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Autore: Evali    03/09/2020    1 recensioni
Un villaggio isolato, un popolo spezzato in due in seguito ad una terribile calamità, due divinità da servire, adorare e rispettare in egual modo: Dio e il Diavolo.
"- Io amo gli uomini.
- E perché mai io sono andato nella foresta e nel deserto? - replica il santo. – Non fu forse perché amavo troppo gli uomini? Adesso io amo Iddio: gli uomini io non li amo. L’uomo è per me una cosa troppo imperfetta.
- È mai possibile! Questo santo vegliardo non ha ancora sentito dire nella sua foresta che Dio è morto!"
Genere: Fantasy, Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Sacrificio
 
- Avete detto che non avete avuto sangue questo mese? – domandò la levatrice a Judith, continuandole a palpare il basso ventre con mani esperte, mentre la ragazza era sdraiata sul suo giaciglio.
- Esatto.
- E vi sentite strana? Riuscite ad essere più precisa?
- Avverto delle forti nausee, talvolta, e dei capogiri.
La donna continuò a palpare, con sguardo serio, mentre padre Cliamon, in piedi accanto al letto, cercava di decifrare il suo sguardo.
- Non vi è alcun dubbio – sentenziò la levatrice. – Una vita ha cominciato a crescere dentro di voi.
- Non può essere – rispose categorica Judith. – Ve l’ho già detto: non ho avuto alcun rapporto sessuale.
- Eppure è così, mia cara. I sintomi sono chiari. Siete sicura di non aver giaciuto con nessuno ultimamente?
Judith sgranò gli occhi a tale domanda. – Non credete che me lo ricorderei se qualcuno avesse … ?
- Quel ragazzo con il quale sei entrata in confidenza, quello che hai accompagnato qui la scorsa mattina – la interruppe padre Cliamon.
- Io e Blake non siamo intimi, padre. Non c’è niente tra noi. Vi dico che … - la ragazza si bloccò, nel momento in cui un brivido freddo attraversò la sua schiena al ricordo della nottata di celebrazioni della settimana precedente, o meglio, al “non ricordo”.
Possibile che fosse accaduto davvero …?
Possibile che chiunque avesse abitato il suo corpo quella notte, si fosse spinto a tanto?
 Non era così strano, d’altronde. Avrebbe dovuto prevederlo, o almeno sospettare una cosa simile.
Tuttavia, la possibilità che fosse rimasta gravida quella notte, le sembrava così remota da non averla neanche tenuta in considerazione.
Se solo fosse riuscita a scoprire il responsabile di tutto ciò, l’avrebbe ucciso a mani nude …
- Cara? – fu la voce e la mano amorevole di padre Cliamon sulla spalla a riportarla alla realtà. – Cosa intendi fare?
Se Judith gli avesse detto davvero cosa volesse fare, sarebbe stata arsa al rogo l’indomani stesso e neanche padre Cliamon l’avrebbe potuta salvare da ciò, poiché il concepimento di una nuova vita era l’atto più sacro in assoluto sia per il Diavolo che per il Creatore e chiunque rinunciasse a ciò, impedendo al bambino di nascere, meritava l’esecuzione capitale senza alcun appello, né possibilità di parola.
Il Signore non l’avrebbe mai perdonata.
Eppure, sin da piccola aveva vissuto con la convinzione di poter scampare a tutto ciò, dopo che madre Riven le aveva detto quelle parole, una delle infinite notti in cui la fame di padre Ilian si era cibata del suo corpo ancora troppo acerbo.
Quel pensiero continuò a girovagarle in testa impazzito, fin quando non gli diede modo di venire espresso. – Levatrice? – richiamò la sua attenzione. – Potete controllare anche là sotto? – le chiese indicando la propria intimità coperta dal tessuto dell’abito. – Sono stata violata ripetute volte da bambina. Mi era stato detto che non avrei mai potuto mettere al mondo dei figli a causa di ciò – spiegò.
A ciò, padre Cliamon si accinse ad uscire dalla stanza per dare modo alla levatrice di fare ciò che Judith le aveva chiesto.
La donna alzò la lunga gonna della ragazza e abbassò la testa, avvicinandola al suo inguine, aiutandosi con le mani per controllare più accuratamente.
Quando ebbe finito, Judith la guardò negli occhi, leggendo nel suo colorito sbiancato che ciò che stava per dirle non promettesse nulla di buono. – Se il bambino dovesse sopravvivere … il parto che dovrete affrontare sarà tremendamente doloroso, Judith. Il più doloroso della storia di Bliaint. Le possibilità che voi e il bambino sopravviviate entrambi sono praticamente nulle.
Schietta, per non darle false speranze, indelicata, proprio come Judith avrebbe voluto.
La ragazza la guardò per un po’, mentre la sua mente viaggiava nel vuoto, muovendosi rimanendo ferma, in un buco nero che la racchiudeva ogniqualvolta voleva isolarsi dalla vita che era costretta a vivere, per  dono del Signore.
Dopo qualche minuto, schiuse le labbra per dar fiato alla bocca. – Bene. Vi ringrazio. Potete andare.
 
Naren attese che l’oggetto dei suoi pensieri si presentasse, seduto in fondo alla navata della cattedrale, con le mani leggermente tremanti.
Quando la vide raggiungerlo, non poté fare a meno di ammirarla, come sempre, come avrebbe voluto fare fino alla fine dei suoi giorni.
- Non guardarmi in quel modo, Naren. Non ti ho detto di venire qui per riappacificarci.
- Non potrei guardarti in nessun altro modo, Arley.
Judith si sedette di fianco a lui, cercando di attirare l’attenzione il meno possibile.  
- Voglio sapere cosa è accaduto quella notte.
A tali parole, il ragazzo impietrì. – Cosa...? Fino a qualche giorno fa tu … Perché ora vuoi saperlo?
- Cos’è, ora non vuoi più dirmelo? Mi hai letteralmente supplicato di permetterti di dirmi cosa è accaduto quella notte, per alleggerire la tua coscienza da qualsiasi peccato credi di aver commesso, ed ora hai improvvisamente cambiato idea?
- Perché vuoi saperlo, Judith …?
- Ciò non ti riguarda. Ti sto chiedendo di dirmelo. È un’occasione che potrebbe non ripetersi – disse gelida.
- Io … non ci riesco. Credevo di poterlo fare, ma …
Judith si voltò a guardarlo, fulminandolo. – Dunque è un no??
- Perché ora è così importante per te? Ti prego, Arley, parlami … - la supplicò prendendole la mano e stringendola nella sua, facendola tremare.
Percependo i brividi della ragazza, Naren si rincuorò, sorridendo come un bambino. – Allora provi ancora qualcosa per me … Arley, io avevo quasi perso le speranze … - sussurrò guardandosi intorno, facendo attenzione che nessun monaco li stesse osservando. – Ricordi quando ci siamo conosciuti? Lo ricordi, amore mio?
