Crossover
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Autore: evil 65    04/09/2020    10 recensioni
Il Multiverso, così come lo conosciamo… non esiste più. In seguito ad un fenomeno distruttivo noto come Lo Scisma, un uomo misterioso che si fa chiamare il Maestro è riuscito creare una realtà completamente separata dalle altre, dov’è adorato come un dio onnipotente.
Apparentemente inarrestabile, il Maestro comanda col pugno di ferro questa nuova terra, chiamata "Battleground", nella quale vivono numerosi personaggi provenienti dai vari universi, tutti immemori delle loro vite precedenti.
Ogni storia ha il suo principio. E questa è la loro epopea...
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yuri | Personaggi: Anime/Manga, Film, Fumetti, Telefilm, Videogiochi
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Eccoci tornati, con un mastodontico capitolo che spero ci farà perdonare per il ritardo! E pure il prossimo è già pronto, ma sarà pubblicato la prossima settimana.
Con questo aggiornamento comincia il terzo atto della storia.
Il capitolo e il suo successore costituiranno un enorme flashback narrante la storia di Lada ( la madre di Fire ) e di come abbia finito con l'innamorarsi di Vader, avere un figlio con lui e abbandonaarlo. Inoltre, narrerà anche il passato di Shen e di come sia finito a lavorare per il Maestro.  Specifichiamo, inoltre, che il modo di parlare di un personaggio, da bambino, è stato distorto volutamente per accentuare la sua età.
Vi auguriamo una buona lettura!




Interludio - Parte 1: Il Drago e la Fenice

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Dead I am the sky, 
watching angels cry
While they slowly turn, 
conquering the worm
Dig through the ditches and burn 
through the witches I slam 
in the back of my Dragula...
Rob Zombie – Dragula 

