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Autore: Little Firestar84    03/09/2020    0 recensioni
Da quasi dieci anni le strade di Eliot e di Rebecca si sono incrociate e continuano a farlo. Lui è un ex militare, picchiatore, guardia del corpo di Nate &Co. Lei è il chimico del sottobosco criminale di Portland, erede di una lunga dinastia di ladri e truffatori. Lei si considera il brutto anatroccolo, e per lui, lei è un maschiaccio, una dei ragazzi.
Almeno fino a che Sophie, per preparare Rebecca al ruolo di damigella a un matrimonio, non decide di giocare per un giorno alla Fata Madrina, per trasformare la timida nerd in una bella Cenerentola a cui nemmeno il principe Azzurro dei suoi sogni saprà resistere... un principe azzurro di nome Eliot Spencer.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Hitter & Chemist'
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Anni or sono, Boston…

La ragazza sussultò quando la luce si accese all'improvviso, nonostante sapesse che Ford stesse tornando a casa. Mentre il genio criminale strizzava gli occhi, lei, lentamente, lasciò la sedia che aveva occupato mentre lo aspettava, e alzò le mani in segno di resa.

"E tu chi saresti?". Nate chiese, passeggiando con disinvoltura verso di lei, con le mani in tasca, ridacchiando leggermente. Nate era un uomo che, nonostante i suoi vizi, amava il controllo - lo bramava, addirittura - e aveva bisogno di sapere tutto, di leggere con chiarezza l’ambiente e chi vi si trovava. Ed era abbastanza bravo a farlo - ecco perché, nonostante non fosse esattamente entusiasta della presenza di uno sconosciuto nel suo appartamento a notte fonda, nel bel mezzo di un lavoro, si sentiva in qualche modo... a suo agio. Perché o la giovane donna vestita casual non aveva cattive intenzioni, oppure le aveva... ed era un'attrice molto brava, meglio di Sophie quando non era sul palco.

"State lontani da Pryce", disse con freddezza, senza mai interrompere il contatto visivo, con un'aria molto seria... e forse, solo forse, un po' spaventata, mentre l'ultima sillaba del nome dell'ultima vittima di Nate  le danzava sulla lingua- uno spietato industriale a cui piacevano i soldi, le donne, le macchine e il poker e che stava anche contaminando il corso d'acqua di una piccola città fuori Baltimora - Shellock Grove - con i residui chimici della sua fabbrica di mobili.

"Davvero? E perché dovrei fare come dici tu? Signorina?" Nate stava in piedi davanti alla donna, appoggiato al muro, con le caviglie incrociate, sollevando quietamente il sopracciglio destro. "Mi dispiace, non ho capito il tuo nome."

"Ascolta, non importa, ok?" Sospirava lei, e, scuotendo leggermente la testa, abbassò le mani e si diresse verso la porta d'ingresso. Quando fu al fianco di Nate si fermò, e abbassò la voce, quasi sussurrando, il suo tono severo e deciso. "Per il tuo bene, e per il bene dei tuoi amici, stanne fuori. I giorni di Pryce sono comunque contati. Shellock non è stato il suo primo peccato - ma faremo in modo che sia l'ultimo. Si tratta solo di decidere se andrai a fondo con lui o no".

"È una promessa, una minaccia o solo un avvertimento.... Rebecca?" Mentre lo sentiva pronunciare il suo nome a voce alta, deciso e sicuro, lei si fermò, con la maniglia della porta che le bruciava quasi la pelle del palmo della mano. Sudore freddo le colava lungo il collo, e lei inghiottì, girandosi lentamente per vedere Nate che le si avvicinava. "Sì, so esattamente chi sei. Ti chiamano... il chimico, vero? Rebecca Cummings. Figlia di Albert Cummings e sorella di Madeline, loro sono truffatori, guardano più il lato pratico delle cose, mentre tu sei più che altro una scienziata. So chi sei e so che anche tuo padre e la sua squadra danno la caccia a Pryce. Quello che ancora non so è perché."

Lei ridacchiava con leggerezza, sospirava. "Tu e i tuoi amici non siete affatto come mio padre. Voi cercate la giustizia, lui cerca i soldi. E l'arte. E ha messo gli occhi sulla collezione di artefatti di Pryce. Se - quando - scoprirà che ti stai mettendo in mezzo ai suoi affari, non sarà molto gentile".

"Ci sono modi peggiori per fare del male a un uomo che ucciderlo". Nate annuì, borbottando tra sé e sé, mentre guardava davanti a sé, verso nulla in particolare nel buio. "Quindi, tuo padre è interessato solo alla collezione d'arte personale di Pryce, noi siamo interessati solo ai suoi beni aziendali... Perché non uniamo le forze e ci assicuriamo che entrambi i nostri team ottengano esattamente ciò che vogliono?”

Mentre una ciocca di capelli rossi le cadeva sopra gli occhi nocciola, Rebecca sorrise. "E perché dovrei essere interessata ad aiutarvi?"

"Perché sarai anche figlia di tuo padre, lavorerai anche per lui, ma non sei affatto come il tuo vecchio".

 Rebecca si voltò a guardare Nate, improvvisamente triste e si sentì nuda, esposta, sapendo fin troppo bene che aveva ragione. Era in famiglia, eppure non ne aveva mai fatto veramente parte. Lavorava per loro, non con loro, e anche dopo anni - anche dopo essere stata cresciuta per essere la degna erede di suo padre - si sentiva figlia di sua madre, voleva aiutare gli altri. Mettere le cose a posto. Era rimasta solo perché loro erano tutto ciò che le era rimasto, e perché amava Danny – il braccio destro del padre – e sperava che un giorno lui avrebbe ricambiato i suoi sentimenti.

Le lacrime le bruciavano gli occhi e il mondo le crollò addosso. L’aveva sempre saputo, ma non aveva mai osato ammetterlo ad alta voce, o davanti a qualcun altro. Nessuno aveva ammesso quello che tutti sapevano. Nessuno, solo Nate con la sua brutale onestà.

Lasciò andare la maniglia della porta e si voltò verso di lui. "Allora, sentiamo, qual è il tuo piano?"

***

Portland, Oggi.

“Non mi dirai cosa c'era in quel profumo che mi hai dato per rendere Callaghan più suscettibile alle mie idee, vero?”

Becks sorseggiò lentamente la sua bevanda preferita - Gimlet con vodka al posto del gin - e assaporò la bevanda fredda ad occhi chiusi, leccandosi le labbra ad ogni sorso, in modo che nemmeno una goccia del delizioso liquore andasse sprecata.

"Assolutamente no. È una ricetta segreta!” Becks rise mentre gli occhi le ricaddero sul bicchiere da martini vuoto. Nella penombra del locale, fece segno al barista di dargliene un altro, il terzo della serata. Sophie era quasi tentata di parlare, ma decise di stare zitta e vedere come andavano le cose, per capire cosa stesse succedendo all’amica e compagna di truffe. Certo, Becks apprezzava i liquori di qualità, proprio come il padre, ma amava troppo il controllo e la perfezione per ubriacarsi.

A meno che non ci fosse un problema. E c’erano solo tre cose che le causavano problemi: quando i piani di Nate gli sfuggivano di mano e andava tutto a farsi friggere (cosa che non era recentemente successa), quando Albert si faceva di nuovo vivo ricordandole che lei lo aveva tradito per unirsi a loro (probabile, dato che lo faceva almeno due o tre volte all’anno, quando gli serviva una mano dalla figlioletta adorata), o quando un certo qualcuno per cui Becks si era presa una cotta gigantesca flirtava con tutte le ragazze tranne lei, perché, l’idiota cieco (metaforicamente) la considerava un maschiaccio, una sorellina.

Sophie ticchettò il bancone con le sue unghie perfette, dimenticandosi il suo bicchiere di vino rosso, e osservò Becks: non era appariscente, preferendo (un po’ come il personaggio preferito di Sophie, la dottoressa Karen Ipcress)  nascondersi dietro abiti quasi adolescenziali, ma sapeva farsi davvero carina quando voleva. E poi, era intelligente, con un grande cuore e aveva tradito la sua stessa famiglia per aiutarli.

Lanciò un’occhiataccia al barista, sfidandolo a dare un altro drink all’amica. Becks non aveva bisogno di bere, o di avere un orrido dopo-sbornia la mattina seguente. Aveva bisogno di rilassarsi e riposarsi, una bella dormita, magari una serata tra ragazze – Tara era in città per un colpo, ed era l’ora che si trovassero di nuovo tutte e tre (magari tutte e quattro, se riuscivano a separare Parker da Hardison per due ore). E poi, magari era la volta buona che Becks incontrava qualcuno e si toglieva lui dalla testa una volta per tutte.

“Tesoro, credo che tu ne abbia già bevuti a sufficienza…” Sophie rubò il drink alla rossa, buttandolo giù senza respirare, in un colpo solo, onde evitare che Becks se lo riprendesse. Errore madornale: la vodka le bruciava la gola, le faceva lacrimare gli occhi. “Porca miseria, Becks! Ma come fai ad essere viva dopo aver bevuto una cosa del genere? È terribile!” Aggiunse col suo solito tono melodrammatico, con una mano sul cuore giusto per enfatizzare la cosa.

Il cellulare di Becks cinguettò, e la giovane donna controllò la notifica, emettendo un suono gutturale che aveva ben poco di femminile. Gettò l’arnese infernale sul bacone, a schermo in giù, e rimase a fissare la cover di silicone nera con un PI GRECO bianco fosforescente in rilievo, quasi ne avesse paura. Incrociando le braccia sul bancone, Becks si voltò dall’altra parte, ma poi tornò a fissare l’ammennicolo prima e Sophie poi, con gli occhi da cucciolo spaurito e supplichevole. “Sophie, lo so che non è un comportamento adulto e ragionevole, davvero, ma quel drink mi serve. Davvero.”

Sophie alzò gli occhi al cielo, gemendo leggermente stufa, nonostante capisse che non fosse semplice per Becks appianare le cose con il padre, visto il pessimo carattere di lui. “Allora, tesoro, cosa ha combinato paparino?”

“Perché deve centrare la mia famiglia?” Becks alzò un sopracciglio con fare interrogativo, per pentirsene subito dopo- era di Sophie che stava parlando, dopotutto. Scosse lievemente il capo, e la frangetta le ricadde sugli occhi. “Non rispondermi. E comunque non è papà. È la mia sorellina adorata. E Danny. Presente il tizio di cui ero convinta di essere follemente innamorata quando ci siamo conosciute? Ecco, proprio lui. Si sposano. Danny e Maddie. Perché logico che mentre io ci morivo dietro lei se lo lavorava, no? E adesso vorrebbe pure che le facessi da damigella, e domani sera da una dannata festa e lei si aspetta che io ci vada e stia lì a guardarli mentre risplendono di gioia mentre io sono ancora single? Se lo scorda!”

“Okay, allora, facciamo una cosa: tu intanto stasera dormi di sopra, perché io non ti lascio andare in giro in questo stato.” Sophie le diede un paio di pacche sulle spalle, sorridente, soddisfatta… e leggermente diabolica. “E domani pensiamo a un modo di far pagare alla sorellina l’essersi messa col il tuo principe azzurro.”

“Sì!” Becks rispose tutto d’un fiato, per poi pentirsene subito. “No, aspetta, non posso. È la mia sorellina, e poi non l’ha fatto apposta. E poi, Danny è abbastanza capace a fare il nostro lavoro, e se dovessi chiedere a qualcuno di guardarmi le spalle lui sarebbe la seconda persona da cui andrei, ma è un tantino… cieco rispetto a tutto il resto, perciò esiste la concreta possibilità che il mio pesante flirtare non sia stato sufficiente a fargli capire che ero interessata.”

“Un guardaspalle che non fa troppa attenzione al tuoi sentimenti per lui. Ma cos’è, hai un tipo?” Sophie le domandò, mormorando a bassa voce. Non era neppure certa che Becks l’avesse effettivamente sentita. Scosse il capo, e posò il mento sul palmo della mano, il gomito sul tavolo. “Allora, niente vendetta. Ma se volessimo farla morire d’invidia? Ti fai tutta carina, ti presenti con un bell’uomo al braccio, non vi staccate un attimo l’un dall’altra, fate gli innamorati cronici, e poi mi dici se i piccioncini hanno ancora voglia do sbatterti in faccia il loro matrimonio felice.”

Becks piagnucolò, con la fronte attaccata al freddo bancone di marmo del locale. “E dove me lo trovo un fidanzato in ventiquattro ore? E non uno qualsiasi, uno perfetto! Non voglio assumere un accompagnatore solo per fare bella figura, è… è da falliti, e poi Maddie se ne accorgerebbe subito. Lei è una truffatrice nata, gli imbrogli li annusa a un kilometro di distanza!”

“Assumere un accompagnatore? Ma quando mai! Io ho già in mente il piano perfetto, e prevede di fare una delle cose che mi riesce meglio… Tesoro, sono qui!” Sophie sospirò tutta soddisfatta, con due occhi sognanti degni di un bambino la mattina di Natale. Poi, la porta del locale di Hardison si aprì, e vide in lontananza i “suoi” ragazzi entrare – serata tra uomini, solo Nate, Hardison che per una volta non si era appiccicato a Parker ed Eliot,  senza una delle sue solite bellone al braccio - e fece loro segno di raggiungerla. Becks a malapena alzò il capo dal bancone per salutare i colleghi, gli occhi lucidi e giusto una fessura, segno che aveva bevuto decisamente troppo. Era ancora abbastanza lucida da alzare un sopracciglio con fare interrogativo all’arrivo di Nate.

“Sbaglio o non dicevi sempre che la cosa che ti riusciva meglio era flirtare con Nate mentre giocavate a guardie e ladri in giro per il mondo? Perché, okay, c’è stata la volta in cui uscivo con quell’agente dell’FBI mentre mi fingevo una sua collega, e ammetto che Sterling ha un certo qual fascino, ma tu ed io abbiamo decisamente gusti differenti. Senza offesa, Nate, è che non sono interessata a uomini che mettano in discussione la mia intelligenza. Ho un debole per gli idioti, lo sanno tutti. Quindi dovresti sentirti lusingato, perché significa che ti considero un uomo decisamente intelligente.” Becks ammise candidamente, col sorriso sulle labbra, mentre, seduto vicino a Sophie, Nata apriva la bocca per dire qualcosa, bloccato dalla compagna che gli faceva segno, nemmeno troppo velatamente, di stare zitto onde evitare futili discussioni.

