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Autore: Ella Rogers    02/09/2020    0 recensioni
"Chi non muore si rivede, eh Rogers?"
Brock Rumlow era lì, con le braccia incrociate dietro la schiena e il portamento fiero. Il volto era sfregiato e deturpato, ma non abbastanza da renderlo irriconoscibile, perché lo sguardo affilato e il ghigno strafottente erano gli stessi, così come non erano affatto cambiati i lineamenti duri e spigolosi.
"Ti credevo sepolto sotto le macerie del Triskelion."
La risata tagliente di Rumlow riempì l'aria per alcuni interminabili secondi, poi si arrestò di colpo. L'uomo assunse un'espressione truce, che le cicatrici trasformarono in una maschera di folle sadismo.
E Steve si rese conto che, per la prima volta da quando l'aveva conosciuto, Brock Rumlow si mostrava a lui per quello che realmente era, privo di qualsiasi velo di finzione.
"Credevi male, Rogers. Credevi male."
Genere: Angst, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: Movieverse | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Road of the Hero'
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Compromise and Reassurance
 
 
 
Maggio 2015
Vladivostok, Russia

 
 
Amava la sensazione dell’adrenalina che induceva il cuore a pompare il sangue con maggiore forza e rapidità. Non sentiva la stanchezza, percepiva a malapena il dolore e riusciva ad acquisire una sicurezza e una determinazione tali da permettergli di superare, ogni volta, quelli che aveva creduto essere limiti.
L’adrenalina aumentava l’attenzione, diminuiva i tempi di reazione, affinava i sensi e tacitava la paura di vedersi passare ad un centimetro dalla giugulare la lama affilata di un coltello.
Disarmò l’uomo che aveva tentato di sgozzarlo e lo stese nel giro di una manciata di secondi, per poi riservare lo stesso trattamento al tizio che provò ad aggredirlo alle spalle.
Okay, c’era quasi.
Registrò un movimento alla sua destra e si gettò a terra, in modo da evitare una pallottola. Mentre scivolava sul pavimento, estrasse dalla tasca laterale dei cargo grigi un coltello e lo lanciò senza esitazione, facendolo conficcare nella mano armata dell’uomo, che finì disarmato. Tornò in piedi e buttò giù l’avversario con un calcio volante dritto sul lato destro del volto.
Continuò la corsa e raggiunse una stanza poco illuminata, dove avrebbe trovato ciò per cui era giunto fin lì. Quando era stato deciso il piano d’azione, quella stanza era stata definita sala di controllo ma, ad una prima occhiata, era più simile ad uno scantinato poco illuminato e tecnologicamente attrezzato con lo stretto necessario per rimanere collegati al mondo esterno e per controllare che il mondo esterno non sconfinasse all’interno.
 
“Cavolo, non finiscono più.”
 
Contò altri quattro uomini all’interno della stanza. Non ci impiegò molto a disarmarli e a stenderli. Lo stile di combattimento che stava gradualmente acquisendo possedeva un’efficacia straordinaria. Se fosse riuscito a padroneggiarlo fino in fondo, sarebbe senz’altro salito di livello.
Si avvicinò ad un tavolo in legno massello, che era posto in un angolo della stanza riempita da scaffali e scatoloni pieni di armi e provviste. Dal soffitto pendevano svariate lampadine che emanavano una luce soffusa. Sul tavolo, oltre il computer fisso, c’erano rimasugli della cena che lui stesso aveva interrotto.
Una volta messo mano al computer, disabilitò tutti gli allarmi e disattivò le telecamere.
Era fatta.
Nel giro di una decina di minuti, a partire da quel momento, avrebbero portato a termine il lavoro.
“Scantinato… cioè sala di controllo in sicurezza” comunicò tramite la ricetrasmittente infilata nell’orecchio destro.
Adesso doveva solo caricare sulla pendrive tutti i dati salvati sul computer, mentre gli altri si occupavano del resto. Nulla di difficile.
Inserì la pendrive nel case del computer e iniziò la usuale procedura di trasferimento e recupero dati.
Trascorso solo qualche minuto, la voce di Rogers risuonò nel suo orecchio e gli parve incrinata da una sottile agitazione.
 
“Dan, allontanati da lì. Raggiungi l’esterno e non ingaggiare.”
 
All’ordine perentorio del Capitano seguirono rumori di passi in corrispondenza dell’ingresso della stanza. Intercettò un uomo che si avvicinava a passo svelto e con l’aria per niente amichevole. Aveva la barba scura e i capelli rasati. Era grosso, tanto che a confronto Steve sarebbe parso poco preoccupante.
Controllò a che punto era arrivato il trasferimento dei dati e imprecò fra i denti quando constatò che non era nemmeno a metà. Serviva più tempo.
 
“I dati sono quasi pronti, Cap. Un solo nemico in vista. Posso farcela.”
 
La risposta di Rogers non si fece attendere.
“Raggiungi l’esterno, Collins. Ora. E non...”
 
Saltò la comunicazione e la linea divenne muta.
 
Avrebbe raggiunto l’esterno, certamente. Ma solo dopo aver recuperato i dati.
Poteva farcela.
L’uomo arrivò a pochi passi dal tavolo e Dan si preparò a guadagnare tempo in ogni modo possibile. Ingaggiò il nuovo nemico e dopo i primi colpi che riuscì ad affondare, si rese conto di non essere stato in grado di fargli troppo male. In realtà, se doveva essere sincero con se stesso, non era riuscito a strappargli nemmeno una mezza espressione sofferente.
Brutto segno.
Il nemico gli assestò un pugno dritto sull’addome e Daniel si piegò in avanti, tossendo convulsamente. Fu quasi certo di aver sentito le costole gridare, ma non era il momento per stare ad ascoltare le lamentele del suo corpo. Si costrinse a muoversi per evitare di essere colpito ancora.
Quell’energumeno aveva una forza bestiale e una mezza idea sul perché Steve gli avesse detto di non ingaggiare iniziò a farsela. Tuttavia, non aveva intenzione di scappare ed era deciso ad uscire da lì con la pendrive e con i dati in essa.
Mise in atto una tattica basata sulla difensiva, tenendosi a una certa distanza dall’avversario e cercando di schivare gli attacchi. Quando vedeva una spiraglio, allora contrattaccava, anche se il nemico non sembrava avvertire troppo i colpi che metteva a segno.
Tentò di sfoderare un coltello da taglio, ma venne spinto contro la parete della stanza e l’impatto lo lasciò senza respiro. Si gettò a terra, verso sinistra, schivando un poderoso pugno, e il coltello scivolò via, in un angolo scuro della stanza. Vide le nocche dell’uomo conficcate nel muro e fu sollevato che lì non ci fosse finita la sua faccia.
Saltò in piedi e corse verso il computer. Il caricamento dei dati era stato ultimato, quindi sfilò via la pendrive e la mise al sicuro nella tasca. L’attimo dopo si sentì afferrare per il retro del colletto del giubbotto antiproiettile e perse il contatto con il pavimento. Fu praticamente lanciato contro il muro e, una volta tornato a terra, si chiese perché non avesse dato retta a Steve.
Era ancora a carponi, quando la punta di uno stivale nero si conficcò nello stomaco e lo fece rotolare verso il centro dello scantinato. Adesso aveva la vista offuscata, ma era ancora intero, più o meno.
Poteva farcela.
 
“È tutto qui quello che sai fare?” sibilò fra i denti, mentre si rimetteva di nuovo in piedi.
 
Non era spaventato e non aveva intenzione di scappare. Niente era perfetto e indistruttibile ed era pronto a dimostrarlo.
“Studia, attendi e spezza” gli aveva detto Steve, perché uno scontro non lo si vinceva solo con la forza. Era possibile buttare giù un avversario più forte se si usava la testa.
Aveva studiato abbastanza, quindi era arrivato il momento di passare alla seconda fase.
Pugni alti e gomiti stretti per proteggere il viso e il costato – non poteva permettersi di subire altri colpi di quel calibro –, testa svuotata da ogni pensiero diverso da quello di abbattere il nemico.
 
“Respira, Dan. Imponi il tuo ritmo e buttami giù.”
 
Sorrise nel riportare alla mente le parole di Rogers. Durante i loro allenamenti, non era ancora mai riuscito a buttarlo giù, per quanto testardamente ci avesse provato, ma aveva imparato ad imporre il ritmo. E se era riuscito a farlo con Steve, poteva farlo anche con quel tizio che non valeva nemmeno la metà del Capitano.
Schivò ogni attacco con estrema agilità, senza contrattaccare e senza scoprirsi. Doveva superare i suoi attuali limiti, doveva essere più veloce e più forte. Era in quei momenti che percepiva uno strano calore permeare ogni muscolo del corpo ed era una bella sensazione.
 
Per seguire i movimenti di Dan, l’uomo iniziò a lasciare inavvertitamente delle aperture.
 
Hai atteso abbastanza, Daniel. Stendilo adesso, puoi farcela.
 
Calciò dritto sulla punta del ginocchio destro dell’avversario, tre volte consecutivamente. L’energumeno perse la stabilità e fu allora che lo afferrò per un braccio e, riuscendo nell’impresa di sollevarlo di peso, lo sbatté a terra con una mossa fluida e rapida. Gli schiantò la suola della scarpa sulla faccia più di una volta, finché non fu certo di averlo reso incosciente.
 
“Te l’ho fatta, bastardo.”
 
Dan prese un bel respiro e corse in direzione delle scale cigolanti che lo avrebbero condotto fuori dallo scantinato. Dovette però bloccarsi ai piedi della rampa, perché stava venendo giù un altro uomo grosso, costituzionalmente molto simile a quello che aveva steso prima ... e che adesso era alle sue spalle con la faccia insanguinata e l’espressione parecchio incazzata.
Dannazione. Forse doveva iniziare a definirsi quasi spacciato.
Quasi, quindi poteva ancora uscirne e poteva farlo assieme alla pendrive. Sì, ne sarebbe uscito. Era pronto. Prontissimo e ...
 
Grazie al cielo, Steve! Quanto terribilmente adorava Steve e il suo tempismo? Davvero tantissimo in quel momento.
 
Il Capitano si scontrò contro l’uomo sulle scale e Dan poté difendersi dal nemico che aveva già steso una volta.
Il moro doveva aver perso un po’ dell’iniziale concentrazione – non sentiva più il calore dentro di sé –, perché perse rapidamente terreno. Fu costretto ad incassare, finché non fu tirato indietro da una stretta sulla spalla e la schiena di Rogers gli si piazzò davanti. Ammirò il super soldato stendere l’avversario con un pugno, una scudata e un calcio che si susseguirono veloci e precisi.
Poco dopo, gli occhi azzurri di Steve gli furono addosso e gli fecero deglutire rumorosamente il grumo di sangue che si era formato in gola.
 
La ruga fra le sopracciglia. Cavolo, era nei guai.
 
Dan tirò fuori la pendrive e gliela porse.
“Ho trasferito tutti i dati.”
Rogers la prese e la infilò in una delle tasche della cintura, senza però staccare gli occhi da lui.
“Ti avevo detto di raggiungere l’esterno e di non ingaggiare.”
Era arrabbiato. Lo era decisamente e Collins iniziò a sudare freddo.
“Potrei aver pesato di potercela fare” fu il fievole pigolio del moro, che abbassò lo sguardo con fare colpevole.
“Dan …”
“Lo so, lo so, questa non è una giustificazione e non so nemmeno perché continuo ad usarla ogni volta.”
 
Erano ventuno giorni che Ross utilizzava interrottamente Capitan America – e la squadra che gli era stata affiancata – per risolvere spinose questioni rimaste latitanti fino ad allora e, in particolare, da quando il Triskelion era crollato. Il Segretario li aveva sguinzagliati contro organizzazioni criminali e gruppi terroristici, sia in America sia al di fuori. Avevano avuto a che fare con traffici illegali di armi aliene – i resti dei Chitauri erano ancora in giro –, armi chimiche, biologiche e belliche. Avevano sventato attentati e avevano assaltato luoghi in cui nessun altro avrebbe mai messo piede.
Non avevano avuto un giorno di tregua, considerando anche i viaggi per spostarsi da una parte all’altra del mondo. Ross aveva detto che quello sarebbe stato l’ultimo compito e poi avrebbe concesso loro una pausa.
Era per quell’ultimo compito che adesso si trovavano a Vladivostok, in Russia, all’interno della casa sicura di un magnate russo che si era arricchito vendendo armi aliene al di fuori dell’America. Lo avevano inseguito per tre giorni.
Ciò che non si erano aspettati era di affrontare potenziati simili a quelli che Steve aveva incontrato combattendo contro l’Hydra negli ultimi mesi, prima di accettare di lavorare per Ross.
Solo che stavolta non si trattava dell’Hydra.
 