 
Terra, Regno di Valacchia – Molti anni prima dello Scisma
 
Quando il medico lo informò che la moglie aveva dato alla luce una bambina, le folte sopracciglia scure di Vlad Dracul calarono sui suoi occhi, scuri e penetranti.
Spingendo il battente della porta, si immerse nell’aria viziata di sangue della stanzetta dove Vasilissa aveva appena partorito. Ora era distesa sul letto, sudata e stravolta di dolore: il suo aspetto e i suoi modi non avevano più nulla della principessa che avrebbe dovuto essere. Non c’era dubbio che la debolezza che aveva messo radici nel suo ventre fosse da attribuire interamente a lei, pensò il voivoda.
La balia teneva in braccio una neonata paonazza e strillante. Il padre la osservò a lungo, con fare distaccato.
<< Ladislav >> dichiarò alla fine.
Quasi in risposta all’udire pronunciato quello che sarebbe stato il suo nome, la piccola strillò più forte.
Era una forma femminile di Vladislav, e il suo significato era “glorioso signore”, “governare con gloria”. Non si era preso il disturbo di cercare alcunché di diverso da una proiezione di sé stesso. A Vlad II, principe voivoda di Valacchia, il destino della figlia era stato subito chiaro.
Il regno di Valacchia non era una terra rosea e fiorente come all’apparenza poteva sembrare. Essa era fortemente dipendente e asservita dal confinante Impero Cinese, cui Vlad II, per poter sperare di mantenere il proprio trono e la propria autorità, era obbligato a spedire annualmente un tributo della propria accondiscendenza, per utilizzare un eufemismo, quantificato in ricchezze, servi o bestiame. In realtà, si trattava della palese ostentazione della cieca obbedienza di un cane con il suo padrone, nella speranza che quest’ultimo non lo punisse con l’invasione e la schiavitù completa.
Per questo, il voivoda sperava di dare in sposa la propria figlia al primogenito dell’imperato della Cina Xiao Feng, per rinnovare il proprio prestigio e dunque realizzare una vera e propria alleanza con l’impero orientale, un accordo commerciale reciproco e non un’imposizione. Ma prima di questo ci sarebbe stato bisogno di una lunga preparazione, aveva bisogno di offrire garanzie, di far risultare la propria offerta vantaggiosa e appetibile.
Poco dopo aver partorito, Vasilissa morì. Così la figlia di Vlad, Ladislav Dragwlya – Lada, in quanto si rifiutava di rispondere al suo nome per esteso – crebbe senza madre, nella reggia di Targoviste, nella remota regione della Valacchia, accudita solamente dalla balia, dai servi e dai precettori, a causa delle numerose assenze di suo padre.
Da una fanciulla come lei ci si sarebbe aspettata una personalità silenziosa, obbediente e composta, e d’altronde, era proprio questo che i precettori si aspettavano da lei quando tentavano di educarla ad essere una gran dama e una vera principessa, ma ella sin da piccina aveva mostrato un carattere ribelle e testardo, maggiormente accentuato dall’insofferenza verso l’educazione che le veniva imposta.
Ma fra tutte le noiose e pompose lezioni era di particolare rilevanza un giorno. La principessa aveva solo sei anni, e aveva avuto l’idea di scappare e nascondersi, facendo sparpagliare come dei disperati per il castello i suoi insegnanti che si sgolavano nel richiamarla e minacciarla: uno spettacolo impagabile.
Peccato che uno di loro l’avesse scoperta, cosa che l’aveva costretta a correre via come un fulmine, per quanto le sue paffute gambette da bimba glielo consentissero e per quanto glielo consentisse il grazioso abito principesco lungo fino ai piedi, di cui aveva dovuto afferrare i lembi con le manine per impedirsi di inciampare.
Fu così che raggiunse un punto del castello sul retro che non aveva mai visitato: lei ancora non poteva saperlo, ma era appena finita nell’armeria della guardia personale del padre Vlad II, che apparentemente sembrava deserta, forse perché i soldati al momento erano da tutt’altra parte e avevano già preso con sé le armi e lasciatone altre.
La bambina spalancò i suoi grandi occhioni con i quali si avventurò a fissare le rastrelliere ricolme di armi, soprattutto lame, di ogni forma e dimensione, stupita e curiosa come ogni cucciolo di fronte a ciò che vedeva per la prima volta e che non conosceva.
Poi si accorse di non essere da sola. C’era un uomo lì con lei.
Andrej Breda era un soldato, per la precisione un capitano. Militava sotto il sigillo di Vlad II da molto tempo, aveva combattuto al suo fianco, guidando le sue forze e brandendo la sua spada in nome del suo signore.
Per questo non era raro trovarlo nell’armeria o nell’arena di combattimento, seduto su di una delle panche a lucidare la sua corazza con sabbia fine e aceto, e a carezzare il piatto della sua spada ad una mano e mezza. Come in quel caso.
<< Vostra Altezza >> disse il capitano, sollevando lo sguardo dalla placca pettorale della corazza pesante e puntando gli occhi scuri sulla figura della bambina << A cosa devo l’onore della vostra visita? >>
La principessa lo fissò ancora più sorpresa e curiosa. << Chi sei? >>
<< Capitano Andrej Breda, per servirvi. >>
<< Shh! >> fece lei, poggiando l’indice sulle labbra << Se i maestri ti sentono, mi troveranno, e poi mi riportano nella sala dei compiti, e io non voio. >>
<< Vostro padre desidera che voi abbiate un’istruzione >> disse Andrej, alzandosi in piedi e infilandosi dei guanti in cuoio << dovreste tenere a cuore il suo desiderio. >>
<< Ma uffi! >> sbottò lei << Faccio sempre le stesse cose, e tutti mi dicono sempre le stesse cose! Mi annoio. Vollei poter giocare! >>
<< Ognuno ha i suoi doveri, piccolo drago >> tagliò corto il capitano, dirigendosi verso il campo degli arcieri senza un’altra parola.
Le passò accanto, portando mano ad un arco lungo di legno di tasso, tendendone piano la corda ricavata da strisce di canapa per assicurarsi che reggesse.
Lada lo fissò, incuriosita, e affrettandosi a seguirlo. Lo osservò estrarre una freccia dalla faretra, per poi gettare uno sguardo indietro a tutte le armi.
<< Ma tutte queste cose che sono? >>
<< Armi >> le rispose l’uomo incoccando la freccia e sollevando l’arma, la corda tesa fino alla guancia << Servono a proteggere vostro padre… e voi. >>
E così dicendo scagliò la freccia: l’asta in frassino fischiò nell’aria e centrò il bersaglio in pieno, facendolo tremare.
<< Wooow! >> esclamò Lada, sinceramente colpita << Come hai fatto? Posso farlo anch’io? >>
<< Facciamo così >> propose Andrej sghignazzando << Se riuscite a togliere la freccia dal bersaglio, eviterò di chiamare i vostri maestri e vi farò provare. >>
La piccola lo fissò attentamente, assottigliando lo sguardo. Dovette decidere che la proposta le piaceva, perché zampettò immediatamente verso il grande cerchio e acchiappò l’asta con i piccoli palmi.
Tirò con tutte le sue forze, puntando i piedini per terra, ma la freccia non si mosse di un millimetro. La lasciò e si costrinse a riprendere fiato, poi provò di nuovo, emettendo piccoli ringhi mentre riprendeva a tirare e tirare ancora: alla fine l’asta un frassino si spezzò con un sonoro schiocco e lei cadde a terra, sbattendo sulle natiche e liberando un urletto.
Andrej ridacchiò, avvicinandosi a sua volta e strinse la parte restante nella mano destra, poggiando la sinistra al bersaglio e la estrasse con un forte strattone.
<< Non solo non l’avete liberata, ma l’avete rotta. Ora dovete pagare. >>
<< Non vale! >> protestò lei << Tu sei gande e io sono piccola! >>
<< E allora? La vita non fa differenza, mocciosa. Ora, per ripagare della freccia che ho perso, mi luciderai la spada. >>
Lada si imbronciò sonoramente lanciandogli un’occhiataccia, e ci rimase di stucco quando lui non si lasciò affatto intimorire da essa ma anzi mantenne l’espressione rigida e imperiosa.
<< Ogni azione comporta una conseguenza >> decretò l’uomo, severo << E nessuno dà mai nulla per nulla. Non c’è persona al mondo che può mai opporsi a questa verità, nemmeno una principessa come voi. >>
Sbuffando sconfitta e contrariata, la bambina lo seguì, e tuttavia quando vide la spada, la rabbia e il disappunto svanirono e gli occhi le si illuminarono.
<< È tutta tua!? >>
<< L’ho comprata risparmiando sei mesi di paga quando ero solo una recluta >> annuì lui, per poi mostrarle una bacinella con una spugna ferrosa, l’aceto e la sabbia.
Le mostrò come sfregare la lama con la sabbia, come togliere le incrostazioni con la spugna ferrosa, come renderla lucida con l’aceto. Le fece vedere una cote e il fodero, le spiegò come stringerla in mano, come sfoderarla e altresì, come rendere il fodero morbido all’interno e duro all’estero.
La piccola lo ascoltò attentamente come mai aveva fatto in vita sua con gli altri precettori, e finita la spiegazione volle subito provare a strofinare: sperava davvero di poterla provare e ripetere i suoi movimenti, ma dopo aver strofinato un po’ sentì le mani dolere. Le fissò stranita e un po’ contrariata vedendole rosse e pulsanti.
<< Perché sono diventate così, uffa? Così non ci riesco! >>
<< Le vostre sono le mani di una principessa. Non sono abituate a lavori così estenuanti e impegnativi come queste. Inoltre, non siete stata attenta, avete dato per scontato di poterci riuscire con le vostre sole forze >> disse, mostrandole i guanti, che pure si erano rovinati << La cosa migliore è indossare guanti in cotta di maglia, così è più facile lavorare la sabbia e l’aceto. >>
<< E poi si può tenere in mano? >>
<< Niente è facile a questo mondo, men che meno l’arte della spada. Bisogna evitare che il pomo >> indicò la sferra ferrata che stava all'altra estremità dell’immanicatura << sbatta contro l’avambraccio, o si è morti ancor prima di iniziare. Venite, ve lo mostrerò. >>
Si tirò su, muovendosi verso un feticcio in paglia, seguito dalla bambina, che retrocesse di un passo sotto suo ordine. Dopodiché, Andrej sollevò la spada, stringendo il pomo con la mano sinistra e sferrò un fendente dall’alto, in diagonale.
La paglia e il cuoio si squarciarono lì dove la lama colpì e in un'esplosione di trucioli, il palo si spezzò, facendo cadere metà del feticcio a terra.
<< Questo era un buon colpo. >>
Lada osservò il tutto con fare affascinato e interessato, poi guardò Andrej a lungo, sentendosi per la prima volta molto insicura. Si tormentò le mani e si fissò le scarpette, prima di trovare il coraggio di fissarlo negli occhi con i propri occhioni.
<< Mi puoi imparare? >>
<< No >> rispose il cavaliere, in tono gentile ma fermo e un sorriso paziente << Non sono cose da bambina, le armi. >>
<< Cherpé no? >>
<< Perché siete una principessa. >>
<< E cherpé se sono principessa non posso imparare le armi? >>
<< Perché se vi ferite, vostro padre mi fa decapitare. >>
<< Se succede non lo dico a nessuno! >> ribatté lei << E poi mio papà non ci sta quasi mai. E quando c’è, l’unica cosa che mi sa dire è che devo fare la brava ed essere brava. Non mi lascia mai fare niente che mi piace! E questo che fai tu mi piace tanto, voio impararlo. >>
<< Le armi non sono un gioco né un passatempo divertente, piccolo drago. Così come non lo è essere un guerriero, o un cavaliere. Non potete capire… >>
<< Be’, allora imparamelo tu! >> esclamò la bambina << Così capisco! >>
Il cavaliere tacque per qualche istante. Si sedette sulla panca, poggiando la lama sulle ginocchia, poi sollevò lo sguardo su di lei.
<< Nessuno dà nulla per nulla >> dichiarò, con aria solenne.
<< Lo hai già detto… >> sbuffò la piccola.
<< Per questo motivo, faremo un patto: voi vi impegnate nello studio, ogni giorno e con costanza, e qualora il tempo restante risultasse bastante, potreste recarvi presso l’arena e io sarei, in quel caso, ben felice di insegnarvi a mia volta. >>
Lada socchiuse le palpebre, come a riflettere. Non la faceva impazzire la prospettiva di studiare, certo, ma il fatto che in cambio potesse avere la possibilità di imparare ad usare quelle armi era molto allettante.
<< Va bene, farò tutte e due le cose! >> esclamò, e poi, colta da un’ispirazione infantile, aggiunse: << E se divento molto bava in tutte e due le cose, quando sarò gande ci sposeremo e diventeremo re e regina! >>
<< Questo sarà vostro padre a stabilirlo >> protestò Andrej, ridacchiando e tirandosi su << Non osate imbrogliare, mocciosa, farò modo di sapere se avete svolto le lezioni con impegno. >>
<< Io non dico le bugie! >> protestò la principessa << Le pomesse le mantengo io. >>
<< Allora adesso andate a chiedere scusa ai suoi precettori e tornate qui, domani, SOLO quando saranno loro a decretare la fine della lezione. >>
Lada mugugnò sonoramente, per nulla contenta, ma in fondo aveva promesso e aveva intenzione di proseguire fino in fondo.
<< Babbene. Affare fatto, Andrej! Ci vediamo domani! E gazie. >>
La principessa gli si attaccò alla vita lasciandogli un abbraccio, dopodiché si affrettò ad allontanarsi a passi svelti e zampettanti, sorreggendo l'orlo della gonna nelle mani.
Mantenne la parola. Pur di potersi recare da Andrej quasi giorni a determinati orari, si dedicò con una certa frenesia ai propri studi e doveri regali, e ben presto, crescendo, si era resa conto di quanto avesse sempre sottovalutato tutto: dopotutto, lei era l’erede di Vlad II, un giorno sarebbe divenuta regina e sulle sue spalle avrebbe gravato la responsabilità e la guida del popolo di Valacchia.
Senza Andrej, Lada non sarebbe mai riuscita a maturare e non avrebbe messo la testa a posto: il capitano non si limitava ad insegnarle l’arte del combattimento, ma le offriva insegnamenti dettati dalla sua esperienza sul campo di battaglia, di cui la ragazza faceva tesoro. Si vedeva che, a differenza dei suoi maestri, era davvero appassionato e deciso in quello che le trasmetteva: si comportò da mentore e quasi come un secondo padre, con lei.
Quasi.
In fondo al cuore, la principessa desiderava semplicemente un padre che le desse attenzioni e affetto, che la valorizzasse, cosa che finora non aveva mai fatto. E sebbene l’avesse trovato in Andrej, voleva di più: voleva tutto questo dal suo vero padre, dal sangue del suo sangue.
L’amore e la riconoscenza di Vlad era un traguardo che inseguiva senza sosta. Desiderava per sé la sua considerazione e il suo riconoscimento: voleva fargli vedere quanto fosse diventata brava e capace, fargli capire che di quel passo sarebbe diventata la degna erede al trono, che l’avrebbe reso orgoglioso e felice risollevando la loro terra dalla miseria. Tutto con le sue sole forze e il suo impegno.
Era convinta che, continuando ad impegnarsi, sarebbe arrivato il giorno che avrebbe cambiato la sua vita, perché Vlad si sarebbe finalmente accorto di lei e del suo valore. Una volta dimostratogli quanto valesse, era certa che il padre l’avrebbe guardata con più orgoglio e con più amore di quanto le avesse mai dimostrato finora.
Si sbagliava. Era ancora molto ingenua, ma fu a solo sedici anni che capì quanto i propri sforzi per farsi riconoscere da suo padre fossero stati inutili.
Quando il valletto le annunciò che suo padre desiderava vederla, Lada era impegnata nella sua stanza a studiare. Senza nessuna esitazione, posò i volumi e prese i lembi del prezioso abito tra le dita per incamminarsi verso il corridoio e raggiungere l’ufficio in cui Vlad II si trovava e in cui trascorreva gran parte del tempo che passava alla reggia, quando non si trovava altrove.
La principessa bussò cordialmente, e al segnale di assenso entrò, rivolgendo una reverenza rispettosa.
<< Sono qui, padre. >>
Il voivoda si trovava seduto dietro la scrivania: il farsetto in cuoio, diviso in due quadranti, recava l’emblema del drago della loro casata sulla destra e quello della fenice della Cina, sulla sinistra, debolmente illuminato dalla candela sulla scrivania.
Lada sollevò lo sguardo a fissarlo per qualche istante, poi chinò appena il capo, in attesa.
Vlad non le rispose subito: aveva l’aria molto provata e stanca. Il viso era solcato da profonde occhiate, i capelli in disordine; il ripiano in noce sul quale teneva poggiati i gomiti era un insieme caotico di pergamene, punte di penne d'oca e macchie d’inchiostro.
Non sollevò lo sguardo, le fece solo cenno di avvicinarsi. La figlia obbedì e si avvicinò al bordo della scrivania, intrecciando le dita in grembo, non potendo fare a meno di lanciargli un’occhiata preoccupata. Cercò tuttavia di restare composta.
<< Volevate vedermi? >>
<< Sì >> le rispose secco, levando lo sguardo dai suoi scritti e lanciandole un’occhiata penetrante << Sei fedele alla tua terra? >>
Lada rimase per qualche istante interdetta da quella dichiarazione, ma poi si raddrizzò assumendo un’espressione fiera e altera.
<< Certo, padre >> affermò << la tua terra è anche la mia, e come tale io le sono fedele. >>
<< Allora capirai che spesso siamo costretti a compiere scelte... difficili, per il bene della Valacchia >> ribatté il voivoda, unendo i polpastrelli sotto al mento.
La principessa annuì, strofinando le dita intrecciate sui dorsi della mano con un certo nervosismo.
<< È per questo che mi sto impegnando molto, padre >> disse, con involontario trasporto, ma quella era in assoluta la prima volta in cui discuteva col padre di qualcosa di così importante come la loro politica e, soprattutto, la prima volta in cui ne parlava faccia a faccia come in quel momento.
Soprattutto, l’emozione di parlare di nuovo con lui dopo mesi di assenza – per non dire periodi anche più lunghi, rotti solo da misere, rare visite rigide e prive di brillanti conversazioni – era tanta.
 << Io voglio renderti orgoglioso... voglio fare tutto il possibile. >>
<< Allora capirai perché è necessario… che tu vada in sposa al principe della Cina. >>
Naturalmente, adesso la ragazza era perfettamente cosciente della situazione che vigeva nel proprio paese. Sapeva qual era il ruolo più specifico che la società si aspettava dalle nobildonne come lei: il matrimonio, la cura della famiglia e in alcuni casi l’eredità familiare.
Sapeva bene di avere ormai sedici anni, di essere perfettamente in età da marito. Non le erano così oscuri i motivi di un matrimonio combinato tra lei, primogenita valacca, e il primogenito dell’Impero Cinese. Ne capiva la necessità e la logica.
Eppure… quelle parole la colpirono come un pugno secco. Non era ciò a cui aspirava, quando pensava a come mostrare il proprio valore a suo padre, non era ciò per cui si era duramente addestrata e impegnata.
<< Padre, io... >> mormorò con fare svelto e concitato, maledicendo il tremito nella propria voce, ma non poté impedirselo, le parole le uscirono di bocca in fretta, senza alcuna riflessione a misurarle << Io vi chiedo di ripensarci. Vi prego. Sono sedici anni che mi impegno nei miei studi e mi addestro perfino con la lama. L’ho fatto per voi! Sono diventata abbastanza forte per poter essere degna di voi e del trono. Se andassi in sposa a Shen Feng, come potrei dimostrarvelo? Lasciate che vi aiuti, permettetemi di affiancarvi nelle vostre mansioni, di…! >>
<< Basta! >>
Vlad la interruppe aspramente colpendo la scrivania col pugno chiuso. Si tirò su e alzò il braccio, colpendola con uno schiaffo: Lada sentì l’urto ancora prima di avvertire il dolore incendiarle la guancia e farle piegare la testa di lato, insozzandola di dolore, umiliazione, vergogna, sbigottimento e sconvolgimento, con il quale poi fissò il padre.
<< Avevo ordinato a Andrej di smetterla con quelle miserabili lezioni, ma a quanto pare lui mi ha disubbidito... vuol dire che comprenderai quanto possano essere gravi le conseguenze delle decisioni sbagliate. Ora scegli, stupida ragazza: la testa di Andrej su una picca o il tuo matrimonio. >>
Lada sgranò gli occhi, incredula. Non riusciva davvero a concepirlo. Suo padre era disposto ad uccidere Andrej, uno dei suoi capitani migliori, un uomo saggio e buono, pur di costringerla a sposarsi!? La ricattava piuttosto che darle una chance di dimostrargli chi era, piuttosto che lasciarle dimostrare che poteva cavarsela da sola!?
Strinse i pugni, sentendo lo sdegno e la rabbia montare per dall’umiliazione e al pensiero di quella proposta che riteneva meschina e miserabile.
<< Farò la tua volontà, padre, mi sposerò >> disse sforzando di mantenere un tono pacato e di restare lucida << ma ti supplico, lascia Andrej fuori da tutto questo. >>
Ricevette un altro colpo al viso, che la costrinse a cercare di recuperare l’equilibrio per evitare di cadere. Quando sollevò di nuovo lo sguardo, Vlad le dava le spalle, e si era avvicinato alla parete opposta alla scrivania, dove torreggiava una mappa della Valacchia scolpita nella stessa pietra.
<< Mi limiterò a disonorarlo e a confiscargli le terre, privandolo del suo titolo. Ora va’ a darti una sistemata, ragazzina, domattina partirai con la scorta per la Cina… e vedi di soddisfarlo, quel principe, ne va della tua terra e del mio futuro. Sparisci dalla mia vista. >>
La principessa rimase per qualche istante immobile a fissarlo, scossa da fremiti di indignazione, disgusto e rammarico: voleva replicare, urlargli contro tutto il proprio disprezzo, insultarlo malamente e riempirlo di pugni.
Invece tacque, si voltò e uscì dall’ufficio, curandosi tuttavia di sbattere la porta il più forte possibile, desiderando senza tante cerimonie che l’urto potesse essere talmente forte da generare crepe talmente profonde da far crollare l’intera stanza sul voivoda. Ma naturalmente non accadde nulla.
Si incamminò verso la propria stanza a passi svelti e rapidi, incurante dei piedi che pestavano malamente gli orli della gonna rischiando di farla inciampare. A un tratto ne strappò i lembi con uno scatto secco, stizzita, e li abbandonò malamente lì sul pavimento, senza alcun remore.
Una volta arrivata, si chiuse la porta alle spalle e si lasciò crollare seduta lì davanti, rannicchiandosi. Gli occhi e la gola le bruciavano da impazzire, s’illudeva che in quella posizione avrebbero smesso, che in questo modo nessuna schifosa lacrima o miserabile singhiozzo sarebbe fuoriuscito dal suo corpo.
Come aveva potuto essere così ingenua? Così stolta? Aveva davvero speso gran parte dell’adolescenza ad apprendere insegnamenti solo per compiacere un uomo del genere? Come le era venuto in mente? Come poteva Vlad fare questo ad Andrej!? Come poteva farle questo?
Si portò le mani al volto. No, era troppo facile rovesciare la colpa su Vlad. La verità era che la colpa era stata solo ed esclusivamente propria. LEI aveva inseguito per anni quel sogno, aveva desiderato sacrificarsi per un uomo che nemmeno conosceva, che non l’aveva mai e poi mai considerata neanche per un istante, tranne per qualcosa di così sminuente come una mera merce di scambio e di potere.
Sapeva che la vita di quelle come lei girava attorno a questo, lo sapeva benissimo… e ciononostante era chiaro, non riusciva a sopportarlo. Non accettava che ci fosse solo questo per lei.
Si era illusa che potesse andare diversamente, che suo padre fosse diverso. Come aveva potuto essere tanto ingenua? Eppure… ci aveva creduto davvero, perché Andrej Breda l’aveva incoraggiata, l’aveva fatta sentire speciale, forte…
Stupida. Stupida ragazzina! Come aveva potuto non dare ad Andrej la considerazione che meritava? Perché per anni aveva perso tempo a rincorrere Vlad quando aveva già al suo fianco il padre che meritava? Stupida! Stupida! Adesso per colpa sua Breda avrebbe perso tutto!
Ma lei… lei non sapeva che Vlad avesse ordinato ad Andrej di smetterla di darle lezioni. Santo cielo, perché invece Andrej aveva continuato? Perché non aveva obbedito!?
Ebbe la sua risposta la sera stessa, quando, in lacrime, era giunta nell’armeria a raccontare ogni cosa a Breda, ben sapendo che di lì a domani non l’avrebbe probabilmente mai più rivisto.
<< Perché questo era il nostro patto, e tu l’hai rispettato fino alla fine. Quale disonore avrei recato a me stesso, non facendo lo stesso? >>
<< Ma hai rischiato tanto per me, e adesso perderai tutto! È colpa mia, non dovevo aprire bocca! >>
<< Non potevi sapere. >>
<< Dovevo stare zitta lo stesso! Perché non hai obbedito a mio padre, perché non mi hai lasciato perdere e basta? Sono una donna, non avrei dovuto imparare niente di tutto questo! >>
<< Hai dimostrato che il tuo non era il capriccio di una mocciosa. Mi hai dimostrato di valere, impegnandoti, indipendentemente dal tuo sesso. Certo hai faticato più di un uomo a causa della tua costituzione, ma non ti sei mai arresa. Nonostante i dolori, ti sei ostinata ad imparare. Sia le armi che i tuoi studi. E che cos’hai capito? >>
<< Che... potevo farcela. >>
<< Esatto. Era questo che volevo che imparassi. >>
<< Perché lo hai fatto? Perché tutto questo? >>
<< Perché ti voglio bene, piccolo drago. >>
Parole che non avrebbe mai dimenticato, e che l’avrebbero accompagnata ogni istante nel suo viaggio verso la Cina, assieme al ricordo dell’uomo che l’aveva amata come un padre pur non essendo il suo vero padre.
 