La ragazza sfilò la mano dalla sua e si rialzò tempestivamente in piedi. – Ti credevo davvero diverso, Van. Non hai fatto altro che confermare quanto mi fossi sbagliata – concluse dandogli le spalle e allontanandosi.
 
Ripulita da tutta la terra che la avvolgeva, la pianta con la grossa radice dalla tremenda forma umanoide era poggiata in bella vista sul tavolino della stanza da letto di Blake.
Era stato un puro caso che padre Craig avesse bussato alla porta del ragazzo per avvertirlo di aver preparato la colazione quella mattina, e che l’avesse trovata socchiusa.
Il giovane prete era entrato con l’intenzione di svegliare Blake, scoprendo che il ragazzo non fosse nella stanza, ma che, al suo posto, sul tavolino si stagliava quell’orrenda pianta che sperava e credeva di non vedere mai più.
E, invece eccola lì, nonostante l’incantesimo lanciato da Beitris, proprio dinnanzi a lui.
Il sangue del giovane prete si era congelato all’istante.
- Ora avete iniziato a curiosare nella mia stanza?
La voce di Blake proveniente dal ciglio della porta aperta, lo spaventò quasi, facendolo voltare verso di lui.
Il ragazzo non mostrava uno sguardo adirato o seccato dalla sua intrusione, bensì divertito.
Blake si affiancò a lui, cominciando a guardare la mandragora a sua volta.
- L’ho trovata sepolta nel terreno della galleria, parecchio in superficie, difatti ho dovuto scavare molto per riuscire a prenderla.
- Avete scavato … da sotto?
- Beh, sì, ero dentro la galleria quando l’ho sentita.
In quel momento, fu chiaro a padre Craig per quale motivo Blake fosse riuscito a sradicare la mandragora, non rompendosi neanche un braccio nell’intento, nonostante l’incantesimo.
Beitris aveva escluso una tale ipotesi poiché la pianta era sepolta troppo in superficie per essere raggiunta da uno degli scavatori.
Allora, come …?
In quel momento, gli occhi di padre Craig si posarono sulle dita fasciate del ragazzo. – Cosa avete fatto alle mani?
- Come vi ho già detto, ho dovuto scavare parecchio per riuscire a prenderla.
- Ma come sapevate fosse lì? Come siete riuscito a …?
- Ho sentito una voce. Una voce provenire dalla pianta.
-  Una voce? E cosa diceva?
- “La vita non è dei viventi”. Non sorprendetevi troppo di ciò, padre. Le mandragore sono molto care a streghe e stregoni – la naturalezza con la quale Blake parlava era debilitante per padre Craig, in una situazione come quella.
- Allora perché vi siete adoperato tanto per prenderla? Voi non siete uno stregone. Potevate lasciarla lì dov’era.
- Parlate sul serio?? – gli disse Blake, quasi sconcertato da quelle parole. – La mandragora è una pianta molto rara, con innumerevoli proprietà benefiche per l’organismo, se assunta nel modo giusto e nelle dosi adeguate. Non ne avevo mai trovata una, né tanto meno provata. Avete la vaga idea di quanti usi proficui potrò farne?
- Parlate di Ioan? – era una domanda scontata da porre a Blake, una domanda che non necessitava di una risposta. – Quali particolari proprietà benefiche possiede? – continuò, senza attendere che egli rispondesse.
- Oltre a quello più conosciuto di conciliare un sonno duraturo e tranquillo, è in grado di alleviare i mali del corpo come febbre, tosse, vomito e molti altri. Inoltre si dice che qualcuno sia anche riuscito a curare la sterilità grazie a lei.
Se dosata e somministrata nel modo giusto, può indurre in uno stato di incoscienza simile alla morte per un certo tempo, senza provocare danni al corpo o alla mente.
- Simile alla morte …? – domandò il giovane prete incuriosito.
- Uno stato in cui la mente non percepisce neanche i dolori più forti che il suo corpo sta soffrendo.
Raggiunge la totale calma, un’estraniazione quasi inumana.
- Come lo sapete?
- È testimoniato in alcuni scritti.
- Da stregoni?
- No, padre. State dando troppo per scontato che in questo villaggio solo coloro che utilizzano la magia siano in grado di fare qualcosa di significativo.
Padre Craig accettò quel necessario rimprovero e tornò con gli occhi sulla radice, allungando la mano per toccarla.
- Che intenzioni avete? Volete assaggiarne un pezzo come fosse una carota appena raccolta? – lo bloccò Blake. – La mandragora è anche molto pericolosa.
Va maneggiata con cura.
- Pericolosa?
- Viene usata anche come veleno. È in grado di provocare forti tremori, tremende allucinazioni, di bloccare la respirazione, di ridurre il vostro stomaco in poltiglia, e, in grandi quantità, morte certa.
Il giovane prete si pietrificò, ritirando subito la mano.
- Come avete intenzione di somministrarla a vostro fratello, dunque?
- Vi sono delle testimonianze scritte anche per questo, non preoccupatevi. In ogni caso, sperimenterò anche su di me per valutare i rischi.
- Su di voi?? Blake, non credete sia meglio riportarla dove l’avete trovata? Insomma, per quale assurdo motivo una pianta così rara e introvabile è comparsa improvvisamente sopra il terreno di proprietà della galleria? Non vi sembra strano?
- Non ne ho la minima idea, padre, ma ciò non mi riguarda.
Perché vi agitate tanto?
- Perché è pericolosa, come avete appena detto!
- Dunque? Tutti medicinali hanno degli effetti negativi.
Qualsiasi cosa, se utilizzata senza giudizio, diviene pericolosa.
Da qualche parte si dovrà pur iniziare, non credete?
Non sapendo più cos’altro inventarsi, già tremando per la reazione di Beitris nello scoprire che Blake avesse sradicato la sua mandragora, padre Craig fece il suo ultimo tentativo. – Come avete fatto a non morire per il suo urlo sradicandola …? Non vi sembra strano?
Blake vi pensò un po’ su. – Sì, me ne sono accorto, sul momento. Credo mi sia andata bene: sicuramente non ha emesso il suo “urlo mortifero” perché lo ha già emesso una volta. L’unica spiegazione è che sia già stata sradicata e già qualcun altro ne abbia pagato le conseguenze, di certo non colui o colei che l’ha seppellita nel terreno della galleria.
- Credete possegga ancora le sue proprietà nonostante sia “morta”?
- Non ne sono certo, ma lo scoprirò presto.
Dinnanzi alla ferrea fermezza del ragazzo, il giovane prete non poté far altro che adeguarsi e accettare la sua decisione, inghiottendo il groppo amaro che aveva in gola.