Steve sospirò profondamente e riposizionò lo scudo dietro le spalle.
“Stai bene? Non hai un bell’aspetto.”
 
Effettivamente, Dan si rese conto che gli faceva male la faccia e lo zigomo destro pulsava con insistenza. Nemmeno l’addome gli sembrava troppo a posto, dato che piegarsi e respirare sembrava più difficoltoso del solito. Ma poteva andare avanti.
 
“Sto bene, Cap.”
 
Steve annuì – affatto convinto delle condizioni di Daniel – e gli fece cenno di andare avanti e prendere le scale per uscire fuori dallo scantinato.
Dan si mosse senza esitare e, risalite le scale, arrivarono nell’ampia sala da pranzo. Sul pavimento, fra gli uomini che aveva steso prima, individuò due potenziati che erano stati ridotti parecchio male. Sollevò lo sguardo dal pavimento e osservò una seconda scalinata che portava alle stanze da letto. C’erano uomini che erano stati messi k.o. e che adesso tappezzavano le scale e quella non era stata opera sua, dato che il piano di sopra non era compreso nella zona che gli era stata affidata.
I suoi passi e quelli di Rogers facevano eco nella sala. Il Capitano stava camminando dietro di lui ed era quasi sconcertante quanto la sua presenza lo facesse sentire tranquillo.
 
Quando raggiunsero l’esterno, Dan rabbrividì per il freddo pungente che gli venne sbattuto addosso da un vento che portava con sé l’odore del mare.
C’era già un jet ad attenderli, non molto distante dall’ingresso della casa sicura. All’interno del velivolo trovarono Sharon e altri due membri della squadra che Ross aveva assegnato a Rogers.
John Bennet e Janet Stewart erano entrambi soldati che avevano ricevuto un addestramento speciale ed erano parte di una task force che Ross aveva creato e gestito a partire dalla caduta dello SHIELD, con lo scopo di occuparsi lui stesso di minacce che avrebbero approfittato della situazione per muoversi con maggiore facilità.
Bennet era un uomo di quarantuno anni dall’aspetto austero. Gli occhi scuri e dal taglio affilato erano sovrastati da sopracciglia folte. Aveva la mandibola dai tratti duri e la cosa dava l’impressione che fosse perennemente di cattivo umore. Il pizzetto faceva concorrenza a quello di Stark per la cura con cui era mantenuto e i folti capelli castani erano tirati all’indietro da una buona dose di gel. Era fisicamente ben piazzato, persino più grosso di Rogers, oltre che poco più alto. Aveva una resistenza invidiabile ed era un asso sia nel corpo a corpo sia con le armi da fuoco.
Janet Stewart aveva invece trentacinque anni e Dan ancora si chiedeva se il biondo scintillante dei lunghi capelli lisci fosse naturale oppure no – optava più per la seconda. La forma degli occhi castani era leggermente allungata, aveva labbra piene e un naso appuntito. Era molto agile e sapeva utilizzare in modo eccelso qualsiasi arma bianca esistente. Usando un coltello da taglio, poteva colpire bersagli parecchio distanti con una precisione incredibile.
 
I nuovi colleghi di Rogers stavano ora facendo in modo che il magnate russo finalmente catturato non tentasse di filarsela.
 
“Capitano, quale onore. Non avrei mai immaginato che potessi diventare il cagnolino di Ross. Sai, li avevo pagati parecchio quei super soldati, ma non mi aspettavo che il Generale avesse un’arma di tale portata dalla sua.”
Il magnate russo, vestito con un completo dai riflessi viola, aveva i capelli completamente bianchi, ma il volto non era segnato da rughe troppo evidenti. Sedeva su una delle postazioni del velivolo e non sembrava turbato dal fatto che fosse stato catturato.
Rogers decise di non rispondere alla provocazione e fece in modo di far vertere il discorso su ciò che era davvero importante.
“Chi ti ha venduto i super soldati?”
Il magnate sorrise e accavallò le gambe con un movimento fluido ed elegante.
“Cosa ci guadagno se ti rivelo questa informazione?”
“È Adam Lewis?” insistette il biondo.
“Oh, capisco. Non hai intenzione di contrattare. In questo caso, vorrei parlare con il tuo superiore.”
 
Daniel rabbrividì di nuovo, ma stavolta non per il freddo. Fu notare la mandibola di Steve serrarsi con forza e lo sguardo affilarsi a fargli venire la pelle d’oca. Avevano l’ordine di prendere in custodia il magnate e di consegnarlo a Ross, quindi teoricamente non potevano toccarlo o minacciarlo.
 
“A quanto pare è una questione personale. È perché hai perduto l’esclusiva?” parlò ancora l’uomo e allargò il sorriso.
 
“Lascia stare, Steve. Ora finiamo il lavoro.”
Sharon fece sciogliere la tensione e il super soldato rilassò le spalle.
 
“Hai ragione. Bennet, Stewart, mettete in sicurezza l’interno della casa” ordinò allora Rogers.
 
I due interpellati si mossero senza esitare e, non appena furono fuori dal jet e abbastanza distanti, il click di una pistola ruppe il silenzio e il magnate si irrigidì.
“Ha provato a fuggire ed è stato necessario renderlo inabile di camminare.”
Il tono risoluto della Carter risultò decisamente convincente. La donna aveva già avuto a che fare con questo tipo di uomini e sapeva che avrebbero fatto di tutto per evitare la morte e per sottrarsi al dolore.
 
“Quindi è così che funziona. Interessante.”
 
Sharon puntò la pistola sul ginocchio destro dell’uomo e sembrò davvero essere sul punto di sparare, tanto che Dan trattenne il fiato. Steve, invece, rimase perfettamente inespressivo e attese.
 
“Aspetta! Non c’è bisogno di spargere sangue! Sì, è Adam Lewis che mi ha venduto quei super soldati e li ha definiti esperimenti mediocri. Alcuni miei contatti in America mi hanno parlato di lui. All’inizio ero scettico, ma i suoi prodotti sono decisamente funzionali. Tu non eri previsto, Capitano, ma è ovvio che Ross non ha avuto altra scelta se non quella di assoldarti, così da poter rispondere al fuoco con il fuoco.”
 
“Che aspetto ha Lewis?” fu la successiva e secca domanda di Steve.
 
Il russo sembrò pensarci su e poi, senza apparente motivo, sbuffò una mezza risata. Però si ricompose velocemente, non appena notò che sia Rogers sia la Carter lo stavano fulminando con lo sguardo.
“Portava una mascherina bianca che gli copriva metà del viso e un paio di occhiali da sole, quindi è difficile dirlo. Sembra un uomo giovane, anche se non si direbbe da come parla. Fisicamente non siete troppo dissimili. Forse lui è più alto. Le sue mani erano parecchio pallide.”
 
“Sei in grado di contattarlo? Hai idea di dove potrebbe nascondersi?”
 
“Quell’uomo è furbo, Capitano. Sa come muoversi senza lasciare traccia, ma credo voglia gestire gli affari in prima persona, dato che è venuto da me personalmente.”
 
Steve scambiò un cenno del capo con Sharon e, dopo aver rivolto un ultimo sguardo penetrante in direzione del magnate, uscì dal velivolo.
Senza sapere bene perché, Dan seguì il super soldato. Semplicemente si era mosso di riflesso, guidato dall’istinto.
 
Vladivostok era situata nell’estremo oriente russo ed era capoluogo del Territorio del Litorale.
Per la felicità di Daniel – odiava il jet lag –, lì si trovavano ben quattordici ore avanti rispetto a Washington. Era notte e, nonostante il motivo che li aveva condotti in quella fredda città, c’era da ammettere che faceva un certo effetto la vista del cielo punteggiato di stelle che si specchiava nell’immenso oceano Pacifico, increspato dal vento gelido. La casa sicura del magnate russo era vicina ad un’alta scogliera e, se ne seguiva il profilo, Dan poteva scorgere in lontananza la luce rassicurante di un faro che avrebbe guidato le navi nell’oscurità.
Si fermò al fianco di Steve, ad un paio di passi da un precipizio che la notte faceva apparire senza fondo.
 
“Adesso sappiamo che ha un aspetto giovane e che si espone quando deve fare affari. E anche che è palliduccio. Sono ottime informazioni.”
 
“Se stai cercando di consolarmi, non sta funzionando. Ma grazie comunque.”
Lo sguardo di Steve rimase rivolto alle acque scure che, infrangendosi sulla scogliera, generavano un intenso fragore.
 
“Non hai intenzione di buttarti, vero?” domandò allora Collins, rivelando una certa apprensione.
 
Il biondo stavolta spostò l’attenzione sul compagno più giovane e sollevò un sopracciglio, scettico.
“Come diavolo ti è venuto in mente?”
“Hai un’espressione strana.”
“Oh, certo. È l’espressione contrariata che mi piace usare quando qualcuno ignora le mie istruzioni.”
“Ottimo! Sono sollevato… in parte. A mia discolpa, la linea era disturbata e non ho capito …”
“Stai peggiorando la tua situazione, Collins.”
Rogers suo malgrado sorrise e Daniel provò una certa soddisfazione nell’essere riuscito in quell’impresa.
Negli ultimi ventuno giorni, il Capitano non aveva potuto occuparsi dell’Hydra e né tantomeno di Lewis, perché Ross aveva fatto in modo che a malapena avesse il tempo di dormire – a tal proposito, Dan aveva un disperato bisogno di dormire. In ogni caso, la situazione non aveva di certo giovato ai nervi già provati del super soldato e, adesso che la presenza di Adam Lewis si era fatta di nuovo parecchio ingombrante, era difficile immaginare fino a che punto avrebbe potuto spingersi Rogers per porre fine, una volta per tutte, alle losche macchinazioni del dottore.
Dan sapeva che gli altri Avengers non erano rimasti a guardare e, attraverso via traverse, avevano trovato il modo di muoversi senza destare troppo l’attenzione del Governo. Aveva beccato diverse volte Steve mentre parlava al telefono con uno dei suoi compagni e, in particolare, con Tony Stark.
 
Comunque! Ho steso il tipo grosso seguendo le tue dritte” disse Collins, esternando un certo orgoglio.
“Quando mi insegnerai altro? Sono pronto ad apprendere qualsiasi cosa, so essere una spugna a rapidissimo assorbimento, credimi.”
“Ne riparleremo quando imparerai a non gettarti a capofitto in situazioni che potrebbero ucciderti.”
Il biondo incrociò le braccia al petto e assunse un cipiglio abbastanza severo. Peccato che Daniel non ne fu assolutamente intimorito, anzi.
“Ma tu ti getti sempre a capofitto in situazioni che potrebbero ucciderti.”
“Non è la stessa cosa.”
“A me pare proprio di sì.”
 
Quel botta e risposta venne interrotto dall’arrivo di due jet. Erano stati mandati per trasportare tutti i criminali che il super soldato e la sua squadra avevano steso durante l’incursione nella casa sicura.
 
Un uomo in divisa militare si avvicinò a passo svelto verso di loro.
“Capitano, il Segretario desidera parlare con lei.”
Consegnò a Rogers un cellulare e poi si allontanò di una decina di metri, per garantire una certa privacy alla conversazione.
 
“Hai fatto un buon lavoro, Rogers. Potete tornare a Washington. Mi occuperò io del resto. Lascia i dati recuperati al mio uomo.”
 
“Sapeva del traffico di super soldati? È per questo che ha voluto che lavorassi per lei?” chiese di slancio il biondo, spinto dall’eco della conversazione avuta con il magnate russo.
 
“È riduttivo, Rogers.”
 
Quella era tutt’altro che una risposta chiara.
“Ho bisogno dei miei compagni. Non posso gestire l’Hydra e Lewis se mi tiene così occupato. Aveva detto che…”
 
“Ti avevo chiesto un mese. Ti sei comportato bene finora, ma preferirei che continuassimo così. Inoltre, vista l’implicazione di Lewis nei miei affari, sarà più facile per noi collaborare.”
 
“Ross ...”
 
“Non essere impaziente, Rogers. Mi farò risentire presto. Buon rientro.”
 
Chiusa la chiamata, il Capitano consegnò cellulare e pendrive all’uomo in divisa militare. Sospirò e rivolse di nuovo lo sguardo verso l’oceano. , era proprio un bello spettacolo e dava un certo senso di pace.
 
“Ancora sicuro di non volerti buttare di sotto? Sappi che tenterei di fermarti e quindi mi trascineresti a fondo con te.”
 