Terra, Impero Cinese, Capitale Gongmen – Molti anni prima dello Scisma
 
Si racconta che le radici della famiglia Feng ebbero luogo da una donna albina di stirpe reale.
La figlia dell’imperatore di molti secoli fa, Huang Feng, si travestì da uomo e andò in guerra contro gli Unni al posto del fratello malato, rischiando la propria vita e il proprio onore.
Poiché il suo intento era nobile e giusto, con lei si schierarono gli dèi, che le mandarono in aiuto la Fenice, il sacro uccello simbolo del fuoco del sole, che le diede la sua protezione, e fu così che la principessa vinse la battaglia e fece della magica creatura il proprio simbolo e stendardo. E quando rivelò a tutti la propria identità, per la prima volta dopo secoli ci fu tanta ammirazione e rispetto per una donna.
E così quand’ella si sposò e diede alla luce dei figli maschi, furono loro a succedere al trono e a prendere il titolo di Feng, soppiantando il simbolo imperiale maschile del Drago. Ed era ancora così da molte generazioni.  Peccato che una leggenda che rappresenti l’eccezione alla regola non garantisce che la società sia in grado di vedere con occhi non maligni le categorie che ha stigmatizzato.
Agli occhi dei suoi genitori, Lord Shen era sempre apparso come un mostro. In realtà, nel suo caso, almeno all’inizio, lui era semplicemente… diverso. Albino, a voler essere precisi, proprio come la sua antenata Huang Feng. Una parola innocente all’apparenza, dal semplice significato di “bianco”… ma che per lui rappresentava la sua condanna.
Per quanto il bianco, nel suo paese, fosse il simbolo della purezza e dell’innocenza, era anche il colore associato ai funerali e dunque, nello specifico, alla morte. Se poi ad esso si aggiungevano due occhi color del sangue, generati per via della totale assenza di melanina, indice della sua anomalia, non si stupiva della paura e del timore che era in grado di suscitare.
“Ha il colore della morte, ha il colore del sangue, non è un bambino normale, è demoniaco. E poi è troppo debole, troppo gracile. Un giorno di questi ci creperà davanti, e almeno avremo una bocca in meno da sfamare.”
Sì, erano affermazioni amorevoli, quelle che i suoi genitori avevano rivolto nei suoi confronti alla sua nascita. Di solito, quelli come lui, se commettevano la disgrazia di nascere, venivano uccisi, magari gettati in pasto alle belve, o comunque abbandonati a loro stessi. Dopotutto, nessuno voleva come erede un essere maledetto, debole e malaticcio qual era considerato un individuo albino.
Quale vergogna sarebbe stata per l’imperatore della Cina, Xiao Feng, avere un erede tanto miserabile? Non c’era alcun dubbio che egli volesse dare al primogenito ciò che spetta ai deboli: soccombere e morire.
Eppure… qualcuno si oppose. Qualcuno disse all’imperatore che non poteva gettare al vento un erede così, l’unico e solo figlio nato da una gravidanza portata a termine dopo numerosi, estenuanti tentativi. Non poteva permettersi il lusso di versare del sangue reale, anche se nato così sporco. Quel bambino aveva già prosciugato a dovere la vita dell’imperatrice, e provare ancora sarebbe stato per lei rischioso.
<< Datelo a me, mio signore. Io spezzerò la sua maledizione. Gli dèi mi siano testimoni, qui e adesso: il principe ereditario diverrà il più forte di tutti i guerrieri. Io trasformerò la sua debolezza in forza, estirperò il suo germe malvagio e lo renderò degno della vostra casata. Io, Maestro Rino Tuonante, giuro sugli dèi e sull’impero che renderò il principe Shen Feng il migliore tra tutti, dovessi consumare la mia vita in questo. >>
Così parlò il Gran Maestro della città di Gongmen, Rino Tuonante, figlio del leggendario Rino Volante, uccisore dei diecimila serpenti della Valle del Dolore.
E mantenne la parola. Addestrò il principino sin dalla più tenera età, quando giudicò avesse forza sufficiente per reggere in mano un’arma. Gli fece sputare sangue, sudore e lacrime, e non fu mai tenero: sapeva che era l’unico modo per temprarlo e renderlo davvero forte, o gli sarebbe spettata solo la morte.
Shen arrivò a comprenderlo perfettamente, a rispettare e, sotto sotto, a volere bene al suo maestro, per ciò che aveva proposto per lui e per quello che stava facendo per lui. Perciò non poteva fare altro che impegnarsi con frenesia, incurante dei lividi che collezionava. Niente al mondo per lui era più importante nel dimostrare di non essere affatto debole, di valere qualcosa, di essere un degno futuro imperatore.
Come Lada. Ma lui era un uomo. Per questo, ahimè, al contrario di lei, gli era stata concessa in pieno la chance di farsi valere agli occhi del padre. E tuttavia la meritò comunque: divenne davvero il più forte, il migliore tra i guerrieri e tra i principi, nonostante la sua condizione di albino.
Ma esattamente come Lada con Vlad… non ottenne soddisfazione dalla fama e dal prestigio acquisito, perché ben presto capì che i suoi risultati non sarebbero mai stati abbastanza per Xiao Feng: quest’ultimo l’avrebbe sempre guardato come il suo primogenito uscito male, che sì, aveva dimostrato qualcosa, ma proprio per questo mai avrebbe dovuto neanche una sola volta vacillare, fallire e deluderlo, altrimenti avrebbe macchiato l’onore della casata Feng.
<< E sia, Maestro Tuonante >> disse Xiao Feng << ti concederò questa possibilità. Tu lo addestrerai duramente, più di qualunque guerriero prima di lui. Ma fino ad allora… chiuderemo le porte delle sue stanze. Avrà con sé guardie e domestici ad osservarlo sempre, e limiteremo i suoi contatti con il mondo esterno. Che il popolo non debba mai vedere il suo futuro imperatore rischiare di deperire! Che non veda e non dica che il mio seme è stato maledetto! Non finché non mi dimostrerà, grazie a te, che può vincere il suo germe. >>
Se c’era un periodo della propria infanzia che Shen ricordava di estrema sofferenza, oltre agli allenamenti con Rino Tuonante… era la reclusione. Non la sopportava, maledizione. Era la cosa peggiore che avrebbe potuto augurare a qualcuno.
Ore e ore, rinchiuso nella sua stanza, obbligato a studiare, senza mai poter uscire fuori all’aria aperta, se non accompagnato da guardie, per l’assurdo timore che potesse sentirsi male da un momento all’altro, che potesse crepare sul colpo! E anche uscendo, doveva avere abiti lunghi addosso che lo nascondessero, e non importava a nessuno se fuori c’era un caldo asfissiante! Tutto per il terrore che qualcuno potesse vederlo in volto e rendersi conto che era un albino, che era maledetto, che il Sole l’avrebbe bruciato perché era una creatura di male!
Dèi santi, credeva di poter soffocare tra le dannate pareti della sua camera. E di impazzire, soprattutto. Anzi, forse era già impazzito. Quasi preferiva gli schiaffi e le percosse con la verga per aver osato allontanarsi senza permesso, o per aver detto una parola di troppo. Perché le pareti non lo inghiottivano? Perché non lo facevano sparire?
“Fatemi uscire, fatemi uscire, FATEMI USCIRE!”
No. Non così! C’era troppo caldo. Le guardie stavano troppo vicine, serrate. Non riusciva a respirare, si sentiva svenire, ma non poteva permetterselo, se l’avesse fatto avrebbero capito che era debole, non gli avrebbero più permesso di uscire…
Perché il sole non lo uccideva direttamente? Perché non lo uccidevano le maledette guardie, perché non smettevano di alitargli sul collo? Perché non capivano che aveva bisogno d’aria!?
Così sarebbe morto… morto come forse speravano i suoi amatissimi genitori… morto come la guardia…
Oh, aveva ucciso una delle guardie. Aveva usato il fermaglio con cui intrecciava i capelli. Gliel’aveva conficcato nella gola in un gesto fulmineo.
Perché ci sono urla? Perché ci sono grida di orrore? Perché esce tutto quel sangue?
“SANGUE!”
Ma qual è il problema, madre e padre? Non volevate vedere qualcuno crepare? Non volevate il sangue?
Oh, volevate che il vostro mostro se ne stesse al guinzaglio? Eccovi serviti, madre e padre!
“Che mi temano. Che mi rinchiudano quanto vogliono, che mi affianchino altre guardie, tanto sarà sulla loro coscienza il loro sangue. Provateci pure a pensare di buttarmi via, dopo il prestigio che vi porterò grazie al mio addestramento, madre e padre. Vedremo chi la spunterà.”
Sì… nessuno poteva uscire sano di mente, da un ambiente oppressivo come quello. Un atto del genere alla sua età non lasciò dubbi a Rino Tonante sull’insanità che l’allievo aveva sviluppato. Sapendo di non poterlo frenare abbandonando tutto, pena la sua morte, poté solo aggiungere al suo insegnamento quello di incanalare la sua furia e mediarla.
Alla fine, suo malgrado Xiao Feng accettò di diminuire le scorte che stavano incollate a suo figlio, che dal canto suo acquisì un atteggiamento impeccabile da principe retto e obbediente quale si aspettava la società, e smise di compiere atti del genere, perché sapeva come tenere a bada la bestia assetata di sangue…
Quando Xiao Feng gli annunciò che la principessa di Valacchia, Ladislav Dragwlya, sarebbe giunta in visita a Gongmen e che probabilmente vi si sarebbe trattenuta a lungo, Shen capì subito l’antifona: il voivoda Vlad II sperava di rifilargli la figlia come pretendente alla sua mano.
<< E tu che ne pensi, padre? Devo accettare? >> chiese, sospirando rassegnato come chi fa quella domanda per dovere e perché in realtà non ha nessuna vera voce in capitolo.
<< Sai bene che il regno di Valacchia è quasi completamente nostro subordinato. Questo potrebbe garantirci il suo dominio totale… ma dall’altro lato, tu non sposerai la prima morta di fame che passa e che mendica la nostra pietà, figlio mio. È troppo evidente che quello spocchioso di Vlad spera di risollevarsi. Il tuo compito, al momento, sarà quello di accoglierla e di trascorrere con lei più tempo possibile in modo da tenerla buona, se l’offerta di Vlad si dimostrerà più che valida e fornirà vantaggio anche a noi. Ma questo sarò io a stabilirlo. >>
<< Quanti anni ha la principessa? >>
<< Sedici. >>
Due in meno di lui, che a quel tempo aveva raggiunto la maggiore età. Non che alla fine fosse poi così rilevante, avrebbe dovuto avere a che fare con lei a prescindere, ma almeno ringraziava di non doversi ripugnare qualora fosse stata più vecchia di lui o troppo giovane. Chissà se lei era un’altra di quelle oche starnazzanti, frivole, blande e superficiali.
Dal canto suo, anche Lada aveva basse aspettative ed era profondamente orientata verso l’ostilità più totale. Era lieta che il suo probabile futuro sposo – ancora non riusciva a pensare quelle parole senza ribollire – non fosse un vecchio bavoso e decrepito, ma dall’altra immaginava di trovarsi davanti un altro ragazzino arrogante, borioso, egocentrico e pronto a comandarla a destra e a manca. Chissà quanto doveva essere montato, con tutta quella fama che lo circondava.
Il corteo valacco si raccolse nel giardino della capitale Gongmen. Ad attenderlo, come da ordini, v’era il principe cinese con la sua abituale scorta. Fu quando la carrozza si fermò e il portello fu aperto da un valletto che finalmente i due primogeniti si videro per la prima volta.
Ladislav aveva occhi di un marrone molto chiaro al punto che la luce pareva divertirsi a giocare con esso facendolo apparire scarlatto, conferendole uno sguardo incredibilmente intenso. I lunghi, morbidi capelli le arrivavano fin quasi alle natiche ed erano di un lucido corvino creante un forte contrasto con l’incarnato liscio e pallido. L’albino pensò che la sua bellezza potesse essere paragonabile a una rosa canina rossa: un fiore selvatico, dall’aspetto semplice, dolce, non regale quanto quello di una comune rosa, eppure, proprio grazie a questo e al colore appariscente, riusciva a colpire nell’immediato.
Lo sguardo della principessa era perfettamente impassibile, volto a celare ciascuna delle emozioni negative che covava in corpo… ma parve illuminarsi di sorpresa alla vista di Shen Feng.
Era… completamente bianco, salvo gli occhi e le rifiniture d’argento del suo kimono, tanto da manifestarlesi quasi come una visione eterea e luminosa. Aveva il viso talmente candido, con lineamenti morbidi e dolci, da sembrare levigato, e il color sangue degli occhi faceva apparire le iridi due rubini. Folti capelli bianchi, lisci e corti si raccoglievano in ordinate punte sulla base di un collo delicato da cigno.
Non era definibile come un vero e proprio colpo di fulmine il loro, semplicemente erano due adolescenti che riconoscevano di avere davanti un coetaneo avvenente che incontrava i loro gusti fisici. Avevano ancora la convinzione che la prima impressione benevola sarebbe presto finita ai porci.
Ma si sbagliavano. Scoprirono ben presto di non trovare affatto spiacevole la reciproca compagnia, di trovarsi davvero bene insieme. Questo fece di loro i più improbabili degli amici e degli alleati.
Ebbero modo di passare molto tempo insieme: per le strade di Gongmen, per i giardini del palazzo reale, per i balconi del palazzo reale… e nella sala degli allenamenti.
<< Da questa parte >> la invitò Shen.