Sapeva di essere oramai “l’informatore” di Beitris.
Ella si aspettava che le dicesse tutto ciò che vedeva e sentiva in quella casa, che potesse interessarle in qualche modo.
Tuttavia, Blake si era già messo in pericolo con le sue stesse mani, rendendosi enormemente esposto, e, di certo, padre Craig non lo avrebbe mai spinto maggiormente verso le fauci dei leoni.
Avrebbe dovuto fare attenzione, molta attenzione a fare in modo che la questione della mandragora non uscisse da quella casa, restando tra lui e Blake, per proteggere quest’ultimo, o, almeno, tentare di farlo.
- Dovete farmi una promessa, però – disse il giovane padre in tono insolitamente serio e determinato, tanto da sorprendere il ragazzo.
- Certo, vi ascolto.
- Non dovete rivelare a nessuno di aver trovato una mandragora.
A tale richiesta, Blake sorrise perplesso. – Non credete di star un po’ esagerando, padre? Non ho trovato l’elisir di lunga vita o il portale per entrare o uscire illeso dall’aldilà. È solo una mandragora.
- L’avete detto voi stesso che è quasi introvabile. Dunque, se la voce dovesse spargersi, potreste ricevere delle visite indesiderate.
Vi prego, Blake, promettetemelo.
- D’accordo, non angustiatevi. Lo prometto.
- Bene – concluse padre Craig, rincuorato.
- Vi vedo particolarmente stanco e affranto, padre.
- Oh, no, è solo una vostra impressione. Piuttosto, negli scorsi giorni mi avete mostrato ogni angolo del villaggio, facendomi acquisire una conoscenza invidiabile di Bliaint, per uno sconosciuto. Vi è rimasto qualche luogo che volete mostrarmi?
Blake vi pensò su, mentre riavvolgeva la mandragora nel panno e la posizionava dentro un cassetto, chiusa a chiave. – Forse ne è rimasto uno. Ma non sono del tutto certo vogliate visitarlo, visto e considerato come avete reagito giorni fa, dopo le celebrazioni, accusandomi di avervi corrotto senza alcun motivo logico.
- Mi sono già scusato per quello. Di che luogo state parlando?
Blake sorrise sornione nel rispondergli. – La Taverna.
- La Taverna? Di cosa si tratta?
- Oh, padre, non fatemi credere che non avete mai visto o almeno sentito parlare delle taverne. Ad Armelle non vi è un luogo in cui gli uomini infedeli o i giovani curiosi vanno a svagarsi, bevendo vino serviti da belle donne?
Il viso del giovane prete si imporporò per la vergogna. – Io non … come potete pensare che io frequenti posti simili??
- Non ho detto questo. Ho detto che non credo non ne abbiate mai almeno sentito parlare.
- Beh, vi è una taverna su una stradina poco lontana da Armelle, quindi sì, so di cosa si tratta e posso immaginare cosa viene fatto lì dentro.
- Bene. Allora scegliere se visitarlo o no è a vostra libera scelta, dato che sapete di cosa si tratta – disse il ragazzo infilandosi i suoi stivali e prendendo il suo mantello.
- Dove state andando?
- Mi spiace, padre, ma non potrò farvi da guida nella Taverna oggi, ho già altri impegni.
Sono certo che riuscirete a trovare un altro degno accompagnatore che possa sostituirmi.
- Mi servirà un accompagnatore anche lì?
- Deduco vogliate visitarla, dunque – disse il ragazzo fermandosi sul ciglio della porta, sorridendo nuovamente sorpreso. – Il vostro recente slancio di libertà mi rende fiero di voi, padre.
- Non vi è nessuno slancio di libertà.
- Certo che no.
- Voglio solo conoscere il vostro villaggio nel suo complesso, senza tralasciare nulla.
- Vi sarà sempre qualcosa che vi rimarrà oscuro in questo villaggio, padre: non conoscete neanche un quarto di ciò che cela il bosco e la palude, e non potrete mai visitare le prigioni sotterranee, poiché l’accesso è vietato. Ammettetelo: volete sapere cosa significa anche solo avvicinarvi a sentire cosa sente un uomo comune, senza il peso del vostro abito da portare.
Non verrete punito per questo, lo sapete, infondo.
Il giovane prete abbassò lo sguardo, accettando la sconfitta. – Non farò nulla che possa anche solo lontanamente nuocere il mio voto e il mio rapporto con Dio.
- Non ne avevo dubbi, padre.
Ricordate: guardare non è peccato.
Ora andate, e trascorrete una buona giornata.
 
Quando padre Craig trovò la Taverna, impiegò diversi minuti prima di decidersi ad entrare.
L’assenza di Blake lo disturbava e lo disorientava, nonostante avesse già avuto modo di addentrarsi in diversi luoghi senza di lui. Era stato combattuto fino all’ultimo nel recarsi da Judith e chiedere a lei di accompagnarlo, ma aveva deciso di lasciar perdere e di non disturbarla per così poco.
Baciò il suo crocefisso, lo rinfilò dentro la tunica ed entrò.
Improvvisamente, un acre odore di vino e di spezie gli invase le narici.
Tra i clienti della Taverna, molti visi già visti apparvero ai suoi occhi, quasi tutti dei servi del Creatore.
Come sospettava e gli aveva anticipato Blake, vi erano decine di locandiere a servire da bere alla clientela, tutte, ovviamente, servitrici del Diavolo.
La prima domanda che si pose padre Craig riguardò il come fosse possibile tutto ciò, dato che i rapporti tra membri di credi diversi erano condannabili con il rogo.
Una valanga di domande invase la mente del giovane prete, il quale, senza pensare, si recò al bancone della Taverna.
- È la prima volta che uno con il vostro abito mette piede qui dentro – lo riscosse la voce forte e vivace della bellissima locandiera che si trovò davanti, dall’altra parte del bancone. – Che cosa siete venuto a fare, monaco straniero?
- Come avete fatto a capire che fossi straniero?
- Qui a Bliaint non si vedono mai stranieri, e quei pochi che arrivano, si riconoscono subito – rispose un’altra locandiera, molto più giovane dell’altra. – Nel nostro villaggio regnano solo gli estremi. Se vediamo qualcuno che non corrisponde né ad un estremo, né all’altro, capiamo subito che non è un abitante di Bliaint – spiegò la ragazza riempendo un boccale di vino. – Sta di fatto che è molto raro vedere un uomo di Dio nella Taverna.
- Sono qui solo per bere qualcosa.
A tale risposta di padre Craig, le due scoppiarono entrambe in una risata. – D’accordo allora! Posso portarvi un boccale di vino, padre …?
- Craig, padre Craig. Sì, grazie, il più leggero che avete.
- Sarà fatto – rispose sorridendo provocatoria la più matura delle due.