Steve sbuffò una risata e piazzò una pacca poco delicata sulla schiena di Daniel, mentre gli diceva che aveva appena deciso che non ci sarebbe più andato tanto piano con lui durante gli allenamenti.
Il moro cercò di simulare preoccupazione, ma in realtà la cosa lo eccitava parecchio.
 
Era tempo di tornare a Washington.
 
 
 
 
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Washington DC
 
 
Steve strinse la spalla di Daniel, seduto al suo fianco, e lo scosse leggermente.
 
“Sveglia, Dan. Ci siamo.”
 
Il moro era crollato sul sedile posteriore dell’auto e fu un trauma essere strappato dalla pace dei sensi in cui era scivolato. Aprì faticosamente gli occhi e si trascinò fuori dall’auto, mentre tratteneva a stento uno sbadiglio. Passò una mano fra i capelli, ma non fece che scompigliarli maggiormente di quanto già non fossero.
“Odio il maledettissimo jet lag” si lamentò, mentre seguiva i passi di Steve.
 
“Non dormiamo da poco più di quarantotto ore, quindi nulla di così tragico. Smettila di fare la mammoletta, Collins.”
Janet Stewart gli passò di fianco e gli scoccò un’occhiata scettica.
 
Dan non aveva la forza di ribattere e si limitò ad osservala raggiungere Steve, stretta negli usuali e attillati pantaloni in pelle nera che le mettevano in risalto le lunghe gambe. Provava una certa antipatia per lei, dato che gli aveva fatto capire che non lo riteneva all’altezza per quel lavoro. E poi lo prendeva in giro perché era più basso di lei – andava fiero del suo metro e settantasette.
“Eccola che ricomincia” borbottò a voce bassa il moro.
Janet era partita all’attacco, per l’ennesima volta. Era caparbia e non accettava un no come risposta – probabilmente non aveva mai ricevuto un no come risposta, ma c’era sempre una prima volta, una prima volta che ultimamente si ripeteva.
La donna aveva ora affiancato Rogers e gli aveva poggiato la mano sinistra nel mezzo della schiena, lì dove iniziava la curva lombare.
“Potremmo andare a bere qualcosa più tardi. Per festeggiare. Che ne dici?” la sentì chiedere con fare ammiccante. Stavolta non si era spinta troppo in là.
 
“Passo, ma voi andate pure senza di me.”
Steve rivolse alla bionda un sorriso gentile e varcò assieme a lei il portone che Bennet aveva aperto poco prima.
 
Ross li aveva sistemati in un appartamento con cinque camere e due bagni al primo piano e una grande sala con tanto di cucina e area relax al piano terra. Rogers aveva detto a Collins che non erano lontani dal quartiere dove aveva vissuto quando aveva lavorato per lo SHIELD.
Negli ultimi ventuno giorni, si contavano quasi sul palmo di una mano le volte che avevano sostato per più di mezza giornata in quell’appartamento.
 
“Andiamo, Steve. Ti farebbe bene rilassarti un po’.”
Janet si piazzò davanti al super soldato e fermò le mani sulle sue braccia.
“L’alcool non ha quell’effetto su di me” spiegò tranquillamente il biondo.
“Beh, ci sono altri modi per alleggerire la tensione. Potrei...”
 
“Io non sono affatto una mammoletta! È il jet lag! È il maledettissimo jet lag! Prima è notte, poi subito dopo è mattina e non so più nemmeno che giorno sia oggi!”
Lo sbraitare di Daniel, rivolto a Janet, mise la parola fine all’ennesima strana situazione venutasi a creare.
Il moro si chiese se il Capitano avesse effettivamente inteso cosa la Stewart volesse da lui o se, più semplicemente, fosse incapace di respingere senza troppo garbo – sarebbe stato giustificato in quel caso – il gentil sesso. Beh, poco male, gli avrebbe coperto lui le spalle, dato che sapeva anche il motivo per cui Rogers non avrebbe mai preso in considerazione le proposte della collega.
Il citato motivo, a quanto pareva, il super soldato cercava di tenerlo separato dal lavoro e non intendeva usarlo per tenere lontana Janet – anche se lei probabilmente non si sarebbe fatta scrupoli ugualmente.
 
“Dacci un taglio, Collins. E già che ci sei, perché non ti dilegui? Ti consiglio di andare a sistemare la faccia, perché hai un aspetto orribile, più del solito.”
Janet aveva le mani sui fianchi e stava guardando Dan parecchio male. Odiava essere interrotta quando – a parer solo suo – era vicina a raggiungere l’obiettivo.
 
“Perché non pensi alla tua di faccia, eh finta bionda?” fu la replica inacidita del moro.
 
“Voi due dovreste smetterla di discutere tanto spesso.”
Sharon era stata alle prese con il suo cellulare fino a quel momento, ferma sulla soglia, finché i tutt’altro che nuovi battibecchi fra i colleghi non aveva iniziato a scuoterle i nervi già abbastanza tesi. Come quei due avessero la forza di discutere, proprio non riusciva a capirlo.
“Stabiliamo i turni per la doccia?” propose e lanciò a Rogers uno sguardo che gridava ‘ti prego, fa’ qualcosa perché non ne posso più’.
 
“Sto andando. Voi fate pure come vi pare.”
Bennet era già a metà della rampa di scale che portava al piano superiore. Diventava parecchio burbero quando era stanco, ma non lo era così tanto solitamente. Era un tipo a cui piaceva starsene sulle sue e, al di fuori del lavoro, non era molto avvezzo alla comunicazione.
 
Ad ogni modo, evitando lunghe e faticose discussioni, si raggiunse un accordo sui turni per utilizzare i due bagni disponibili. Il piano di sopra era costituito da un lungo corridoio in parquet e i bagni erano agli estremi opposti, mentre le camere si alternavano sui due lati. Dan e Steve avevano camere frontali, vicine ad uno dei bagni, poi nel mezzo c’era la camera di Sharon – sullo stesso lato di quella del biondo – ed infine c’erano le due stanze frontali di Bennet e della Stewart.
Daniel uscì dal bagno con indosso solo dei pantaloni della tuta verdi militare e un asciugamano sulle spalle. Raggiunse la camera del Capitano e, prima di entrare, bussò un paio di volte.
 
“Doccia libera, Cap.”
 
Il super soldato era impegnato a sfilare la parte superiore della stealth, ma si bloccò quando inquadrò Collins e, in particolare, le chiazze violacee che gli ricoprivano il costato.
 
“Lo so, devo migliorare la difesa dei fianchi. Mi sono scoperto un pochino. Ma niente di rotto.”
 
“Un pochino, dici? Aspettami qui.”
 
Steve uscì dalla stanza e Dan, rimasto solo, si guardò un po’ intorno. Ogni camera era provvista di un letto ad una piazza e mezzo, un armadio sulla parete opposta e un comodino vicino la testata del letto. Inoltre, c’era una finestra che si affacciava su un lato del tranquillo quartiere. L’intero pavimento dell’appartamento era costituito da chiaro parquet.
Il giovane notò che la valigia del Capitano era abbandonata in un angolo della stanza, vicino l’armadio, e non era ancora stata del tutto disfatta. Era un segno evidente che considerava quella sistemazione di passaggio, temporanea.
Si lasciò cadere seduto sul letto e prese un profondo respiro. Si chiese se anche per lui l’attuale sistemazione fosse temporanea e si chiese se, prima o poi, sarebbe stato in grado di assegnare la definizione di casa ad un qualsiasi posto in grado di suscitargli la sensazione di stabilità.
Immerso in quei pensieri, quasi rischiò di essere colpito in piena faccia dall’oggetto che Rogers gli lanciò, per poi annunciargli che andava a fare la doccia.
Daniel si rigirò fra le mani il pacchetto di ghiaccio istantaneo e sorrise. Si stese sul letto e poggiò il ghiaccio sul costato, rabbrividendo al contatto. Senza accorgersene, finì prima in uno stato di dormiveglia e poi scivolò in uno stato sempre più profondo del sonno.
Fu la vibrazione insistente di un cellulare a farlo riemergere dall’incoscienza, ma permase comunque in uno stato di disorientamento. Allungò il braccio verso il comodino e afferrò l’oggetto di disturbo. Rispose senza nemmeno controllare chi lo stesse contattando – avrebbe dovuto controllare anche un’altra serie di dettagli, in realtà.
 
Mamma, ti richiamo più tardi. Sono tornato da poco e ho davvero davvero bisogno di dormire.”
 
“Non sei Steve, giusto?”
 
Daniel rimase in silenzio, incapace di far funzionare propriamente il cervello fuso. Aveva già detto che odiava il jet lag?
“E tu non sei mia madre.”
Guardò meglio il cellulare che aveva in mano e si rese conto che non era il suo. Sullo schermo era riportata la chiamata attiva.
Annie.
Oh, diamine.
 
“Reyes.”
 
“Collins.”
 
La voce della ragazza dall’altra parte della linea suonò decisamente divertita e fu lei a toglierlo dall’imbarazzo. Non sembrava turbata dal fatto che fosse stato lui a rispondere.
 
“Come va da quelle parti?”
 
“Se escludiamo il jet lag, ce la stiamo cavando bene. Ieri… oggi… insomma… ultimamente ho steso un potenziato bello grosso però ho ricevuto lo sguardo contrariato e… Steve non è come pensi è stato un incidente e non volevo.”
Daniel scattò seduto e rimase con il cellulare attaccato all’orecchio e la bocca semiaperta, mentre Rogers, in piedi davanti a lui, era decisamente perplesso.
 
“Dan? Ci sei ancora?”
 
Collins si riscosse.
“Sì, ci sono. E c’è anche Steve adesso, quindi ti lascio a lui e… è stato un piacere sentirti.”
Lasciò il cellulare nelle mani del biondo e fece per andarsene, ma venne richiamato e si girò appena in tempo per afferrare al volo il pacchetto di ghiaccio che gli era stato lanciato – di nuovo.
“A dopo, Dan” lo salutò il Capitano, mentre portava il telefono all’orecchio.
Daniel sorrise e chiuse la porta alle proprie spalle.
 
 
“Ehi. Ho chiamato appena letto il messaggio del tuo rientro. È un po’ che non ci sentiamo.”
 
Più o meno una settimana, era questo il tempo passato dall’ultima volta che si erano sentiti.
Durante i primi dieci giorni di servizio, Rogers era riuscito a mantenere i contatti con tutti i suoi compagni e si erano aggiornati quotidianamente. Poi i contatti erano andati degradandosi e negli ultimi sette giorni mettersi in contatto con gli altri era stato praticamente impossibile, con l’unica eccezione di Tony, che di tanto in tanto si era infiltrato nella linea di comunicazione condivisa con la squadra che guidava attualmente.
 
“Già… è stata una lunga settimana. Però sembra che Ross ci concederà una tregua. Come vanno le cose alla Tower?”
 
“Lì è tutto okay. So che Thor è tornato e ha raggiunto Jane dopo aver appreso le ultime novità.”
 
“Tony me l’ha detto e… aspetta. Hai detto ? Tu dove sei?”
 
Un silenzio relativamente lungo intercorse fra la domanda e la risposta. Steve la sentì sospirare e cominciò a preoccuparsi.
 
“Ci sono stati dei cambiamenti nell’ultima settimana. Sono sull’Helicarrier e sto lavorando per Fury. Insieme a James. E prima che tu dica qualcosa, sappi che era l’unico modo per tornare ad agire sul campo senza troppe restrizioni. Gli Avengers non sono autorizzati ad occuparsi dell’Hydra, ma lo SHIELD non è più legato al Governo, quindi era la cosa giusta da fare. Voglio aiutare e ho le capacità per farlo. Steve, io…”
 
“Va bene. Rispetto la vostra decisione. E probabilmente è meglio così. Tu come stai?”
 
La sentì sospirare di nuovo. Ma stavolta di sollievo.
 
“Sto bene. Gli agenti dello SHIELD non sono male. Si fidano di me…”
Ci fu una breve pausa.
“E James è fantastico, probabilmente è più bravo di te.”
Una seconda pausa.
“Senza probabilmente.”
 
“Dì ciao a Bucky da parte mia.”
 
“Steve ti dice ciao.”
 
Rogers sorrise e sentì chiaramente James rispondere con un ‘Ciao, Stevie’.
 