“Ma si può sapere che cavolo hai? Sei messa peggio della volta che abbiamo fregato tuo padre dopo che lui aveva fregato il nostro pollo.” Eliot sogghignò dandole delle pacche sulle spalle, innervosendo ancora di più Becks, godendosi la sua birra, senza capire il danno che stava provocando.

Becks lo guardò con aria sognante, sospirando. C’erano alcuni giorni in cui detestava Eliot Spencer dal più profondo del cuore, peccato che accadesse davvero così di rado.

“Piantala, Eliot. Si è scolata almeno tre drink alla vodka.” Sophie prese immediatamente le parti dell’amica, e con una certa risolutezza, fece smettere Eliot di dare quelle dannate pacche sulle spalle di Becks- la trattava neanche fosse stata uno dei suoi compagni di bevute con l’elmetto verde. “Madeline si sposa, e vuole che la nostra Rebecca si unisca ai festeggiamenti. Peccato che lei non abbia chissà che voglia di andarci da sola. Cosa più che comprensibile, d’altro canto.”

“Quindi, che vuoi fare? Prenderti un accompagnatore a pagamento sperando di non essere sgamata da due dei migliori truffatori in circolazione?” Eliot ridacchiò, fregandosene beatamente delle occhiate di fuoco che gli rivolgeva Sophie. O forse non se ne accorgeva proprio.

“Certo che no. Se assumessimo qualcuno per fingere di essere il ragazzo di Rebecca, Madeline e Albert lo scoprirebbero subito. Serve qualcuno di cui lei si fidi, qualcuno che la conosca bene, e che non abbia noti legami sentimentali. Qualcuno come te che la accompagni alla cena di fidanzamento e al matrimonio.”

Sentendo questa frase, Eliot non si limitò a sghignazzare leggermente. No, lo fece a crepapelle, tanto che fu un miracolo che non si strozzasse con la birra. Perché per lui quella battuta era… era il miglior numero comico della storia.  Sul serio.

Peccato che così non fosse.

“Chiedo scusa?” Con l’orgoglio ferito, furibonda con se stessa in primis, e con l’idiota- suo nuovo soprannome per Eliot – poi, le gote di Becks si arrossarono, e gli occhi le si riempirono di lacrime. Ma, si disse, non avrebbe pianto. Non avrebbe dato a quell’insensibile idiota che voleva passare per un uomo quella soddisfazione. Non quando lui la trattava come… come… come un maschiaccio.

Eliot dovette leggere qualcosa nello sguardo di Becks, perché fece un paio di passi indietro, cercando di mettere quanta più distanza possibile tra di loro, eppure non fece in tempo, perché si prese un sonoro ceffone e non riuscì nemmeno a chiedere cosa fosse successo, o perché si stesse effettivamente comportando così, perché Becks, tutta indignata, se ne stava andando decisa su per le scale.

Sophie scosse il capo, indecisa: meglio dare una tirata d’orecchie ad Eliot, o andare a consolare l’amica? Dato che era già lì, tanto valeva iniziare con l’idiota. Si limitò a lanciargli un’occhiataccia, con le mani incrociate sul petto – cosa che Nate trovò a dir poco confortante, dato che significava che non trattava così solo lui. Non che Eliot comprendesse la gravità della cosa, e comunque, Sophie non era certo la cosa peggiore che avesse mai affrontato in vita sua. E poi, sul serio: Becks l’aveva davvero preso a schiaffi, così, senza motivo?

Perciò, alzando gli occhi al cielo, riprese a sorseggiarsi come niente fosse la sua birra. “Dai Sophie, credi davvero che qualcuno penserebbe che Becks potrebbe essere il mio tipo? Maddie annuserebbe puzza di truffa lontano un miglio. Sa che la sua sorellina è troppo una santerellina per me.” Santerellina in verità non era stata la prima parola che gli era venuta in mente. Eliot avrebbe voluto dire che Becks era troppo banale, troppo comune, troppo normale per i suoi gusti, abituato com’era a femme fatale, assassine e modelle, ma forse, si disse, santerellina avrebbe fatto meno danni.

Sophie lo guardò come se avesse voluto strappargli il cuore dal petto, tanto era furibonda. “Non ci credo che tu ti sia fatto la sorella di Becks.”

“Senti, se serve a farti stare meglio, ti dico che non me la sono fatta, ma diciamoci la verità, sapremmo entrambi che sarebbe una bugia bella e buona.” Ridacchiò tra sorsi di birra.

Sophie fu abbastanza gentile da dargli una sberla sulla guancia che Becks non aveva toccato. Almeno così adesso erano tutte e due decorate con delle belle manate rosse.

Mentre Sophie scompariva e se ne andavo verso il suo appartamento al piano di sopra, Eliot guardava confuso i suoi amici, chiedendosi cosa fosse accaduto e di quale colpa si fosse macchiato per ricevere un simile trattamento.

“Io non metto il becco in questa storia. A casa, i pantaloni li porta Sophie, e poi non voglio mettermela contro. Alla mia età fa male dormire sul divano, e lo sai che io non posso prendere antidolorifici e divento irritabile…”

“irritabile, intrattabile, stronzo…..” Hardison mormorò verso Nathan, per poi guardare Eliot, sconsolato. “E se non hai capito cosa è successo, sei davvero un idiota mezzo cieco.”

“Cos’è che sarei io?” Eliot abbaiò, tentato di afferrare Hardison per il bavero.

“Sapete cosa? Mi sono appena ricordato che Parker mi aveva detto che tornava dalla riunione di famiglia col paparino verso le dieci. Vado a vedere se c’è. Magari devo medicarle delle bruciatura da laser, fasciarle una caviglia slogata…”

Una volta che Hardison se la fu data a gambe levate, Nate continuò a sorseggiare il suo analcolico, ridacchiando sotto ai baffi alla visione di Eliot che mormorava sconsolato tra se e se, massaggiandosi la fronte.

“Non me la faranno passare liscia se non vado a quella dannata festa, vero?”

Fu il turno di Nathan di ridacchiare. “A meno che tu non voglia che quelle due programmino il tuo omicidio… sì.”

***

“Svegliati tesorino, abbiamo tante cose da fare e solo una giornata di tempo!” La testa le faceva male, si sentiva come se le stessero martellando il cervello, e l’unica cosa che Becks voleva fare era nascondere la testa sotto ai cuscini, perché la luce che veniva dalla finestra era davvero troppo forte, per una persona nelle sue condizioni, anche se la cosa peggiore era la voce acuta e squillante di Sophie che le rimbombava nei timpani. “Allora, ti ho fissato un appuntamento dal mio estetista di fiducia, poi andiamo da un parrucchiere favoloso, e per un ultimo, ma molto importante, pensiamo al guardaroba… via tutta quella robaccia da maschiaccio! Ho chiamato Victor, il mio personal shopper, lui è un genio! L’unico lato negativo è che dovrai ricordati che io sono  Charlotte Prentiss, Duchessa di Hannover.”

Becks però non ne voleva sapere di lasciare quel rifugio fatto di morbidi cuscini di piume. Era molto meglio starsene lì, al sicuro, e comportarsi come una bambina petulante e non l’intelligente donna adulta che si presumeva lei fosse. “Non voglio. Dirò a Maddie che stiamo organizzando un colpo fuori città. O che sono stata arrestata e non posso più contattarla per non metterla nei guai. Non voglio andare a quella stupida festa da sola.”

Sophie sospirò, ed andò a sedersi sul letto, al fianco di Becks. Tolse il cuscino dalla testa dell’amica, e le massaggiò dolcemente la schiena. “Rebecca, tesoro, stai tranquilla. Non dovrai andarci da sola. Eliot verrà con te, sarai assolutamente favolosa e tutti moriranno d’invidia.”

Becks si rifiutò di sedersi. Si limitò a stare coricata, incrociando le braccia, fissando il soffitto, l’antico e sontuoso lampadario in ferro battuto e vetro di Murano – probabilmente di Sophie – ed il rosone in stile Barocco. Facevano entrambi a pugni con il moderno appartamento di Nate, molto maschile e minimalista come linee e colori, eppure tutto sommato si sposava bene con il tutto. Forse perché rappresentava come Sophie e Nate stessero unendo le loro vite –mettendo insieme le loro cose, i loro stili e le loro personalità così differenti.

“Ma che carino. Secondo te cosa è peggio, che faccio così pena ad Eliot esce come me perché gli dispaice per me, o che è talmente tanto tempo che non ho un appuntamento che adesso devo fare finta di avere una relazione per trovarmi un ragazzo?”

“Beh… una finta relazione… che parole grosse.”  Sophie diede un colpetto sul naso di Becks per richiamare la sua attenzione, e alla rossa, lo sguardo malizioso dell’amica non piacque per nulla- sperava solo che le avrebbe rivelato cosa avesse in mente, per poter correre ai ripari prima che fosse troppo tardi. “Eliot è più manipolabile di quello che gli piace ammettere. Con le giuste parole, i giusti stimoli visivi e il giusto tocco al momento appropriato, cadrà ai tuoi piedi.”

Becks arrossì, rendendosi conto, imbarazzata, tra le altre cose, che si era addormentata vestita nella camera degli ospiti di Sophie. “E perché vorrei far cadere Eliot ai miei piedi, esattamente?”

“Perché,” Sophie brontolò, dando uno schiaffetto alla rossa. “Perfino Parker ha capito che ti sei presa una cotta coi fiocchi per Eliot dal secondo giorno che lavori con noi- e questo perché il primo giorno hai incontrato solo Nathan. L’unico che forse non se n’è ancora reso conto è proprio Eliot, che, per inteso, dovrebbe trovarsi una brava ragazza con cui sistemarsi. Insomma, ormai c’è rimasto solo più lui di single, e voi due stareste davvero bene insieme. Ve lo dovete solo ficcare in testa.”

“Due cose: tecnicamente, anche io sono single quindi siamo in due ad esserlo in squadra, e questo non vuole dire che solo perché gli altri sono accoppiati tra di loro lo dobbiamo fare anche noi. Secondo, non so fino a che punto una truffatrice di decima generazione possa essere definita una brava ragazza.”

Senza dare tempo a Sophie di obbiettare, Becks si riprese il cuscino e tornò a nascondersi. Stava da schifo, era stanca, e si vergognava pure un po’.  Non riusciva neppure ad avere un appuntamento galante se non c’era Sophie a darle man forte. E non che stesse funzionando troppo bene. Lei, agli uomini, piaceva poco, le preferivano la gemella. Lei e Maddie erano gemelle eterozigote, e non potevano essere più diverse, in tutto. Maddie era Giselle, il cigno bianco pieno di grazia, estroversa, con stile, sempre perfetta dalla punta dei capelli alle unghie delle dita dei piedi, la protagonista assoluta delle truffe architettate dal padre.

Becks… Becks era tutt’altra storia. Timida, introversa, era un brutto anatroccolo con vestiti informi, anonimi, una nerd che lavorava dietro le quinte dove nessuna la notava. E non era certo solo lo stile a differenziarle: Maddie era alta, slanciata, con lungi capelli biondi naturali che risplendevano come grano al sole e un corpo da modella, mentre la sorella era decisamente più bassa, lottava per tenere una taglia decente e con dei capelli che a volte sembravano più un nido che una testa.

Becks non era stupida, tutt’altro. Sapeva che gli uomini guardavano non lei, ma la sua sorellina, e sapeva anche che tra Maddie e Eliot c’era stato qualcosa tempo addietro, anche se non aveva voluto indagare su quanto la cosa fosse stata importante, né quanto fosse esattamente durata, se una notte o magari dei mesi.

Sophie le strappò di mano il cuscino, e onde evitare ulteriori incidenti, lo gettò dall’altra parte della stanza, poi fece spostare leggermente Becks e si mise comoda nel letto. “Secondo me, quello che non capite è che voi stareste davvero bene insieme. E poi, guardatevi. Scherzate, passate tanto di quel tempo insieme. Fidati, tu ad Eliot piaci. Solo che non ha ancora afferrato il fatto che tu sia una donna.”

“Sì, ma non dovrei piacergli per come sono? Pregi e difetti inclusi? Insomma, dai, ho già avuto parecchie storie, non è che sia un mostro o altro, no? Quindi forse è un segno. Magari non devo nemmeno perderci tempo e concentrarmi a trovare qualcuno che sia effettivamente interessato a me.

“Oh, cara, quanto sei innocente.” Sophie sospirò, un po’ esasperata. “È perfino complicato tenersi un uomo quando è molto interessato. Fidati, lo so, esperienza personale. Voglio dire, credi che con Nathan sia stato tutto semplice, rose e fiori dal principio? Nossignore. Ci ho messo anni per avere la sua attenzione, altri per farmi baciare, e non parliamo del sesso. Per farlo cedere ai miei tentativi di seduzione ho dovuto farlo ubriacare.”

Becks si mise a sedere di scatto, gettando il copriletto sul pavimento, e sospirò. “Ci provo, giusto perché sei tu. Stavolta ti do retta e seguiamo questo folle piano. Ma se mi rendo ridicola e non funziona, faccio le valigie e alzo le tende, davvero.  Mi nascondo nel bel mezzo del nulla e faccio la vecchia zitella gattara. O me ne vado in Cina, un’americana tra milioni di persone provenienti da tutto il mondo. Sarei invisibile. Farò come in quel film di fantascienza con Chris Evans, quello in cui lui era un ladruncolo americano che viveva di piccole truffe. Sarà divertente. Vieni con me?”

Le sue recriminazioni al alta voce furono zittite da qualcosa che la colpì in pieno viso, un asciugamano azzurro cielo. “Vedi di farti una bella doccia e prendere un po’ di caffè, intanto. Abbiamo poco tempo, e alla Cina ci potrai pensare domani. E adesso datti una mossa!

***

Sei ore. Sei lunghe, estenuanti, ore.

Improvvisamente conscia di ogni singolo muscolo ed osso del proprio corpo, Becks beccheggiava neppure avesse corso una maratona. Eppure, durante quelle maledette sei ore, non si era spostata di un centimetro.

Controllò per dovizia il grande e grosso orologio che faceva bella mostra di sé sul muro. Erano davvero passate sei ore.