A ciò, il giovane prete andò a sedersi sul primo tavolo in cui intravide una delle sedie lasciate vuote.
A consumare silenziosamente e con lo sguardo basso un boccale di vino, seduto allo stesso tavolo, vi era un giovane servo del Creatore.
Egli non era minimamente interessato a nessuna delle splendide locandiere che gli gironzolavano intorno, per servire i tavoli. – Buongiorno – provò ad approcciarsi padre Craig, tentando di fare conversazione.
A ciò, come riscuotendosi dai suoi tormentati pensieri, l’interpellato alzò il viso, lasciando il giovane prete attonito nel riconoscere in lui il ragazzo segretamente innamorato di Judith, intravisto amoreggiare con lei notti prima, nella cattedrale.
- Voi … siete il prete straniero giunto qui giorni fa? – azzardò il ragazzo.
- Sì – gli rispose padre Craig, cercando di risultare quanto più naturale possibile. – Mi chiamo Craig.
- Naren. Van Naren – si presentò anche il ragazzo, prendendo un altro sorso dal boccale. – Cosa ci fate qui, padre? Questo posto è solitamente evitato dai monaci.
- Ero interessato a visitarlo, per scopo puramente conoscitivo.
A ciò, Naren lo guardò sorpreso, e nel fare ciò, padre Craig ebbe modo di osservare le profonde occhiaie che solcavano le guance del ragazzo. – State bene …?
- Sì. È solo che, ho come l’impressione di avervi già visto.
- Come mai siete qui, Naren? Non avete ancora una promessa al vostro fianco? – colse la palla al balzo padre Craig, interessato al bene di Judith.
Il ragazzo sorrise amaramente a quella domanda, stringendo il boccale fino a farsi sbiancare le dita. – C’è una donna che amo più di quanto ami me stesso.
Ma le ho fatto del male. Ed ora merito tutta la sua rabbia e la solitudine alla quale mi ha condannato – vi era un sincero dolore nella sua voce, una sofferenza che impietosì padre Craig.
- Lei sa che siete qui?
- Per lei potrei anche essere morto.
- Ecco a voi, monaco straniero – intervenne nuovamente la bellissima locandiera di poco prima, poggiando un boccale di vino davanti al naso di padre Craig. – Il più leggero della dispensa – gli garantì ammiccando sensuale.
Padre Craig inghiottì a vuoto, cercando di non guardarla troppo. – Grazie.
- Alzate pure lo sguardo – lo esortò un’altra incantevole locandiera. – Guardare non è peccato.
Quelle parole già udite e riudite da un voce ben differente, lo riscossero, facendogli alzare lo sguardo sulle donne.
- D’altronde, siamo qui per questo, padre – disse una di loro, per poi allontanarsi insieme all’altra.
- Cosa intendevano dire? – chiese il giovane padre a Naren.
- Non sapete come funziona la Taverna, non è vero? – dedusse il servo del Creatore.
- Me lo stavo giusto chiedendo poco fa. Vedo solo servitori e servitrici del Creatore qui, proprio come voi. Le locandiere sono tutte servitrici del Diavolo. Non è altamente vietato tutto ciò?
- Padre, questo non è un bordello. Non vi sono bordelli a Bliaint, sono considerati sudici e indegni – spiegò Naren. – Nella Taverna vi finiscono tutte le servitrici del Diavolo rimaste orfane, oppure alcune che lo scelgono volontariamente, per la pura vanità di essere guardate e venerate dagli occhi dei clienti.
Le locandiere sono solo locandiere, non prostitute.
Se decidono di intrattenere rapporti intimi con qualcuno, lo fanno solo per loro scelta e non per guadagno. E, ovviamente, possono farlo solo con i servitori o le servitrici del loro stesso credo, il credo del Diavolo.
- Possono intrattenere rapporti anche con le donne …? – chiese attonito il giovane prete.
- I rapporti tra donne e donne e tra uomini e uomini non sono vietati, padre. Ovviamente, coloro che si dilettano in ciò devono essere liberi, non ancora sposati.
- Non ero a conoscenza di ciò. E se ciò dovesse accadere quando sono impegnati?
- Parlate di adulterio? Non nego sia considerato un peccato a tutti gli effetti, certo, ma non è un peccato punibile col rogo.
Molti servitori del Diavolo si sottopongono a riti e incantesimi che comprendono anche delle orge, d’altronde.
Se i due coniugi sono entrambi d’accordo e consenzienti, non vi sono conseguenze.
Altrimenti, parlando di adulterio vero e proprio, la punizione da infliggere al coniuge è scelta dall’uomo o dalla donna vittima del tradimento. Solitamente, si opta per l’amputazione di un arto, come una mano o un piede – espose Naren con naturalezza, bevendo un altro sorso di vino.
- Dunque, tutti questi servi del Creatore sono qui solamente per …
- Guardare – chiarì ogni dubbio il ragazzo. – Guardare non è peccato, padre. Tutti possono guardare e sono qui per farlo. Allietare la vista con qualcosa che possono solo ammirare ma mai possedere, come si trattasse di corpi immateriali – disse Naren osservando i corpi di diverse locandiere distaccatamente, senza alcun desiderio.
- Dunque, le locandiere devono essere tutte serve del Diavolo, per ovvi motivi – lo riscosse padre Craig. – Allora, che fine fanno le orfane servitrici del Creatore?
- Solitamente vengono affidate alla cattedrale e divengono monache.
Padre Craig si guardò ancora intorno, posando lo sguardo su alcune serve del Creatore sedute ai tavoli, intente a bere dai boccali a loro volta. - E gli orfani? – domandò improvvisamente, continuando ad osservare quelle donne, alcune annoiate, altre impegnate a guardare le locandiere con occhi iniettati di amarezza, altri di invidia e ammirazione, raramente di desiderio.
- Mi state chiedendo se vi sono anche dei ragazzi a lavorare in questo posto?
- Sì, la domanda mi sorge spontanea, dato che noto anche la presenza di alcune serve del Creatore nella Taverna. Per quale motivo sarebbero qui, se non per guardare anche loro?
- Nessun servo del Diavolo ha mai lavorato nella Taverna. Gli uomini non sono vanitosi come le donne, e gli orfani che non vengono affidati alla cattedrale, finiscono sempre per trovare un’occupazione differente, autonomamente.
- Dunque, le serve del Creatore che vengono nella Taverna …
- Imparano ad apprezzare i corpi femminili. Credetemi, non è così difficile che accada.
- Tra i clienti vi sono anche servi del Diavolo non ancora sposati che vengono qui per intrattenere rapporti con le locandiere?
- Certo.
D’un tratto, una figura familiare appena entrata nella Taverna attirò l’attenzione di padre Craig.