“Dan dice che avete incontrato potenziati. Si stanno diffondendo a macchia d’olio. Ne abbiamo affrontati diversi anche noi. Credo che Lewis stia sperimentando direttamente sui soldati dell’Hydra. Sta lavorando per raggiungere un obiettivo specifico e sta preparando il terreno da mesi, ne sono certa. Conosco Adam. Tieni alta la guardia e…”
 
Rogers udì una voce profonda interrompere Anthea.
“È ora di andare, Rey. Ti copro io le spalle oggi. Barnes, sei con la seconda squadra.”
La voce della ragazza diede una risposta di conferma e poi si rivolse di nuovo a lui.
 
“Steve…”
 
“Devi andare, lo so.”
 
“Già. Il lavoro chiama. Saluta Dan. E cerca di riposare.”
Era tangibile l’esitazione nella voce della giovane. Chiudere quella chiamata apriva le porte alla possibilità di non riuscire più sentirsi fino a data da destinarsi.
 
“Sta’ attenta. E tieni un occhio su Bucky per me.”
 
“Contaci.”
 
 
 
 
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23 maggio 2015
Los Angeles

 
 
“È saltata la luce. Ditemi che non è successo lo stesso alla linea.”
 
“Te la fai sotto, mammoletta?”
 
“Collins, Stewart, rimanete concentrati. Sharon, posizione?”
 
“Ala Ovest, Cap, ma non vedo ancora la sala di controllo.”
 
“Sono anche io nell’Ala Ovest.”
 
“Tu non dovevi essere a Nord, Collins? Perché sei nella mia stessa area?”
 
“Non era di Bennet quell’area?”
 
“La mia è l’Ala Est.”
 
“Copro io l’Ala Nord. Collins rimani dove sei e aiuta Sharon con la sala di controllo. Stewart e Bennet continuate a scandagliare l’ala sud e l’ala est.”
 
“Penso di vederti, Sharon.”
 
“Credo che ti sbagli, Daniel. Anche se riesco a vedere a malapena ad un palmo dal naso, sono certa di essere sola.”
 
 
“Fa’ attenzione, Dan. Niente imprudenze.”
 
Rogers camminava a passo svelto, anche se la visibilità avrebbe richiesto una maggiore prudenza nell’avanzare. Quella base era un aggrovigliarsi caotico di lunghi corridoi e c’erano poche stanze alle quali accedere. Non erano certi di cosa stessero esattamente cercando, ma c’erano stati parecchi movimenti sospetti che li avevano portati in una zona industriale abbandonata di Los Angeles.
 
“Decisamente nemico, non Sharon.”
 
Il super soldato rallentò la corsa ed ebbe la tentazione di tornare indietro. Non avevano idea di che tipo di nemico stavano per affrontare e dividersi, adesso, cominciava ad apparire una tattica azzardata. E azzardato era stato anche non portare lo scudo per dare meno nell’occhio durante la ricognizione all’esterno. Avevano abbandonato gli abiti civili fuori da lì ed erano arrivati fino ad un’area che si estendeva sotto la fatiscente zona industriale.
Non ebbe tempo di pensare ancora, perché con la coda dell’occhio registrò un movimento alla sua destra e si mosse per evitare l’attacco. Ne arrivarono immediatamente un secondo e terzo in rapidissima sequenza e stavolta dovette incassarli. Il dolore che si accese sul costato fu la prova che si trattava di un potenziato, un potenziato parecchio potente. Poteva scorgerne la sagoma e non era grosso come gli ultimi che aveva affrontato. Però era veloce, dannatamente veloce, e Steve fu costretto a chiudersi inizialmente in difesa, però riuscì presto a prendere il ritmo e contrattaccò senza riserve.
Lo scontro si fece serrato e Rogers si rese conto di non poter sbagliare un singolo movimento, perché altrimenti sarebbe stato sopraffatto. Afferrò il potenziato per le spalle e gli piazzò una ginocchiata nello stomaco, poi lo spinse faccia al muro e gli bloccò le braccia dietro la schiena con una mano. Il nemico tirò fuori ancora più forza di quella che si sarebbe aspettato e fu in grado di fare abbastanza passi indietro da costringerlo con la schiena contro la parete opposta.
Il biondo tentò di mantenere la presa sui polsi, ma resistette solo per qualche altro secondo, poi un paio di gomitate misero a dura prova le costole.
Allora Steve fece passare il braccio destro intorno al collo del potenziato e gli posizionò l’altro braccio dietro la nuca. Usando bicipiti e avambracci, fece pressione sulla gola e gli chiuse le vie respiratorie.
Il potenziato provò a ribellarsi ma la sua forza, data la mancanza di ossigeno, iniziò a venire meno.
Rogers pensò di avere la vittoria in pugno, almeno finché non gli venne a mancare il pavimento sotto i piedi. Si ritrovò a rotolare lungo il corridoio e sperò che gli altri se la stessero passando meglio di lui.
 
 
No, Daniel non se la stava affatto passando meglio. Se non fosse arrivata Sharon in suo soccorso, probabilmente adesso sarebbe stato messo molto peggio. Ne aveva prese parecchie – ma ne aveva anche date e non poche – e, a sua discolpa, quella maledetta sagoma nera aveva una forza assurda. Alcune volte gli era sembrato che a colpirlo fosse stato un treno in corsa. Si trattava decisamente di un potenziato.
“Dan, in piedi!” gridò Sharon, a pieni polmoni.
Vedeva muoversi la sagoma della donna a un paio di passi di distanza. Tentò di tirarsi su e, una volta che ci fu riuscito, iniziò a dubitare del proprio stato mentale.
La Carter aveva smesso di combattere ed era molto vicina al nemico, quasi appiccicata. Le loro sagome erano a malapena identificabili separatamente.
 
“Steve, qui la situazione si mette male... Oh cavolo! Non ci credo!
 
 
Rogers le sentì a malapena le parole di Daniel, perché troppo impegnato a levarsi di dosso l’avversario, che cercava di bloccarlo definitivamente a terra. Tuttavia, la sagoma sopra di lui commise l’errore di scoprirsi troppo e Rogers udì un gemito di dolore nel momento in cui la colpì sul lato destro del viso a piena forza. Spinse via il nemico e saltò in piedi con uno slancio.
Adesso era in vantaggio. Era certo di aver piazzato un pugno che avrebbe richiesto un tempo di recupero non indifferente. Si preparò a sfruttare il vantaggio, quando uno scintillio nell’oscurità attirò la sua attenzione.
Non fu possibile prevederlo, né capirne le dinamiche. La certezza fu che si sentì risucchiare verso l’alto e la schiena urtò contro il soffitto. Il successivo schianto sul pavimento non fu meno delicato.
Infine, come se non bastasse, i suoi muscoli si irrigidirono, respirare divenne difficile e la vista cominciò ad offuscarsi.
La situazione iniziava a farsi troppo complicata.
 
“Ti farò rimpiangere il pugno in faccia, bastardo.”
 
Se non avesse già avuto qualche difficoltà a respirare, probabilmente avrebbe smesso di farlo. Non oppose ulteriore resistenza e pronunciò un sofferente “Ferma”.
La forza opprimente su di lui evaporò e il biondo osservò la sagoma del suo avversario avvicinarsi con una certa esitazione.
 
“Non può essere… Steve?”
 
Una luce calda rischiarò il buio. Rogers fissò per qualche attimo la piccola fiammella danzante che adesso crepitava sopra le loro teste. Poi rivolse tutta l’attenzione alla persona contro la quale si era battuto molto violentemente. Fece per dire qualcosa, ma la voce squillante di Dan risuonò nel suo orecchio.
 
“Cap, mi ricevi? Il nemico non è un nemico, è ...”
 
“Lo so. Me ne sono accorto.”
 
Era un mese – più di un mese – che il lavoro li teneva lontani e a malapena erano riusciti a sentirsi. Se fossero riusciti a sentirsi, non sarebbero di certo finiti in quell’assurda situazione.
 
“Che ci fai qui?” fu la legittima domanda che Anthea gli rivolse.
Era abbastanza stravolta. Diversi ciuffi erano sfuggiti alla coda di cavallo con cui aveva raccolto i capelli. Portava una divisa nera dello SHIELD.
 
“Che ci fai tu qui?”
 
“Che ci fate voi qui?”
 
Anthea e Steve sussultarono e rivolsero lo sguardo in un punto alle spalle del biondo. La robusta figura di Iron Man stava avanzando verso di loro e, grazie al visore notturno integrato nel casco dell’armatura, non aveva avuto difficoltà a riconoscerli.
 
Però! Che atmosfera romantica. Mancherebbe la candela, ma avete un lume singolare. Certo, questo non mi sembra proprio il luogo adatto per, insomma, fare…”
 
“Mi rammarica interrompere il tuo così significativo discorso, Tony, ma potreste dirmi chi altro di noi è qui? Suppongo ci sia Bucky.”
 
“Affermativo” confermò la ragazza.
 
“C’è anche Sam. E Thor. E Natasha…”
 
“Nat? Tony, ma che…”
 
“Sta’ buono. Stavo dicendo, prima che mi interrompessi, che Natasha sta ancora aspettando di sapere se scommetti su fiocco blu o su fiocco rosa.”
 
Le luci dell’intera base si accesero una dopo l’altra e il buio si dissolse. Anthea, Steve e Tony dovettero rimandare ogni tipo di discorso, perché le loro separate linee di comunicazione furono invase dai rispettivi compagni di squadra.
Tony si vantò del fatto che fosse stato Sam – della squadra Stark – a trovare la sala di controllo e a riattivare il sistema di alimentazione della base – che poteva considerarsi abbandonata a questo punto.
 
“O siamo stati tutti degli idioti incapaci, o qualcuno ha fatto in modo di attarci qui. Anche la seconda implicherebbe che siamo degli idioti, perché in quel caso ci saremmo fatti raggirare.”
Il ragionamento di Stark non faceva una piega.
“Magari adesso esploderà tutto, così avremmo la conferma che si tratta di una stupidissima trappola, un cliché molto utilizzato nei…”
Iron Man fu zittito da un improvviso boato che fece tremare la base. Ce ne fu subito un altro e stavolta più vicino.
 
“Portiamo tutti fuori.”
Rogers fece per muoversi, ma esitò quando Anthea diede voce alle sue intenzioni.
 
“Voi andate. Io cercherò di contenere le esplosioni e i crolli. Ci vediamo fuori.”
 
“Sta’ attenta” le disse Iron Man e lei sollevò un pollice sorridendo mestamente.
Stark allora avvolse un braccio attorno i fianchi di Rogers e attivò i propulsori, trascinando con sé il biondo e lasciando indietro l’oneiriana.
 
Fu una corsa contro il tempo.
Avere Tony, Thor e Anthea sul posto fu decisivo. Mentre l’asgardiano e Iron Man aprivano vie di fuga ovunque fosse necessario e portavano fuori tutti, l’oneiriana impediva all’intera struttura di collassare e cercava di contenere le esplosioni che individuava.
 
“Siamo tutti fuori, ragazza. Esci da lì.”
 
Anthea fu davvero grata di udire quelle parole, perché era arrivata al limite. Le tempie pulsavano dolorosamente e il gran polverone scuro che si era innalzato gli stava mandando a fuoco i polmoni e gli stava facendo lacrimare gli occhi.
Adesso doveva solo rilasciare tutto ciò che stava contenendo, con l’accortezza di non finire sepolta viva. Percepì una strana sensazione di disorientamento e senza accorgersene ebbe un drastico calo della concentrazione.
Doveva muoversi.
 
 
 
 
La struttura sotterranea crollò. A parte il rumore e le leggere scosse che interessarono la zona disabitata, non ci furono gravi ripercussioni su abitazioni e civili.
 
Rogers fu pervaso da un profondo senso di sollievo non appena intercettò Anthea venire verso di loro. Le gambe si mossero di istinto e le andò in contro.
 
Rey!”
 
Rey? Steve lo aveva già sentito e anche la voce gli era vagamente familiare.
 
Un uomo con la divisa dello SHIELD raggiunse di corsa la ragazza e la bloccò, mettendole le mani sulle spalle. Come tutti, era parecchio scosso. I riccioli castani, il volto dai lineamenti decisi e la barba rasa erano sporchi di polvere.
“Stai bene? Non sapevamo… cos’è successo alla tua faccia?”
“Sto bene, David.”
David le prese il mento fra le dita e le fece ruotare leggermente il viso per poter esaminare più attentamente la chiazza violacea che si estendeva sullo zigomo destro fino a circondarle l’occhio.
“È solo un livido. Davvero, non preoccuparti.”
Anthea gli afferrò il polso e scostò gentilmente le dita dell’uomo dal proprio viso.
“Deve essere stata proprio una bella botta. Non è facile scalfirti.”
 
“Già, non è facile.”
 