Le avevano riservato il “trattamento completo”, su richiesta esplicita di Sophie – della contessa di Hannover, si corresse- che includeva ambio uso e abuso di creme, fanghi, balsami, maschere, alghe e quant’altro, su tutto il corpo. L’avevano… impastata nemmeno fosse stata pasta di pane, massaggiata, esfoliata, per tutte quelle dannate sei ore. Non poteva crederlo possibile, invece era successo, e lei era a dir poco esausta, senza aver fatto nulla. Al contrario di Sophie -Lady Hannover. Era ora che si ricordasse dell’alias della sua co-cospiratrice)- che aveva ricevuto lo stesso trattamento, ma con la sostanziale differenza che lei si era goduta tartufi di cioccolato extra-fondente, mentre Becks era stata paragonata a un coniglio, con il gambo di sedano e il succo di carota per pranzo, perché doveva mantenere intatta la sua pelle per cui tanto avevano faticato, e perché. Come Sophie aveva rilevato con invidia, e poco tanto, non tutti avevano la fortuna di Parker (e Maddie), che poteva permettersi di trangugiare tutte le porcherie che voleva senza mettere su un etto.

E logicamente, tutte quelle belle creme, lozioni, seri e via di scorrendo se li doveva pure comprare, perché cos’altro avrebbe potuto funzionare? Ma assolutamente nulla! Becks si fece veloce, veloce due conti, per capire di quando sarebbe stata in debito con Sophie, e se fosse il caso di mettere in cantiere un colpo per conto suo. E poi, dalla sua aveva sempre la chimica: ci voleva un niente a far credere a qualche pollo che aveva inventato una pillola miracolosa quando magari era solo concentrato di caffè (magari pure decaffeinato) e carrube.

Mugugnò, arrendendosi all’evidenza, e decidendo che avrebbe avuto tempo per pensarci un altro giorno. Dopotutto, era appena pomeriggio e lei era già distrutta. Non capiva come fosse possibile che Sophie sprigionasse tutta quell’energia (forse era il cioccolato). Era come un uragano, eccitata come un bambino in un negozio di giocattoli, non la smetteva di sorridere, si stava divertendo ed era instancabile.

Era felice, Becks si rese conto. Sophie era felice. Lei e Nate erano tornati per aiutarli con un colpo, poi i colpi erano diventati due, tre, quattro, e alla fine avevano di nuovo messo radici a Portland, e da allora il sorriso non era più svanito dalle labbra di Sophie. Era a casa, faceva quello che le riusciva meglio, se la godeva e adorava giocare a fare Pigmalione come nell’opera di Shakespeare, neanche fosse stata la sua chiamata superiore.

“Viktor dovrebbe arrivare a momenti,” le disse Sophie quando fu la volta del cambio dell’armadio. “Lui è’ il mio personal shopper- quello della duchessa, in realtà. Ha un ottimo gusto e un occhio a dir poco imparziale. Tu fagli avere una vaga idea di quello che ti piace e lui ti saprà trovare dei capi che ti staranno alla perfezione.”.

Becks se ne stette buona mentre oltrepassavano i portoni di Backtalk, una delle più graziose boutique di Portland. Non era molto grande, e difatti, dall’esterno ci si poteva fare un’idea del genere di abbigliamento che vendevano. Becks aveva sentito che trattavano anche capi vintage, e difatti, appena entrata, si innamorò di uno stand con capi vintage dai colori delicati, di romantico pizzo e stoffa delicata. Grazie al cielo, il negozio aveva cose belle e a prezzi contenuti, perché Becks non aveva intenzione di farsi pagare il cambio look da Sophie, e in teoria quasi tutti i suoi alias appartenevano a donne comuni che non potevano spendere cifre folli in abbigliamento. Certo, i soldi li avevano- era una truffatrice, dopotutto- ma nel suo campo, meno si spendevano, meno attenzione si riceveva. E poca attenzione significava stare fuori dalle mura di una cella.

“I miei vestiti posso pagarmeli da sola, Sophie. E ti darò anche i soldi del centro estetico. Odio essere indebito.” Becks le disse all’improvviso, mentre esaminava tutti i tessuti presenti nel negozio.

“Non dirlo neanche per scherzo, bambina.” Sophie le rispose, tutta concentrata su un vestito rosso molto sexy che avrebbe fatto perdere la testa a Nate, quando fossero usciti a cena per festeggiare qualcosa, o magari lo avrebbe messo per una serata tra donne, con Tara e Becks e Parker. “Senti, se mai ti sposerai, questo sarà il mio regalo di matrimonio anticipato, ok? Non li voglio i tuoi soldi, e nel caso non te ne fossi accorta, non mi servono neppure!”

“Questo implica che io creda nell’istituzione del matrimonio.” Becks sfiorò delicatamente la stoffa di una camicetta che aveva attirato la sua attenzione. Il tessuto aveva una lavorazione che lo rendeva quasi opalescente. “lo stare con qualcuno non ha nulla a che fare col matrimonio. Io neanche ci credo. Guarda te e Nate, per esempio: state insieme da quanto, quasi dieci anni? E siete fidanzati da otto, eppure non ci pensate nemmeno a sposarvi. Ma siete comunque a posto. Tutti quelli che conosco, un paio di ani di matrimonio e poi, bang, tutto finito. Io mica voglio l’anello, voglio che qualcuno mi ami per chi sono, non per chi fingo di essere o come potrei diventare.”

Becks si morse le labbra, cercando con tutte le forze di non piangere. Si ricordava vagamente di come sua madre, dopo pochi anni di matrimonio, avesse buttato fuori a calci il marito dalla casa coniugale, dopo aver scoperto come portasse il pane a casa. Le gemelle avevano quattro anni all’epoca, e se Becks era diventata una brava bambina che non creava problemi, la sorella era una peste convinta che la madre fosse la rovina di tutto. Erano quasi adolescenti quando avevano rincontrato il padre, dopo la morte della madre, portandole via da una casa abitata da lontani parenti che le consideravano solo seccature. Certo, Albert le aveva portate via da quel covo di infelicità, ma avevano passato la vita a scappare, nascondersi, e senza farsi amici o creare relazioni durature (con persone normali, almeno).

“Vostra Grazia, sono così onorato che abbiate nuovamente scelto per me per assistervi nei vostri acquisti! Spero che saprò essere all’altezza della situazione!” Viktor, col suo arrivo, zittì Sophie prima che potesse dare una qualsivoglia risposta a Becks. Aveva circa una quarantina d’anni, chiaramente attivo, e, se era lui a comprarsi i capi, doveva avere davvero un gran bel gusto. Ed era galante: fece il baciamano a Sophie, mentre riservò un inchino a Becks. “La sua amica ha trovato qualcosa di suo gusto?”

Avrà pure stile, ma è un cafone, ed un lecchino, Becks pensò, decisamente seccata. Viktor aveva parlato di lei come se non fosse stata presente, preferendo focalizzarsi su Sophie. Perciò si schiarì la voce, e lanciandogli un’occhiataccia, gli indicò la bella camicetta che l’aveva conquistata. “Stavo pensando a dei capi del genere. Non mi piacciono le cose troppo stravaganti  o troppo… con troppa poca stoffa, ecco.  Cose semplici, e pratiche.”

“Sì, forse ho capito cosa vuole dire. Posso lavorarci su. Vediamo…” Viktor mormorava tra se e se, osservando l’amica della Duchessa con occhio critico. Si chiedeva come una popolana avesse potuto attirare l’attenzione della sua ricca cliente, ma dopotutto, poco importava: adorava le sfide, e trasformare quel maschiaccio in una principessa sarebbe stata una vera sfida. “Sì, non dirmelo, lo so. Credi che una cosa semplice non possa essere femminile. Beh, ti sbagli. Magari un certo tipo di linee potrebbe stare bene sul tuo corpo, ma i capi vestono anche l’animo. Se la tua essenza non si sentirà a proprio agio, si rifletterà sul tuo fisico, e sull’idea che gli altri si faranno di te. Devi sentirti…coccolata, una star per farti vedere dagli altri in quanto tale. Ora, Kathy, la titolare, ha messo da parte delle cose. E la duchessa mi dice che devi partecipare ad una vesta. Penso di avere un vestitino che farà al caso tuo…”

Quando Viktor le lasciò per andare da Kathy- la titolare- Becks tirò un sospiro di sollievo. “Odio i vestiti. Le gonne sono poco pratiche.”

 “Beh, dovrai farci l’abitudine. E poi mica sei Parker che devi scappare dalla polizia, da guardie di sicurezza, e indossare tessuti che non facciano partire i sensori visivi a miglia di distanza.” Sophie sorrise, e, davanti allo specchio a figura intera, dette una gomitata alla compare. “E a proposito, pensavo che dovremmo fare un salto anche da Aristelle. È uno dei migliori negozi di intimo della città e tu hai un bisogno urgente di lingerie.”

“Guarda che posso benissimo usare le mie di mutandine, Sophie!” Becks disse, tentando di mettere le mani avanti.

“In realtà, no, non puoi.” Sophie, con un sorriso malandrino, le fece segno di no con un dito. “A te non serve intimo, a te serve della lingerie, che è cosa ben diversa. E comunque, anche il cosiddetto “intimo” fa parte dei capi di vestiario, e ti ho detto o no che devi rifarti tutto l’armadio? E poi, con i capi che vendono qui è un peccato indossare mutandine di cotone e reggiseni sportivi. Servono seta, pizzi, raso, balconette,  corsetti, tanga, push-up…oh, e adesso che ci penso! Ieri sera sono andato sul loro sito internet, e c’era un completino di seta della La Perla color cioccolato fondente che ti starebbe benissimo! Davvero,  il momento in cui Eliot ti vedrà con un paio di Louboutin ai piedi e quel completino, gli farà venire l’acquolina in bocca! Anzi, no! Devi trovare il modo di indossare solo biancheria intima e la sua camicia, quello sì che fa impazzire gli uomini!”

“Sì, perché di sicuro Eliot, un uomo che conosco da, tipo, dieci anni e che non mi ha mai degnata di uno sguardo, sentirà l’impellente bisogno di strapparmi i vestiti di dosso solo perché mi metto gonna e tacchi. Certo, come no.” Becks prese in mano un altro top e se lo mise davanti, giusto per vedere l’effetto che faceva. “Ti ricordo che, per sua ammissione, Eliot adora le rosse, eppure stranamente con me non si è mai fatto avanti. Per non parlare che la sua idea di fare due chiacchiere con me è quella di ricapitolarmi le sue conquiste della settimana. Quasi lo sento, sai, esco con tante di quelle modelle, non che i vestiti contino molto però, perché finiscono sempre sul pavimento, perché, sai, siamo nudi. Sul serio, ti pare un discorso da fare con una donna? Specie se, come tu asserisci, lui sarebbe interessato? E comunque, non è che lui sia, tipo, l’amore della mia vita o roba simile. Esco con gli uomini. Ho avuto delle relazioni. Mi sono pure quasi sposata, una volta!”

“Dolcezza, fidati, gli uomini sono creature semplici, che però troppe volte non sanno nemmeno loro cosa vogliono. Se ti fai vedere da Eliot come un sexy fiorellino delicato, capirà di essere stato un idiota cieco e cadrà ai tuoi piedi. Dai, se io sono riuscita a fargli preparare un pranzo gourmet con due tocchi sul polso, immagina cosa potresti fare tu.”

***

“Dico solo che se non voleva andare a quella dannata festa invece di fare tanto casino per farmi sentire in colpa aveva solo da dirmelo! Avevo rimorchiato un’assistente di volo che mi crede il dottor Wes Abernathy, che ha abbandonato la lucrosa carriera di chirurgo plastico nell’assolata California per dedicarsi, con Medici Senza Frontiere, a curare i bambini nelle zone più pericolose del mondo!”

Seduto a uno dei tavoli della birreria/pub/gastro-pub, Nathan maledisse il giorno in cui aveva (di nuovo) deciso di smettere di bere. Sentire Eliot lamentarsi di ritardi e appuntamenti saltati non era piacevole, specie da sobri. E comunque, sì, Becks era in ritardo, ma solo di sei minuti, ovvero dello stesso numero di lamentele lanciate da Eliot.

“Sophie l’ha trascinata in giro per la città a fare compere. E io mi sono offerta di rubarle qualcosa, magari un braccialetto, o degli orecchini, ma non hanno voluto.” Parker sorseggiò rumorosamente, dalla cannuccia, la sua bibita, tutta triste. “Sophie ha detto che non voleva che ci fossero furti, che voleva pagare.”

“Perché, esattamente da dove crede che vengano i suoi soldi, Sophie? Se li ha è perché li ha rubati!” Nate sorrise, sogghignando nascosto dal suo bicchiere di analcolico.

“Chiedo scusa a tutti, davvero, di tutto cuore,  so che siamo in ritardo, ma qualcuno qui non voleva sentirne di uscire!”  Sophie apparì, come dal nulla, col fiato corto e arrossata come per lo sforzo. Si trascinava dietro Becks, che si nascondeva dietro a Sophie come se fosse uno scudo dietro cui nascondersi.

“Sì, perché te l’ho detto che avevi torto marcio! Sono ridicola vestita così!” occhi fiammeggianti di rabbia, orgoglio ferito nel profondo, Becks fu spintonata da Sophie per farla uscire dall’ombra, cosicché tutti potessero ammirare i frutti del suo duro lavoro. E se poteva dirlo da sé, il lavoro le era davvero, davvero, davvero venuto bene.

“Oh, come sei carina!” Parker squittì, battendo le mani. Anche Hardison aveva fatto un cenno col capo di assenso- ma soprattutto, aveva alzato gli occhi al cielo, e aveva dovuto dare una bella gomitata nel costato ad Eliot, che se ne stava lì imbambolato con la bocca aperta senza dire una parola.

Idiota cretino ed ignorante e cieco, pensò Hardison, che era tutto fuorché stupido. Perché solo uno stupido (o Eliot e Becks) non avrebbe capito che quei due erano perfetti l’uno per l’altra. Già passavano più tempo del dovuto insieme, e poi, davvero, solo Eliot poteva non aver capito che quella buon’anima di Becks si sera presa una cotta coi fiocchi ed i controfiocchi per lui. Anche se, forse, era un buon segno quel silenzio stralunato. Eliot sembrava incantato, nemmeno avesse avuto un’apparizione divina davanti agli occhi.  

Eliot, in realtà, era stregato. Rebecca – Eliot si rifiutava di usare degli stupidi nomignoli per una tale creatura – era semplicemente… bellissima. La linea del vestito di pizzo si sposava alla perfezione con la sua silhouette, il colore, un bordò, scuro, metteva in risalto la pelle chiaro senza farla apparire troppo pallida, mentre il corpetto smerlato e le sottile spalline valorizzavano le curve naturali delle donna. Perché, a quanto pareva, sotto le magliette informi e le camicie scozzesi, Rebecca aveva delle curve niente male.