Ella era incappucciata, tuttavia, i voluminosi ricci scuri che sbucavano dal cappuccio erano inconfondibili per lui. – Heloisa …? – la richiamò allibito, attirando la sua attenzione.
A ciò, la donna sussultò per lo spavento e, scorgendo la figura di padre Craig, abbassò lo sguardo mortificato e fece per andarsene; tuttavia, padre Craig si alzò in piedi, facendo qualche passo verso di lei, con l’intenzione di fermarla. – Heloisa, vi prego, aspettate …
La donna si fermò e, dopo infiniti secondi, si voltò nuovamente verso di lui, decidendosi a raggiungerlo. - Padre, vi prego, non pensate male di me … - fu la prima cosa che gli disse, in accorata supplica.
- Heloisa, va tutto bene, io non penserei mai male di voi. Venite, sedetevi al nostro tavolo – la accompagnò, facendole spazio su una terza sedia, tra lui e Naren.
- Per quale motivo siete qui? – cominciò il giovane prete, senza alcun tono di accusa nella voce.
La donna si torturò le dita spasmodicamente, abbassando lo sguardo. – Non sto in alcun modo tradendo mio marito, padre, voglio che questo sia ben chiaro.
Io sono una donna d’onore, e amo Rolland.
- Lo so, lo so bene.
- A volte vengo qui per … distrarmi. Distrarmi dai miei obblighi, dalla malattia di Ioan, dall’irriverenza di Blake, dalle mie continue e inascoltate preghiere.
Non fraintendetemi, io amo immensamente la mia famiglia e il mio Signore, ma, talvolta, sento la necessità di restare sola e di evadere dalla mia quotidianità, almeno per qualche minuto.
Per questo vengo qui, da sola.
Non lo faccio per divertirmi senza Rolland, non voglio darvi quest’impressione.
- Assolutamente. Riesco a comprendervi, Heloisa – la rassicurò padre Craig, accennandole un sorriso.
- E voi? Non mi sarei mai aspettata di trovarvi qui, padre. Mio figlio non è con voi?
- Ero curioso di visitare i luoghi che non ho ancora conosciuto di questo villaggio, per comprenderne meglio la storia. Blake non ha potuto accompagnarmi, aveva da fare.
- Da fare? – domandò già allarmata Heloisa. – Cosa doveva fare? Ve lo ha detto?
- Calmatevi, Heloisa, ve ne prego – la esortò il giovane prete poggiandole una mano sulla spalla. – Stargli costantemente addosso in questo modo non vi porterà a nulla e peggiorerà solo le cose – le disse, schietto.
A ciò, la donna lo guardò combattuta, cercando di placarsi. – Mi dispiace di reagire in questo modo, padre. So di dover imparare ad accettare di non poter controllare tutto, tanto meno Blake.
Tuttavia, non sapendo i nostri trascorsi, è difficile per voi comprendermi.
I due si accorsero solo in quel momento che Naren si fosse totalmente irrigidito.
- Che cos’ha? – domandò Heloisa, credendo che padre Craig conoscesse la risposta.
- Non saprei … Naren? Tutto bene?
- Devo andare – disse immediatamente il servo del Creatore, alzandosi dalla sedia e dirigendosi verso l’uscita della Taverna, senza aggiungere altro.
Dopo essersi ripresi da tale reazione, padre Craig ed Heloisa tornarono a guardarsi distrattamente intorno.
Fu mentre prendeva un sorso nel suo boccale, che il giovane prete si accorse di uno sguardo sfuggente scambiato tra Heloisa e una delle locandiere più mature della Taverna.
- La conoscete? – domandò, facendo prendere coscienza alla donna di essere stata vista.
- Se vi facessi una confessione, una confessione senza peccato, la terreste per voi, padre? – sussurrò la giovane donna.
- Certo.
A ciò, Heloisa sorrise nostalgica. – Molto prima di essere promessa a Rolland, quando ero poco più che una bambina, sono venuta qui dopo esser stata picchiata da mia madre.
Volevo nascondermi, trovare un posto in cui non pensare.
Vedendomi abbattuta e spaesata, una locandiera, una ragazza più grande di me, mi si è avvicinata e mi ha domandato cosa mi fosse accaduto, ascoltandomi e consolandomi.
Era molto gentile, solare e amabile, mi piaceva trascorrere del tempo con lei.
Così, ho cominciato a venire qui più spesso, per incontrarla e parlare.
Un giorno, ella mi ha detto che mi avrebbe fatto fare qualcosa di diverso, di nuovo, che mi sarebbe piaciuto.
Io non potevo immaginare minimamente cosa volesse fare, non ero avvezza a nulla di simile.
Mi portò in una stanza, chiuse la porta e iniziò a dedicarmi le attenzioni che si dedicano ad un’amante.
Io ero totalmente inesperta, in sua balìa.
- E vi piacque? Eravate a vostro agio con tutto ciò? – le domandò sorprendentemente padre Craig, con naturalezza.
- Sì, mi piacque. Mi sentii per la prima volta leggera, libera, amata.
Non ero abituata ad un tale genuino interesse da parte della mia famiglia.
Il rapporto intimo tra me e lei che ne conseguì, fu solo un’aggiunta, qualcosa che allietò entrambe, senza alcuna promessa, senza alcuna costrizione o impegno.
Era naturale e semplice, come ridere, parlare o mangiare.
- La donna di cui parlate, è quella che avete guardato poco fa?
Heloisa annuì. – Poi, quando ho conosciuto Rolland, ho smesso di venire qui.
Ora, dopo tanti anni, vengo ogni tanto per i motivi che vi ho detto e, talvolta, scambio ancora qualche parola con lei.
Lieto che Heloisa si fosse confidata con lui, padre Craig le sorrise, senza dire nulla.
Concentrato su di lei, padre Craig non si accorse di altre tre presenze appena entrate nella Taverna, di cui una a lui ben nota, tutte e tre coperte da ingombranti mantelli e cappucci.
I nuovi arrivati presero posto su un tavolo libero, in un lato più isolato della Taverna.
- Hanno catturato Raya ieri mattina. Non è prudente per noi farci vedere troppo in giro – si lamentò uno di loro, un giovane stregone con un marchio nero che si diramava dall’attaccatura dei capelli biondi, fino alla mascella.
- Dobbiamo reperire materiali e qui siamo al sicuro. Nessuno presta attenzione a noi – lo acquietò Ephram.
- Posso portarvi qualcosa da bere? – domandò loro una locandiera, avvicinandosi al tavolo.
- Vogliamo parlare con Bronnen – disse serafico Ephram.
A ciò, la donna andò a chiamare la sua collega nominata, la quale si diresse tempestivamente al tavolo. – Posso fare qualcosa per voi? – domandò la ragazza, complice.