Lada seguì rapida il principe mentre si avventurava nell’ala inferiore del castello, trattenendo a stento l’emozione e l’impazienza che sentiva in corpo e si manifestava in un vistoso sorriso sul suo volto.
L’albino raggiunse infine il portone di un’ala e lo spalancò, rivelando quello che era a tutti gli effetti un dojo… solo che la principessa non poteva conoscerlo, perché non ne aveva mai visto uno. Si guardò intorno, sorpresa e affascinata dall’aspetto piuttosto semplice che recava.
<< Quindi… è in questo posto che ti alleni? >>
<< Sì. È di tuo gradimento? >> domandò il principe, in tono calmo e gentile.
<< È... non saprei definirlo. Diverso, da quello che mi aspettavo. Anche se d’altronde qui è tutto diverso rispetto a casa mia. Mi affascina. >>
Shen sorrise. << Si chiama dojo. >>
<< “Luogo dove si segue la via” >> tradusse la principessa, ammirata.
<< Esatto. È qui che Rino Tuonante mi insegna, la maggior parte delle volte, almeno. Molto più spesso mi porta in viaggio, ad affinare la mente e il corpo sulle montagne per sfidare il freddo e la fauna selvaggia o su una spiaggia, ad affrontare perfino le onde marine. Ma è qui che ho imparato le basi del combattimento. >>
<< Mi affascina sempre anche quello che mi racconti, anche se immagino debba essere veramente dura... >>
<< Agli inizi lo era eccome, ma adesso è diverso. Il mio maestro è sempre vicino a me, e mi rende ogni giorno più forte, sempre di più. Qualcuno potrebbe definire i suoi metodi estremi... ma per me, sono il mezzo ideale per diventare forte, il più forte. Più di chiunque altro. E sono a buon punto. Ormai, non considero più duro l’allenamento, lo vedo più... come uno scopo. Una missione. >>
A quelle parole, la ragazza sentì una sgradevole stretta allo stomaco, un deja vu di estremo rammarico e malinconia.
<< Per renderti degno di tuo padre e del tuo nome? >>
<< No, molto di più. >> Shen alzò lo sguardo in alto << Per diventare degno di me stesso. Per dimostrare a mio padre, e al mondo intero, che non sono affatto debole. Malattia? Germe? Sciocchezze! Tutte sciocchezze! Gli umani hanno la forza di poter plasmare da soli se stessi e il loro destino, questo è ciò che mi ha insegnato Rino Tuonante. Secondo il fato, io sarei dovuto morire fanciullo, stroncato dalla mia stessa condizione fisica, eppure sono ancora qui in piedi. Sono ancora qui, in piedi, a combattere giorno dopo giorno. Io non voglio diventare degno di mio padre... io voglio diventare meglio di mio padre! >>
Abbassò lo sguardo verso di lei, e la guardò dritta negli occhi in modo che le sue iridi scarlatte penetrassero dentro la sua anima.
<< Ma per farlo devo ancora lavorare sodo... >> sollevò la mano, stringendo le dita una ad una congiungendole in un pugno << io ho bisogno di più potere. >>
Lada ricambiò il suo sguardo senza alcuna esitazione o timore. Rimase a lungo in silenzio per qualche istante, e l’albino poté intuire dai suoi occhi che stava riflettendo profondamente su qualcosa che, a giudicare dallo sguardo, la tormentava da molto tempo, e che ora di fronte a lui si sentiva illuminata. La vide allungare i palmi a stringergli il pugno.
<< Anch’io una volta avevo qualcuno che mi ha detto che è proprio lavorando sodo che possiamo farcela, indipendentemente da quello che siamo o meno. La tua ambizione ti fa onore. Un giorno... io desidero poterti eguagliare. Poter brillare come te, quando trionferai. >>
<< Allora ne avrai di strada da fare, Lada >> replicò l’albino, rilassando il pugno a stringere le sue mani, pur storcendo le labbra in un ghigno strafottente. << Perché io diventerò il più forte. >>
<< Farò tutto ciò che è necessario >> sentenziò la principessa, ricambiando con un sorriso sicuro << Preferisco fare tanta strada per il bene di me stessa, per dimostrare a ME che non sono debole, piuttosto che per qualcuno che mi vede solo come una merce per ripristinare il proprio potere. >>
<< E io ti auguro ogni bene per la tua strada, poiché condivido anch’io obiettivi come i tuoi >> affermò l’altro, in un sorriso di assenso << Sai, ho viaggiato perfino in Europa, in Norvegia, dove il maestro mi ha addestrato a sopravvivere nell’ambiente selvaggio e ho avuto modo di apprenderne la storia passata. Lo sapevi che i norreni, volgarmente detti vichinghi, avevano una loro casta di donne guerriere? Le chiamavano skjaldmaer, o shieldmaiden. Queste donne sceglievano volontariamente di servire la loro patria e compiacere gli dèi per bearsi delle glorie del Valhalla, e per questo si addestravano insieme agli uomini, ed essi accettavano tutto ciò con onore. Non importava che fossero contadine o figlie di jarl, se volevano dimostrare il loro valore... potevano farlo. Tu assomigli ad una di loro, sai? È vero, i vichinghi erano barbari, ma sapevano portare rispetto per chiunque lo dimostrasse: donna, vecchio, contadino... chiunque fosse degno poteva ambire addirittura a diventare jarl. Niente a che vedere con la mia e la tua cultura, basata su un sistema patriarcale e dinastico. Ho sempre trovato questa cosa affascinante, e ora che ti sento parlare... mi viene da associarti a loro, a queste guerriere benedette dal dio Thor. Ti ci riesci a immaginare pure tu? >>
Gli occhi della ragazza brillarono di stupore e di entusiasmo. Un caldo sorriso le incurvò le labbra.
<< Decisamente sì. Io... non te l’ho raccontato prima perché avevo paura fossi il solito principino odioso e che probabilmente avresti gridato allo scandalo, ma... mi sono addestrata anch’io. >>
Così gli raccontò di Andrej, di ciò che le aveva insegnato, di come avesse preso sul serio il proprio ruolo di principessa, di come avesse fatto tutto per compiacere suo padre… e come lui non le avesse dato alcuna possibilità, relegandola al solo mero compito di sposare lui, Shen, a suon di schiaffi e con un ricatto.
Le labbra dell’albino si contorsero in un ringhio stizzito. << Sapevo già che tuo padre ti ha spedita qui perché spera che io accetti di sposarti e che tu mi convinci a farlo. >>
<< Non ne dubitavo. Sei molto intelligente. >>
<< Ma che si fosse comportato in maniera così vile per obbligarti… è inammissibile. Ritengo invece ammirevole che tu sia sempre stata sincera. Non hai mai cercato di mostrarti piacente come ti aveva imposto... >>
<< All’inizio l’ho fatto come un irrazionale iniziale gesto di ribellione >> confessò la giovane << Ha fatto del male a Breda, e il fatto che volesse usarmi per questo matrimonio mi ha fatto sentire demotivata e sfruttata. Non volevo e non riuscivo ad accettarlo. Poi ti ho conosciuto meglio, e ho capito che con te sono semplicemente davvero libera di essere me stessa, anche se significa disobbedire a mio padre… >>
<< Non avere alcun riguardo per quello stolto. Il sistema di coloro che non sanno vedere, che non sanno giudicare il valore di una persona... è destinato a fallire. Noi possiamo coalizzarci, ottenere ciò che ci spetta e che abbiamo sempre desiderato insieme. Tu ed io... sento che potremmo fare grandi cose. >>
<< È una proposta che sarei disposta ad accettare >> affermò Lada << Ma il problema è realizzarla. Ora non ho più il mio maestro... e non ho qualcuno disposto a seguire me piuttosto che mio padre. E la mia terra è talmente oppressa dalla Cina, e così piena di criminalità... c’è così tanto che dovrei fare, e da sola non posso... >>
<< Ti addestrerò io >> sentenziò Shen << Lo farò, qui, in questo dojo quando nessuno guarda. Qui forgeremo insieme la tua potenza. Ti consentirò di accedere ai miei studi, ti indirizzerò verso i soldati valacchi che abitano la mia terra. Li convincerò a seguirti… >>
<< Non occorre >> intervenne la principessa << Puoi insegnarmi a combattere, ma al resto dovrò pensarci da sola. Sarà mio compito convincerli, sarà mio compito studiare. >>
<< Molto responsabile, Dragwlya. >>
<< Questo è un accordo >> osservò Lada, inarcando un sopracciglio << Di solito, quando si stipulano accordi, ci si stringe la mano. >>
Tese la destra davanti a sé e lo fissò, in attesa.
<< Speravo in qualcosa di più... appariscente, ma per ora mi accontento. Chissà che in futuro... >> commentò il principe, in un ghigno.
La sua voce era stranamente morbida e calda, in quel momento. I suoi occhi facevano trapelare un doppio fine, non per forza disonesto, ma era chiaro che qualcosa di malizioso e insinuante c’era. Lada sentì un piacevole tepore agguantarle le guance.
<< Abbiamo un accordo? >>
Shen sorrise, ed entrambi si strinsero vigorosamente la mano.
<< Partiamo bene, hai la stretta di una vera shieldmaiden >> commentò l’albino << Di questo passo potresti addirittura compiacere il dio Thor, come nelle leggende. Ma d’altra parte sono solo leggende >> concluse in una punta ironica.
<< E chi lo sa. D’altronde, un tempo, prima che Dio arrivasse nelle mie terre, avevamo una religione molto simile a quella dei norreni… peccato sia stata soppiantata >> sospirò la principessa, per poi guardarlo con gli occhi che brillavano << Quando cominciamo? >>
Lada era rimasta profondamente colpita e ammaliata dalle dichiarazioni del principe, dalla determinazione carismatica con cui erano state esposte. A ben pensarci, la situazione di lei e Shen era simile: entrambi erano malvisti agli occhi della società per ciò che erano, entrambi avevano cercato di mostrare il proprio valore ai loro padri, di essere riconosciuti…
No, c’era una differenza sostanziale, e la principessa l’aveva vista chiaramente, attraverso lo sguardo rubino del giovane quando aveva affermato di volere più potere: Shen era profondamente determinato ad andare avanti fino in fondo. Lei, invece… da quando era giunta a Gongmen, almeno per quanto riguarda i propri obiettivi, si era sentita spaesata: aveva perso la grinta e il desiderio di rivalsa, perché il rifiuto totale di Vlad l’aveva segnata e l’aveva demotivata. Per ribellione interiore non si era nemmeno sprecata a cercare di fare come le aveva ordinato, ovvero cercare di sedurre Shen, di convincerlo a sposarla.
Vedendosi riflessa negli occhi del principe… aveva provato disgusto per se stessa. Davvero era infantile fino a quel punto? Davvero voleva gettare all’aria il suo ruolo di principessa per un tale capriccio, solo perché il papino non le aveva dato le giuste attenzioni? Davvero voleva mollare tutto così? Come se non sapesse da sé in quali condizioni era la sua terra e il suo popolo, per colpa della Cina! Quanto valeva come principessa se finora non aveva fatto altro che preoccuparsi unicamente di fare colpo con suo padre? Niente, ecco la verità.
Suo padre l’aveva mandata lì nella flebile speranza di rinnovare il proprio prestigio, di stipulare un accordo commerciale, ma un matrimonio tra lei e Shen non era che la sottomissione ufficiale dello schiavo che bazzicava i resti del suo padrone. E Vlad non si era fatto avanti ufficialmente nel proporla come sposa, perché sapeva di non averne l’autorità: il suo era un temporeggiare per cercare di radunare un’offerta sufficiente a sancire quel matrimonio. Ma la Valacchia non si sarebbe mai risollevata fintanto che i cinesi avessero tenuti agguantati i suoi artigli su di essa, e Lada aveva visto con i propri occhi quanto la criminalità e la povertà dilagasse nel suo paese.
Da un certo punto di vista, capiva la scelta di Vlad di spedirla lì… ma ormai le era chiaro che quell’uomo non pensava affatto al proprio paese, altrimenti non si sarebbe mai privato di un capitano come Andrej Breda e non avrebbe affatto rifiutato l’aiuto che lei gli aveva offerto.
Ed era forse paradossale che le parole di Shen, le parole del figlio di colui che succhiava l’energia alla sua terra, avessero generato in lei un punto di vista che prima d’ora non aveva mai considerato: quale senso aveva cercare di dimostrarsi degni di qualcuno, se prima non si era neanche degni di sé stessi? Che degna principessa era se non si interessava nemmeno alla propria terra, se non pensava a salvarla e aiutarla perché questo era suo dovere, e non perché voleva compiacere qualcuno? E soprattutto, se lei era così convinta delle proprie capacità… perché lasciarsi frenare da qualcuno che neppure l’aveva valorizzata?
Se si fosse impegnata, avrebbe potuto farcela. Avrebbe potuto trovare un modo di soppiantare suo padre, di prendere la Valacchia per sé e governarla, impegnandosi per rinnovarla e facendosi riconoscere dai propri cittadini. E grazie a Shen, adesso aveva la prova che poteva farcela, di avere un alleato in questo: avrebbero dovuto attendere a lungo, ma un giorno lui sarebbe divenuto imperatore, e avrebbe potuto riconsegnarle il regno. E lei, in attesa di quel giorno, si sarebbe preparata per essere degna di ottenere ciò che le spettava.
E così divennero amici ed alleati. E come spesso accade, ben presto la loro amicizia divenne qualcosa di molto più intenso e profondo: un’allegoria, che gli eredi del Drago e della Fenice, il simbolo coniugale cinese per definizione, sebbene insolitamente di sesso invertito… infine iniziassero a provare le gioie, i timori e l’ebbrezza dell’amore.
 