Ma come ho fatto a non accorgermi, in dieci anni, che aveva delle gambe da urlo?   

Eliot chinò il capo per dargli una bella occhiata. Quelle sì che erano delle belle gambe lunghe, quasi stentava a credere che appartenessero a Rebecca. Quelle erano gambe che non sarebbero mai dovute essere nascoste da capi informi, ma valorizzate da gonne e pantaloni fascianti- e da scarpine come quelle che indossava quella sera. Aperte sul davanti, di pelle nera, da gladiatore. Sexy, provocanti, slancianti… in una parola, perfette.

Beh, a quanto pare non sprecherò questo venerdì sera, e avrò comunque il mio appuntamento con una rossa sexy. Tutto sommato poteva andarmi peggio, pensò, sorridendo mentalmente, incapace di staccarle gli occhi di dosso, sperando che Rebecca non se ne accorgesse e non lo considerasse un uomo di Neanderthal incapace di resistere alle tentazioni e ai suoi più bassi istinti primordiali.

Peccato che poi ebbe la brillante idea di alzare lo sguardo per guardare negli occhi Rebecca, e la sua attenzione fu rubata dai quei bei capelli mossi rosso fuoco, brillanti e soffici che sembravano ordinargli di farci scorrere le dita dentro. Non fecero di meglio gli occhi da cerbiatta, enfatizzati dal solo mascara, l’unico trucco che aveva addosso- non aveva neppure il rossetto, eppure quelle belle labbra erano improvvisamente una gran brutta tentazione, sembrava quasi che lo volessero incantare per farsi baciare a tutti i costi, nonostante le avesse viste milioni di volte in dieci anni.

Ma Becks questo non lo capì. Lei vide solo Eliot che la fissava in silenzio, pensò a quanto fosse diversa dalla sorella, e si sentì insicura, certa che nella sua mente lui le stesse paragonando e lei ne stesse uscendo sconfitta.

“Te lo avevo detto io!” Becks ringhiò all’indirizzo di Sophie. “Tutta questa storia è stata solo una perdita di tempo. Io adesso vado sopra e mi rimetto i miei vestiti, chiamo mia sorella e le dico che sono stata arrestata, almeno così ho una scusa per starmene per i cavoli miei per qualche settimana e evito di dovermi sorbire quel maledetto matrimonio!”

 Addolorata, girò i tacchi e salì le scale verso l'appartamento di Sophie e Nate, dimenticandosi di non avere la chiave - e del tutto avversa all’idea di forzare la serratura. Così, si ì sedette sull'ultimo gradino, aspettando che qualcuno, chiunque, arrivasse e le aprisse la maledetta porta: tutto quello che voleva fare era togliersi quel dannato vestito,  struccarsi e trovare un elastico per legarsi i capelli in una delle disordinate code di cavallo che faceva di solito. Voleva solo porre fine alla farsa e tornare nella sua pelle.

Sentì dei passi avvinarsi, e quando alzò lo sguardo dai suoi piedi,  fu sorpresa di incontrare gli occhi sorridenti e malandrini di Eliot. Si morse le labbra e voltò il capo dall’altra parte, sperando che il compare di mille avventure non si rendesse conto del rossore del viso e del suo imbarazzo. Eliot però le si sedette accanto, così vicino che le loro ginocchia si sfioravano, e Becks si sentì quasi in fiamme, come se stesse andando a fuoco nel punto in cui i loro corpi si toccavano. Si chiese se anche lui provasse lo stesso- o se perlomeno, si rendesse conto dell’effetto che le faceva, averlo lì, accanto a lei, tutti e due vestiti al meglio, pronti a passare la serata insieme in un bel ristorante. Quasi fossero stati una coppia… normale.

“Rebecca?” Sussurrò il suo nome, per esteso, eppure lei non lo sentì, perciò le prese il mento tra le dita, obbligandola a guardarlo negli occhi. “Rebecca, stammi a sentire: sei una bomba stasera. Avrai tutti gli occhi puntati addosso, e Maddie creperà d’invidia perché sarai la donna più bella in quel ristorante.”

Con le mani giunte in grembo, lei sospirò, un po’ triste. “Vuoi solo essere gentile, Eliot, tanto lo so benissimo che tu…” Eliot non sapeva esattamente cosa lei volesse dire, ma immaginò che non gli sarebbe piaciuto, perciò fece che zittirla nel modo che più gli piaceva: risoluto, calmo e tranquillo, nonostante avesse tra le braccia una bella donna coperta da decisamente poa stoffa, le sue labbra si posarono su quelle di lei, prendendo possesso di quella bella bocca da baciare.

Becks si sentì percorsa da una scarica elettrica mentre la lingua di Eliot la stuzzicava, allettante. Lo aveva voluto per tanto tempo, e adesso lui era lì, che le sorrideva contro le labbra, che le stringeva il fianco spingendola verso di se, con i capezzoli ormai turgidi ed eccitati di Becks che premevano contro la stoffa dei loro abiti, contro quel petto che sapeva muscoloso, abbronzato, perfezione. La donna sussultò, e le labbra si socchiusero, dando al suo compagno la possibilità di meglio esplorare quella tentazione. Lei lo assecondò, e fece scorrere le dita nei capelli ribelli, spostando le ciocche dalla fronte di Eliot a dietro le orecchie.

Quando finalmente si separarono per prendere aria, lei ansimava leggermente, e aveva ancora gli occhi chiusi. Eppure, sentiva lo sguardo di Eliot su di sé, e poteva ancora sentire quelle labbra, e quel sorriso che le sfioravano la pelle. “Beh, adesso sembriamo decisamente una coppietta incapace di tenere le mani a posto…nessuno si stupirà che siamo in ritardo.”

Becks si leccò le labbra, ancora rigonfie per quei focosi baci rubati. Avrebbe dovuto sentirsi umiliata all’idea che quella passione fosse stata sono una finta, un modo per rendere la recita più credibile, eppure, era come stregata, quasi fosse stata lei stessa vittima di un incantesimo. Eliot appariva sempre stoico, controllato, padrone delle sue emozioni, ogni suo movimento, anche, soprattutto quando combatteva, era misurato e preciso. Ma era, come Becks aveva sempre immaginato, anche focoso e passionale.

E lei? Lei era una scienziata. Aveva la testa sulle spalle. Non si sarebbe dovuta far venire starne idee solo per un bacio. Non quando sapeva che stavano solo recitando il ruolo di coppietta affiatata.

Le sorrise, e una volt alzatosi, le porse la mano per aiutarla. “Vogliamo andare?” le chiese, dolcemente.

Lei accettò il gesto galante, e acconsentì. Eliot strinse la delicata manina nella sua, e la sollevò, quasi non pesasse nulla.

“Sì,” sussurrò Becks, perdendosi in quegli occhi più blu del cielo, maledicendosi per aver acconsentito a quella farsa, di aver permesso a Sophie di convincerla. “Sì, sono pronta adesso.”

Mentre faceva le scale al braccio dell’affascinate e bel ladro, Becks si chiese se potesse davvero sperare che i sogni, per una volta, si avverassero- e cosa sarebbe stata disposta a fare per ottenere quello che voleva, anche se solo per una notte.  Eliot l’aveva vista come un ragazzaccio, come uno dei suoi amici, per troppo tempo… era ora che Eliot Spencer si rendesse conto che Rebecca Cummings era una vera donna.

***

Rimasero in silenzio lungo tutto il percorso verso il pub dove Danny e Maddie avevano scelto di festeggiare, con amici e aprenti stretti, il loro fidanzamento e le prossime nozze da lì a giorni. Su ordine di Sophie, Eliot era stato obbligato a chiedere in prestito a Nathan la Mercedes, perché, a detta della truffatrice, il pick-up o la Dodge non erano il massimo se ci si apprestava a presentarsi alla famiglia della propria ragazza (nonostante Becks se ne intendesse di motori e fosse un’estimatrice della Dodge- Donna intelligente).

Eliot faticava a tenere gli occhi sulla strada. Non era solo il fatto che, con quel vestitino (e quei tacchi vertiginosi), le gambe di Becks fossero spettacolari e una vera tentazione: Eliot sentiva il bisogno di… di rassicurarla. Era preoccupata, nervosa, faceva fatica a stare ferma. In parte perché sapeva non essere troppo entusiasta all’idea di fingere di avere una relazione per fare bella figura, ed in parte perché (ed Eliot ci era passato lui stesso) tra fratelli le cose potevano spesso essere più complicate di quanto non sembrassero – Becks e Maddie si adoravano, ma il caro Albert era riuscito a portare a nuove vette l’espressione “rivalità tra sorelle”.

Giunti nei pressi della loro destinazione, Eliot trovò, dopo aver girato un po’, un posto libero, e posteggiò, borbottando e prendendo profondi respiri, avendo cura di non procurare alla creatura di Nathan nemmeno un graffietto  superficiale- Nathan le sue auto le amava come e più di Sophie. Fece il tutto con fare drammatico, con la speranza che tornasse il sorriso su quelle graziose labbra tutte da baciare.

Niente- non aveva funzionata. Becks teneva le mani talmente strette che la pelle delle nocche era divenuta bianca, ed il suo sguardo era fisso sulla porta del locale, neanche stesse guardando la porta dell’inferno. Eliot perciò posò la mano destra sulla mano di Becks, e la strinse, ottenendo finalmente una reazione. Becks arrossì, di un carminio che ricordava molto la tonalità di smalto che aveva scelto per le sue unghie curate. La guardò, quasi stesse annaspando, e una sola parola gli venne in mente.

Piccola- una parola che non aveva mai usato per descrivere Becks, nonostante la sua altezza. Era intelligente, astuta, aveva una parlantina che poteva convincerti a fare qualsiasi cosa, e che ti faceva venir voglia di stare ad ascoltarla, anche quando blaterava di cose scientifiche, ed era coraggiosa. E quella sera, con quel vestito, e la luna che le accarezzava la pelle d’avorio, era bellissima, e non aveva alcun motivo di sentirsi inferiore a sua sorella.

“Ehi, non siamo ancora entrati. Se non te la senti possiamo benissimo trovare una scusa…” le sussurrò a bassa voce, così vicino che Becks poteva sentire il respiro di Eliot sulla pelle.

“No, Maddie è mia sorella. Devo andare. Tu sei ancora in tempo se te la vuoi dare a gambe levate.” Sorrise, ma non fino agli occhi, velati di tristezza e preoccupazione. “Davvero, Eliot. Scappa fino a che sei in tempo.”

“Scordatelo, baby. Ti ho detto che sarei andato fino in fondo a questa cosa, e lo farò.” Le si avvicinò ancora di più, e le solleticò i capelli col naso, inalando il profumo della donna- fiori e miele nei capelli, una nota ancora più dolce sulla pelle, delicata, che lo rapiva e che Eliot sapeva avrebbe fatto fatica a dimenticare. Perché profumava come… come Becks, e come nessun’altra donna avesse tenuto tra le braccia. “Su, è ora di andare in scena.”

Acconsentì, mordendosi le labbra, e prima che potesse scendere dall’auto, Eliot le stava già aprendo la porta, dandole la mano da vero gentiluomo. Mentre camminavano verso l’ingresso,  Eliot le cinse la vita con un braccio, e la tenne stretta, così tanto che mentre camminavano continuavano a sfiorarsi, facendo bruciare di desiderio Becks.

Quando entrarono nel locale, Becks prese un profondo respiro, ed Eliot si guardò intorno, un po’ disorientato, and improvvisamente, si sentì pervaso dallo stesso senso di preoccupazione della sua accompagnatrice; nonostante conoscesse- alcuni di fama, altri di persona- buona parte dei presenti, nonostante avesse messo il suo completo migliore e Becks stesse indossando quel delizioso vestitino, i presenti erano decisamente molto, molto eleganti- non da cena di gala, ma quasi. Sembrava quasi una passerella. Gettò lo sguardo sul completo, e scrollò il capo, chiedendosi se un uomo come lui – cresciuto cowboy, divenuto e rimasto soldato- potesse sentirsi a proprio agio tra quella bella gente. Poi però indossò una delle sue tante maschere, ripensò a tutte le volte che aveva interpretato il ruolo del dottor Wes Abernathy – lui sì che si sarebbe sentito al suo posto. Aveva solo da recitare, decise mentre stringeva ancora più forte a sé Becks- pensare a quella festa come l’ennesimo colpo, diventare qualcuno che fosse un po’ il caro dottore e un po’ Eliot.

“Becks! Sei arrivata! Avevo paura te la fossi data a gambe levate!” La bellezza che teneva tra le braccia gli fu letteralmente portata via, quando vennero investiti- non c’era altro modo per definire l’accaduto – da un tornado vestito di blu che strinse in un soffocante abbraccio Becks. Madeline, la sorella maggiore (di due minuti) di Becks, fasciata in vestito aderente che faceva risaltare le sue curve (artificiali, come Eliot aveva una volta constatato di persona) non sembrava volerne sapere di lasciare andare la sorellina, neanche fossero passati anni dall’ultima volta che si erano viste. “Lo so che a volte ho un caratteraccio, ma tu sei la mia gemella, e io ti adoro, e detesto quando litighiamo, e avevo paura che te le fossi presa che…”

“In realtà la colpa mia. Rebecca non ha mai pensato di non venire, Maddie, sono io che l’ho….” Eliot si schiarì la gola, facendo l’occhiolino alla sua accompagnatrice. “Sono io che l’ho trattenuta.”

Madeline lasciò andare la sorella, e fece un sorrisetto malizioso ad Eliot, a braccia incrociate, studiandolo per bene, e quando Becks arrossì, fece un espressione che sembrava gridare che si era bevuta quella colossale frottola che con solo uno sguardo e qualche carezza a dovere Eliot le aveva raccontato: secondo quella narrativa, Eliot e la cara, dolce Rebecca erano stati trattenuti da un focoso momento condiviso nella camera da letto. “Allora, Eliot, finalmente hai deciso di mettere la testa a posto e trovarti una vera donna invece che le solite svampite che ti fai di solito?”

Lui rise. “Sai di esseri appena data della svampita, vero?”