- Ecco cosa ci serve. Abbiamo bisogno di avere tutto prima del tramonto – le sussurrò l’altro stregone, infilandole un foglio piegato dentro la tasca della gonna, con discrezione.
- Sarà fatto – dichiarò la locandiera, per poi allontanarsi.
- Non temete, ci procurerà tutto, poi ce ne torneremo immediatamente nel bosco – assicurò Beitris, facendo vagare lo sguardo per la locanda con circospezione, fin quando non notò la figura di padre Craig, con sua sorpresa. – Cosa diavolo ci fa lui qui? – domandò più a se stessa che agli altri due, accennando un sorriso divertito nello scorgerlo in un luogo tanto inadatto a lui.
A ciò, anche gli occhi dei due stregoni si posarono sullo straniero.
- Come lo hai conosciuto? – domandò Ephram, già a conoscenza della loro bizzarra alleanza.
- Alla celebrazione del matrimonio. Poi l’ho rincontrato mentre seppellivo la mandragora nel terreno della galleria. È un uomo interessante.
- Ti ha visto seppellirla, dunque? – domandò allarmato l’altro stregone.
- Sa bene che se proverà a prenderla, si ritroverà con le braccia rotte e un mucchio di terra tra le mani, Yarin.
E poi, non è lontanamente interessato alla mandragora – rispose a tono la ragazza. – È al sicuro.
- Sarà meglio. Sai quanto ci è costato averla e sfruttare il suo potere. Non possiamo permettere venga usata ancora – si raccomandò Ephram.
- Non verrà mai più usata.
Ha già adempiuto al suo dovere.
Resterà nascosta, morta, fino alla fine dei giorni – dichiarò Beitris con una determinazione di ferro nella voce, inghiottendo a vuoto e ripercorrendo il funesto giorno in cui era riuscita a sradicare una mandragora, senza morire:
Le avevano detto che in quel villaggio ne avrebbe trovata una, forse, persino due.
Camminava oramai da giorni e le provviste nel suo sacco erano quasi finite.
Non appena intravide il villaggio dinnanzi a sé, tirò un sospiro di sollievo, oramai sfinita.
- Ehi voi! – si sentì richiamare da una voce da bambino, da dietro, al che si voltò, facendo totalmente paralizzare il fanciullino, il quale si fermò a guardarla incantato dalla sua bellezza.
Doveva essere un piccolo abitante di quel villaggio allontanatosi, pensò Beitris, osservando i suoi vestitini cenciosi e rattoppati in alcuni punti, sin troppo grandi per un bambino piccolo come lui.
A ciò, la ragazza si avvicinò di qualche passo e gli sorrise. – Buongiorno a voi, giovane amico.
- Voi … voi, per caso, siete una ninfa del bosco? – le domandò il piccolo, osservandola ancora adorante.
Beitris sorrise intenerita in risposta. – Oh no, non sono una ninfa.
- Una principessa?
- Neanche quello.
- Allora chi siete?
- Una messaggera. La messaggera di un re molto potente, che vive lontano da qui.
- E che cosa cerca il vostro re? – domandò il bambino, ingenuamente esaltato da quel nuovo incontro.
- Una pianta molto speciale che si trova nel vostro villaggio. A chiunque mi aiuterà a trovare la pianta, il mio re darà una meravigliosa ricompensa.
- Che ricompensa?? – chiese il piccolo animandosi ancor di più.
- Qualsiasi cosa voi desideriate, il mio re può donarvela.
- Vi aiuterò io!!
- Bene – rispose nuovamente Beitris, sorridendogli. – Allora, potreste accompagnarmi nel luogo in cui, nel vostro villaggio, gli uomini vengono appesi per il collo quando commettono un grave peccato?
- D’accordo – acconsentì il bambino facendole immediatamente strada.
Non appena i due giunsero nel campo colmo di erbacce in mezzo al quale svettava l’albero evidentemente utilizzato per le impiccagioni, Beitris si guardò intorno, cominciando a tastare accuratamente il terreno con i piedi: si diceva che il terreno sotto il quale si generava e cresceva una mandragora avesse una consistenza diversa rispetto a quello circostante.
La pianta maledetta, nata dai fluidi corporei rigettati in punto di morte dagli innocenti, morti con un cappio legato al collo.
Per questo a Bliaint non vi erano mandragore: ai suoi conterranei non piacevano le morti così veloci.
Quando finalmente trovò una zona di terra più morbida delle altre, la ragazza non ebbe alcun dubbio.
- Ehi, ho trovato ciò che mi serve – richiamò il bambino, vedendolo riavvicinarsi a lei.
Non gli chiese il suo nome. La perdita di un bambino senza nome avrebbe fatto meno male.
- Come posso aiutarvi a prenderlo? – domandò il piccolo.
- Dovrete scavare, scavare per me. Qui sotto i nostri piedi vi è la pianta speciale. Non appena la troverete, tiratela immediatamente fuori, qualsiasi cosa accada – si raccomandò Beitris con la voce vacillante, inginocchiata dinnanzi a lui.
Egli annuì gioioso, a ciò, ella posò una pala tra le sue piccole mani e gli prese le spalle delicatamente, osservandolo in volto. Ricacciò indietro ogni stralcio di emozione che minacciava di salire in superficie sul suo viso, mentre fissava nella mente lo sguardo innocente di quegli occhi grandi, del color della brina.
Gli diede un bacio sulla fronte e si rialzò in piedi, allontanandosi il necessario per evitare di sentire l’urlo di morte che sarebbe arrivato di lì a breve.
Quando fu abbastanza lontana, attese. Attese quasi due ore che il bambino terminasse di scavare e tirasse fuori la pianta, per assicurarsi che la mandragora avesse già mietuto la sua giovanissima vittima.
Al tramonto, ritornò sul campo, trovando esattamente lo spettacolo che si aspettava di vedere: il giovane corpicino stroncato prematuramente era steso a terra, con le orecchie pregne di sangue oramai secco, gli occhi vitrei e spalancati, circondati da moscerini, il corpo di pietra immobile e il colorito bianco sporco.
Tra le dita semiaperte, teneva le foglie della mandragora da poco sradicata.
Sembrava quasi che la radice, con il suo corpo affusolato e umanoide, respirasse ancora.
Beitris si inginocchiò e la prese in mano, infilandola nella sua sacca.
Ora aveva ciò che cercava.
I suoi occhi di giada non poterono fare a meno di posarsi nuovamente sul cadavere del bambino, tuttavia, nonostante si fosse ripromessa di non farlo.
Gli chiuse le palpebre fredde con le dita, coprendosi la bocca con le mani, per non piangere, come oramai sentiva di dover fare, mentre percepiva due lacrime solitarie lasciarle gli occhi.
D’istinto, lo prese con sé.