Le labbra della Reyes si piegarono in un sorrisetto divertito, mentre i suoi occhi andavano a specchiarsi in quelli chiari appartenenti alla causa del casino che adesso era la sua faccia.
 
“Capitano” salutò con garbo l’agente dello SHIELD e tese in avanti la mano, che Rogers strinse senza esitazione.
“David Grey. Sono a capo di questa operazione. Sai cosa è successo là sotto?”
 
“Non ancora.”
 
Un braccio muscoloso avvolse le spalle di Steve con uno slancio fin troppo energico.
“Ti trovo bene, compagno.”
“Ti trovo bene anch’io, Thor.”
I due biondi si scambiarono uno sguardo che non ebbe bisogno di essere accompagnato da parole.
 
L’asgardiano si era trovato in trasferta quando il Capitano aveva lasciato New York, quindi aveva dovuto digerire il cambiamento e non aveva nemmeno potuto dire la sua a riguardo.
“Ciao, Point Break. Ci sei mancato. Come sta l’universo? Ah, a proposito, Ross si è portato via Steve e quindi niente più arresti domiciliari” era stata la rapida spiegazione che Tony gli aveva fornito e, nonostante avesse tentato di chiedere delucidazione a riguardo, l’inventore non aveva voluto più parlarne – dire che fosse contrariato era un eufemismo.
Era stata Natasha a chiarire i dubbi su cosa fosse effettivamente successo. Come se non bastasse, anche Anthea aveva lasciato la Tower e aveva deciso di diventare un agente dello SHIELD – se fosse una cosa temporanea o meno, l’asgardiano non lo sapeva. E Barnes aveva seguito l’oneiriana.
Quindi Thor cosa aveva fatto? Aveva deciso di raggiungere Jane, per trascorrere del tempo con lei, dato che non ne aveva avuto occasione per più di un motivo. Rivedere Jane – che tra l’altro era rimasta parecchio colpita dal nuovo taglio corto – gli aveva fatto dimenticare per un po’ tutti i casini presenti sia sulla Terra che al di fuori.
Infine, Tony aveva iniziato a chiamarlo di tanto in tanto per avere supporto durante operazioni – Ross ne era all’oscuro, così come il Governo – che richiedevano armi pesanti, data la presenza di soggetti dalla forza sovraumana. Stark gli aveva spiegato che Lewis stava facendo proliferare super soldati del calibro di Capitan America e del Soldato d’Inverno. Non erano pericolosi come gli Ultra Soldati che – fortunatamente – il dottore non aveva più il materiale per replicare.
Dunque, la situazione attuale era ancora tutt’altro che risolta. Non riuscivano a vederne la fine. L’avversario era estremamente intelligente, furbo e sapeva prendersi gioco di loro con una facilità disarmante. Ciò che era appena accaduto lì ne era una prova schiacciante.
 
Wilson e Barnes si unirono ai due biondi e volarono pacche sulla schiena e strizzate di spalle. Semplici gesti per comunicare qualcosa di più profondo.
 
“Ho già preparato le valige amico. Aspetto solo una tua chiamata.”
Sam non stava affatto scherzando. Era davvero pronto a partire.
 
“Sai che ho la precedenza, vero Wilson? Per anzianità.”
 
“Fammi il favore, Barnes.”
 
“Sono contento di sentire che volete abbandonarmi tutti. Comunque, sento il dovere di sottolineare che la nostra comunicazione ultimamente è stata talmente perfetta da permetterci di organizzare una decisamente prevista riunione. E qualcuno ci ha rimesso la faccia. Letteralmente.”
Tony, ora privo di armatura, sollevò entrambe le sopracciglia mentre ammirava – divertito ma non troppo – il viso dell’oneiriana.
 
“Barnes mi ha quasi rotto la mandibola. Nessun rancore, collega. Adoro frullati e frappè, quindi me la sarei cavata.”
Dan, che non era stato notato nonostante fosse anche lui nel gruppo, stava ora mostrando il lividume esteso sulla parte destra della mandibola. Poi si guardò intorno, fino a fermare lo sguardo sulla Reyes e realizzò chi fosse in realtà la persona chiamata in causa da Stark.
 
“Mi sono trattenuto, altrimenti sarebbe rotta. Qualcun altro invece ci ha dato dentro.”
Barnes diede di gomito a Rogers.
“Non ho avuto la possibilità di trattenermi. Mi avrebbe sopraffatto” fu la decisa replica del biondo.
 
“Io ti ho sopraffatto, Capitano. Mi sono fermata perché hai detto ferma.”
Anthea sfidò Steve con uno sguardo dalle sfumature provocatorie e un sorrisetto orgoglioso.
 
“Dannazione, mi sono perso tutta la scena. Sarei dovuto arrivare prima. Pazienza.”
Tony sospirò molto profondamente.
“Ho un posto qui vicino. Offro a tutti i presenti da bere e parliamo di questo casino, che ne dite?”
 
“Si può fare. Avverto Fury” convenne Grey.
 
“Penso io a Ross” fu invece la risposta di Sharon, che scambiò con Steve un cenno del capo.
La Carter sapeva cosa dire e cosa non dire, considerando il fatto che Tony, Thor e Sam non avrebbero dovuto trovarsi lì.
 
 
 
 
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C’era abbastanza affollamento sul Quinjet con cui Tony stava trasportando tutti verso la sua villa a Malibù, ricostruita dopo l’attacco del Mandarino.
Ai tre della squadra Stark – comprendente Thor e Sam, oltre che Tony stesso – si erano difatti aggiunti Steve e i suoi quattro compagni di squadra e infine c’erano David, Anthea, James e altri tre agenti dello SHIELD.
Ross era stato accondiscendente con la Carter e aveva lasciato a Rogers carta bianca fino all’indomani. Considerando che era già il tramonto, non gli era stata concessa una libertà troppo estesa, ma era meglio di niente.
 
“Inizio l’atterraggio. Tenetevi da qualche parte.”
 
Stark condusse il velivolo nell’area di atterraggio che affiancava l’edificio.
Da bravo padrone di casa, fece poi da guida verso l’ingresso della villa che si affacciava sul mare e che dava quasi l’impressione di essere in bilico all’apice dell’alta scogliera.
 
“Benvenuti nella mia umile dimora.”
 
Oh. Mio. Dio. Questo posto è fantastico.”
Daniel rimase affascinato dall’aspetto futuristico di quella che decisamente non era una umile dimora. Prima di mettere piede nell’atrio, aveva cercato di cacciarsi di dosso quanta più polvere e cenere possibile e aveva notato altri del gruppo fare la stessa cosa.
 
“Mettetevi pure comodi e non badate alle vostre discutibili condizioni igieniche. C’è chi si occupa della pulizia della casa ogni giorno. Io metto qualcosa nei bicchieri e vi chiamo quando sono pronti.”
Il miliardario, alla testa del gruppo, superò l’area dove costosi divani erano stati posizionati in prossimità di enormi vetrate e si diresse verso una zona rialzata che occupava una generosa porzione della stanza. Salì i tre gradini semicircolari e girò attorno al suo personale bancone, così da arrivare alla disposizione ordinata di alcolici su vitree mensole a muro.
Alleggerire la tensione sarebbe stato un ottimo punto di partenza.
 
“Tony.”
 
“Steve.”
 
Dopo aver armeggiato per qualche attimo, Stark fece scivolare un bicchiere riempito di bourbon sul bancone in legno scuro, in modo che arrivasse in corrispondenza del punto del bancone dove Rogers si era fermato.
Il biondo prese il bicchiere in una mano e osservò distrattamente il liquido all’interno oscillare.
“Sai che non mi fa alcun effetto, vero?”
“Ciò non toglie che sarebbe carino se bevessi con me. In ogni caso, ti trovo bene nonostante Ross stia abusando di te.”
Tony buttò giù un sorso del bourbon con cui, nel frattempo, aveva riempito un secondo bicchiere. Sorrise quando Steve lo imitò.
“Bravo ragazzo. Ascolta, siamo oltre il mese. Mi dici cosa succede?”
Lo osservò prendere un altro generoso sorso e sospirare. Si chiese se il biondo sperasse in una piccola spintarella da parte dell’alcool.
“Credo che Ross stia prendendo tempo. Dovrei impormi.”
“Mi sorprende che tu non l’abbia già fatto, darling.”
Rogers roteò gli occhi e si chiese cosa avesse fatto di male per meritare quel trattamento. Da quando aveva iniziato a lavorare per Ross, aveva utilizzato parecchio le piattaforme di messaggistica per comunicare con i suoi compagni – almeno quando non era spedito in missione chissà dove. Tony aveva allora avuto la fantastica idea di iniziare a flirtare con lui e ad oggi era difficile trovare un messaggio che non terminasse con darling o con raggio di sole.
“Sono stato parecchio impegnato.”
“Sbagliato, Steve. Tu non vuoi coinvolgerli.”
“Per loro sarebbe più sicuro rimanere allo SHIELD. E con te.”
“Sbagliato di nuovo. Non c’è alcuna sicurezza, da nessuna parte. Finché non bruceremo l’alveare, schiacciare le vespe sarà tutta fatica sprecata. Dobbiamo bruciare l’alveare finché è l’unico esistente.”
Tony era diventato improvvisamente serio e aveva messo da parte il bicchiere.
“Lewis non condividerà le sue conoscenze. È più il tipo da monopolio” replicò il super soldato.
“Ma sta diffondendo il prodotto e sono certo non lo sta facendo ad un prezzo stracciato, quindi gli acquirenti più furbi tenteranno di replicarlo. E sai qual è la materia prima in tal caso?”
“Le persone.”
Steve aveva risposto senza alcuna esitazione e Tony annuì.
“Lewis si prende gioco di noi e sono certo che ciò che è accaduto oggi è opera sua. Dobbiamo essere sullo stesso fronte per fermarlo, in un modo o nell’altro.”
“Lo eravamo prima che io partissi, Tony.”
“Eravamo anche sorvegliati. Adesso non lo siamo e Ross, nonostante i difetti, non è di certo intenzionato a vedere proliferare potenziati ovunque. Finché avrà te dalla sua, sarà meno preoccupato, ma sa bene che Lewis va fermato prima che la situazione diventi ingestibile. Quindi imponiti. La nostra priorità è Lewis.”
“Lo so.”
“Abbiamo accetto assurdi compromessi per trovare quel bastardo. Tu stai addirittura lavorando per Ross. Tu, Rogers. Porta Anthea, Barnes e Sam a Washington e fa sì che Ross ti lasci cercare Lewis dove io ti dirò di cercare. Thor e Banner entreranno in campo non appena sarà il momento. E rispondi ai miei messaggi.”
 
Steve sbuffò una leggera risata. Negli ultimi quattro mesi, dal momento in cui si era riunito agli Avengers, erano cambiate tante – fin troppe – cose. Tuttavia, erano stati i compromessi fatti con Ross e il Governo a destabilizzarlo più di quel che si aspettava. Era andato contro le sue convinzioni. Era andato contro se stesso. Aveva annegato l’orgoglio, aveva annegato la sensazione di disagio e zittito la coscienza. Sentiva che era sbagliato, che non avrebbe dovuto recitare il ruolo del soldato ammaestrato, ma avrebbe fatto di tutto per le persone a cui teneva e poca importanza aveva quanta parte di sé avrebbe dovuto seppellire. Tuttavia, non c’era possibilità di risolvere la situazione senza coinvolgere le stesse persone che voleva tenere al sicuro.
 
“Hai del ghiaccio?”
 
“Ti va di bere qualcosa di più freddo?”
 
“In realtà non è per quello.”
 
Tony ghignò.
“Non penso basterà a farti perdonare.”
 
“Non penso siano affari tuoi.”
 
 
 
 
Rogers tornò indietro, verso la parte della grande sala dove si trovavano i divani. Dall’ampia vetrata era possibile ammirare il mare placido e scuro.
C’era un accesso chiacchiericcio proveniente dai diversi gruppi sparsi qua e là.
James, Sam, Sharon e Janet sembrano immersi in una conversazione che probabilmente, dalle loro espressioni poco rilassate, riguardava il lavoro. John si era accomodato sul divano e se ne stava sulle sue, con la testa rovesciata leggermente all’indietro. Non distanti da lui, ma in piedi, c’erano gli altri tre agenti dello SHIELD e avevano espressioni piuttosto spaesate, oltre che stanche.
Dan era assieme a Thor, Anthea e David. L’asgardiano li stava intrattenendo con qualche aneddoto interessante, dato che aveva conquistato la loro attenzione.
Rogers si avvicinò a quest’ultimo gruppo e Collins rivolse a lui lo sguardo, sorridendogli.
Il moro, quasi fosse un automatismo, sollevò una mano per afferrare il trasparente sacchetto di ghiaccio tritato che il Capitano gli lanciò.
 