“Andiamo, lo sappiamo tutti che la gemella intelligente è Becks. Io sono la civettuola carina che attira i polli.” Ammise senza troppi problemi con una scrollata di spalle. “Ho sempre pensato che la mia sorellina facesse molto più al caso tuo. Però, ti avverto, se le spezzi il cuore, un modo per vendicarmi lo trovo.”

Eliot rise, di gusto, perché sapeva che Maddie stava scherzando- di certo non lo stava sul serio minacciando di assassinarlo, erano le classiche cose che si dicevano tra amici, e poi, apprezzava profondamente quel senso di cameratismo tra le due sorelle; nonostante sapesse che in molte cose fossero in competizione, c’erano l’una per l’altra. Difatti, in men che non si dica stavano ridendo, scherzando, chiacchierando – tra di loro e gli altri ospiti - con un’insolita Madeline che arrossiva parlando dei preparativi del matrimonio, che diceva a Becks quanto felice fosse felice per lei, quanto fosse bella con quel vestito, che il colore le donava… a quanto pareva, innamorarsi aveva davvero cambiato la bella sventola smaliziata con cui, anni addietro, Eliot aveva avuto una fugace avventura.

“Bimba, la wedding planner ti sta cercando, per parlanti non si do cosa.” Danny- Daniel, un brillante truffatore di origini inglese, un po’ avventato, ma con in compenso un ego grande quanto la Statua della Libertà,  non si sprecò in tante formalità, e fece che interrompere la conversazione della fidanzata come se niente fosse, appiccicandosi addosso a Maddie e praticamente strusciandosi addosso alla donna. Becks alzò un sopracciglio, chiedendosi per la prima volta cosa esattamente ci avesse visto in Danny da ragazza- Eliot era decisamente una scelta migliore, se si trattava di sbavare segretamente dietro ad un uomo- mentre il suo accompagnatore tossì rumorosamente per attirare l’attenzione del futuro sposo, nella speranza che la piantasse di ispezionare le tonsille di Maddie con la sua lingua davanti a loro. “Oh, chiedo scusa, perdo sempre il controllo quando mi ritrovo la mia piccola tra le braccia. Eliot Spencer, giusto? Ti avevamo invitato?”

“In realtà, no.” Becks si schiarì la gola. “Lui sta con me. A proposito, sto bene, grazie, e tu?”

Danny sbettè le palpebre, stordito, lasciando scorrere lo sguardo dalla punta dei capelli fino giù ai piedini nelle scarpe firmate. Gli occhi quasi gli uscivano dalle orbite, e quando Madeline ebbe da dargli una gomitata per riportarlo alla realtà, Becks si godette quell’attimo di trionfo, sollevando le labbra con un sorriso ironico. “Wow, Becks, non ti avevo riconosciuta subito. Stai davvero alla grande!”

Evidentemente, Sophie aveva avuto ragione. La trasformazione aveva funzionato, aveva gli sguardi ammirati di tutti puntati addosso, eppure c’era qualcosa che la disturbava nel profondo, che le impediva di godersi la serata- ed il trionfo – come avrebbe dovuto. Si voltò a cercare lo sguardo di Eliot, e quasi sobbalzò, con il cuore che le batteva a mille e le rimbombava nelle orecchie, quando si perse in quelle profonde iridi blu ardenti di desiderio.

Era causa sua, quella sensazione indescrivibile che la metteva a disagio- la presenza dell’ex militare brontolone a farla sentire così, il ricordo di quel bacio scambiato sulle scale, del tocco delle sue dita lungo il corpo di Becks. Era troppo, aveva bisogno di aria, di riflettere. “Chiedo scusa un attimo, devo incipriarmi il naso,” si inventò.

Si diresse verso il bagno, e fu lieta di trovarlo vuoto. Respirò, cercando di controllarsi, e aprì il rubinetto dell’acqua fredda, spruzzandola sui polsi, sperando che l’aiutasse a calmare i nervi a mille. Alzò lo sguardo e vide il proprio riflesso nello specchio, stupita di vedere quella donna che tutti ammiravano, con cui chiacchieravano come nulla fosse, una donna che aveva risvegliato il desiderio e l’interesse di Eliot.

Stupita di sapere che quel riflesso apparteneva a lei.

“Va tutto bene?” si voltò appena udì la voce di lui, presa alla sprovvista, stupita che nel momento stesso in cui il suo pensiero era andato a lui, Eliot fosse apparso davanti  a lei.

“Eliot! Questo è il bagno delle signore! Non dovresti essere qui!”  Gli sibilò, lanciandogli un’occhiata di fuoco.

“Non arrivavi più e io mi sono preoccupato! Pensavo avessi bisogno d’aiuto!”  le disse, come se fosse stata la cosa più logica del mondo. Becks alzò gli occhi al cielo, chiedendosi se fosse il caso di ammettere qualcosa, e se ci fossero cose che era meglio tralasciare- tutti le stavano facendo i complimenti, per il look e perché faceva davvero una bella coppia con il suo accompagnatore, e come si vedeva che lui era un devoto fidanzato e così via. “Qualcuno ha detto qualcosa che non avrebbe dovuto?”

Becks si appoggiò con la schiena contro il lavandino di marmo chiaro, e sospirò pensierosa, ma con un piccolo sorriso sulle labbra che rincuorò Eliot. Era chiaro che si sentisse meglio, più a suo agio di quando avevano iniziato la serata. Soprattutto, si sentiva ben accetta, per la prima volta da tempo. Per anni molti l’avevano considerata figlia di, sorella di, e si erano chiesti se fosse davvero tagliata per quel lavoro o se facesse solo parte della ditta di famiglia. Ma ora- grazie a Nathan che le aveva offerto un’opportunità, a Sophie ed Eliot che le stavano mostrando che le stavano mostrando che poteva essere la scienziata nerd e avere anche stile, sembrava che finalmente tutti si stessero accorgendo di lei.

Le cose erano cambiate. E forse era ora che facesse cambiare le cose anche con Eliot. Forse poteva essere qualcosa di più anche per lui.

“Sai, è diverso da come mi aspettavo. Forse è solo l’incantesimo del vestito, ma… avevo scordato che qui c’è gente che mi vuole bene e che mi apprezza.”

“Non mi meraviglio che avessi dei dubbi. Albert non mi è mai sembrato troppo paterno. Lui è molto…” Eliot ammise, grattandosi la base del collo distrattamente, cercando un termine adeguato per descrivere il padre di Becks senza offendere nessuno. Dalla sua, aveva una cosa sola: non aver permesso che le figlie, alla scomparsa della madre, venissero separate. Non era certo un esempio lampante di moralità, né aveva mai provato a fare altro nella vita che rubare. Ma Eliot era certo che sotto, sotto amasse le sue ragazze. Semplicemente, non era molto bravo a dimostrare quell’affetto.

Becks abbassò lo sguardo sul pavimento, mordendosi le labbra, quando Eliot diminuì la distanza tra di loro, i loro volti quasi si sfioravano, e lui prese la mano di lei nella sua, accarezzandola con lenti e languidi movimenti circolari. Aveva appoggiato la spalla al muro, e non riusciva a smettere di osservare Becks, come lei non riusciva a distogliere lo sguardo dagli ipnotici movimenti di Eliot sulla sua mano.

“Rebecca… sei venuta, hai parlato con chi di dovere, sei stata carina e gentile. Ma che ne dici se ti accompagno a casa? Hai l’aria esausta…”

“Sì… c’è stato parecchio da fare ultimamente… tra il matrimonio e il colpo…” mentì, dando la colpa della sua stanchezza al lavoro piuttosto che al nervosismo per quella serata da passare in compagnia dell’uomo che da tempo le aveva rubato il cuore.

Senza ulteriori indugi - senza altre parole – senza mai lasciare andare la mano di lei, la accompagnò fuori dal bagno. Becks incontrò lo sguardo di Madeline, e l'espressione maliziosa di sua sorella mentre uscivano dal bagno dopo quasi quindici minuti passati chiusi da soli dietro quelle porte, le disse che sì, tutti credevano che lei ed Eliot fossero una coppia - o almeno, amici di letto - e che sì, la gente pensava che avessero passato tutto il tempo chiusi nel bagno a darsi da fare, e che si stessero dirigendo in fretta e furia a casa per terminare quello che avevano iniziato.

Francamente, per una volta, a lei non importava: ogni tocco di Eliot, per quanto delicato e casuale, la accendeva, era come essere attraversati da corrente elettrica, era fuoco che le scorreva dentro, che la accendeva di desiderio, che la spingeva a chiedersi cosa quelle mani avrebbero potuto farle, se i loro corpi non fossero stati nascosti da stoffa, se fosse stata nuda e compiacente tra le sue braccia tra fresche lenzuola di seta.

Arrossendo, lei gli strinse la mano con gratitudine perché, se era sopravvissuta alla serata, era soprattutto grazie a lui - e camminò dietro di lui, fermandosi giusto per salutare  vecchi amici, i conoscenti e la sua famiglia. Di nuovo le cinse la vita mentre camminavano verso la macchina di Nate, e di nuovo stettero in silenzio lungo tutto il percorso- ma adesso era tutto diverso. L’imbarazzo e l’ansia erano scomparsi, lasciando spazio solo ad un caldo desiderio lussurioso e ad una maliziosa attesa. Becks si sentì molto più consapevole della solida presenza di Eliot di quanto non fosse mai stata prima, e dallo sguardo affamato di lui sulle sue gambe scoperte, Becks percepì per la prima volta che nemmeno lui le era così indifferente, ora.

Arrivarono all’appartamento di lei, e prima di aprire la portiera, Becks si bloccò, congelandosi sul posto, gli occhi fissi sulla strada dinanzi a lei, pitturata in un chiaroscuro danzante dalle fioche luci dei lampioni.

“Ti andrebbe di salire da me e provare il mio Panache?” Eliot alzò un sopracciglio, curioso. Aveva fatto un paio di lavoretti (alcuni dei quali di cui non andava troppo fiero e di cui non amava particolarmente parlare) nel sud Europa, e sapeva che si trattava di un cocktail a base di birra. Ma, era di un cocktail che Rebecca stava parlando? Per quel che ne sapeva, Panache poteva essere una parola in codice per “sesso” – come quando lui invitava le ragazze da lui per vedere una collezione di farfalle che entrambi sapevano essere inesistente.

“Tranquillo, posso farlo anche analcolico. O leggero. Perché abbiamo visto tutti due che io l’alcol lo reggo davvero molto, molto male. E comunque tu devi guidare, e la macchina non è nemmeno tua ma di Nathan e sappiamo entrambi che lui la adora, quasi quanto Sophie. Preferisci un caffè? Ho la macchina per l’espresso, praticamente nuova, mai usata. Anche perché io a casa non ci sono mai e…” Becks si morse le labbra quando si rese conto che stava blaterando. Quasi quasi sarebbe stata felice se lui l’avesse zittita di nuovo, come quando erano usciti. Con un bel bacio sulla bocca.

Ma non la baciò. Eliot scoppiò invece in una sonora risata cristallina, di quelle che riempivano il cuore, e si massaggiò la mascella, non sapendo esattamente se essere deluso o meno che non ci fossero piani di seduzione all’orizzonte- se fosse stata lei a fare la prima mossa, nessuno avrebbe trovato da ridire se lui non avesse resistito, no? “Sì, ci sto. Una birra è quello che mi serve. Se ce l’hai qualcosa di leggero.”

“Forte e chiaro.” Sorrise, e uscì dall’auto, precedendolo su piedi leggeri e danzanti lungo le scale. Eliot la seguiva, incapace di staccarle gli occhi di dosso, su quella arrapante schiena nuda su cui spiccava, tra le scapole, un tatuaggio – non aveva mai avuto la più pallida idea che lei ne avesse uno- due soffici ali piumate aperte come in volo.

Gli tenne aperta la porta e accese le luci, spalancandogli le finestre su un mondo fino ad allora a lui sconosciuto. La casa era a mattoni a vista, piccola, confortevole, quasi spartana.  Non era un posto in cui vivere, ma una tana, come per molti altri artisti della truffa e ladri. C’era giusto l’essenziale, qualche mobile dell’Ikea, niente cose stravaganti, niente foto, niente paccottiglia a prendere polvere.

Però, una cosa fuori posto che lo stupì piacevolmente c’era: un bel mobile bar, accanto al divano, di cui Rebecca stava prendendo possesso. Riusciva a stento a credere che lei avesse una cosa simile, sembrava così lontana dal suo personaggio. “Quindi quando Hardison ti ha creato almeno mezza dozzina di alias che fanno cameriera o barista ci aveva azzeccato.” Le disse sedendosi sullo sgabello davanti al mobiletto, e appoggiando il gomito sul banco come fosse un cliente di un vero bar. Rebecca gli sorrideva, rilassata, e gli preparava il drink con movimenti misurati, studiati eppure naturali, come se li avesse fatti milioni di volte.

“Non proprio, però, mi piace fare cocktail. La mixologia è un po’ come la chimica. Bisogna sapere quali elementi stanno bene insieme, e cosa fare per ottenere una bella esplosione- che sia per distruggere, o far esplodere i fuochi d’artificio.” Mescolò delicatamente il cocktail, ed offrì all’ospite il semplice bicchiere. “Eccoti servito un Panache. Birra a bassa gradazione alcolica, succo di limone, acqua ed il mio tocco personale, due gocce di stevia al posto dello zucchero.”

“Mi piacciono le cose rinfrescanti.” Assaporò il drink, godendoselo, leccandosi le labbra, facendo sospirare dietro a occhi semichiusi la donna che gli stava innanzi. “Mi ci voleva proprio.”

“Oh, per così poco. È, tipo, il drink più banale che si possa preparare.” Lei minimizzò la cosa con un gesto un po’ distaccato, tuttavia, arrossì, ed il rossore le arrivava fino alla valle fra i seni pieni, dove un ciondolo a forma di stella si appoggiava, focalizzando su di sé l’attenzione di Eliot ed accendendolo di desiderio. “Se una di queste sere mi prepari uno di quei tuoi manicaretti da chef stellato, io ti faccio sentire cos’è un vero Russian Mule.”

“Oh, sarò ben felice di cucinare per te, dolcezza.” Le sorrise, poi, resosi conto di cosa aveva detto- e del tono malizioso che aveva usato, si schiarì la gola, e batté il bicchiere sul tavolo, delicato. “Uh, forse dovrei andare. Si è fatto tardi e domani ho tanto da fare. Abbiamo tanto da fare tutti e due. Sai, gente da picchiare. Piatti da cucinare. Cose da fare esplodere. Ok. Ciao.”