Un anno dopo…
 
L’intera Cina era in subbuglio per prepararsi ad accogliere il Capodanno lunare, o Festa di Primavera.
Dai suoi studi e dai racconti di Shen, Lada sapeva che era la festa tradizionale più importante dell’anno, paragonabile alle festività natalizie dei paesi occidentali. Il momento dell’anno in cui le famiglie si riunivano per il tradizionale cenone, si facevano offerte per le divinità e per gli antenati e cui ci si propiziava la fortuna e la buona sorte che sarebbe arrivata con il nuovo anno. I cinesi ritenevano che un buon inizio avrebbe portato fortuna durante il corso dell’anno.
I tre giorni più importanti erano la vigilia, il primo giorno dell’anno e la Festa delle Lanterne. Nei primi due, le famiglie si riunivano e si faceva visita ai parenti. A causa di questo, Lada fu lasciata a palazzo per ordine di Xiao Feng, che riteneva inappropriato portarsi dietro qualcuno al di fuori della famiglia, come aveva sottolineato velenosamente. Perciò lei rimase a palazzo, mentre Shen, suo malgrado, si recava in visita ai pochi altri membri rimanenti della famiglia Feng assieme ai propri genitori.
Segretamente, la principessa fece in modo di congedare i servi affibbiatile perché si recassero dalle loro famiglie in quei giorni per loro così speciali, e aveva convinto anche i soldati con cui stava stringendo amicizia a tornare alle loro case senza preoccuparsi di doverle fare compagnia. Non voleva togliere la possibilità di festeggiare a nessuno, e tra sé e sé pensava che avrebbe tanto voluto festeggiare quella tradizione familiare con Andrej, scusarsi e dirgli quanto gli aveva voluto bene, che era stato un padre più di Vlad e che gli era grata per questo. Chissà quale sorte gli era toccata, chissà se era ancora vivo… la speranza che lo fosse era l’unica cosa che non la faceva demordere nelle sue ricerche.
Shen tornò da lei per la Festa delle Lanterne, l’ultimo giorno del periodo di festa, e fece in modo di rendere quel giorno il più bello della sua vita, portandola a fare un giro per la città e a cenare insieme con ravioli, pesce e il dolce tipico di quella festa, le palline di riso.
A Gongmen erano organizzati eventi come fiere del tempio, spettacoli e danze tradizionali. Ogni strada, casa o palazzo in cui si celebrava il Capodanno era decorato di rosso, colore principale della festività e simbolo di buon auspicio. Lanterne rosse, decorazioni augurali per le porte di casa e per le vetrine dei locali pubblici, frasi di buon auspicio su carta rossa… c’era proprio di tutto.
Anche il principe albino, per l’occasione, sfoggiava un semplice kimono rosso dai ricami argentati, e ne aveva fatto dono di uno alla propria compagna ricco di motivi floreali. Aggrappata al suo braccio, sorridente e raggiante di gioia, Lada osservava quell’atmosfera festosa e ciò di cui era composta.
Le strade erano piene zeppe di persone, bancarelle ai lati della strada con cibi, bevande e oggetti, carri che giravano, ma sopratutto di lanterne appese lungo tutte le strade delle città e all’esterno di case e negozi di tutte le forme e colori.
Dopo aver mangiato e girato a lungo, tenendosi per mano, entrambi privi di vergogna o preoccupazione alcuna, il principe la condusse nuovamente a palazzo, ma non perché riteneva terminata la festa.
La accompagnò nelle sue stanze e spalancò la grande finestra orizzontale provvista di un balconcino e la invitò a sporgersi: allora la principessa rimase completamente incantata.
Da quella posizione era possibile vedere l’intera città completamente illuminata dalle lanterne e dai grandi, esplosivi fuochi d’artificio che scoppiavano nel cielo notturno riempiendolo di bagliori colorati.
Non c’erano parole per descrivere la meraviglia e lo stupore nello sguardo della principessa.
<< Shen, è… meraviglioso >> boccheggiò, estasiata.
L’albino le si portò di fianco, regalandole il sorriso splendente che tanto amava. << Volevo che avessi la vista migliore… che potessi goderti tutto la bellezza della nostra tradizione al completo, anche se in un solo giorno. Con il nuovo anno che inizia… questo giorno di felicità dev’essere per te portatore di solo splendore. >>
Lada lo abbracciò e gli si accoccolò sul petto, stringendogli le dita delle mani fra le proprie. << Vorrei potesse essere lo stesso anche per te. >>
<< Lo sarà. >> Shen le prese delicatamente il viso tra le dita, perché potessero guardarsi dritti negli occhi e avere i volti vicini. << Finché sarai qui con me. Voglio dirtelo adesso, e concretizzarlo con l’arrivo dell’anno nuovo… ti amo, Lada. >>
La ragazza arrossì e sentì gli occhi farsi lucidi. Non poté impedirselo. Erano entrambi perfettamente consapevoli del reciproco sentimento che li univa, perfettamente in grado di capirsi a vicenda, ma sentirselo dire nel concreto era tutt’altra cosa. Rendeva tutto ancora più meraviglioso.
Agli inizi l’amore era un qualcosa di totalmente estraneo per entrambi. Lada conosceva al massimo certe frasi sdolcinate ascoltate dalle mocciose del suo rango, qualcosa come “Gli opposti si attraggono”, e racconti di storie d’amore sospirate e idealizzate, talmente zuccherose da farle venire voglia di vomitare.
Quello di cui si era autoconvinta, ignorando queste sciocchezze e semplicemente stando al fianco di Shen, è che se una persona ti faceva sentire bene, l’avrebbe fatto per sempre, anche se diversa da te o simile in alcuni ambiti. In un certo senso, era come sentirsi completati senza necessariamente aver avuto prima una sensazione di mancanza.
La principessa gli poggiò le braccia attorno al collo e lo fissò dritto negli occhi per rispondergli con coraggio, lealtà e sincerità.
<< Ti amo anch’io, Shen. >>
Forse fu quel momento che aveva qualcosa di magico, forse furono le stelle luminose e rumorose che esplodevano nel cielo, forse fu la completa concretizzazione di ciò che erano ormai diventati... si baciarono. Si baciarono finché non ebbero più fiato in gola e finché le loro lingue non dolsero, e poi ripresero da capo.
Un bacio diverso da quelli che di solito si davano, un bacio che non voleva più finire, perché non voleva essere altro che un inconscio preliminare, un assenso per i loro corpi e le loro menti. Agirono entrambi guidati dall’istinto, quasi senza nessuna esitazione.
Incatenati nel bacio, Lada gli si avvinghiò addosso con slancio, stringendogli le cosce attorno ai fianchi e circondandogli il collo con le braccia: lui l’accolse in braccio, la sollevò senza sforzo e la portò dentro la camera, adagiandola dolcemente sul letto, sotto di lui.
Fu la cosa più naturale del mondo baciarsi, e baciarsi ancora, liberarsi degli abiti per avvolgersi solo delle lenzuola, cercando l’uno il contatto con la pelle, stretti e allacciati come due metà della stessa cosa.
Non avevano mai pensato ad una cosa simile, ma alla fine non erano più ragazzini, non erano più solo amici, si amavano più che mai, e insieme a questo si sentivano anche pronti.
<< Sei sicura? >> le sussurrò Shen all’orecchio, sdraiato nudo sopra di lei, i palmi che le cingevano e accarezzavano i fianchi.
Si sentiva sciocco e infantile, eppure non aveva potuto fare a meno di porre quella domanda. Per la prima volta nella sua vita aveva davvero timore che la compagna non volesse andare avanti fino in fondo in una cosa così importante.
Lada lo sentì a malapena, tra il battito accelerato del proprio cuore e il martellare del sangue nelle tempie. Ogni muscolo era teso e pronto, non aspettava altro che accoglierlo. Erano già uniti sotto tanti aspetti: quello sarebbe stato in qualche modo il coronamento del loro rapporto.
Annuì, allungando a propria volta i palmi a stringere i fianchi di lui.
<< Mai stata più sicura. >>
Shen le baciò le labbra, sollevandosi appena sopra il suo corpo. Era la prima volta per tutti e due: non sapeva come muoversi, né era sicuro di cosa fare, e in un certo senso aveva paura di come sarebbe potuta andare a finire. Ma forse… non doveva pensare, era quello il punto. Doveva lasciarsi andare del tutto all’istinto e alle pulsazioni. E si lasciò andare.
Sarebbe piuttosto irriverente descrivere ciò che successe quella notte in ogni dettaglio, ma sarebbe delizioso poter dire ciò che davvero accadde tra di loro: si amarono, percorsero ogni centimetro delle loro pelli e intimità, godendo l’uno dell’altro nel fondersi in una cosa sola.
E dopo quel momento, ne vennero molti altri, realizzati in incontri segreti, notturni, silenziosi… incontrollati. Sapevano di rischiare molto, sapevano che se fossero stati scoperti lo scandalo sarebbe stato eclatante e l’ira di Xiao Feng si sarebbe abbattuta su entrambi… ma l’ebbrezza della passione cancellava tutto dalla loro mente.
Ma ben presto, Shen si rese conto che qualcosa non andava. Sapeva bene quanto avevano rischiato non proteggendo i loro rapporti, ma non era questo a stranirlo.
Non c’erano mai stati... incidenti. Lada si faceva controllare regolarmente da un medico di fiducia al suo soldo... e non aveva mai anche solo una volta avuto un ritardo, o dovuto abortire. L’albino si era chiesto come fosse possibile. Poi... un presentimento si era fatto strada nella mente. Un presentimento dato… da quello che si dice su quelli come lui, gli albini…
Volle cercare conferma dal suo medico, e la risposta l’aveva distrutto emotivamente.
Non poteva avere eredi.
Scoprirlo l’aveva scioccato, disgustato, oltraggiato. Ma più di tutto a farlo stare male, a spaventarlo… era l’idea che Lada, a scoprirlo, avrebbe potuto reagire male. E c’era anche l’altra faccia della medaglia: se Xiao l’avesse scoperto, l’avrebbe ricoperto di onta. Tutto ciò che aveva costruito non sarebbe valso più a nulla.
Naturalmente, Lada non era ingenua. Aveva capito subito, dal comportamento del compagno, che c’era qualcosa che non andava. Era da un paio di settimane che lo percepiva assente, da quando avevano fatto l’amore l’ultima volta. Era stato in bagno diverse volte e non l’aveva mai lasciata entrare. Un giorno era partito, così, di punto in bianco, per quello che le aveva detto essere un importante viaggio che doveva assolutamente fare da solo e l’aveva pregata di restare perché nessuno sospettasse dei loro rapporti intimi.
La ragazza aveva addirittura cominciato a pensare di essere lei il problema, di aver sbagliato qualcosa l’ultima volta e che era questo il motivo per cui non voleva più toccarla. Di solito loro si dicevano tutto, si confidavano sempre tutto… ma quella situazione aveva iniziato a farla impazzire. Decise che l’avrebbe affrontato a testa alta, una volta che il compagno fosse tornato da quel misterioso viaggio.
Sembrava letteralmente più bianco del solito, svuotato di energia… dovette addirittura sostenerlo, perché fu scosso più di una volta da dei violenti conati di vomito. Alla fine, tuttavia, riuscì a convincerlo a confessarsi, a parlarle… e venne così a scoprire dell’arcano.
<< Secondo quello che mi è stato detto... ho contratto un’infezione senza sintomi >> spiegò Shen, ripetendole ciò che aveva scoperto dal medico << Il mio corpo è forte, è stato temprato in ogni angolo... tranne... tranne lì. Gli anticorpi non sono stati capaci di frenarla, erano troppo deboli... quando mi sono fatto vedere, era ormai a uno stadio avanzato. Sono partito per cercare dei rimedi naturali, ma... ma li rigetto. Li ho rigettati tutti… perfino lungo la strada… e ora anche qui… >>
Lada gli prese il volto tra le mani per guardarlo dritto negli occhi. << Posso ben capire cosa stai passando, e che tu possa sentirti “un uomo a metà”. La nostra società è crudele, ruota tutta intorno a questo. Ma come hai potuto pensare che questo per me avesse davvero importanza? Con te io mi sento libera, non sono ansiosa e pressata dall’avere figli: forse in futuro potrei desiderarlo, ma il fatto che io non possa averli con te non mi fa sentire male. Sono stati il tuo silenzio e la tua indifferenza a causarmi dolore. Personalmente ritengo che trattare in questo modo la propria donna sia un comportamento da “uomo a metà”. >>
<< Io... ho avuto paura. Ho avuto timore di trasmetterti qualcosa, di condannarti come sono stato condannato io… >>
<< Avresti dovuto dirmelo proprio per questo. Siamo stati stolti entrambi a non proteggerci… ma a quanto pare, nulla di tutto questo è sessualmente trasmissibile. Allora non ascoltare certe sciocchezze o dicerie. >>
L’albino sospirò, passandosi una mano sulla fronte. << Hai ragione. Ma è tutto così... tossico. Per tutta la vita sono stato cresciuto con l’idea di essere maledetto, debole, gracile... sarei morto già nella culla se Rino Tuonante non avesse interceduto per me. E adesso mi scopro sterile, come molti pensano che siamo. E gli dèi solo sanno cosa mi salverebbe dalla forca se mio padre sapesse… >>
<< Ti basterà semplicemente non dirglielo. Ma se ti comporti così, gli darai solo ragione di sospettare. >>
<< Hai ragione, non posso continuare così... tanto è inutile, l’infezione mi ha segnato a vita. I rimedi non possono fare niente... >>
<< Se il problema è l’erede per tenere buono tuo padre, potrai sempre optare per l’adozione. Gli dirai che hai adottato un giovane in quanto dotato di intelletto e forza sufficienti per ereditare un impero. Ma, Shen… non farmi mai più una cosa del genere. Mai. Non mancare mai alla nostra fiducia reciproca. Noi siamo il Drago e la Fenice… dovremo rimanere uniti, quando ci riprenderemo ciò che ci spetta. >>
Shen annuì, e allungò il viso a baciarla dolcemente, stringendola a sé.
<< Te lo prometto. >>