“Sembra che questa cosa accada spesso” attestò l’oneiriana e cercò segni di conferma nelle espressioni di Dan e Steve, segni che trovò piuttosto facilmente.
 
“Qualche volta.”
Dan poggiò il ghiaccio sulla mandibola e il sollievo per l’attenuarsi del dolore lo fece sospirare.
 
“Più di qualche volta” lo corresse Steve e tese un secondo sacchetto ad Anthea.
 
“Credo che serva più a te che a me” fu la risposta della ragazza, che tuttavia afferrò il ghiaccio. Non mancò di indirizzargli un sorrisetto provocatorio – il secondo così esplicito della giornata.
 
“Sono certo che ti sbagli” ribatté lui, con ferma convinzione.
 
L’oneiriana decise di dargliela vinta – per il momento – e trovò sollievo nel gelo a contatto con la pelle tumefatta. Solitamente sarebbe guarita in poco tempo, ma la spossatezza che aveva addosso doveva aver fatto entrare il suo organismo in uno stato di risparmio energetico.
 
“È quasi strano vederti ammaccata. Combattere contro Capitan America è arduo persino per te, Rey.”
Grey circondò le spalle della Reyes con un braccio e fu un gesto parecchio amichevole e disinvolto.
 
Collins guardò di sottecchi Rogers e, se non lo avesse conosciuto bene durante l’ultimo intenso periodo, non avrebbe preso in considerazione la sottile ruga fra le sue sopracciglia. Steve era contrariato, Dan ne era certissimo, ma in modo diverso rispetto quando lo era con lui per non aver seguito gli ordini ricevuti.
 
“È un osso duro” disse la ragazza, che non aveva mai staccato gli occhi da quelli del super soldato.
 
“E se la cava anche come insegnante. Il ragazzino qui non è affatto male.”
James comparve alle spalle del Capitano, assieme a Sharon e Sam.
 
“So fare di meglio, te lo posso giurare. Il buio mi ha spiazzato. Concedimi la rivincita.”
Il tono supplichevole di Dan non fu di supporto a quello che avrebbe dovuto essere un atteggiamento da duro.
 
“Lo sai che stai sfidando il Soldato d’Inverno, vero Scheggia?” rincarò Sharon.
 
“Diventa più forte e ti concederò la rivincita.”
 
“Affare fatto, Soldato d’Inverno.”
Collins si rivolse in direzione di Rogers con in viso un’espressione che ben esprimeva cosa gli stava silenziosamente chiedendo e gli bastò ricevere un mezzo sorriso per essere pienamente soddisfatto della risposta.
 
Stark interruppe il chiacchierare dell’eterogeneo gruppo, annunciando che adesso era il momento di bere e che avrebbero fatto bene a goderselo, perché poi avrebbero parlato di lavoro e non sarebbe stato affatto divertente.
 
Quasi tutti si mossero per raggiungere il miliardario. Quasi.
 
“Non vieni?” chiese David ad Anthea, che era rimasta ferma quando lui aveva cercato di avanzare, ancora con il braccio attorno le sue spalle.
“L’alcool ha un sapore che proprio non mi piace. E poi ho bisogno di sedermi qualche minuto.”
“Vuoi che ti faccia compagnia?”
Anthea stava per rispondergli di andare, ma fu preceduta.
 
“Rimango io con lei. Dovremmo parlare, quindi tu va’ pure.”
 
Forse Rogers parlò con un po’ troppa freddezza, perché Grey rimase palesemente interdetto e gli dedicò una fugace occhiata di sfida.
“Va bene. Se hai bisogno, sono di là, Rey. Capitano.”
David sfilò di fianco a Steve e le loro spalle quasi si sfiorano.
 
Il super soldato si voltò per accertarsi che l’agente avesse effettivamente abbandonato il campo e nel farlo intercettò le espressioni divertite di Sam e James. Quei due idioti sembravano aver atteso quel momento e li fulminò con un’occhiataccia che ebbe poco effetto.
La sensazione che stava provando era fastidiosamente simile – e stavolta come amplificata – a quella provata quando Howard aveva proposto a Peggy una fondue.
 
“Ehi.”
La voce di Anthea lo richiamò al presente. Lei aveva momentaneamente abbandonato l’idea di lasciarsi cadere sul divano più vicino.
“So perché sei arrabbiato.”
“Non lo sono.”
“Lo sei invece. Avrei dovuto capire che eri tu oggi. Mi dispiace.”
Steve quello proprio non se lo aspettava.
“Ho commesso il tuo stesso errore.”
“Per me è diverso, lo sai e ... forse sono solo stanca e a riprova di ciò la mia faccia è ancora in pessime condizioni.”
“Mi sei sembrata in ottima forma invece.”
Anthea, suo malgrado, rise.
“Anche tu, Capitano. Non ci hai mai messo tanta forza durante i nostri incontri di allenamento.”
“Tiro fuori il meglio quando sono sotto pressione.”
 
La giovane stese le labbra in un sorriso. Nonostante avesse combattuto al fianco di Steve tante volte, ancora si stupiva di quanto forte e pericoloso lui potesse essere.
Sembrava essere in uno stato di progressione continua, di cui non era facile scorgere i limiti.
Quando lo aveva visto combattere dopo i quasi tre anni di assenza, a stento l’aveva riconosciuto.
Era da un po’ che Anthea si era imposta di non affidarsi troppo ai suoi poteri e quindi combatteva contro gli avversari senza farne uso, a meno che non fosse costretta.
Nello scontro che aveva avuto con Steve solo poche ore prima, aveva dato il massimo per riuscire a vincere con le sole forze fisiche, accompagnate da tattiche precise e mirate a sopraffare l’avversario. Eppure, si era sentita talmente minacciata che, senza riflettere troppo, aveva ricorso ai suoi poteri. Senza di essi, non avrebbe saputo dire chi fra loro l’avrebbe spuntata.
Sicuramente, il pugno sul volto l’aveva del tutto spiazzata e le aveva fatto vedere tante sfarzose stelline nel buio. La rabbia per essere stata colpita in quel modo l’aveva spinta a desiderare di schiacciare il nemico con una forza contro cui lui non sarebbe stato in grado di reagire. E magari gli avrebbe anche rotto il naso alla fine, per far quadrare i conti.
Solo che poi il nemico le aveva detto di fermarsi e sentire la sua voce le aveva provocato i brividi, perché tutto si sarebbe aspettata, ma non quello, non lui.
Era circa un mese che la voglia di vederlo le faceva passare la fame e la faceva oscillare fra stati di apatia e momenti di “okay, sto bene, ce la faccio”. Adesso lui era lì, ma non erano soli e tecnicamente stavano lavorando. Non avevano ancora deciso di come gestire la relazione in presenza di estranei al loro gruppo di compagni. Attualmente erano più propensi a rendere la cosa il meno visibile possibile, soprattutto dopo l’ultima controversia avuta con Benson.
Durante il lavoro, Steve era Capitan America anche per lei. Solo con gli Avengers era diverso, perché del tutto differenti erano i legami che li univano. Gli Avengers erano la famiglia.
 
La giovane fece per dire qualcosa, ma fu interrotta prima che potesse anche solo aprire bocca.
 
“Cap, stiamo iniziando la riunione seria adesso.”
Dan rivolse ad entrambi uno sguardo desolato.
 
“Arriviamo” fu la breve risposta di Steve.
 
Il lavoro chiamava e, per ora, aveva la precedenza sul resto.
 
Durante la discussione su ciò che era avvenuto quel giorno, gli Avengers concordavano sul fatto che non era stato uno stratagemma per ucciderli, perché altrimenti coloro che vi erano dietro non si sarebbero limitati a qualche sfarzosa esplosione. Forse non era stata prevista la presenza di alcuni di loro, ma tale opzione suonava decisamente improbabile, altrimenti avrebbero avuto a che fare con degli sprovveduti e non era quello il caso.
James avanzò l’ipotesi che potesse essere stato un diversivo per distrarli e per allontanarli dalla reale pista da seguire. David volle spezzare una lancia a loro favore, affermando che magari la pista seguita non era del tutto sbagliata, forse erano arrivati troppo vicini a trovare qualcosa di importante.
La probabilità che si trattasse di Hydra era alta, ma non c’era l’assoluta certezza.
Alla fine dei conti, non giunsero ad una soluzione definitiva, ma condivisero le informazioni che li avevano portati ad incontrarsi tutto nel medesimo luogo. O almeno, lo fecero Grey e Rogers, perché Stark dovette sostenere la storia di essere stato chiamato dal Capitano quando quest’ultimo si era accorto della pericolosità della situazione. La storia era forzata, ma la presenza di Stewart e Bennet implicava che Ross sarebbe venuto a sapere cosa era accaduto, nonostante la Carter, durante la telefonata con il Segretario, avesse omesso la parte in cui avevano incontrato ben tre Vendicatori sul campo ed intenti ad occuparsi di affari collegati all’Hydra, senza alcuna autorizzazione.
Inoltre, ciò che gli Avengers evitarono di fare fu parlare in dettaglio di Adam Lewis. C’erano diverse orecchie estranee ed era ancora difficile capire di chi potessero ciecamente fidarsi.
La tela del ragno era estesa e finirci dentro sarebbe stato estremamente deleterio.
 
 
“Un jet dello SHIELD è qui. Attende il permesso per atterrare. Per noi è tempo di tornare indietro” annunciò Grey ad un certo punto e non poté fare a meno di notare l’occhiata che la Reyes rivolse in direzione di Rogers.
 
“Permesso accordato” concesse Tony.
 
Il rumore del velivolo fu udibile all’esterno e gli agenti dello SHIELD iniziarono a muoversi verso l’uscita della villa. Di fronte l’esitazione di Anthea, David non seguì il gruppo.
“Pronta?” le chiese.
“Io… dovrei…”
“Dovremmo finire di discutere di alcune cose. Tony ci riporterà indietro una volta finito” intervenne Steve, togliendola dalla situazione di dover inventare una scusa decente per evitare di dover seguire Gray.
“Fury vuole che rientriamo, Capitano.”
“Parlerò io con Fury. Potresti dare un passaggio ai miei uomini?” osò Rogers e gli non dispiacque fare uso dell’autorità posseduta da Capitan America.
Grey puntellò le mani sui fianchi e mise su un sorrisetto non troppo gentile rivolto al super soldato.
“Va bene, Rogers, come vuoi.”
“Bene. Ti ringrazio” fu la rapida risposta del biondo, ma David ancora non si mosse.
“Posso parlarti un minuto?” chiese invece, rivolgendo l’attenzione all’oneiriana, che annuì.
 
David e Anthea si allontanarono di qualche metro, isolandosi dal resto del gruppo.
“È tutto okay, Rey? È per lo scontro che hai avuto con lui oggi? Vuole farti un richiamo? Posso parlagli io.”
David le posò una mano sulla spalla. Alcuni riccioli ribelli gli erano finiti davanti gli occhi ambrati.
Cosa?! No! Steve... Il Capitano non vuole farmi un richiamo. È tutto okay.”
“Beh, avrebbe bisogno di rilassarsi allora, perché non sembra tutto okay. Sei in soggezione da quando ha iniziato a girarti intorno.”
Lei in soggezione per Steve? Soggezione era decisamente la parola sbagliata per descrivere come si sentiva nell’avere Steve intorno dopo più di un mese di lontananza. Inoltre, adesso stava provando un certo fastidio per ciò che David aveva detto.
“Rilassarsi non è così semplice quando si hanno grosse responsabilità sulle spalle” affermò con una certa freddezza e Grey ritrasse la mano dalla sua spalla, come scottato.
“Scusami. Non era mia intenzione essere così brusca” o forse lo era, solo che David era sempre stato gentile con lei. “Sono solo stanca.”
“Lo siamo tutti. Non preoccuparti. A domani, Rey.”
 