Becks stava per andare ad aprirgli e accendergli l luce lungo le scale, quando Eliot, dinanzi a lei, si bloccò, fissando la porta chiusa. Era teso, e dalla sua postura si capiva quanto si sentisse combattuto. Improvvisamente, Eliot si voltò verso di lei con un solo fluido movimento, e prima che lei si rendesse conto di ciò che stava accadendo, l’aveva afferrata per i fianchi con le sue ruvide mani callose, sollevandola a sedere sul mobile bar. Sgranò gli occhi, ricolma di sorpresa, e quando cercò lo sguardo di Eliot per comprendere a pieno cosa stesse accadendo, fu incapace di proferire parola, paralizzata da quello sguardo cupo ricolmo di determinata lussuria.

“Ho provato a fare il bravo, davvero, ma non posso andarmene senza sapere… prima di…” Nascose il capo nel collo di lei, addentando, divorando le delicata pelle d’avorio. “Devo fare l’amore con te.”

Quella frase ricolma di desiderio le fece perdere ogni controllo, ogni inibizione, e quando Eliot si staccò dal suo collo per impossessarsi nuovamente delle sue labbra, il mondo le crossò addosso, e Becks smise di pensare del tutto- aveva solo lui per la testa, ed il frenetico bisogno di possedersi, in quel momento, lì. Le mordicchiò le labbra, facendola sussultare, la esplorava, le sue possenti mani che prendevano possesso dei seni, riempendosi della soffice rosea carne. Era pazzo, frenetico, non riusciva a smettere di toccarla, era come un affamato a cui fosse stato dato cibo dopo mesi e mesi. Non sapeva cosa toccare prima, cosa scoprire….fianchi seni gambe vita schiena…

Becks sorrise, e riuscì a scappare alla sua presa. Lo afferrò per la cravatta, trascinandolo di nuovo a sé per un altro interminabile bacio. E intanto, camminava all’indietro verso la camera da letto.

***

“Ti perdono per avermi mollato da solo in quel grande e freddo letto solo perché, a guardarti con la mia camicia e quel tanga, mi viene voglia di mangiarti. Sul serio Rebecca, dovresti saperlo che ci sono poche cose che un uomo trova più sexy che vedere la propria amante con addosso solo uno striminzito paio di mutandine e una sua camicia.” Eliot le sorrise, lascivo. “mi rimangio quello che appena detto: se ti togliessi le mutandine e ti sbottonassi la camicia, allora sì che saresti la cosa più sexy del pianeta.”

“La tua amante? Sul serio?” Becks arrossì, sentendo gli occhi affamati di Eliot piantati addosso. Se la stava mangiando neanche fosse stato il più delizioso piatta che avesse mai cucinato in tutta la sua vita. Era notte fonda, le luci erano tutte spente salvo una piccola lampada nella cucina e la luce fioca che entrava dalle finestre. Becks aveva involontariamente seguito il consiglio di Sophie, gettandosi addosso la prima cosa che ava trovato in camera- la camicia grigio scuro di Eliot- e si era messa a scribacchiare si un bloc-notes mentre sorseggiava una tazza di caffè. “Volevo mettere giù due formule finché erano fresche nella mia testa. A volte mi viene un’idea, non me la segno, e mi passa di mente.”

“Perché, ti viene in mente in mente un’altra parola per quello che abbiamo fatto?” Eliot le sorrise e la raggiunse. Si mise alle sue spalle, e le accarezzò il collo, baciò la pelle lasciata scoperta dal per lei ampio colletto delle spalle, mentre la sfiorava, delicato, con la punta delle dita, riscoprendo quel corpo che sole poche ore prima aveva mappato, centimetro per caldo centimetro.

“Cos’è, mi rivuoi tutta nuda nel letto per giocare la lupo cattivo, Eliot?”

“Di certo non mi lamenterei se capitasse.” Smise di baciarla e guardò il blocco, pieno zeppo di formule e appunti, scritto con una calligrafia che ricordava i geroglifici – non un codice, solo una davvero pessima calligrafia. “Quindi è questo che fa il noto Chimico del sottobosco criminale di Portland?”

“Più o meno. Sto cercando di sintetizzare un agente chimico che permetta di prendere il controllo del soggetto inoculato senza che ci siano troppi effetti collaterali negativi.” Gli rispose con un’alzata di spalle.

“Come il profumo di Sophie?”

“In realtà, no.” Becks arricciò il naso e richiuse il blocco. “Il profumo che ho dato a Sophie aveva una forte componente emotiva, lavorava più sulla psiche della nostra vittima che sul tessuto neurologico. Non aveva nulla a che fare con neurotrasmettitori o una vera e propria alterazione dello stato di coscienza. Olfatto e gusto sono i due sensi maggiormente legati al costrutto emotivo e mnemonico di un soggetto. Quindi, io mi sono letta tutto quello che ho trovato sul nostro pollo, spulciato ogni intervista, fino a che ho trovato un articolo che parlava della casa dove aveva passato la sua infanzia. Ho fatto qualche ricerca, trovato informazioni sulla flora locale all’epoca in cui lui era piccolo, e ho sintetizzato un profumo attraverso l’infusione di micro-particelle adatte, ed il gioco è fatto. Tutte le volte che Sophie gli era accanto, lui inconsciamente tornava indietro con la memoria ad un’epoca in cui era innocente e pieno di fiducia, e questo l’ha reso più suscettibile ai consigli di Sophie. Certo, non è stata l’unica cosa che l’ha fatto cedere, ma tutto aiuta. È una rottura, perché è un giochetto che deve essere studiato per ogni singolo soggetto ed è specifico, ma a quel tipo piaceva davvero quella casa in campagna.”

Eliot rise. La corta barba le solleticava e pizzicava la pelle, eccitandola in un modo che Becks non credeva possibile. Quando parlò, lei sentì la voce di lui risuonare sul suo corpo, ed il desiderio si riaccese, più forte che mai. “Sai, non so il perché, ma quando Hardison usa paroloni, voglio strozzarlo, quando lo fai tu, invece, mi eccito da morire e pendo dalle tue labbra.”

Becks si allontanò da quel solido corpo caldo, e si voltò, guardando Eliot negli occhi. Mise un po’ di distanza tra di loro, senza mai abbassare lo sguardo, dopodiché, con un solo fluido movimento, fece scivolare la camicia sul pavimento. “Forse perché non si veste così quando lo fa?”

Eliot non si degnò di darle risposta.

Si limitò a caricarsela in spalle come un cavernicolo e la trascinò di nuovo a letto.

***

Era ormai quasi l’ora di pranzo quando Becks si svegliò. Sapeva di dover lasciare il letto- c’era un mucchio di lavoro da fare, e poi, dalla cucina proveniva un delizioso profumino che avrebbe messo appetito anche ad un morto, figurarsi lei che la sera prima alla cena di Maddie aveva a malapena toccato cibo, e che aveva passato la nottata a bruciare calorie in modo peccaminoso. E poi, che senso aveva starsene tutta sola in quel grande letto? Senza Eliot, era così freddo… una sola notte di passione, e già sapeva che non avrebbe più potuto stare senza di lui accanto.

E poi, Eliot era bravo a letto e in cucina. Forse non un uomo da sposare, ma decisamente da tenersi bello stretto…

Si guardò intorno e notò che si era rivestito, e si sentì pervasa da uno strano stato di preoccupazione. Aveva immaginato più volte- specie all’inizio della loro collaborazione, con la cotta per lui una novità –di svegliarsi dopo aver passato una notte infuocata (ma incredibilmente dolce) con lui, e se l’era immaginato camminare per casa a piedi nudi con un vecchio paio di jeans tutti sgualciti. La notte prima, Eliot si era concesso un completo scuro visto l’evento – alta sartoria che gli calzava a pennello – ma nella sua testa, c’era questa strana fissazione dei piedi nudi, e Becks non sapeva il perché, ma saperlo di là vestito di tutto punto… c’era qualcosa che la disturbava in quell’immagine.

Mentre entrava quieta in cucina, sentiva che, diversamente da quanto accaduto durante la notte, non sarebbe stata in grado di sorprendere Eliot. Era come se sapesse che Eliot non sarebbe stato troppo felice di vederla, e questa certezza fu confermata appena lo scorse occupato ai fornelli, intento a mettere insieme un pasto decente con quelle quattro cavolate che Becks teneva in casa.

Non era ciò che stava facendo, ma il come, la sua postura. Eliot sembrava come distante. Non stava semplicemente mettendo in discussione quello che avevano fatto la notte precedente, convinto di aver fatto un errore madornale, ma aveva un’aria come colpevole, era chiaro che rimpiangeva l’accaduto e che, se fosse potuto tornare indietro, avrebbe compiuto scelte ben diverse, dall’accettare di andare a quella maledetta festa fino al momento in cui l’aveva fatta sua sul mobile bar del salottino.

“Quindi, è così che funziona? Per alzare il morale della bella di turno prepari una bella colazione? Oppure lo hai fatto giusto questa volta perché lavoriamo insieme e vuoi tenermi buona?” Gli chiese, appoggiata al muro a braccia conserte, con addosso solo una vestaglietta rosa, i capelli ribelli e scapestrati come suo solito- un po’ la femme fatale della notte prima, un po’ la solita se stessa.

“Becks, ascolta…” Sussurrò. Eliot la fissava frustrato, seccato, come se lei fosse una bambina capricciosa che non volesse accettare la realtà, e la cosa la rendeva ancora più furiosa, la feriva ancora di più. La donna si fece forza e coraggio, controllando il respiro, e strinse i denti senza mai distogliere lo sguardo da quell’uomo che non riconosceva più.  

“Non ti azzardare,” sibilò a denti stretti, rendendosi amaramente conto che era tornato a chiamarla Becks, e non Rebecca, come aveva fatto la notte precedente.. “Non trattarmi con accondiscendenza, Eliot. Merito molto più rispetto.”

Eliot  emise un sospiro di frustrazione, e abbassò il capo, decidendo che fosse meglio concentrarsi sui lacci delle  proprie scarpe piuttosto che intavolare quella conversazione. Incrociò le braccia con fare risoluto, la schiena puntata contro il tavolo da pranzo, determinato a non guardarla negli occhi nemmeno per un istante. “Senti, non peggioriamo le cose. Non c’è motivo di crearci dei problemi. Lavoriamo insieme, e, quando si passa tanto tempo insieme certe cose possono capitare. E poi, non c’è motivo di rovinare qualcosa che funziona, no? Andiamo tutti e due per la nostra strada, ci comportiamo da adulti e vediamo di rimanere amici.”

“Okay, ho afferrato.” Acconsentì, nonostante il suo sguardo dicesse l’esatto opposto, e la sua voce fosse intrisa di malcelato sarcasmo. “Giusto per capire, adesso decidi che abbiamo fatto una cazzata, anche se abbiamo passato dodici ore in quel letto? Quando sei stato tu a saltarmi addosso e dirmi che dovevi fare l’amore con me perché altrimenti saresti impazzito? Ho capito bene?”

Eliot si stropicciò il mento e osservò Becks provando quasi pietà, pena per lei- sentimenti che la donna avvertì e che la mandarono in bestia, riempendola di rabbia, indignazione e vergogna. Si era fatta controllarle dalle sue emozioni, si era fatta cullare dall’illusione che i sogni potessero avverarsi, che a volte, alcune volte, le cose potevano cambiare in meglio. Come sua madre, era stata vittima del proprio amore per un uomo, aveva dimenticato che il cuore aveva delle regole, che lei era sempre andata bene a ragionare piuttosto che a sentire, e che forse, la felicità assoluta non faceva per lei. Forse lei era destinata semplicemente ad esistere e sopravvivere. Era una ladra, una truffatrice, aveva cambiato nomi ed identità da quando era una ragazzina. Non aveva mai avuto un legame duraturo, e avrebbe dovuto sapere che non avrebbe dovuto tentare di cambiare le cose.

“So che pensate che io non me ne renda conto, ma non sono cieco, Becks. So che ti sei presa una sbandata, e va bene, capita. Ma è solo questo, una semplice sbandata, sei tu che ti stai facendo dei film strani per il matrimonio di tua sorella.” Scandiva le parole, parlava tranquillo quasi lei fosse un bambino o un animale.

“Un uomo che mi dice cosa provo e cosa devo pensare. Meraviglioso, Eliot, grande. Giusto quello che mi mancava.” Gli rispose sarcastica, seccata.

“Ma che diavolo vuoi che ti dica, Becks?” Quasi urlò, spalancando le braccia. “Vuoi che ti dica che sono l’amore della tua vita? Va bene, come vuoi! Ma io non sono interessato, va bene? Mi sono innamorato una volta e mi è bastato, e non lo farò più, perché non sono il tipo da fare promesse che non può mantenere. Se vuoi un maritino che torni a casa da te alla sera dovrai andartelo a cercare da un’altra parte, perché io non posso e non voglio essere quell’uomo, va bene? Perché io ho già persone da difendere, per cui lottare.”

“Non ho capito, mi stai dicendo che mi rispetti troppo per farmi una promessa che sai non poter mantenere? È questa la tua scusa?” Le scappò una risata tanto la cosa le suonava insensata.

“Lo so che sembra non avere senso, ma per me ne ha.” Le rispose, la sua voce bassa e roca, mentre si massaggiava il collo per alleviare la tensione.

“Sai cosa non sopporto? Che si insulti la mia intelligenza, o che mi si tratti come se fossi un’oca giuliva. Ho trentacinque anni, Eliot. Contrariamente all’idea che ti sei fatto, ho avuto le mie storie, e non sono certo la verginella spaurita che sembri immaginarti. Quindi, sii sincero e piantala di prendermi per il culo.” La sua voce era bassa, quasi un sibilo, e Becks si ergeva dinnanzi a lui fiera, distaccata, con uno sguardo gelido che spezzava il cuore ad Eliot. “Cos’è, volevi una sveltina senza tanti problemi e adesso hai paura che io non sappia gestire la cosa e diventi una piattola? O ti sei limitato a notare che dopotutto ho soltanto cambiato vestito, e sotto, sotto sono sempre la stessa, una donna che non è decisamente il tuo tipo, diversa dalla mia sorellina, diversa dalla perfetta Aimee – non assomiglio all’amore della tua vita, a nessuna delle ragazze con cui te la fai di solito, sono solo una nerd nevrotica nel migliore dei casi, uno dei ragazzi in quello peggiore.”

“Beh, di certo ti stai comportando come una ragazzina adesso.” Le ripose, secco, a labbra serrate.