 
Quattro anni dopo
 

Shen era rinchiuso nella sua stanza, fuori, sul balconcino, a fissare la città in lontananza. Un abitudine che col tempo avrebbe preso, specialmente quando era impegnato a riflettere o a realizzare pensieri inquieti. Rimuginava su quanto aveva appena fatto, e se ne compiaceva fino in fondo.
Quel giorno, Lada non era con lui al castello. Ufficialmente, era in visita per il Paese accompagnata da una scorta di soldati valacchi che servivano l’impero cinese perché offerti come tributo annuale da Vlad II.
Solo il principe era a conoscenza del legame di fiducia che ella aveva instaurato con loro, e sapeva che in quel frangente la stavano supportando e accompagnando nel suo cercare consensi e alleanze per accrescere potere e influenza onde ottenere meritevolmente il trono di Valacchia. E anche che probabilmente ci avrebbe messo parecchio a tornare a Gongmen, come nelle ultime settimane. Probabilmente avrebbe anche fatto un salto per i territori di Valacchia.
Da qualche tempo, l’albino aveva iniziato irrazionalmente a divenire più irrequieto, impaziente e irascibile, soprattutto per via della pressione di Xiao Feng. L’imperatore voleva a tutti i costi che trovasse un pretesto per allontanare la principessa valacca dal palazzo: si era trattenuta anche troppo per i suoi gusti, e secondo la modesta opinione dell’imperatore non c’era più alcuna utilità nell’essere ospitali con lei, dal momento che aveva deciso che l’offerta del matrimonio non era valida. Finché non aveva scoperto che, stando agli ultimi rapporti riportati, Vlad II era stato colpito dalla febbre, ed era più che certo che non sarebbe sopravvissuto a lungo. E così l’imperatore aveva cambiato idea: la principessa andava uccisa facendolo sembrare un incidente, così da permettere alla Cina di vantare il controllo indiscusso sull’intera Valacchia.
Ma Shen aveva in mente altri piani, che si erano confermati nella sua mente una volta scoperta l’inevitabile condanna naturale di Vlad. Se egli fosse morto, la figlia avrebbe ereditato il trono, e se Shen l’avesse sposata, avrebbe ottenuto anche il dominio e la sottomissione sulla Valacchia, una volta divenuto imperatore. Avrebbe avuto sia l’amore sia tutto il potere che a lungo aveva bramato.
Il matrimonio non sarebbe stato affatto difficoltoso, dopotutto lui amava Lada, e lei lo ricambiava. A quel punto c’era solo l’ostacolo dei suoi genitori ancora in vita e al comando, seduti entrambi a scaldare i troni. Quei miserabili andavano tolti di mezzo, non c’era alcun dubbio, e una volta per tutte.
Non che il pensiero non l’avesse mai sfiorato. Lo aveva sempre bramato, sin da quando era un moccioso scapestrato incapace di controllare la propria furia sanguinaria che LORO avevano plasmato, con la loro intolleranza, il loro disprezzo, la reclusione e gli abusi fisici e verbali che gli avevano inflitto. Ma si era sempre trattenuto per dovere nei confronti di Rino Tuonante e perché sapeva benissimo che quell’azione non gli avrebbe affatto giovato, nei suoi primi tempi di allenamento. Senza contare che non era una cosa realizzabile tanto facilmente, figuriamoci, almeno non senza essere scoperto e giustiziato.
Ma adesso era più che mai necessario trovare il modo, prima che Xiao Feng provvedesse personalmente a fare in modo di uccidere Lada, mandando all’aria tutti i suoi piani e punendolo personalmente per non essersene occupato di persona. No, lui e quella maledetta della moglie non gli avrebbero messo le mani addosso. Mai più. Non gli avrebbero ancora una volta soffiato il potere che gli spettava. E di certo non avrebbe permesso che gli portassero via Lada.
Fu così che Shen conobbe il Maestro.
Si presentò nelle sue stanze pochi giorni dopo che aveva cominciato a maturare quei pensieri, affermando di essere la soluzione a tutti i suoi problemi.
Inizialmente, Shen fu piuttosto restio ad accettare le parole di quel bizzarro sconosciuto, ma dopo aver assistito di persona ad una manifestazione dei suoi incredibili poteri, decise di accettare il suo aiuto.
Fu proprio il Signore del Tempo a fornirgli un espediente rapido ed efficace per portare avanti le sue trame, naturalmente in cambio della sua lealtà e di divenire portatore del suo vessillo, una volta divenuto imperatore.
Il veleno. Semplice da insinuare semplicemente versandolo in bevande, cibi e abiti, specialmente se si aggiungeva una piccola ma rilevante corruzione da parte dei servi e degli assaggiatori di corte.
La boccetta fornitagli era trasparente e conteneva un liquido di un verde fosforescente. Il Maestro l’aveva battezzato “Avada Kedavra in polvere” e aveva detto essere l’invenzione di un amico: un concentrato distillato da un’antica maledizione della morte capace di uccidere senza lasciare il minimo segno fisico.
Un vero peccato per lo spettacolo conseguente, però: Shen aveva sperato di osservare i propri genitori contorcersi dal dolore, di annaspare in cerca d’aria agonizzando lentamente. Invece era stato tutto incredibilmente secco e rapido: dopo la dose, fornita da un bicchiere di vino, erano semplicemente stramazzati a terra senza più vita. Peccato.
In ogni caso, il risultato era stato eccellente. In tale modo, nessuno riuscì mai a scoprire quale fu la causa della morte dei coniugi Feng, e soprattutto, nessuno riuscì mai a scoprire il colpevole, né fu mai realizzata un’indagine accurata.
Mentre scrutava l’orizzonte, l’albino vide galoppare sulla strada maestra conducente verso il suo castello la carrozza recante il simbolo di Valacchia: Lada si accingeva a tornare da lui in quel momento perfetto, ora che ogni altro ostacolo era finalmente stato tolto di mezzo.
Si recò immediatamente fuori, rapido e lesto, per aspettarla. Ella lo vide dal sentiero e fece fermare la carrozza innanzi al cancello, unicamente per scendere e corrergli incontro.
<< Shen! >>
Il principe l’accolse fra le braccia, la baciò con trasporto e la tenne stretta a sé per i fianchi, lasciando che si poggiasse sul suo petto mentre le accarezzava i capelli e la schiena.
<< Lada… >> sussurrò il nome di lei in un fremito << grazie al cielo stai bene… >>
La principessa sollevò lo sguardo, confusa. << È tutto a posto? È successo qualcosa? >>
<< Vieni con me, mia adorata. Ho molto di cui raccontarti. >>
La condusse nella sala del trono, dove un regale seggio torreggiava sulla parete centrali, vuoto. Interamente ricoperto di seta del colore dell’oro e del cielo, spiccava alla vista per il meraviglioso schienale dalla forma della ruota di un pavone, l’animale considerato incarnazione terrena della Fenice.
L’albino ci si avvicinò senza alcun indugio, sotto lo sguardo di Lada che rimaneva a fissarlo sulla distanza, meravigliata.
<< Questo è… >>
<< Il trono di mio padre. >>
Shen vi si sedette in un gesto fluido, poggiando i palmi su entrambi i bracciali, accarezzandone la seta con bramosia misurata.
<< L’imperatore e la sua imperatrice sono passati a miglior vita. E questo solo pochi giorni prima del tuo ritorno. >>
<< Sul serio!? >> La ragazza spalancò le palpebre. << Com’è successo? >>
<< Non ha importanza >> tagliò corto Shen << Ciò che conta è quello che comporta. La mia incoronazione è prossima: entro la fine del mese, sarò il nuovo imperatore della Cina. >>
A quelle parole, la perplessità e il sospetto di fronte a quel secco cambio discorso riguardo la morte dei coniugi svanirono, forse un po’ troppo in fretta, ma d’altronde Lada non vi era per nulla affezionata e come Shen, non aveva occhi che per le possibilità che le si spalancavano per merito della loro dipartita.
<< Questa è… una fortuna! >> esclamò << Un’incredibile fortuna! >>
<< E non lo è solo questo >> replicò in accordo il principe << Come sicuramente avrai avuto modo di scoprire dal tuo viaggio, anche quel debole di Vlad è deceduto. >>
Lada annuì. Aveva avuto modo di sapere della sua febbre e di come infine l’aveva vinto. Naturalmente non aveva versato nemmeno una lacrima e non aver provato nemmeno un po’ di dispiacere: l’aveva rinnegato molto tempo fa, ormai. Quello che l’aveva davvero intristita era scoprire della sorte di Andrej, che aveva sperato di rincontrare e di convincere ad unirsi alla sua causa: Vlad l’aveva rinchiuso nelle segrete dopo la partenza della figlia dalla Valacchia e dopo qualche tempo, le terribili privazioni cui era stato costretto l’avevano portato alla morte.
<< Mi dispiace molto, mi narrasti quanto quell’uomo fosse importante per te e più rilevante di quanto fu quel verme di tuo padre. Ma non dovresti lasciare che questo ti intristisca. Questo è un glorioso giorno. >>
<< È vero… >> mormorò la principessa << Adesso il trono di Valacchia è completamente vacante. >>
Shen scese dal trono per andarle nuovamente incontro e stringerle le mani fra le proprie. << Sono molto fiero di te. Adesso… lascia che io ti ricompensi per i tuoi sforzi. >>
<< Ma non puoi, dobbiamo aspettare >> obiettò lei << prima tu devi diventare imperatore, solo dopo potrai nominarmi regina, e restituirmi… >>
<< I troni non sono l’unico modo per stringere alleanze. >>
<< Che vuoi dire? >>
Shen la prese per il mento e le sollevò il viso per farsi guardare. << Sposami, Lada. È la soluzione perfetta. >>
La principessa spalancò le palpebre, completamente colta di sorpresa. Sentì gli occhi farsi lucidi e le guance divenire rosse come ciliegie, il cuore in subbuglio. Aveva ben imparato a non provare più nessuna vergogna o disgusto nel sentirsi simile a molte delle sue coetanee che sognavano e fantasticavano sul principe azzurro e sul matrimonio che ne sarebbe conseguito. Cosa c’era di male, dopotutto? Nel suo caso, non c’era nulla di idealizzato: erano un principe ed una principessa ed erano innamorati, e sposarsi non poteva che essere il coronamento del profondo rapporto che avevano costruito. Sarebbe stata ben felice di accettare.
Ma sapeva che, oltre all’amore di Shen, c’era altro che desiderava. E che quella proposta complicava le cose.
Abbassò gli occhi e si morse le labbra. << Shen, io… non posso. >>
<< Perché no!? Ti voglio al mio fianco, a regnare con me sul mio impero! >>
<< Non voglio avere niente a che fare con l’Impero Cinese. >>
<< Perché dici così? Non sei felice, qui? Non vuoi essere felice con me? >>
<< Certo che lo voglio! >> rispose la ragazza, di slancio. Prese un respiro profondo e infine gli confessò ciò che realmente pensava: << Ma non posso tollerare cosa il tuo impero fa al mio popolo, come il mio regno viene privato della sua linfa vitale e come la feccia criminale dilaga indisturbata senza una figura forte al comando. >>
<< Se suggelliamo la nostra unione, io potrò rinnovarla. >>
<< Lascia che me ne occupi io, lascia che sia io a riportarla al prestigio indipendentemente. È tutto quello che desidero. >>
<< Non hai l’autorità per farlo, è sotto i miei vessilli. >>
<< Allora rinuncia al vessillo! Nominami voivoda e regina. Sai che ne sono capace, sai che sono nella linea di successione e che mi spetta. Inviami con i miei uomini, garantiscimi l’appoggio dell’impero, dimostra a tutti che sei favorevole a me ritirando da essa il tuo stendardo. >>
<< Non ti accetteranno mai. >>
<< Li convincerò! Gli dimostrerò che sono degna! È ciò per cui mi sono preparata da una vita intera. >>
<< E se fallissi? Se progettassero di ucciderti e di mettere qualcun altro sul trono per rimpiazzarti!? >>
<< I rischi si corrono sempre, al governo, da che mondo e mondo. È mia responsabilità accettare anche questa possibilità. So bene da me che non è un gioco, è un rischio che devo correre. >>
<< Ma io non intendo correrlo! Non permetterò che ti accada niente, non se posso evitarlo! >>
<< Non hai fiducia in me e nella mie capacità!? >>
<< A che ti serve la Valacchia, quando puoi avere me e la nomina di imperatrice di entrambi i regni? Ti rendi conto a cosa rinunci? >>
<< Non sto affatto rinunciando! Io voglio sposarti, ma se lo facessi adesso, sarai tu a contare agli occhi di tutti, sarà a te che andrà qualunque merito, e io non sarò altro che la tua moglie trofeo e il mezzo per cui il mio regno sarà schiacciato sotto il tuo tallone. Tu hai fatto qualsiasi cosa per essere degno del tuo popolo, per supportarlo! Perché io non dovrei essere disposta a fare lo stesso? Rinnoverò la Valacchia, la porterò al prestigio di un tempo, e poi suggellerò l’alleanza sposandoti. Avremo entrambi quello che vogliamo, saremo entrambi pari! >>
<< Ti sbagli. Te l’ho detto molto tempo fa >> replicò l’albino, serio << io intendo diventare il più forte. E per questo ho bisogno di più potere. Di tutto il potere che posso racimolare! Anche il tuo. >>
<< Shen! >>
<< Non lo capisci, Lada? Il potere controlla tutto, e senza forza, non puoi proteggere niente. Nemmeno te stesso. >>
<< Cosa dici, io… io non ho alcuna intenzione di minacciarti col potere che acquisirei dalla Valacchia! >>
<< Oh, certo che no, Lada. Quello che intendo è che sono io ad avere il potere dei due, adesso. Perciò sono io che posso ottenere tutto quello che voglio. >>
<< Mi vuoi costringere!? Mi vuoi costringere come voleva costringermi mio padre!? >>
<< Nient’affatto >> ribatté il principe << ti lascerò del tempo per pensare alla mia offerta. Alla fine converrai con me che è il mezzo più rapido e veloce per accontentare entrambi. >>
<< Non credo a quel che sento… tu desideravi essere diverso dai nostri padri! Non puoi fare questo. Ti prego, ripensa alla mia idea, è la cosa migliore per entrambi… >>
<< La cosa migliore per entrambi è sposarci adesso! Se prendi il dominio sulla Valacchia, non avrò alcun potere per proteggerti se cercheranno di ucciderti, o peggio, io non potrò oppormi dall’uccidere te! Quando scopriranno che sei al comando, non avranno pietà: il mio popolo vorrà certamente la tua testa, e mi costringerà a tornare al punto di partenza, stavolta con maniere più forti. >>
<< Tu sei l’imperatore, non il servo della gleba! Dovrai guidare il tuo popolo, non accontentarlo nei suoi capricci! >>
<< Proprio tu vuoi parlarmi di capricci!? Mi chiedi di ridarti il tuo regno… hai solo pensato che cosa questo significhi? Quale impressioni farò? Come sarò guardato? Come un debole che ha restituito qualcosa che non poteva controllare! Io non posso permetterlo… e non lo permetterò. Mai. >>
Non ci sarebbe mai stata alcuna soluzione a quel conflitto. Anche se avevano modi diversi di esprimerlo, stavano entrambi dimostrando il proprio egoismo, il proprio orgoglio profondo e il proprio complesso di inferiorità. Shen era più diretto in questo, più esplicito: si era montato la testa, ma Lada non era da meno, era solo più controllata, più inconscia. Avevano entrambi una paura intrinseca di essere vulnerabili, ed era stato il modo in cui erano stati cresciuti, seppur diverso, a far sviluppare loro questa paura.
La loro educazione, per quanto diversa, aveva un punto, il becero sessismo della loro società: da lei, donna, ci si aspettava che fosse più fragile, le era stato indotto ad essere più tranquilla, remissiva, ma non significava che fosse incapace di provare desiderio di rivalsa sfociante nella negatività, perché sin da bambina aveva avuto chiaro di non voler essere come quello che la gente si aspettava: vulnerabile. E da lui, un uomo, sebbene vissuto in una condizione di isolamento, ci si aspettava che fosse forte, e questo implicava anche essere più libero di esprimere le proprie emozioni, più privo di limiti e la possibilità di dimostrarsi forte non gli era mai stata preclusa, anche perché DOVEVA farlo: mostrarsi vulnerabile equivaleva a compromettersi.
Ed ecco che quella grande tanto quanto inconscia paura di essere vulnerabili influenzava il loro rapporto d’amore. Avevano disperatamente bisogno entrambi di mostrarsi più forti, dominanti… perfino a spese del loro rapporto d’amore. Erano uguali… e non giustificabili fino alla fine.
Anche se Shen aveva proposto la ragionevole soluzione del matrimonio, quello a cui pensava realmente era il dominio indiscusso sulla Valacchia che avrebbe concretizzato da esso; e anche se Lada aveva dichiarato di voler accettare il matrimonio, voleva a tutti i costi liberare la propria terra dall’assoggettamento. C’era egoismo da entrambi i lati, una menzogna collettiva. 
La vera, giusta soluzione, la vera parità, sarebbe stato sposarsi, adesso… e suddividere insieme i meriti sul governo che avrebbero costruito. Sposarsi e governare in maniera paritaria sia nei fatti che nelle parole, mostrando così ad entrambi i regni la forza equa di entrambi i loro sovrani.
Amarsi e stare bene in una relazione significava anche riuscire ad essere vulnerabili l’uno con l’altra, accettare dei compromessi, e l’unico modo per fare un passo in avanti, verso una relazione sana e un accordo politico dato da una buona comunicazione, era proprio questo: mettersi a nudo l’uno con l’altra.
Ma nessuno dei due ci sarebbe arrivato, nessuno dei due l’avrebbe mai fatto, poiché nessuno dei due voleva permettere all’altro neanche per un istante di adombrarlo.
Forse, in fondo, le cose fra loro non avrebbero mai davvero funzionato. Forse fu un bene per entrambi la loro separazione. Servì a farli cambiare.
Una in meglio… l’altro in peggio. E questa era l’unica differenza che fra loro contava.


 
Il giorno dopo...
 