Nel frattempo, la mano destra di Bucky era andata a stringere la spalla sinistra di Steve.
“Andrò con Gray. Almeno uno di noi due deve esserci durante il rapporto a Fury. Meglio tenere le cose sotto controllo.”
Il biondo capì che l’altro soggetto della frase era Anthea. Fece per replicare, ma James lo batté sul tempo.
“E poi non è sicuro che ci siano troppi Avengers nello stesso posto. Sai bene che c’è chi potrebbe trasformarlo in un complotto contro il Governo.”
Il chi di tale affermazione era invece Henry Benson, Steve non ebbe dubbi considerando il precedente.
“Hai ragione” affermò dunque il Capitano e poi, di punto in bianco, cambiò discorso “Da quel che ho potuto vedere, non ve la passate troppo male allo SHIELD.”
Rogers occhieggiò in direzione di Anthea e corrugò leggermente la fronte, cosa che Barnes non riuscì proprio a non notare.
“Beh, cosa ti aspettavi? Non passa di certo inosservata.”
Il biondo esternò una certa confusione, ma Bucky attese che ci arrivasse da solo al nocciolo della questione.
“Sono contento che si trovi bene e che le persone che ha attorno si fidino di lei.”
Dire di essere contento con in faccia un’espressione poco rassicurante non rendeva le parole di Steve troppo convincenti.
“Alcune non si limitano a fidarsi” rincarò allora James.
“Grazie per avermelo fatto notare. Non ci avevo proprio fatto caso” fu la sarcastica risposta di Rogers, che rivolse all’amico un’espressione decisamente poco cordiale.
E Bucky ghignò vittorioso, mentre Sam – rimasto appositamente non visto dietro di loro – tratteneva a stento una risata e iniziava a pensare che avrebbe anche potuto del tutto perdonare a Barnes la distruzione della sua auto, considerando che già lo aveva perdonato per aver tentato di ammazzarlo.
“In ogni caso, smettila di chiederle di tenermi d’occhio. Piuttosto, muoviti a farci trasferire a Washington, capito idiota?”
“Ho capito, idiota.”
 
Bucky salutò prima Steve e poi gli altri Avengers e si diresse anche lui all’esterno, per raggiungere il jet che l’avrebbe condotto sull’Helicarrier.
Anche Sam decise di sfruttare il passaggio.
“Vado anche io con loro. Meglio disperdere le acque. Parla con Ross, amico, o giuro che lo faccio io. Adesso dovresti essere anche più incentivato” disse a Rogers e si dileguò prima che il biondo potesse mandarlo al diavolo.
 
Una volta partito il jet, rimasero nella villa solo Tony, Thor, Steve e Anthea.
 
“Aggiornamenti importanti?” chiese allora Stark.
 
“Ross è pulito per quanto riguarda Hydra e Lewis. Inoltre, vuole Benson lontano dai suoi affari” fu la risposta di Rogers.
 
“Non ci sono traditori vicino a Fury e nemmeno nelle squadre che si occupano dell’Hydra. James ed io possiamo dirlo con sicurezza. Lo SHIELD è pulito” disse invece Anthea.
 
“Questo significa che i nostri movimenti dovrebbero essere adesso meno noti a Lewis. Con Benson messo da parte e i vostri attuali datori di lavoro puliti, abbiamo più chance di vincere la partita. Point Break, qualche buona notizia?”
 
“Mi dispiace, ma Heimdall non riesce a vederlo. Sembra che abbia trovato il modo di nascondersi al suo sguardo.”
 
“Questo non va bene. Può implicare solo cose negative.”
Anthea aveva espresso ad alta voce un pensiero condiviso e difatti non ci furono repliche volte a contraddirla.
 
“Quindi, Rogers, te lo dico per l’ennesima volta. Parla con Ross e fai ciò che ti ho detto. E tenete a mente che nostri spostamenti dovranno essere il più possibile vaghi per tutti tranne che per noi. Comunichiamo, perché cose come quella di oggi non si ripetano… anche se è stato divertente.”
Stark fece oscillare le sopracciglia e ghignò.
 
“Ci tieni ad unirti al club di quelli con la faccia livida, Tony?”
 
“Calma, ragazza. Lo sai che ti adoro e che adoro la mia faccia.”
 
Thor e Steve risero, mentre Tony si era premurato di tenere le mani alte, giusto per stare più tranquillo.
Non c’era altro da dire. Da quel momento in avanti iniziava una nuova fase d’azione e, se tutto fosse filato liscio, sarebbe stata anche l’ultima.
 
L’asgardiano, dopo aver salutato i suoi compagni, si mosse per raggiungere Jane. Prima di volare via attaccato al manico di Mjolnir, ricordò che aveva imparato ad utilizzare il cellulare e che al primo segnale li avrebbe raggiunti.
 
“Ho promesso a Pepper che avremmo cenato insieme, quindi è tempo di muoversi.”
 
“Perché tu e Pepper non vi spostate qui? È molto bello.”
 
“Per ora non è sicuro, Annie. La Tower è attualmente più protetta. Ci penserò una volta preso Lewis.”
 
“Capisco.”
Anthea percepì una profonda tristezza assalirla. Lewis stava condizionando le loro vite da mesi e lei si sentiva responsabile, perché avrebbe dovuto ucciderlo quando ne aveva avuto l’opportunità – e ne aveva avuta più di una.
Adam Lewis era una piaga dilagante e bisognava fermarlo, a qualunque costo. Gli avevano già concesso un lungo periodo di incubazione e i primi sintomi avevano iniziato a manifestarsi. Adesso erano in grado di gestirli, ma era necessario estirpare il male alla radice.
 
 
 
Il viaggio verso Washington fu più silenzioso del previsto ed anche relativamente breve.
 
“Okay, ci siamo. Sono sopra il tuo appartamento, Steve. Nessun problema a saltare giù, giusto?”
 
“Nessun problema” confermò Anthea.
 
“Non era la risposta che mi aspettavo. Scendi anche tu qui, ragazza?”
 
“Scende anche lei, Tony.”
Stavolta era stato Rogers a rispondere.
 
Stark si limitò a sogghignare. Poi gli venne in mente una cosa di vitale importanza.
“Un’ultima cosa prima di andare. Maschio o femmina? Avanti, Steve, manchi solo tu.”
 
“Femmina” fu la risposta che seguì a un breve momento di riflessione.
 
“Tu, Clint e Sam siete in minoranza” ci tenne a sottolineare Tony, prima di sollevare una mano in segno di saluto.
 
 
 
 
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La giovane frantumò la distanza fra loro in un soffio, ma fu il super soldato a chinarsi in avanti per poterla baciare, mentre le circondava la schiena con le braccia.
Lei fece scivolare una mano dietro il suo collo e l’altra la infilò fra i capelli biondi, intrappolando corti ciuffi fra le dita affusolate. Strattonò quegli stessi ciuffi per costringerlo a rovesciare appena la testa all’indietro ed avere così libero accesso al suo collo, che baciò e morsicò con fin troppa foga.
 
Lei in soggezione con Steve intorno? Certamente.
 
Si liberarono del resto dei vestiti, cercando di fare meno rumore possibile.
Steve la sollevò da terra e spostò una mano sulla curva del suo sedere, mentre con il braccio libero le circondò i fianchi per stringerla meglio a sé.
La giovane si ritrovò premuta contro il materasso, con la mano sinistra del super soldato sulla coscia e la sua bocca intenta a baciarle il profilo del viso. Poi lui si fermò un momento e la osservò con occhi tanto liquidi da far brillare le iridi limpide nella penombra.
 
“Mi dispiace per questo.”
 
Il biondo le sfiorò con il pollice lo zigomo tumefatto. Anthea, in risposta, allacciò le gambe attorno i suoi fianchi e fece scivolare una mano in un punto ben preciso della scapola sinistra, mentre l’altra mano raggiungeva il dorsale destro.
 
“Steve …” sussurrò pianissimo e, senza preavviso, affondò le dita nella pelle del super soldato, tendendosi al contempo in avanti per chiudergli la bocca con un bacio e bloccare così sul nascere il gemito di sorpresa mista a dolore che altrimenti gli sarebbe sfuggito.
“Avevo detto che il ghiaccio serviva più a te” gli disse infine, dopo essersi separata da lui.
 
“Ritiro le mie scuse” le rispose il Capitano, con voce tremendamente roca, e le fece venire la pelle d’oca.
 
Anthea si tirò su, aggrappandosi alle spalle del super soldato, e tornò a baciarlo lentamente e profondamente. Era intenzionata a godersi ogni secondo di quel momento e, inoltre, era decisamente soddisfacente sentire la frustrazione di Steve crescere gradualmente. Se avesse continuato così, la mattina avrebbe ritrovato le impronte delle dita di lui sparse sulla pelle.
Ne sarebbe valsa la pena.
Quando Steve entrò in lei, dovette mordersi il labbro inferiore per non lasciarsi scappare gemiti indiscreti. Lui si fece più vicino, finché le labbra non le sfiorarono l’orecchio destro.
 
“Mi sei mancata” fu il leggero sussurro con cui la fece rabbrividire fin nel profondo.
 
“Così c’è rischio che mi emozioni, soldato.”
 
Il biondo prese a baciarle la curva della spalla, a partire dall’incavo del collo. Diverso tempo dopo, affondò i denti in quella stessa spalla, nel momento in cui l’amplesso raggiunse l’apice e la giovane inarcò la schiena, sforzandosi di non emettere alcun suono. Alla fine, lui crollò su di lei senza troppa attenzione.
 
“Quando torniamo a vivere sotto lo stesso tetto? Nel frattempo, potrei anche stare nascosta nell’armadio.”
 
Steve puntellò i gomiti ai lati della ragazza e fissò le iridi limpide in quelle blu che lo stavano fissando con intensità.
 
“Credevo ti trovassi bene con la tua nuova squadra, Rey.”
 
Anthea dovette far ricorso a tutto l’autocontrollo che aveva a disposizione, per riuscire a rimanere seria dinanzi la chiara implicazione nascosta dietro quelle parole. Ma la parte più difficile fu trattenersi dal sorridere divertita dinanzi alle sfumature di irritazione nell’espressione del super soldato e dinanzi all’arco più pronunciato assunto dal suo sopracciglio destro.
 
“Sì, mi trovo bene e il mio nuovo capo è forte. Però mi manca il vecchio capo e sto aspettando che mi chieda di unirsi a lui, perché è con lui che voglio stare.”
 
Riuscì decisamente a farlo sorridere e, dopo avergli infilato le dita fra i capelli, lo tirò verso di sé per poterlo baciare ancora una volta. Voleva approfittarne, dato che non era certa di poterlo rivedere presto.
 
“Devi avere un altro po’ di pazienza.”
 
“Nessun problema, Steve. Vale la pena aspettare.”
 
“Non potrei essere più d’accordo.”
 
Anthea baciò Steve di nuovo e lo spinse prima di lato e poi sulla schiena. Si spostò sopra di lui e continuò a baciarlo sulle labbra, lungo il collo e seguendo la linea verticale che dal centro del petto andava a solcare l’addome scolpito. La giovane capì che non sarebbe riuscita a fermarsi e lui non diede segno di volere che lo facesse.
 
“Se non sei stanco...”
 
“Non lo sono.”
 
“Ottimo.”
 
 
 
 
Il mattino seguente, Anthea fu svegliata da un insistente bussare alla porta della camera che non riconobbe affatto e si sentì spaesata, finché i ricordi della notte appena trascorsa non fecero capolino e riuscirono a riscuoterla dal torpore.
Percepiva il respiro caldo di Steve sulla nuca e il calore del suo petto contro la schiena.
 
“Steve! Ross ci vuole vedere! Dice che non riesce a contattarti!”
 
Una voce squillante fece smuovere appena il super soldato, che sospirò profondamente fra i capelli di Anthea, facendola rabbrividire.
La porta si aprì e Collins si affacciò. Il ragazzo fece per dire qualcosa, ma si bloccò nell’esatto momento in cui incontrò gli occhi spalancati della Reyes, che d’istinto si strinse maggiormente nel lenzuolo.
L’oneiriana portò l’indice destro alle labbra, in un chiaro invito a mantenere segreto quell’incontro non previsto. Dan annuì e le dedicò uno sguardo di scuse prima di sparire.
In tutto ciò, Rogers non si era accorto praticamente di nulla.
Per lei era invece arrivata l’ora di filarsela. Scivolò via dalle braccia del super soldato e tentò di recuperare i suoi indumenti nel minor tempo possibile. Una volta vestita, posò lo sguardo sul biondo ancora addormentato e le pesò parecchio doverlo scuotere per svegliarlo. Avuta la sua attenzione, gli ripeté le stesse parole gridate da Daniel.
Steve si mise seduto e, prima che riuscisse a fare o dire qualsiasi cosa, Anthea lo baciò con trasporto e poi sgattaiolò fuori dalla finestra con agilità.
 