“Io? Tu non mi consideri per anni, poi decidi che ti faccio pena e che quindi mi concedi l’enorme privilegio di sperimentare le tue abilità nella camera da letto, e io sarei la ragazzina immatura? Sul serio, Eliot?”

“Senti, Becks, sul serio….” Fece alcuni passi verso di lei, nel vano tentativo di avvicinarsi. Per quanto fosse certo di essere nella ragione, Eliot non riusciva a sopportare quello sguardo glaciale, né quella pacata e risoluta furia. Non voleva peggiorare le cose, spezzarle il cuore. Voleva solo che lei capisse che non si poteva fare altrimenti. Doveva capirlo, dargli ragione, ammettere di essere nel torto. “Dico davvero, ti stai comportando come una ragazzina. Adesso siediti, beviti questo dannato caffè e stammi a sentire per bene. Vedrai che una volta che ti sarai data una calmata mi darai ragione.”

“L’unica cosa che voglio fare ora, Eliot, è vederti uscire da quella porta e rimanermene qui da sola in santa pace.” Rifiutando la pietà di Eliot, e quella compassione che gli leggeva nello sguardo, Becks si allontanò ancora di più, e alzò lo sguardo come per frapporre una barriera protettiva tra di loro. Il respiro era affannoso quando aggiunse una sola parola, l’ultima. “Vattene!”

Senza aggiungere altro, Eliot gettò rancoroso lo strofinaccio da cucina che aveva in mano per terra, e se ne andò, sbattendo la porta, mentre lei lo fissava andarsene fiera, impassibile, quasi regale, rifiutandosi di voltare lo sguardo, di cedere alla tentazione di supplicarlo di cambiare idea.

Solo quando fu certa che se ne fosse andato e che non sarebbe tornato la donna si lasciò scivolare sul pavimento,  concedendosi il lusso di piangere lacrime amare per un cuore spezzato.

***

“Sophie, ho trovato un tuo orecchino in macchina- e se non è tuo giuro che non ho la più pallida idea di come sia finito lì.” Sophie, da brava ladra, afferrò al volo l’orecchino lanciatole da Nathan. Quando lo ebbe fra le mani lo guardò, e riconoscendolo, sospirò, sentendosi leggermente in colpa per l’impasse in cui si trovavano i suoi amici. Certo, non era solo colpa sua, ma sapeva di aver avuto un certo qual ruolo in quello che era successo tra Eliot e Becks.

Eliot, poi, stava molto, molto male – per usare un eufemismo – ed erano ormai un paio di settimane che nessuno riusciva a tollerare la sua compagnia per più di cinque minuti, tanto era diventato scorbutico e insofferente (per la precisione, sedici giorni e quattordici ore, non che lui contasse i minuti da quando aveva visto Becks per l’ultima volta). Si voltò verso Sophie, mugugnando qualcosa di  poco intelligibile in quella che doveva essere stata la lingua usato dall’uomo di Neanderthal. Lo sfidò a ripetere qualsiasi cosa avesse detto col solo sguardo, alzando un elegante sopracciglio con fare interrogativo.

L’intera stanza si era scordata che Eliot avesse parlato minuti prima quando lui si decise di degnarsi di ripetersi. “È di Becks. Lo aveva la sera che l’ho accompagnata a quella stupida cena di fidanzamento.”

“Ah,” Nathan si morse la lingua prima di dire o chiedere cose che avrebbero potuto essergli rinfacciate o, conoscendo Eliot e la sua propensione ad alzare le mani, nuocere alla sua integrità psico-fisica. Si grattò il naso, mugugnando qualcosa tra sé e sé, poi si schiarì la voce e si rivolse alla propria squadra. “A proposito di Becks… mi è stato proposto un caso per cui potrei avere bisogno della sua peculiare esperienza in campo della chimica… qualcuno ha una vaga idea di se e quando ci degnerà di nuovo della sua presenza?”

Sophie soffiò, seccata, chiedendosi se il suo fidanzato davvero non si fosse reso conto di quello che probabilmente era accaduto tra i compagni di squadra, o se stesse solo fingendo di non sapere per studiare la reazione di Eliot- aveva raccontato bugie peggiori in passato, dopotutto. Lei si limitò ad indicare il picchiatore con la testa, come per dire che se voleva delle risposte, era a lui che doveva fare le domande, e che avrebbe fatto meglio ad essere diretto per una volta, invece che criptico come suo solito.

“Sentite, io a mettere le cose a posto ci ho provato, ok?” Eliot grugnì, sbattendo il pugno chiuso sul tavolo, con tale forza che la lattina di Hardison barcollò fino a rovesciarsi. “Ma quando Becks vedo che sono io a chiamarla non risponde, e se provo a chiamarla da un numero diverso, appena sente che sono io mi sbatte il telefono in faccia senza dirmi una parola o sentire cosa potrei averle da dire.”

Sophie non lasciò il suo posto a sedere; non disse nulla, non volendo ferire nessuno, tuttavia, la tentazione era tanta, perciò si limitò a sospirare rumorosamente, ancora e ancora e ancora, mentre giocherellava con una ciocca di capelli.

“Stai forse cercando di dirmi qualcosa, Sophie? Vuoi forse dire che mi devo sentire colpevole? Che dovrei sentirmi da schifo per come mi sono comportato?” Eliot le chiese, arrabbiato, furibondo. Sophie lo fissò, quasi incredula, col cuore che le saltava nel petto. Non riconosceva quell’uomo- o meglio, forse, lo conosceva troppo bene, ma credeva di averlo dimenticato, quello era l’Eliot di un tempo,  quello che lavorava da solo, che accettava qualsiasi lavoro senza farsi troppi problemi su chi restava ferito alla fine dei giochi.

Sophie deglutì, e una fiamma di orgoglio le arse nel petto. Decise che era giunto il momento di far valere le proprie ragioni, di dire chiaramente ad Eliot che lo riteneva un idiota e che sapeva che lui stava solamente cercando di sviare il discorso: voleva dimenticare il dolore che provava, molto meglio tentare di far stare male gli altri. Ma Sophie lo compativa- e lo capiva. Erano i suoi amici, la sua famiglia. Lui li aveva sempre protetti, aiutati e supportati, e adesso era giunto il momento di fargli accettare che anche lui poteva avere bisogno di aiuto a volte. E se aveva il cuore spezzato… gli avrebbero dato una mano a riconquistare la sua bella. 

“Senti Eliot, capisco che tu voglia sistemare le cose, ma, sul serio, hai davvero qualcos’altro da aggiungere? Perché Becks mi ha riportato il tuo bel discorso parola per parola, e, sinceramente, detto cose che  avrei vissuto bene anche senza sapere, e, davvero, non pensi di essere già stato abbastanza chiaro? Non vuoi una relazione, non vuoi sistemarti, lei vorrebbe cose diverse. Okay, va bene, lo ha capito.” Fece un piccolo sorriso, chinando leggermente il capo di lato. “Eliot, Becks ha solo bisogno di tempo. Deve leccarsi le sue ferite, farsi passare questa sbandata per te, e vedrai che tornerà come e meglio di prima.”

“Sai, Sophie, tu sei tanto brava a parlare, ma giusto per curiosità,” Eliot sibilò a denti stretti, chinato leggermente verso Sophie, invadendo il suo spazio personale, trasudando mascolinità da tutti i pori, determinazione e focosa rabbia indomabile. “To ha detto esattamente perché so che non potrà mai funzionare tra di noi?”

Le gote di Sophie si gonfiarono, rosse, tanto furibonda era a sentire quelle parole. Dopo tutto quello che era successo, Eliot sembrava voler recitare la parte della vittima, voleva che la cattiva fosse Becks, la cretina che non voleva sentire ragioni. Beh, non aveva alcuna intenzione di lasciarlo fare. Perciò si alzò in piedi e gli lanciò contro l’orecchino.

“Eliot, lei sta male! Tu… tu le hai spezzato il cuore! Non le serve che tu ripeta il perché e il percome non potete avere una relazione! Se non hai altro da dire lasciala stare!”

Per un lunghissimo tempo, stettero in un imbarazzati silenzio carico di tensione. Eliot fissava l’orecchino che teneva in mano, passandoselo distrattamente tra le dita. Ricordava le delicate perle di vetro sfiorargli le dita mentre le accarezzava i capelli quella fatidica sera, e si chiesa se non fosse causalmente finito nella sua giacca mentre la baciava, mentre si permetteva di lasciarsi completamente andare, per la prima volta dopo tanto tempo, e selvaggiamente venerava quel lussurioso corpo femminile sul mobile bar.

Sospirò. Ricordava ogni istante di quella notte. Forse, non li avrebbe mai scordati- sarebbero sempre stati impressi in lui a fuoco.

“Le direi che volevo rimangiarmi ogni maledetta parola appena ho aperto bocca. Che appena sono salito in macchina, mi sono sentito in colpa- che mi manca come nessuno prima d’ora.” Respirò profondamente, incapace di guardare oltre il delicato orecchino nelle sue mani. “Ma hai ragione, Sophie. Perché le dire tutto questo, e poi dovrei ripeterle che non abbiamo futuro, e allora, a cosa sarebbe servito?”

“Solo una domanda: ti senti in colpa per averle detto quelle cose, o rimpiangi di avergliele dette?” Gli chiese Nathan. Stava appoggiato contro la parte dei monitor, guardando Eliot in volto. “Perché c’è una distinta differenza. Se ti senti in colpa è perché ti dispiace di averla fatta star male, ma se rimpiangi quello che hai detto, è perché dentro di te sai che erano solo un mucchio di idiozie e che hai fatto una colossale stronzata- perdonami il francesismo.”

Eliot scrollò il calmò, respirando profondamente. Si morse il labbro, e sfuggì allo sguardo dei compagni di ventura. “E anche se fosse? Le cose non cambiano. Non posso promettere di esserci sempre per voi ed esserci sempre per lei, qualcuno rimarrà deluso e io non voglio smettere di fare questo. Mi piace essere uno dei bravi, e… mi serve. Ho fatto cose di cui non vado fiero, e se questa è la mia ammenda, beh, così sia. Ma non voglio mentirle, o illuderla. Questo mi ucciderebbe.”

“Ah, peccato, perché mi era appena venuto in mente un brillante piano per rubare una damigella. Sicuro di non volerlo sentire?”

***

“Avevi parlato di un brillante piano, Nate.” Due settimane dopo il party di Madeline, Eliot aveva rispolverato il completo scuro. Arrabbiato e colmo di astio e risentimento, Eliot si scrutava intorno, cauto, abbaiando contro il suo capo/collega/amico che se la stava godendo, fresco come una rosa, che dispensava sorrisi, chiacchere casuali mentre faceva finta di bere coppa dopo coppa di champagne. “Intrufolarsi ad un matrimonio non è un piano!”

A disagio in quel completo che gli ricordava troppo la… débâcle, Eliot continuava a guardarsi intorno col cuore a mille. Cosa avrebbe fatto quando l’avesse vista? E l’avrebbe vista? Non sapeva se fosse già arrivata, né se avesse alcuna intenzione di presentarsi. Per quel che ne sapeva, l’aveva ferita a tal punto da farla scappare dalla città…

Si passò una mano tra i capelli, spettinandoli, nervoso come non mai. Era un idiota. Quella sera, era stato un vero cretino. Ma adesso aveva la consapevolezza di essere un cretino innamorato. Erano amici da anni, e la compagnia di lei gli era sempre piaciuta. Avevano condiviso drink, lei lo aveva ascoltato quando il padre si era rifiutato di aprigli la porta, come lui era stato a sentire quando lei aveva parlato di come il padre avesse tentato di fregarla per soldi. Aveva creduto che si trattasse di amicizia, di rispetto, ma era stato sempre qualcosa di più, ma lo aveva capito solo ora, che Sophie gli aveva sbattuto in faccia chi e come fosse realmente la bella rossa.

“Nate, non posso interrompere il matrimonio di Madeline. Se questo carrozzone da circo va a farsi fottere, Becks non mi parlerà mai più insieme. Ed in tutta onestà, credo che conosca almeno mezza dozzina di modi per uccidere una persona, far sparire il cadavere, e passarla franca senza che nessuno si accorga mai di nulla o la consideri minimamente un sospetto.” Nathan sghignazzò, facendo innervosire ancora di più Eliot. “E poi non credo che stavolta Albert ce le farebbe fare franca. L’altra volta non ha detto a nessuno che noi siamo una specie di Robin Hood, ma non credo che terrebbe ancora a lungo il becco chiuso se lo facessimo incazzare di brutto.”

Nathan fece un sorrisino sornione, neanche prendere per i fondelli Eliot fosse la sua attività preferita, e strinse al più giovane uomo la spalla, con fare cospiratorio, facendolo allontanare dalle ombre delle chiome dove avevano trovato rifugio, al sicuro da occhi e orecchie indiscreti, spingendolo verso le delicatamente decorate sedie, file e file di sedie bianche ricolme di delicati fiorellini e nastri di pizzo, raso e seta e tulle e organza.

“Beh, a dirla tutta, non ho proprio un paino. Ne ho mezzo, diciamo.” Nathan gli spiegò a voce bassa mentre si sedevano verso le ultime file, in una zona centrale, dove difficilmente le damigelle o la sposa (e suo padre) li avrebbero notati nella loro camminata verso l’altare. “Si potrebbe dire che io ho un abbozzo di piano. Ho, un’idea.”

“Quindi, da quello che ho capito,” Eliot si lamentò, con una voce colma di sarcasmo. “ti aspetti che una volta finita questa buffonata io vada a parlare con Becks. Questo è il tuo piano? Che io le parli a cuore aperto? Sul serio? Hai anche scoperto l’acqua calda, di recente?” Eliot scosse il capo, seccato, mormorando, non riesco a credere che metto la mia vita nelle tue mani su base giornaliera. Uno di questi giorni ci  rimarrò secco, tu ed i tuoi piani.

“Se ci pensi bene, in realtà, questo è un piano a dir poco brillante. Questo è il matrimonio di sua sorella, quindi ci deve essere per forza. Non ti potrà scappare, non potrà fingere di non esserci… sarà costretta ad ascoltarti. Ogni tua singola parola. Fino alla fine. Poi farete pace, vi bacerete e tu cavalcherai verso il tramonto in sella al tuo bolide con lei.”