Lada accanì la lama della spada sul manichino che aveva davanti, ancora e ancora: vibrò un colpo così forte da squarciarne la pelle. Lo osservò fulminandolo con lo sguardo, come se non fosse altro che la causa di tutti i suoi problemi, poi riprese a colpirlo con tutto l’odio che aveva.
Ma all’improvviso, come dal nulla, una voce calma e raccolta la distolse da quei pensieri, costringendola a voltarsi.
<< Diavolacci, quel manichino deve averti fatto proprio arrabbiare. >>
A pochi passi da lei aveva appena preso posto la figura di un uomo dall’aspetto bizzarro. Era alto, biondo, e indossante abiti che non aveva mai visto prima.
Egli volse una rapida occhiata in direzione del manichino, il volto adornato da un sorriso perenne.
<< Sai, non è un bene sfogare la rabbia in questo modo. Oggi i ragazzi amano parlare al telefono per dimenticare i loro problemi, ma io credo molto nella corrispondenza, amichevole o meno. Se hai da fare un reclamo il mio motto è: mettilo per iscritto. Ad esempio, alcuni anni fa, quando ero il Primo Ministro della Gran Bretagna, comprai una di quelle macchine del caffè a Sears, quelle con l’orologio incorporato. E il fatto è che, scusa il francesismo… be’, era una vera cagata. E allora che cosa ho fatto? Ho preso un pezzo di carta e ho scritto: “Cara General Electric, la macchina per il caffè che ho comprato a Sears l’11 marzo fa un gran rumore quando bolle e sembra un grassone che sta per avere un infarto. Il che mi porta a chiedermi: è per questo che la nostra un tempo grande nazione sta andando a rotoli? Vostro in pace e armonia, Harold Saxon”. Naturalmente, ho bruciato il posto il giorno dopo, ma questo è relativo >> borbottò quasi a se stesso.
Le sopracciglia della ragazza, man mano che l’uomo aveva parlato, si era arcuate sempre di più, conferendole un’espressione controllata, ma che rendeva lo stesso evidente la confusione più totale provata in quel mentre.
Chi diavolo era quell’uomo? Senza dubbio uno straniero alquanto bizzarro e stravagante, che tuttavia le si era rivolto in valacco, parlandolo in maniera eccellente e con un accento sopraffino, pur biascicando una miscela di parole e di espressioni che non aveva mai sentito in vita sua.
<< Chi sei, straniero? >> domandò << E come sai la mia lingua madre? >>
Era stato quel fatto a farla calmare momentaneamente. La curiosità, la perplessità e la nostalgia. Lo studiava, gli occhi ridotti a due fessure, come se stesse valutando se scambiare lui con il manichino che aveva appena demolito se non le avesse fornito una risposta soddisfacente.
In tutta risposta, l’uomo si limitò a battere ambe le mani in un sonoro rintocco, per poi cimentarsi in una bizzarra referenza.
<< Perdona le mie orribili maniere. Puoi chiamarmi il Maestro. E per rispondere alla tua domanda… be’, conoscere ogni lingua è solo una delle mie numerose abilità. >>
<< Il Maestro? >> ripeté << Maestro di che cosa? >>
Era un trabocchetto, il suo. Aveva appena parlato in cinese, per capire se effettivamente dicesse la verità e non fosse semplicemente un pazzo ciarlatano.
<< Maestro… di tutto >> ripeté l’uomo, in perfetto cinese.
Allargò ambe le braccia, indicando l’area circostante.
<< Questo mondo scorre seguendo delle leggi che la maggior parte delle creature senzienti riusce a malapena ad immaginare. Comprendere quelle leggi, scomporle e poi di nuovo ricomporle… io posso farlo >> sussurrò con voce fredda << E posso renderle mie… come tutto il resto. Questo è ciò che sono. >>
Lada lo fissava, stranamente affascinata: quell’uomo parlava come se fosse un essere al di sopra di tutti. Come fosse Dio, o qualcosa di molto simile. L’avesse sentito qualcun altro, sicuramente sarebbe stato condannato per eresia, o semplicemente l’avrebbero preso per pazzo e l’avrebbero rinchiuso.
Ma c’era qualcosa in lui che impediva alla ragazza di pensarla in quel modo. Forse erano quei tratti particolari, forse erano quegli strani abiti… o forse era quello sguardo penetrante, brillante di un bagliore frenetico.
E tuttavia dall’altra parte era ancora scettica.
<< Dimostralo. >>
Il Maestro inclinò leggermente la testa. Poi, con calma quasi disarmante, scrollò le spalle.
<< Okay. >>
E, detto questo, schioccò le dita della mano destra.
Non accadde nulla. Niente apocalisse, niente fulmini, né tempeste. Nulla che potesse incarnare l’ira divina.
Il primo impulso della ragazza sarebbe stato quello di alzare le sopracciglia sorridendo derisoria, per poi scoppiare a ridergli in faccia per la sua sciocchezza.
Ma qualcosa glielo impedì. Aveva avvertito, in qualche modo, una strana sensazione avvolgerla intorno.
L’ambiente attorno era ammantato da un silenzio tombale: non sentiva più il frinire delle cicale, né il calore del sole pungerle la pelle candida. Tutto era immobile, persino l’aria: pareva fosse stata congelata sull’istante.
Alzò il capo a scrutare le fronde degli alberi, e vide uno scoiattolo sul punto di saltare da un ramo all’altro. Letteralmente. La bestia era distesa nell’aria, le zampe tese, immobile, come sostenuta da fili invisibili.
Sebbene la totale assurdità della situazione la rendesse incredula, non poteva negare che fosse tutto vero. Lo vedeva con i propri occhi, lo percepiva con i suoi sensi resi acuti e vigile dal suo costante allenamento.
Rimase a bocca aperta. << Non è possibile… >>
Era stato quell’uomo a farlo. Era stato quell’uomo a fermare il tempo.
Il Maestro le inviò un sorriso raggiante.
<< È impossibile… solo se tu pensi che lo sia >> commentò con tono divertito << E solo per oggi, mia cara, puoi considerarmi la tua fata madrina. >>
La figlia del Drago si fece attenta, cogliendo immediatamente l’allusione dietro quelle apparentemente innocenti parole.
<< Tu sai chi sono? >>
<< Oh, io so tutto di te, cara ragazza. >>
Cominciò ad avvicinarsi con passo lento e misurato. Ogni schioccare delle sue scarpe risuonò per tutta la lunghezza della giardino, perdendosi nel silenzio causato da blocco temporale.
<< So da dove vieni. So perché sei qui… e so anche a cosa ambisce il tuo cuore >> sussurrò, indicandole il petto.
Ormai si trovava di fronte a lei, ad appena un paio di passi di distanza.
<< E come ogni principessa che si rispetti, è arrivato il momento di riscuotere il conto. Per cui ti chiedo, Lada Dracul… qual è il tuo desiderio? >> domandò con un lampo negli occhi, pozzi dorati ricolmi di fiamme.
Lada Dracul.
Le era capitato spesso di pensare a quel nome. Di pronunciarlo, a volte, solo per sentire come suonava. Ma sentirlo nominare da qualcun altro, con quell’enfasi, era tutt’altra cosa.
Non Lada Dragwlya. Dracul. Non si era rivolto a lei come figlia del Drago. Le si era rivolto come se il Drago fosse lei.
In quel momento, vedendosi riflessa in quegli occhi fiammeggianti, Lada vide il suo futuro. Doveva prendere ciò che le spettava, ciò che era sempre stato suo.
E quel pensiero le illuminò il viso come il sole sulla cima della montagna.
<< Il Drago >> calcò di enfasi quel titolo << rivuole il tesoro che gli è stato rubato. Vuole vedere bruciare chiunque gli si opponga. Vuole ritornare da sua madre, la Valacchia. >>
Se possibile, il sorriso sul volto del Maestro sembrò farsi ancora più grande. Porse la mano in avanti.
<< Allora vieni con me… e ti darò il potere necessario per ottenere tutto questo. >>
Per un istante, Lada si sentì travolgere dall’ebbrezza di quella prospettiva. Ma poi il suo animo pragmatico ebbe la meglio, ricordandole uno dei tanti insegnamenti e dogmi trasmessile da Breda.
<< Nessuno dà nulla per nulla >> disse, fissandolo senza timore dritto nelle pupille << ebbene… perché tu dovresti essere tanto disposto a darmi ciò che bramo? >>
L’uomo si strinse nelle spalle una seconda volta.
<< Diciamo solo che voglio farti da sponsor. Hai del potenziale, mia cara, ed io voglio aiutarti a sfruttarlo come si deve. In cambio, chiedo solo la tua lealtà e il tuo aiuto nei momenti di tempesta. Sto per attuare un piccolo progetto immobiliare, qualcosa di mai visto prima! >> esclamò con voce estatica << Ho bisogno di persone che mi aiutino a gestire questo progetto, e mi piacerebbe che tu fossi tra loro >> terminò con il suo solito sorriso.
Gli occhi della giovane si ridussero nuovamente a due fessure. Sembrava un prezzo semplice, ma incisivo. Che motivo aveva di mentirle quell’uomo? In fondo era venuto lui stesso a cercarla, e sembrava davvero conoscerla bene. Non aveva nemmeno preteso una fiducia cieca. Perché lasciarsi sfuggire una simile occasione? Cosa poteva impedirle di prendersi ciò che le spettava? Ciò che Shen le aveva rifiutato?
Aveva sempre saputo che tornare a casa avrebbe significato lasciarlo, ma fino a quel momento non aveva riflettuto concretamente su quell’eventualità. Non era una fuga, nessuno la cacciava. Era lei a scegliere di perderlo. Sembrava impossibile, ma l’avrebbe fatto. Grazie a quell’uomo, quel Maestro.
Stava per strapparsi il cuore e lasciarlo lì… ma l’avrebbe fatto. Avrebbe pagato qualunque prezzo che sua madre, la Valacchia, avesse chiesto.
<< Sarò con te, Maestro >> rispose alla fine, facendosi forza e raddrizzando la schiena << ad una condizione: qualunque sarà il tuo progetto, ciò che è del Drago, al Drago apparterrà, e a nessun altro. >>
<< E tuo rimarrà >> confermò il Maestro, tendendo la mano << Abbiamo un accordo? >>
Lada sorrise con ferocia, e gli strinse la mano.


