cenere faceva intendere che prima ci fosse qualcosa. Scoccò un'occhiataccia nel punto dove pensava ci fossero i due idioti.
-non una parola.
Antonio fischiò -non pensavo ne fossi capace. Perché non te ne sei andato prima?
-perché...- "perché prima di conoscerti non pensavo di meritarmi di vivere" -lascia perdere. Il posto è lontano? Ci saranno persone?
-non molte. Massimo un centinaio, ma è una zona grande e ognuno ha il suo da fare.
-perfetto. Andiamo- fece un passo in avanti, ma il pavimento sotto di lui si sbriciolò -merda!- arretrò e anche lì il terreno si crepò -cazzo cazzo cazzo.
Andò nel panico. Una sequenza di immagini gli invase la mente. Una strada affollata, una manina stretta alla sua, una voce maschile che gli raccomandava di fare attenzione a suo fratello, soprattutto mentre attraversavano. E poi un urlo acuto, un'energia che gli scorreva dentro e si intensificava a ogni secondo, le sue urla, una mano in parte nera. E poi dottori, scienziati, poliziotti, soldati, macchinari strani, siringhe, flebo e infine quella cella, dove lo avevano lasciato a marcire quando avevano finito con lui. Altre urla, cenere, lampi di luce e buio. Lui era un mostro, non meritava di vivere, era solo un pericolo per gli altri. Distruggeva tutto, cosa pensava di fare? Come aveva potuto pensare di meritarsi qualcosa tranne la cenere che creava? Chi avrebbe mai potuto amarlo?
-Lovino- una voce gentile lo riportò alla realtà. Sollevò gli occhi sul ragazzo davanti a lui, che sembrava avere una voglia matta di abbracciarlo masi stesse trattenendo, più per non ferire lui che se stesso -va tutto bene. Puoi controllarlo.
-no, no, io non... non volevo... n-non...
-sh, non pensarci. Puoi farcela. Richiama la tua energia. Sei tu che la controlli, non il contrario, ricordalo sempre. Respira, rilassati e richiamala a te.
Sospirò e cercò di fare come aveva detto, concentrandosi sui suoi occhi. Lentamente il suo respiro si calmò, il battito rallentò e quando fece un passo avanti non distrusse niente.
-bene, ora possiamo andare?- Lovino guardò oltre la spalla di Antonio e vide i due ragazzi, ora visibili. Quello che aveva parlato, Gil, era albino, con occhi rossi e capelli bianchi. L'altro aveva dei lunghi capelli biondi e gli occhi azzurri. Entrambi gli stavano sul cazzo a vista.
-sì, ho avuto un attimo di...- scosse la testa e uscì dalla cella. Non sembrava vero, dopo così tanto tempo finalmente era libero.
-stai bene?- Antonio lo affiancò e gli sfiorò con delicatezza la spalla, coperta dai vestiti lerci che aveva addosso. Annuì e seguì i due idioti fuori, al sole.

   
 
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