Eliot aprì la bocca per rispondere, ma l’aria fu invasa dalle note di una classica marcia nuziale, e tre damigelle iniziarono ad avvicinarsi all’altare, avvolte da delicati abiti floreali, ognuno diverso dall’altro, le fantasie che ricordavano i mazzi di fiori selvatici che stringevano tra le loro mani.

Era in rosso, Becks. Non era la stessa tonalità del vestito della festa, ma non c’era dubbio che il rosso fosse il suo colore. Il colore si sposava con quello dei suoi capelli, sciolti in delicate onde che le ricadevano sulle spalle, e la sua pelle sembrava ancora più chiara e radiosa, quasi opalescente.

Ma non fu questa visione a spezzare in frantumi il cuore di Eliot, facendogli desiderare di bruciare agli inferi per ciò che le aveva detto. Era il suo sorriso forzato, il fatto che, nonostante la forza e la caparbietà del suo passo, i suoi occhi, stanchi, spenti, vuoti, dimostrassero ciò che provava davvero: che soffriva- a causa sua- e non c’era evento gioioso che potesse farla sentire nuovamente viva. Eppure, anche così lei gli faceva mancare il fiato in gola.

Concentrato sulla donna che gli camminava innanzi, Eliot si chiese, non per la prima volta da quando era salito sull’auto di nate, se stesse facendo al cosa giusta- se tentare di riconquistare Becks fosse una buona idea. Non era nemmeno certo di poterla convincere a dargli un’altra possibilità. Non era certo, soprattutto, di meritarla, un’altra possibilità.

Eliot seguì Becks con lo sguardo per tutto il tempo, vedeva solo lei, e non si rese nemmeno conto di quanto la cerimonia fosse effettivamente durata, o che il tempo stesse trascorrendo. Ebbe solo un attimo di esitazione quando il giudice di pace chiese se tra i presenti qualcuno avesse motivo di parlare, ed Eliot fu quasi tentato di alzarsi in piede e chiedere così perdono alla sua amata, ma Nathan lo aveva afferrato per la giacca, forzandolo a risedersi prima che potesse fare un’idiozia, che tutti i presenti gli si rivoltassero contro per aver rovinato il matrimonio.

Quando tutto fu finito, Nathan ed Eliot attesero nel loro poto, unendosi poi alla marea di ospiti che si spostarono in un’altra zone del giardino botanico per partecipare al rinfresco. Gli sposi e le loro famiglie attendevano i presenti davanti al gazebo, dando un caloroso benvenuto a chi era venuto a partecipare alla loro gioia in quella assolata giornata, e fu proprio all’entrata del gazebo che Eliot si trovò finalmente davanti a Becks.

“Rebecca…” Sussurro con la luce negli occhi il suo nome.

“Eliot. Nathan. Tutto bene?” Si limitò a dire, seccata e distante. Era difficile dire cosa le stesse passando per il cervello, ma da quello che Eliot percepiva, non era nulla di buono- per lui. Infatti, senza aspettare che le rispondesse, sorrise, poi volse lo sguardo verso la persona dietro di lui in fila, sorridendo e ringraziando per la loro presenza.

L’aveva decisamente rifiutato.

Elio sbuffò, facendo alzare gli occhi al cielo a Nathan. Becks non era di buon’umore, né sembrava avere alcuna intenzione di dimenticare cosa era successo o perdonarlo.

“Senti, vedrai che mi verrà in mente qualcosa. Non dobbiamo demordere. Non è ancora detta l’ultima parola.” Nathan tentò di consolare Eliot mentre sorseggiavano un drink ciascuno.

“Questo era il piano F, giusto?” Eliot si voltò verso il compare, sorseggiando il suo whisky molto, troppo velocemente. “Tu dici sempre che parti col piano F, poi torni al piano A. quindi, qual è il piano A?”

Nathan fece una faccia che ad Eliot non piacque, per nulla, e si grattò il capo. “Ah, ecco, veramente, io avevo solo questo paino. Ero convinto che vi sareste parlati e vi sareste chiariti. Ecco, insomma, Becks ha avuto praticamente un colpo di fulmine per te, quindi ero convinta che non avrebbe demorso tanto facilmente. Che sarebbe stata, insomma, più arrendevole.”

“Siete degli idioti. Io affido ogni giorno la mia vita a una banda idioti.” Eliot sibilò a denti stretti, gettando giù tutto d’un fiato il suo drink e chiedendone immediatamente un altro. Nathan desiderava parlargli, tentare di dargli speranza, consolazione, cosa esattamente non lo sapeva nemmeno lui, ma tutte le volte che apriva bocca per tentare di proferire parola, Eliot gli lanciava un molto eloquente sguardo che lo zittiva. Il picchiatore non voleva sentire ragioni- voleva solo bersi il suo drink e seguire Becks con lo sguardo, sperando che lei volgesse gli occhi verso di lui, e che sorridesse di nuovo, dolce e solare come la mattina in cui l’aveva trovata a bere caffè in cucina e scarabocchiare formule e appunti. Non ascoltò nemmeno i discorsi dei testimoni che brindavano alla felice unione. A malapena si rendeva conto che la gente intorno a lui ballava, chiacchierava e si divertiva, l’unica cosa che fece fu mandare a quel paese una donna che aveva avuto il coraggio di chiedergli se gli andasse di ballare invece di trangugiare alcol per annegare le sue sofferenze. 

E poi, arrivò il fatidico momento: il lancio della giarrettiera. Eliot aveva deciso di starsene bene alla larga- perché diavolo avrebbe dovuto partecipare, in fondo?- soprattutto perché il whisky era davvero molto, molto buono, e molto più interessante di Daniel che spogliava la mogliettina. Eppure, non seppe come, non seppe il perché, ad un certo punto Eliot si rese conto che qualcosa lo aveva colpito, qualcosa come una soffice brezza. Si guardò sulle ginocchia, e sollevò con due dita le “cosa”…. Una giarrettiera da sposa, bianca e blu.

Si guardò intorno, come incerto di dove fosse arrivata, e di come avesse fatto- forse che le leggi della fisica avessero smesso di funzionare?- ma poi incrociò lo sguardo di Madeline, e lei gli fece l’occhiolino, e capì che qualcuno aveva tramato qualcosa, e ne fu assolutamente certo quando sentì il sospiro soddisfatto di Nathan- lo stesso suono che faceva quando un piano funzionava nonostante avesse avuto profondi dubbi al riguardo.

“Ma come diavolo…”

“Hardison, sei assolutamente certo che funzionerà?” Nathan guardò Hardison colmo di dubbi, non del tutto certo che le cose sarebbero andate come previsto. Dopotutto, come potevano quei due dischetti avere l’effetto promesso? “L’ultima volta che hai costruito dei magneti mi hai distrutto l’orologio!”

Con le mani sui fianchi, Hardison faceva l’offeso. “Guarda che questa è la nuova e migliorata versione! Ci ho messo anni per arrivare a questo risultato, ok? Questi due magneti sono polarizzati in modo da attirarsi solo l’un con l’altro. Che significa che se metti una di questi piccolini nella tasca della giacca di Eliot, e l’altro lo attacchi alla giarrettiera della sposa, nel momento in cui il caro Danny lancia la giarrettiera lei finisce dritta, dritta tra le braccia di Eliot!”

“Hardison, guarda che il piano l’ho studiato io, non mi serve che me lo spieghi! Tu dimmi solo se funzionerà o no.”

“Ma certo che funzionerà! Ma per chi mi hai preso?”

“Non una parola, Eliot, fidati di me…” Nathan si morse la lingua, sorseggiando il suo analcolico. “Maddie sta per lanciare il bouquet, e credimi, quella è una scena che non ti vuoi perdere…”

Una piccola orda di giovani donne si mise in riga, nella speranza di afferrare il bouquet e convolare a giuste nozze nell’anno successivo- e desiderose di condividere un ballo con l’affascinante sconosciuto che aveva afferrato la giarrettiera. Eliot cercò con lo sguardo Becks, e la vide, che fingeva di non aver prestato attenzione allo spettacolo, e volgeva forzatamente lo sguardo altrove, come se fosse stata una bambina trovata con le mani nel barattolo dei biscotti, e gli scappò un sorriso mentre giocherellava con il frivolo articolo di intimo.

Il ladro si voltò, e guardò verso la sposa; Madeline, col velo che le svolazzava intorno come una soffice nube, dava la schiena alla altre donne, ma di quanto in quanto controllava oltre le proprie spalle la situazione con fare severo. Eliot strinse gli occhi, tentando di capire cosa stesse accadendo- o per meglio dire, cosa stesse tramando Madeline insieme a Nathan and company.

La sposa lanciò il bouquet, facendolo roteare in alto, e in lungo, verso il fondo della fila. Nessuna delle ragazze lo afferrò; anzi, sembrava che ognuna di loro lo sfiorasse con la punta delle dita, come se lo passassero lieve l’una con l’altra, fino a che non cadde nelle braccia dell’unica donna che si era defilata, desiderosa di tenersi alla larga da quello spettacolo e dall’uomo che aveva afferrato la giarrettiera.

Era finito dritto nelle braccia di Becks.

“Sophie, sei certa di riuscire a convincere Madeline ad aiutarci? Lei ed Albert non sono esattamente le persone più tolleranti del mondo, e, non so, credo che ce l’abbiano ancora con noi…”

Sophie sghignazzò alla domanda di Nathan, che, francamente, riteneva stupida. “Non credo che convincere Madeline a darci una mano a far mettere la sorellina con Eliot sarà un problema, tesoro. Quello che mi preoccupa è quell’orda di pazze inviperite che si azzufferanno come galline per prendere il bouquet.”

“Le pazze inviperite single sono tutte amiche della sposa. Sono positivo che Madeline saprò come convincerle a collaborare. E poi, quel matrimonio sarà un covo di ladri e truffatori. Se qualcuno farò sapere che è la figlioletta di Albert Cummings che DEVE prendere il bouquet, vedrai come collaboreranno tutti! Mai capito perché la gente abbia paura di quel vecchietto. Noi l’abbiamo fregato un mucchio di volte e ce l’ha sempre lasciata passare liscia…”

“A volte mi chiedo come sia possibile che tu sia un tale genio del crimine, ma così ingenuo su altre cose…” Sophie sorrise, scuotendo il capo, e diede un leggero pizzicotto alla guancia di Nathan. “Amore mio, non cambiare mai.”

Il cuore di Eliot gli martellava nel petto, incantato dalla visione di Becks che se ne stava in piedi con il bouquet di fiori bianchi e tulle, ed Eliot fece un profondo respiro, dirigendosi con pacata risolutezza e un lieve sorriso verso di lei, che nascondeva il volto e un timido rossore dietro ai fiori. I suoi occhi erano timidi, sinceri, ma sembravano graziati da un velo di speranza, che fece sperare ad Eliot che le cose sarebbero potute cambiare- in meglio.

“E così, l’hai presa tu…” Becks sussurrò, guardando il pizzo e tulle nelle mani dell’uomo, che sorrise e fece cenno di sì col capo.

“Non è semplice volere un futuro, delle cose diverse per me.” Le sussurrò mentre delicatamente sfiorava la gonna di tulle rosse che danzava nella brezza del pomeriggio. “ma se dovessi lasciarti andare, se non ci dessi una possibilità, so che lo rimpiangerei per il resto dei miei giorni.”

Il cuore gli batteva all’impazzata, Eliot sentiva solo quello ed il sangue che gli scorreva in corpo. “Becks, non sai quanto io tenga a te- quanto io ti ami.” Ammise, disperato, desideroso, bramoso di avere una qualsiasi risposta.

“Eliot, io non voglio la tua pietà.” Gli rispose secca. Fece un paio di passi all’indietro, tentando di mettere più spazio possibile tra lei ed Eliot.

“Dolcezza, la pietà non mi passa nemmeno per l’anticamera del cervello quando ti guardo.” Come quella sera, Eliot alzò il mento con due dita, costringendola a guardarlo negli occhi. “Non pensavo di poter fare la stessa promessa a due persone, ma mi sono chiesto, e se lei fosse sempre lì?  Se non la lasciassi andare, mai?”

“Oh, Eliot…” Ingoiò lacrime amare, mentre i fiori venivano schiacciati dai loro corpi, sempre più vicini.

“Se sarai sempre con me, con noi, non mi dovrò preoccupare. Saprò che ci sarà la nostra famiglia, i nostri amici, ad aspettarmi con te. E che se dovesse capitare qualcosa, tu non saresti sola, perché avresti loro al tuo fianco, sempre e comunque… Nate, Sophie, Hardison, Parker… si prenderebbero cura di te per me.” Sorridendo lieve, Eliot alzò una mano, come per accarezzarla, le dita leggere sfiorarono quasi impalpabili la delicata e soffice pelle di Rebecca. “Ella splendida incede, come notte di limpido immenso e cieli di stelle, e tutto il meglio di oscuro e di luce negli occhi e nell’aspetto rifulge: dolce in quel tenero chiarore che il cielo nega allo sfarzo del giorno.

“Stai davvero citando Byron per portarmi a letto, Eliot?” Becks lo fisso in quegli occhi blu come il cielo, e allacciò le braccia alle spalle di Eliot, i suoi palmi che accarezzavano i capelli ribelli. Lo fece abbassare verso di se, fino a che le loro labbra non si incontrarono di nuovo per un brevissimo e casto bacio, mentre gli invitati applaudivano e fischiavano, eccitati- alcuni avevano vista la coppia alla cena di fidanzamento e facevano loro i complimenti, altri imbarazzanti commenti sulla tradizione del lancio della giarrettiera, altri erano semplicemente commessi per la pittoresca e dolce immagine trasmessa dalla coppia di innamorati.

“Sono molto più intelligente e profondo di quanto la gente non pensi, baby.” Eliot la avvertì sorridendole malizioso, mentre le accarezzava il collo e lasciava baci leggeri come carezze sulla pelle. “Quindi, devo desumere dal tuo comportamento che ci stai? Vuoi provare a fare sul serio anche se non metteremo mai del tutto a posto la testa?”

“Ricordati solo, saldatino,” disse mettendosi sulle punte e lasciando sul collo abbronzato un bacio. “che se mi spezzi di nuovo il cuore non troveranno il tuo cadavere.”

“Tranquilla, Becks, non succederà.” La prese tra le braccia, baciò le gote, sussurrando che l’avrebbe amata per sempre, che l’aveva amata a lungo, che non avrebbe mai lasciato andare quello che c’era tra di loro, e poi, sfiorò le sue labbra. “Non succederà.”

 

   
 
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