Quando fu fuori dall’appartamento, la giovane tirò su il cappuccio della felpa blu che aveva rubato al compagno, così da nascondervi sotto buona parte della divisa sgualcita dello SHIELD.
Il cielo era coperto da una cortina di nubi grigie e tirava una piacevole brezza fredda. Non essendo ancora perfettamente sveglia, notò con un certo ritardo la persona che saltò dalla finestra attigua a quella della camera di Steve.
Nemmeno la suddetta persona doveva essere abbastanza sveglia, perché non fece subito caso alla presenza dell’oneiriana.
 
“James.”
 
Barnes smise di sistemare il cappello sulla testa e si bloccò sul posto. Voltò il capo in direzione della voce che l’aveva appena chiamato.
 
“Anthea.”
 
Dopo un lungo attimo di imbarazzante silenzio, fu la ragazza a sbloccare la situazione.
 
“Meglio parlare dopo.”
 
“Assolutamente d’accordo.”
 
 
 
 
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Era tornata a New York, alla Tower, assieme a James. Era andata dritta nel suo appartamento e si era praticamente buttata sotto la doccia.
Adesso l’acqua stava scorrendo sulla pelle che Steve aveva segnato in più modi quella notte.
Si sentiva strana.
Forse stava solo ricadendo in un momento di apatia. Forse era solo stanca.
Trascinatasi fuori dalla doccia, si mise un asciugamano addosso e arrivò fino alla sua stanza. Indossò un paio di slip e poi rindossò la felpa sottratta a Steve.
Come un automa, si sedette sul letto, con le gambe incrociate. I capelli stavano gocciolando sulle coperte, ma lo notò a malapena.
Un senso di spossatezza le incurvava le spalle. Il livido sul viso pulsava debolmente. Nella testa c’era il vuoto e c’era il vuoto anche nello stomaco.
 
Si sentiva strana.
 
Percepì vagamente dita forti affondare nelle spalle e poi un suono ovattato.
Una voce. Una voce che la chiamava.
Si sforzò di tornare lucida, di mettere a fuoco ciò che le stava accadendo intorno.
C’era James davanti a lei e la stava scuotendo con insistenza.
La bolla di silenzio che si era venuta a creare intorno a lei esplose e il rumore di oggetti che cadevano a terra fu la prima cosa che udì distintamente. Poi udì la voce di James.
 
“Stai bene? Cosa è successo?”
 
“Io... non lo so...”
 
Stava respirando con un certo affanno e stava sudando freddo.
Le braccia di James la strinsero in un abbraccio che le tolse per un attimo il respiro. La sensazione di calore rilassò i muscoli tesi e si sentì meglio, si sentì meno persa e meno spossata.
Dopo qualche attimo, il super soldato allentò la presa su di lei e si tirò indietro, tenendo le mani sulle sue braccia.
 
“Mi hai fatto prendere un colpo. Sembravi in una specie di catalessi e gli oggetti nella stanza stavano fluttuando. Scena perfetta per un film dell’orrore.”
 
“Sono solo tremendamente stanca. Deve essere stato lo sforzo di ieri. Può capitare.”
 
“Sei sicura? Sono costretto a fidarmi della tua parola, perché è difficile stabilire cosa sia normale e cosa non lo sia con te.”
 
“Sono sicura. È tutto okay.”
 
“Sai che puoi parlare con me, giusto?”
 
La ragazza annuì.
“Tu non mi avevi detto di Sharon però.”
 
Barnes, preso in contropiede, sorrise mestamente e le diede un leggero buffetto sulla fronte, usando la mano destra.
“Stai cambiando argomento. Sei brava.”
 
“Senti chi parla.”
 
“Ti sei divertita stanotte?”
 
Anthea tirò in basso il lembo della felpa per coprire i segni di dita sulle cosce e stirò le labbra in un ghigno dalle sfumature maliziose.
“Credo tanto quanto te.”
 
Si scambiarono una lunga occhiata piena di sottintesi.
 
“Fury vuole vederci. Te la senti?”
 
“Adesso sei tu che cambi argomento, Barnes.”
 
“Ho appena smesso di essere preoccupato. Basta sogghignare e muovi il sedere, Reyes.”
 
 
 
 
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“Farai tu il rapporto a Ross, giusto?”
 
Stewart si voltò in direzione del Capitano e gli dedicò una lunga occhiata, dopo la quale si decise a dargli una risposta.
“Giusto. Provo ad indovinare. Vuoi chiedermi di omettere il fatto che i tuoi amici Vendicatori erano presenti, dico bene?”
 
Rogers annuì.
 
“Potrei farlo, ma dovrai accontentarti della storia che sei stato tu a chiamarli perché era un’emergenza. Nonostante i vostri sforzi, è abbastanza evidente che i Vendicatori erano lì per l’Hydra senza che fossero stati prima autorizzati da Ross o chiamati a te.”
 
“Non è una situazione semplice. Siamo costretti ad agire in un certo modo. Se Ross venisse a sapere…”
 
“Se venisse a saperlo, tu saresti nei guai e accorcerebbe di nuovo il guinzaglio.”
 
Steve mantenne il contatto visivo con la donna.
“Già. Quindi…”
 
“Il mio superiore è Ross. Non posso aiutarti, tesoro.”
Janet si avvicinò al Capitano e gli posò una mano sul braccio. Gli sorrise con fare mellifluo.
“Ma potresti provare a farmi cambiare idea, se la cosa ti sta tanto a cuore. Mentire al Segretario di Stato è un grosso rischio e ho bisogno della giusta motivazione.”
 
“Ci sono in gioco tante vite. Dovrebbe essere una motivazione più che sufficiente.”
Il biondo stava cercando di mantenere la calma. Il misfatto del giorno prima gli avrebbe probabilmente impedito di avanzare richieste a Ross, cosa che i suoi compagni pretendevano che facesse – erano stati molto espliciti a riguardo, a partire da Tony, passando per Bucky e Sam, fino ad arrivare ad Anthea.
 
“Mi dispiace deluderti, ma non tutti sono come te. Sforzati di più, tesoro.”
 
“Non è un gioco, Stewart. Stiamo parlando di …”
 
“Non sto giocando. Sono più seria di quanto tu creda. Non rischierò la mia carriera senza avere un tornaconto. Io faccio un favore a te e tu mi dai qualcosa in cambio.”
Gli occhi della donna furono attraversati da una scintilla. Era davvero seria, non stava affatto scherzando.
“Vieni a letto con me e io ometterò l’azione dei tuoi compagni dal rapporto. Mi sembra uno scambio equo.”
 
Rogers rimase decisamente spiazzato. Quando aveva bussato alla porta della Stewart, non si era di certo immaginato che le cose potessero assumere una piega simile.
Janet, sfruttando il momento di confusione del super soldato, gli circondò il collo con le braccia e sollevò un angolo della bocca.
 
“Non essere tanto turbato. Ti piacerà. E lo farai per un bene più grande” lo stuzzicò senza riguardo.
Si fece più vicina, in modo che le loro labbra quasi arrivassero a sfiorarsi.
“Avanti, tesoro.”
 
 
 
 
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“Compromessi. È così che funziona il mondo, Rogers. Tu stesso sei qui per via di un compromesso.”
 
Ross era seduto dietro una scrivania. Erano in un ufficio del Pentagono e, una volta ascoltato il rapporto da Janet Stewart, aveva chiesto al Capitano di rimanere, lasciando invece andare via il resto della squadra. Ora, Rogers era in piedi dall’altra parte della scrivania e aveva le braccia incrociate al petto, appena sotto la stella argentata della stealth.
 
“Ti confesso che non credevo mantenessi una così buona condotta, nonostante riconosco di essere stato esigente con te.”
 
L’ex generale ripensò a quanto la faccenda del siero del super soldato avesse condizionato la sua carriera prima e la sua vita di conseguenza. Aveva perduto tutto scommettendo in un esperimento che aveva prodotto solo bestie incontrollabili.
Ross aveva sempre desiderato avere il controllo e aveva cercato a lungo il potere necessario per conseguirlo.
Bruce Banner era stato il suo fallimento. Steve Rogers sarebbe stato la sua rivalsa.
Non aveva voluto Rogers per contrastare i potenziati che Adam Lewis stava generando. O meglio, quello era uno dei motivi di peso minore, che riguardavano i vantaggi di avere a disposizione un’eccellente stratega dalla forza fuori dal comune e dall’indiscutibile integrità morale.
Controllare Steve Rogers significava poter controllare gli Avengers e quindi significava entrare in possesso di un potere che andava al di là di ogni sua più rosea aspettativa. Avrebbe avuto Hulk – dopo tanto tempo – e Thor e la Reyes. E poi c’era Stark, tramite cui avrebbe potuto contribuire in modo straordinario all’avanzamento dello stato tecnologico militare.
Ross doveva avere pazienza. Forzare la mano non lo avrebbe condotto verso risvolti positivi.
Rassicurazioni e compromessi. Due fondamentali elementi per giungere all’obiettivo preposto. Ogni tipo di relazione umana si basava su tali elementi, nessuna esclusa.
 
“Però, Rogers, non posso fidarmi completamente di te, se finisci per rompere le regole non appena ti concedo maggiore libertà.”
 
“Non è come…”
 
Il Segretario sollevò una mano per bloccarlo sin dall’inizio.
 
“I tuoi compagni, gli Avengers, non hanno restrizioni se non quella relativa all’Hydra. Non mi sono intromesso quando Barnes e la Reyes hanno deciso di lavorare per Fury. Una mossa intelligente per aggirare le regole, così come è stato furbo non usare lo stesso trucco con tutti gli altri, per evitare che a quel punto il Consiglio o io stesso intervenissimo. Quello che è accaduto ieri …”
 
“Siamo stati tutti manovrati e non ho intenzione di permettere che questo si ripeta. Ho bisogno dei miei compagni qui per gestire la situazione. Le ho dimostrato che so seguire i suoi ordini.”
 
Il Capitano aveva lo sguardo fisso in quello di Ross e tutta l’intenzione di far valere le sue motivazioni. Al Segretario bastò tale reazione per decidere come fosse opportuno procedere.
 
“Barnes. Wilson. Reyes. Puoi dire loro di unirsi a te alla fine di questo mese. Saranno la tua squadra per le azioni contro l’Hydra e Lewis. Ammetto che ti sei comportato bene e ti sei dimostrato estremamente collaborativo, quindi voglio venirti in contro. In fondo perseguiamo lo stesso obiettivo, ovvero fare in modo che criminali scellerati non minino alla stabilità del Paese e del mondo.”
Eccola, la rassicurazione. Ross fece una pausa e gli piacque intravedere la sorpresa nei tratti ora più rilassati del volto di Rogers. Nonostante fosse riuscito a vincolare il super soldato a sé, il Segretario sapeva che osteggiarlo troppo avrebbe solo condotto a risultati decisamente negativi. Quindi aveva deciso di passare sopra a ciò che era accaduto il giorno prima. Non era il momento adatto per fare uso del pugno di ferro.
“Ogni azione che vorrai intraprendere dovrà passare da me. Vi muoverete solo dopo che io vi avrò autorizzato a farlo. Sto mettendo a rischio la mia credibilità, la mia integrità, la mia stessa persona, dunque devo avere la situazione sotto controllo. Sono stato chiaro Rogers?”
Questo, invece, era il compromesso. Scendere a patti rendeva durevoli le relazioni umane, perché entrambe le parti ottenevano ciò che volevano con la clausola di rispettare vicendevolmente la volontà della controparte.
 
Il Capitano annuì, senza aggiungere una sola parola.
A Ross bastò quel cenno e, dopo aver sospirato con fare riflessivo, si sporse in avanti sulla scrivania e si preparò a concludere la conversazione.
 
“Sta’ attento, Rogers. Non farmene pentire.”
Un avvertimento che serviva a richiamare alla mente chi fosse al comando.
 
Il super soldato non rispose e si limitò ad annuire una seconda volta, accrescendo la soddisfazione del Segretario.
 
 
 
 
 
 
Uscito dall’ufficio di Ross, Steve percepì distintamente la sensazione di disagio che lo accompagnava da diverso tempo ormai. La soffocò, in modo che non intaccasse l’attuale e precaria stabilità emotiva.
Era davvero quella la strada da seguire? Stava facendo la cosa giusta?
Per un attimo gli tornò alla mente il disegno della scimmia intenta a percorrere una sottile fune in sella ad un monociclo e con in mano un ombrello che, al primo accenno di vento, non avrebbe fatto altro che peggiorare la sua situazione già estremamente precaria. Ricordò i clown che la osservavano dal basso, in attesa di vederla cadere per poter ridere più sfacciatamente di lei.
Poi scosse il capo e l’immagine evaporò. Tuttavia, permase un tangibile e sconfortante senso di umiliazione.
 
Stava facendo la cosa giusta?
   
 
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