Afferrò di peso quel corpicino rigido e gelido, e lo infilò nella sua sacca, trasportandolo per giorni, fin quando non ritornò da dove era arrivata.
 
- Non dovrei aiutarvi – dichiarò per la decima volta madre Riven, accompagnando i due ragazzi nella biblioteca della cattedrale dei servi del Diavolo, in seguito ad una lunga conversazione con Judith.
- Eppure lo state facendo – le rispose Blake, accendendo la torcia del luogo che oramai conosceva come le sue tasche. – Non è trascorso molto tempo da quando mi avete permesso per l’ultima volta di entrare qui, non è vero, madre?
- Siete di nuovo qui solo per merito suo – rispose la monaca, indicando la ragazza.
- Oh, madre, non dovete tirare su quella ridicola maschera con noi.
Conosco il vostro buon cuore nel profondo.
L’ho sperimentato più di dieci anni fa – intervenne Judith.
- Fate attenzione e non rimanete più di un’ora, intesi? – si affrettò a dire la donna, per poi uscirsene dalla biblioteca come una fuggitiva.
A ciò, Blake e Judith si lasciarono andare ad una lieve risata, poco prima di cominciare la loro ricerca.
- Avete ripulito voi questo luogo? – domandò la ragazza, guardandosi intorno. – È caotica, ma ha un suo ordine. I tomi sono disposti tutti con precisione e accortezza.
- Vi state complimentando con me?
- Non fateci troppo l’abitudine – annunciò serafica Judith, continuando ad osservare il luogo e a vagare tra gli scaffali ricolmi.
Tuttavia, i pensieri angusti della scoperta fatta quella stessa mattina non volevano lasciarle tregua.
- Forse ho trovato qualcosa di utile, ma è in una lingua sconosciuta – la riscosse la voce del ragazzo dopo qualche minuto, il quale la raggiunse in un attimo, con un libro aperto tra le mani.
Quando egli alzò lo sguardo su di lei, Judith non ebbe il tempo di assumere un’espressione neutra dinnanzi a lui, rivelando il suo turbamento.
- Che vi succede?
- Nulla. Non preoccupatevi.
- Non mi sto preoccupando. Era semplice curiosità. Se siete turbata, ciò penalizzerà la ricerca.
- Mi sorprendo di quanto riusciate ad essere più glaciale di me, a volte.
- Avevate detto che non avreste continuato a complimentarvi. Avete mentito – commentò egli sorridendo sornione, facendo nascere un debole sorriso anche sulle labbra della ragazza.
- Avete ragione. Non sono nello stato d’animo per esservi d’aiuto oggi. Dovreste andare avanti senza di me.
- Ne siete sicura?
La ragazza non rispose, emettendo un lungo e sofferto sospiro. – Forse non mi farebbe male sfogare le mie afflizioni con una persona sconosciuta, totalmente esterna a tutto ciò – commentò amaramente divertita.
- Se credete che ciò potrebbe farvi sentire meglio.
- No, non lo credo.
- Suppongo debba essere dura vivere ventiquattro ore su ventiquattro a contatto con il clero.
- Non si tratta di quello. Questa mattina è accaduto qualcosa che ha sconvolto tutti i miei piani, i miei progetti e le mie certezze.
Non so come reagire, per la prima volta nella mia vita.
Non potreste comprendere cosa sto provando.
- No, non posso – rispose egli con ovvietà.
- Starete pensando che dovrei già ritenermi fortunata che mi abbiano tenuta con loro invece di lasciarmi nella Taverna, dopo la condanna di mia madre, piuttosto che piangermi addosso.
- Non ho mai detto questo.
- Ma lo state pensando.
- Avete mai avuto notizie di vostro padre?
- Mia madre non mi ha mai detto nulla di lui quando era in vita. I monaci mi hanno detto che ella aveva confessato di esser stata stuprata da un servitore del Diavolo con famiglia e figli di cui non ha voluto fare il nome, poco prima che io venissi al mondo.
- Non siete minimamento curiosa riguardo la sua identità?
- Mai stata.
Trascorsero altri minuti di silenzio tra i due.
- Voi che cosa avreste fatto se foste stato al mio posto? – domandò improvvisamente Judith, sorprendendo Blake.
- Mi state chiedendo cosa sarei diventato se avessi vissuto tutto quello che avete vissuto voi…?
- Esattamente. Come avreste agito?
- Io non sono voi, Judith.
- Lo so. Per questo ve lo sto chiedendo.
- È impossibile determinare come sarebbero andate le cose.
- Provateci.
- Io non sarei qui.
Non avrei scalato la gerarchia come avete fatto voi, non mi sarei ingraziato il clero come avete fatto voi, non avrei assunto un grado così alto come avete fatto voi, non avrei fatto buon viso a cattivo gioco, non sarei riuscito a reggere qui dentro per più di due anni.
Niente di tutto questo, Judith.
Ora che sapete ciò, vi sentite rincuorata?
- Che cosa avreste fatto, allora?
- Me ne sarei andato via da Bliaint. Lontano da qui.
- Voi … volete andarvene, non è vero? – domandò la ragazza, affilando lo sguardo nell’osservarlo. – Cosa vi trattiene ancora qui, dunque? – ma subito dopo aver posto quella domanda, quando gli occhi dei due si incrociarono, per Judith non vi fu bisogno di alcuna risposta. – Vostro fratello – concluse.
Altri secondi di silenzio in quella caotica ed enorme biblioteca, vennero interrotti dalla voce pacata e limpida di Judith. – Quando e se mai lascerete Bliaint, dove volete andare?
Blake vi pensò un po’ su mentre ispezionava un altro dei migliaia di tomi a disposizione. – Verso Nord, sicuramente. Dicono che i villaggi a Nord siano di vedute molto più aperte e con la brama di vedere dei corpi carbonizzati sopra un palco meno prorompente della nostra.
- Capisco.
- Voi non avete mai pensato di farlo? Di andare via di qui?
- Non nego di averci pensato. Tuttavia … questo è il luogo in cui sono nata. E se tutto va nel modo in cui non dovrebbe andare, è anche compito mio cambiare le cose. Quando sarò riuscita in questo, deciderò se andarmene o no – rispose ella.
Nel dire ciò, la sua mano sfiorò involontariamente il suo ventre, gesto che non sfuggì al ragazzo.
I due si rimisero alla ricerca, questa volta senza interruzioni.
Ad un tratto, Judith sgranò gli occhi nel leggere una pergamena malandata e consunta, nascosta tra una pila di tomi tutti ugualmente ingombranti.
La carta era schiacciata e sul punto di sgretolarsi, l’inchiostro era quasi del tutto sbiadito, quasi illeggibile, ma, fortunatamente, era trascritto nella loro lingua.
- Blake! Blake, venite! Ho trovato qualcosa sulla polvere nera!