 
Tre giorni dopo…
 
La piana era un deserto bianco fatto di ossa. Crani appartenuti ad animali ed esseri umani, ultima reminiscenza di un passato ormai perduto. La prova che un tempo quel deserto era stato qualcosa di diverso, forse un luogo pieno di vita: una foresta, una vallata, una città… ormai era impossibile da dire. Non vi erano più forme di vita, se non mutazioni di lucertole e roditori sopravvissute alla catastrofe nucleare: unica forma di movimento erano le balle di fieno che occasionalmente scivolavano lungo il terreno, spinte dal vento.
In mezzo a tutto un piccolo edificio di legno spiccava tra le sabbie, a immagine e somiglianza dei saloon che secoli orsono adornavano tutte le cittadine del West Nordamericano. La scritta intagliata a caratteri cubitali su un’insegna recitava: LONG LIVE CRIMSON KING.
Il Maestro e Lada si materializzarono proprio davanti a quel loggiato, sprigionando un lampo di luce blu una volta a contatto con il terreno.
<< Eccoci qua! >> esclamò il Signore del Tempo, mentre si rivolgeva alla sua compagna di viaggio. << Spero che non mi vomiterai sulle scarpe. Il primo teletrasporto può essere un’esperienza piuttosto intensa. >>
In effetti, la ragazza era evidentemente scombussolata. Barcollò sonoramente e rischiò per ben due volte di crollare a terra o di finire addosso all’uomo, ma poi strinse i pugni, fece un enorme respiro profondo e si raddrizzò sulla schiena.
<< Sto bene... >> mormorò, massaggiandosi le tempie, per poi fissare l’edificio, non senza mostrare viva perplessità << Sarebbe questo il posto? >>
Il Maestro annuì in conferma. << È il luogo in cui gli piace rilassarsi. Mai capito il perché >> borbottò più a se stesso che a lei, mentre si spolverava il vestito dalla sabbia.
Poi compì una reverenza esagerata e indicò l’entrata del saloon.
<< La risposta a tutti i vostri problemi, mia signora… e proprio al di là di queste porte. >>
Quell’invito era piuttosto eloquente: sarebbe dovuta entrare da sola.
Per un istante, Lada esitò. Quello strano edificio in legno con quella scritta in bella mostra aveva un aspetto inquietante, e anche l’aria che la circondava le dava una sensazione di nausea.
Ma era arrivata fin lì a testa alta, e non aveva alcuna intenzione di tornare indietro: il Maestro le aveva detto che lì dentro avrebbe trovato colui che le avrebbe offerto il potere necessario per riprendersi ciò che le spettava. E finora quest’ultimo non aveva mai mentito.
Fece un cenno del capo in direzione del Signore del Tempo, quindi serrò i pugni e camminò verso l’entrata, spingendo in avanti la porta con i palmi delle mani una volta arrivata davanti, ed entrò.
Venne subito invasa dal suono di una musica dai motivi allegri: la sala del loggiato era praticamente vuota, ad eccezione di un bar ricolmo di alcolici, alcuni tavoli e sedie sparsi qua e là, e un pianoforte avvolto nella penombra.
E proprio vicino a quello strumento c’era un uomo apparentemente impegnato a suonarlo, girato di spalle. Incerta su cos’altro fare, gli si avvicinò lentamente.
<< Salve... >> esordì, esitante << io... io stavo cercando... >>
<< Me? >> la interruppe all’improvviso lo sconosciuto, per poi voltarsi verso di lei con un veloce roteare dello sgabello.
Lada sbatté le palpebre per la sorpresa: quell’uomo, ad una prima occhiata, generava un contrasto visivo a tratti destabilizzante. Era completamente vestito di nero – con una una semplice camicia e dei pantaloni – e perfino i capelli erano lucidi e corvini, corti e raccolti verso l’alto in piccole punte: in compenso, aveva una pelle pallidissima, quasi diafana, e un paio di occhi azzurri come il ghiaccio, adornanti un volto pallido e dai lineamenti affilati, molto più giovani – e attraenti – di quanto si sarebbe aspettata.
La principessa contemplò per qualche istante quella figura magnetica, prima di rispondere.
<< Suppongo di sì, se siete voi a rispondere al nome di Walter Padick. >>
<< In carne ed ossa >> confermò questi con un cenno del capo, arricciando ambe le labbra in un sorriso << E voi dovete essere Ladislav… di Valacchia. L’ultima aggiunta all’allegra banda di protégé del Maestro. O sbaglio? >>
<< Non sbagliate, signore. >>
<< In questo caso... >> continuò il rinomato Walter, mentre si metteva in piedi con un balzo << vi prego, deliziosa principessa, fatevi guardare bene. >>
Le indicò col palmo – un gesto molto simile ad un cortese invito – un punto della stanza ben preciso, ove spiccava un raggio di luce che partiva direttamente da un’apertura del soffitto.
Era una richiesta alquanto strana, ma essendo già stata a contatto con la bizzarra eccentricità del Maestro e sapendo che quel Walter era suo amico, Lada non se ne stupì troppo: la curiosità di scoprire dove volesse andare a parare era forte in lei.
Dopo un attimo di esitazione, strinse timidamente le mani in grembo e si incamminò per portarsi proprio sotto il fascio di luce e fare in modo che la investisse e illuminasse completamente.
L’Uomo in nero le si avvicinò con passo felpato e cominciò a squadrarla da capo a piedi. Le posò delicatamente il palmo sotto il mento sollevandoglielo, e prese a scrutarla da ogni angolazione, come un negoziante impegnato a valutare un nuovo articolo: paragone che provocò alla principessa una lunga cascata di brividi lungo la schiena.
<< Uhmmmm… sì, direi che potresti essere una candidata ideale. Hai un animo forte, posso sentirlo. E la tua biologia è… abbastanza resistente >> aggiunse Walter in un piccolo ghigno, per poi prendere la mano della giovane donna nella propria e piantarle un casto bacio sulle nocche << È davvero un piacere potervi conoscere di persona, Ladislav. >>
La ragazza reprimette a stento un sussulto: il tocco dell’uomo era di una freddezza e una consistenza alquanto innaturale. Ciononostante fece finta di nulla e simulò una lieve reverenza in risposta.
<< Potete chiamarmi Lada, signore. Da queste vostre dichiarazioni deduco sappiate già il motivo della mia presenza qui. >>
<< Naturalmente, il Maestro mi ha già informato di tutto >> le rispose lui, mentre si picchiettava la tempia con fare quasi ironico << La vera domanda è… siete davvero sicura di volere ciò che ho intenzione di offrirvi? >>
<< Il Maestro ha detto che voi mi avreste dato il potere necessario a riprendermi ciò che è mio >> replicò la ragazza, incrociando le braccia << Ma il potere ha molte forme, aspetti e dimensioni, signor Walter. Dunque... che cosa offrite, esattamente? >>
A quelle parole, il sorriso sul volto di Padick sembrò farsi più predatorio.
<< Ragazza sveglia >> commentò, mentre schioccava le dita della mano destra.
Come dal nulla, sul palmo di quella sinistra si materializzò una graziosa tazzina di porcellana, che porse elegantemente alla principessa. Lada accettò l’oggetto con una punta di esitazione, visibilmente confusa.
Fu allora che Walter procedette ad allungare il polso destro, mentre l’unghia pallida che sfoggiava nell’indice sinistro cominciò ad allungarsi. E prima che la ragazza potesse anche solo rendersi conto di quello che stava per fare, ecco che l’uomo l’affondò nella pelle del polso scoperto e cominciò a riversare copiose quantità di sangue nella tazzina che lei reggeva fra le mani.
<< Ecco >> le disse, senza mai abbandonare il suo sorriso << Questo è il potere che ho intenzione di offrirvi. >>
La principessa fissò incredula il denso liquido scarlatto cui la tazza era piena fino all’orlo, per poi volgere lo sguardo al polso scoperto dell’uomo e poi ai suoi occhi penetranti.
<< Il... vostro sangue...? >>
Il sorriso sul volto dell’uomo si allargò. << Il sangue è vita, mia cara. In esso scorre l’essenza di ogni creatura vivente… e il mio non fa eccezione. >>
Indicò la tazzina che teneva in mano.
<< Bevilo… e la mia forza scorrerà dentro di te. Tutti coloro che minacciano il tuo regno periranno sotto i colpi della tua lama >> continuò, implacabile << Entrerai a far parte di un grande gioco, giovane voivoda: quello definitivo. La luce contro il buio. Speranza contro disperazione. E a quel punto… avrai il potere di controllare il destino di milioni di vite. >>
<< Il sangue è vita... >>
Gli occhi della ragazza si posarono nuovamente sul rosso della sostanza; forse era uno scherzo della luce, ma pareva quasi stesse ribollendo, e a dire la verità le sembrava proprio di avvertire del parziale calore sotto i palmi in cui teneva la tazza. Quel sangue pareva liberare un languido richiamo tentatore che voleva trascinarla nelle oscure ombre della perdizione, accompagnato dalle enigmatiche parole di Walter, apparentemente incomprensibili e allo stesso tempo affascinanti, capaci di scuotere ogni fibra del suo animo.
Aveva promesso a se stessa che sarebbe andata avanti fino in fondo, non importava il prezzo che avrebbe pagato: contava solo che doveva ottenere potere per avere ciò che desiderava.
Eppure, nessuno dava nulla per nulla, lo sapeva. Sollevò lo sguardo verso lo stregone.
<< E tu cosa guadagnerai dalla gloria che acquisirò grazie ai poteri che mi trasmetterai se bevo ora il tuo sangue? >>
Walter si limitò a scrollare le spalle.
<< Quello che guadagnano tutte le persone che danno potere agli altri >> disse, in tono apparentemente disinvolto, per poi sorriderle ferocemente << Più potere. E credimi, io e il mio buon amico, il Maestro, sapremo farne buon uso. Oh, ci tengo a dirti che abbiamo una tabella di marcia da rispettare. Ci sono forze oscure che si stanno muovendo nell’ombra, voivoda… e avremo bisogno di tutto l’aiuto possibile per affrontarle. Ma di una cosa posso rassicurarti: finché sarai dalla nostra parte… il tuo popolo non sarà mai danneggiato. Questa è una promessa. >>
Alla fin fine, la ragazza sapeva bene di non avere scelta migliore: non avrebbe avuto un’altra occasione come quella, dunque non poteva tirarsi indietro. Aveva ancora remore al pensiero di lasciare Shen, ma il fatto che avesse preferito il potere a lei le bruciava tremendamente (non si rendeva ancora conto di aver fatto lo stesso). Allora avrebbe visto da sé cosa si provava. Adesso anche lei avrebbe preso più potere, anzi, di più: gli avrebbe tolto tutto il potere che pensava di poter vantare sulla Valacchia.
Era chiaro ormai che quel sangue era un passaporto per la libertà propria e del proprio popolo, e di un potere enorme, ancora misterioso, ma di cui presto sarebbe venuta a capo. Doveva solo… bere.
Lada si esibì nel più lungo e profondo dei sospiri... e poi accostò le labbra alla tazza, decisa a mandare giù ogni singola goccia, con la sensazione che in tale modo sarebbe divenuta ancora più forte.
Fece un lungo sorso iniziale, piuttosto rapido, frettoloso: temeva che il sapore e l’odore del sangue l’avrebbero disgustata troppo rischiando di farla vomitare, e dunque voleva finirlo in fretta per evitare accadesse.
Ma con sua grande sorpresa, non si disgustò affatto, e quando si bagnò le labbra e lo sentì scendere giù in gola, fu colta da una sete bruciante e lasciva, e il secondo sorso fu lento, per gustare in pieno il sapore ferroso che risultava miele alle sue papille gustative. Fu un errore concedervisi troppo: a quel punto la sete aumentò fino a distorcere i suoi lineamenti e la sua voglia in pura brama predatoria, e tracannò infine il tutto con voracità, macchiandosi il mento con un rivolo di sangue colante.
Walter osservò la scena per nulla disturbato, anzi, il suo volto era raggiante, soddisfatto: sapeva bene l’effetto che poteva provocare quel sangue in un individuo come quella ragazza, piena di brama di potere.
Dopo aver finito la tazza, Lada annaspò in cerca d’aria e fissò intensamente il proprio interlocutore, facendo appello a tutta la forza di autocontrollo che aveva in corpo per non posare lo sguardo sul polso ancora aperto.
<< E… e adesso? >> borbottò a denti stretti.
Walter si strinse nelle spalle. << Adesso? Tu muori >> rispose in tono di fatto.
Lei non fece nemmeno in tempo a registrare quella frase, che sentì i battiti del cuore farsi più deboli e inermi, fulminandola sul posto. Le si incendiò il sangue nelle vene e il respiro nei polmoni: emise un rantolio acuto e boccheggiò, crollando lunga distesa e dimenandosi e contorcendosi mentre, senza alcuna apparente spiegazione, la testa le girava e il suo corpo la tradiva, facendosi sempre più molle e pesante.
Ogni singolo nervo del suo corpo sembrò andare a fuoco, incendiandole le ossa: una sensazione terribile. Poi tutto divenne nero e venne l’agognata incoscienza.
Non era così. In realtà... quella era la morte. Una morte vera e propria.
Eppure, dopo istanti che parvero infiniti, Lada aprì gli occhi, solo per trovarsi davanti, inginocchiatole accanto, l’Uomo in nero.
<< Che... >> gemette, la voce roca << che cosa è... >>
Si risollevò seduta, stringendo le dita sul pavimento, ansimando per riprendere fiato. Fu allora udì un forte scricchiolio. Confusa, abbassò lo sguardo e sgranò gli occhi: le sue unghie… avevano lasciato un solco profondo nello stringere il pugno sul pavimento. Si erano allungate, erano praticamente diventate degli artigli! E la sua pelle era diventata più bianca del latte!
Non poté fare a meno di darsi un’occhiata, ma, a prima vista, a parte quel dettaglio, nulla pareva essere cambiato. Non si sentiva esausta, anzi, tutto il contrario. Si sentiva rinvigorita.
I suoi sensi si erano fatti più acuti: riusciva a vedere ogni filo di capelli corvini sulla testa di Padick, ogni frammento della sua pelle pallida e ogni brandello di seta dei suoi abiti.
Si concentrò sull’udito: riusciva ad udire il Maestro intento a picchiare un ritmo di quattro tocchi sul proprio braccio, in attesa, e a decifrare i suoi borbottii impazienti. Dovevano a svariati metri di distanza dal saloon dal momento che era fuori, lontano, eppure riusciva a sentirlo lo stesso.
Si leccò le labbra e avvertì nettamente il sapore della pelle delle labbra ancora inumidita dal sangue dell’uomo, il cui gusto succulento sembrava aumentato il doppio.
Avvertiva in maniera amplificata il tocco della stoffa del vestito su di sé e la durezza della pietra del pavimento, e infine sentiva l’odore virile e stuzzicante di Walter.
L’Uomo in nero si limitò a porgerle la mano destra.
<< Benvenuta tra gli immortali, Lada Dracul >> disse con quel suo sorriso apparentemente intramontabile << prima dei Nuovi Figli della Notte. >>
Ecco cos’era diventata. Una creatura della notte, una figlia delle tenebre infernali. Suoi erano i poteri dell’oscurità, sue erano le capacità fuori dal comune che la rendevano superiore agli esseri umani.
Al prezzo… della sete e della brama del sangue umano. Ma lei ne avrebbe fatto la sua forza, il suo potere.
Perché adesso era davvero il Drago che andava a caccia del suo tesoro.
Radunò tutti i soldati e schiavi valacchi cui si era conquistata la fiducia e l’amicizia, durante il tempo trascorso a Gongmen, e offrì loro di acquisire i suoi stessi poteri, di divenire i suoi fratelli di sangue e di battaglia, per riconquistare la terra da cui erano stati strappati, la terra la cui linfa vitale veniva costantemente prosciugata dall’infame Impero Cinese. Pochi si ritirarono, mentre molti la cui fedeltà e sete di vendetta era assoluta accettarono, e così ella ne fece il proprio oscuro esercito.
Abbandonarono la Cina e giunsero in Valacchia, viaggiando sia di notte che di giorno, perché grazie ai suoi poteri il Drago poteva controllare il tempo atmosferico e generare nubi che proteggessero lei e i suoi Figli dal sole. E così uccisero e sterminarono tutti gli invasori cinesi, si nutrirono del loro sangue, bruciarono le loro bandiere e distrussero i loro fortini e accampamenti.
Ma una volta prosciugati i loro corpi, essi non venivano gettati in una fossa comune e dimenticati. No, Lada non avrebbe mai permesso che venissero dimenticati. Li avrebbe resi un esempio per Shen e per la Cina.
Ma non erano solo i cinesi invasori a dover essere duramente puniti. Anche se li aveva epurati, la corruzione e la criminalità continuavano a dilagare nel suo regno. Serviva una politica di rinnovamento, certo, ma serviva anche un esempio, un monito che la scoraggiasse una volta per tutte.
Qualcosa senza scrupoli, per cui si sarebbe a lungo portata dietro un’orrida, crudele e sanguinaria fama. Ma l’avrebbe accettata. Per il bene del suo popolo e della sua terra, avrebbe perfino accettato di essere marchiata come mostro. Ma in fondo, non lo era forse divenuta? Non bramava il sangue, la violenza, la dissacrazione e i vizi peccaminosi? Era inutile rinnegarlo. Parte della sua nuova natura le provocava piacere e desiderio di compiere quegli atti, e a maggior ragione doveva imparare a controllarsi, a incanalarli.
Nessuna pietà per nemici, oppositori, corrotti e criminali. Solo loro erano meritevoli della sua furia, della sua sete di sangue. Nessuna eccezione. Solo una pena per chi osava infrangere la sua legge.
L’impalamento.
La pena di Lada l’Impalatrice, il Drago di Bucarest, voivoda e regina di Valacchia.
Dracula.
E così, all'infuori dei confini valacchi, venne rappresentata come un mostro, per le sue crudeli tecniche dell’impalamento, per la sua ferocia in battaglia, ma lì, nella sua terra... poteva vedere lo sguardo dei suoi soldati, disposti a dare la vita per lei, guardava la plebe, disposta a venerarla, e ne guardava i bambini che giocavano sotto un cielo terso... il cielo valacco preservato dalla loro regina.
E allora pensava che forse era valsa la pena sporcarsi le mani e crearsi quella fama… pur di proteggere quelle visioni, tanto bramate quanto, infine, incondizionatamente amate per ciò che erano: felici e capaci di rendere felice anche lei.
Shen non era riuscito a sopportare l’idea che si fosse ripresa ciò che voleva, e non accettava di lasciarle il potere, la pace e la stabilità che si era riconquistata. Le scagliava contro truppe e invasori nella flebile speranza di riprendersi il dominio della Valacchia, folle d’ira e cieco di fronte alle vittime che la sua oramai ex donna faceva fra i suoi soldati.
Tuttavia, non scoppiò mai del tutto una guerra fra loro. Il Maestro intervenne per costringerli ad una pace forzata, e li protesse entrambi dall’avvento dello Scisma. Non poterono opporsi al suo volere, specie dopo che li aveva salvati.
Così, dopo molto tempo, il Drago e la Fenice smisero di combattersi, ma il solco generato fra loro fu per sempre definitivo, così come i rapporti tra i loro regni, per sempre destinati ad essere tesi e incerti, sebbene mai più ostili.
Unicamente per volere del Signore del Tempo.
 


NOTE:
 
Eccovi alcuni chiarimenti:
1) La Terra menzionata è una delle molte versioni del Multiverso e si differenzia da quella normale perché è geograficamente sfalsata rispetto alla realtà. Laddove si trovava l’Impero Ottomano vige l’Impero Cinese. Questa cosa sarà maggiormente accentuata dallo Scisma, in quanto il Maestro raccoglierà pezzi di vari mondi per costruire la Terra di Battleground.
2) Il personaggio di Lada Dracul è tratto da The Conqueror’s Saga di Kiersten White, tuttavia il suo aspetto fisico è stato liberamente riadattato basandosi sul personaggio di Selene della saga cinematografica Underworld, e la sua personalità leggermente modificata, inoltre la sua modalità d’agire è tratta dal concetto del vero Vlad III, un eroe per la sua patria e un mostro per i suoi nemici.
3) Walter Padick è uno degli antagonisti più famosi è influenti dei libri di Stephen King. Viene anche chiamato L'Uomo in Nero o Randall Flagg, ed è il villain principale della saga della Torre Nera. Avrà un ruolo molto importante nella storia (sebbene agisca per lo più dietro le quinte), ed è fondamentale per i piani del Maestro.

Walter Padick/L'Uomo in Nero
Opera: La Torre Nera
Razza: Stregone/Entità malefica
Video Tribute: https://www.youtube.com/watch?v=OZszDYi5FCE
Soundtrack: https://www.youtube.com/watch?v=oi9kKyPJ_00
Autore: Evil 65 e Rory Drakon
  
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