Il ragazzo accorse nuovamente accanto a Judith, inginocchiandosi vicino a lei, aguzzando notevolmente la vista per cercare di leggere a sua volta. Judith si rialzò in piedi per andare a prendere una candela e avvicinarla alla pergamena, almeno il necessario per decifrare le lettere sbiadite, ma non tanto da far sgretolare maggiormente la carta.
- “… dicono sia il flagello degli dèi … dicono sarà la nostra condanna, la fine del mondo che ci meritiamo … zolfo, carbone e … ” questa parte è completamente illeggibile, maledizione … - si lamentò Blake, avvicinando maggiormente la fiamma della candela agli stralci di inchiostro rimasti.
- “… si ottiene con una scarica … una scarica come quella di un fulmine, ma più … potente … attraverso il vapore” continuò Judith leggendo qualche riga più sotto. – Conosco un metodo per far riemergere le lettere tracciate oramai quasi scomparse dalla carta. Servono dei chicchi di caffè e del sapone.
- Sempre che la carta non vi si disintegri tra le dita nel tentativo – commentò il ragazzo disilluso.
- Non accadrà. La rinforzerò con della colla di pesce. Abbiate un minimo di fede, Blake. Abbiamo fatto un grande passo avanti oggi.
- Sì … probabilmente avete ragione – ammise egli massaggiandosi la nuca. – Una scarica simile a quella di un fulmine ma più potente, attraverso il vapore… cosa vorrà dire?
I due trascorsero il tempo rimanente dell’ora che avevano a disposizione in cerca di altri scritti; dopo di che, si spostarono nella biblioteca della cattedrale dei servi del Creatore, cercando strenuamente, senza ottenere nulla.
- Io torno a casa. Ci vediamo domani, allo stesso luogo – si congedò Blake.
- A domani – rispose ella. – Oggi l’uscita secondaria è colma di monaci. Se volete evitarli, passate per le navate. A quest’ora non dovreste incontrare nessuno dei fedeli.
Il ragazzo annuì e uscì dalla biblioteca, avviandosi verso la sala principale della cattedrale, come Judith gli aveva detto.
La testa gli pulsava dolorosamente dopo aver trascorso due ore a cercare costantemente a vuoto, quasi senza risultati.
Certo, avevano trovato qualche accennata informazione sulla polvere nera, ma di una possibile cura per il male di Ioan non vi era neanche l’ombra.
Sapeva che sarebbe stata una ricerca lunga e sfiancante, ma, spesso, il suo animo dirompente e a volte precipitoso prendeva il sopravvento.
Senza accorgersene, aveva già superato la lunga scalinata, essendo arrivato nella sala, in mezzo alle navate.
La cattedrale sembrava essere vuota, ma non prestò attenzione nel controllare se vi fosse effettivamente qualcuno, prendendo ad attraversarla, ancora concentrato sul suo mal di testa.
- Perché siete qui?
Quella voce pacata e sconosciuta, ma incastonata in qualche remoto meandro della sua memoria, lo riscosse, arrestando la sua camminata. Blake si voltò, riconoscendo la fedele avvistata il giorno prima, la servitrice del Creatore in lacrime e intenta a pregare con grande fervore.
Ora ella era in piedi, voltata a guardarlo, davanti ad una delle sedie della grande navata di destra.
Probabilmente era venuta appositamente a pregare anche quel giorno.
- Eravate qui anche ieri – continuò la ragazza. – Vi ho visto.
- Credevo di essere solo – ammise Blake.
- Qui non si vedono mai servi del Diavolo.
- Ve ne è una che vive qui – la informò il ragazzo.
- Che cosa avete fatto alle mani? – domandò ella, guardando le dita fasciate di lui.
Blake si ricordò solo in quel momento delle sue ferite provocate dalla foga dello scavo della sera prima, poiché quella ragazza era stata l’unica ad averglielo domandato, dopo padre Craig.
- Nulla di grave – le rispose, mentre i suoi occhi si posarono casualmente sul violento sfogo che copriva le braccia e le mani della servitrice del Creatore. – Che cosa avete fatto alle braccia? – le domandò avvicinandosi di qualche passo.
A ciò, la ragazza nascose quella deturpazione immediatamente, coprendola con le maniche del vestito. – Ce l’ho fin da quando sono nata.
Si dice che … quando vengono sfoghi di questo genere, significa che l’altro Signore avrebbe voluto che il neonato fosse uno dei suoi servitori, e che abbia lottato fino all’ultimo per averlo.
- Dite davvero?
La ragazza annuì. – Si dice anche che sia dovuto al cuore di uno dei genitori.
- Cosa intendete?
- Alcuni credono che mia madre o mio padre, in realtà, fossero innamorati di un servitore o una servitrice del Diavolo, e che siano stati costretti a rinunciare al loro amore per ovvi motivi. Dunque, io sarei destinata ad essere una servitrice del Diavolo per tale ragione, anche se, alla fine, non è stato così – spiegò ella. – Quando penso ad entrambe queste ipotesi, è come se mi sentissi amata da entrambi i Signori, in qualche modo - concluse con un malinconico sorriso sulle labbra.
Nel sentire un picco di dolore alla testa che gli fece quasi venire un capogiro, Blake si avvicinò alla navata e si sedette sulla sedia accanto a quella della ragazza, cominciando a guardare distrattamente l’altare con l’imponente crocefisso. – E voi? Cosa pensate? – le domandò improvvisamente.
La ragazza, ora seduta anche lei, cominciò a guardare il crocefisso a sua volta. – Non lo so con precisione. Io continuo a pregare il mio Signore. Soprattutto ora che mia sorella è malata. Devo pregarlo il più possibile, per fare in modo che ella continui a vivere, almeno per un altro po’.
A tali parole, il ragazzo si voltò a guardarla. – E credete che pregarlo strenuamente salverà la vita di vostra sorella?
Ella restò con gli occhi lucidi e fissi sul crocefisso. – Io non posso fare a meno di crederlo.
Non potrei pensare di fare nient’altro.
E voi? – gli domandò voltandosi a guardarlo a sua volta, abbassando gli occhi da lui di tanto in tanto.
Blake non rispose subito, facendo calare dei placidi attimi di silenzio tra di loro.
- L’avete detto voi stessa – disse infine. – Non dovrei essere qui.
- No, non dovreste ma … non state peccando, stando seduto qui accanto a me.
Il ragazzo accennò un sorriso casuale, senza alcun motivo apparente. – Se continuerete a pregare qui per vostra sorella ogni giorno, ci rivedremo – disse rialzandosi in piedi e riprendendo la sua camminata verso l’uscita della cattedrale.
- Vi auguro una buona guarigione! – alzò la voce la ragazza per farsi udire. – Per le vostre mani.
- Vi ringrazio.
 
 
   
 
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