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Autore: amirarcieri    07/09/2020    0 recensioni
Ricordate la foto scattata accidentalmente da Nami a Saeko e Sendoh nel capitolo 15 di "Change my rules"?
Beh, questo speciale è dedicato ai guai che Saeko passerà a causa della sua esistenza.
Genere: Commedia, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Change my rules [SAGA]. '
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[Attenzione questa One Shot è una parentesi speciale della mia FF in corso su Slam Dunk "Change my rules", ma potete leggerla comunque, così magari chissà vi stuzzica la voglia di cominciarla.
Buona lettura quindi.]

 

How Long?


 

 


 

Il pomeriggio atteso con tanta impazienza da Saeko era finalmente giunto.
Finalmente avrebbe potuto ritirare la serie di foto scattate in quei pochi mesi – incredibile ma vero - e comprare un nuovo rullino nel quale intrappolare dei nuovi ricordi che sarebbero rimasti immutati nello scorrere del tempo.
«Nami, smettila di seguirmi. Te l’ho già detto. Non sto andando a ritirare le foto, ma in libreria» si lamentò questa con l’amica per stargli praticamente appiccicata alla schiena.
Saeko aveva infatti programmato di andarle a ritirare in segreto per due motivi basilari: il primo doveva disfarsi della foto superflua barra scomoda, “accidentalmente” scattata da Nami a lei e Sendoh.
“Accidentalmente, un corno” pensò Saeko ancora risentita della cosa.
E il secondo motivo, per occultare la voluminosa raccolta di foto scattate al suo Senpai, prove inchiodanti della sua farraginosa cotta per lui.
“La metà di quelle deve sparire immediatamente, altrimenti la mia vita sarà rovinata per sempre”. Pensò morta di imbarazzo al solo vedersi mettere a nudo il suo sentimento per il Senpai.
«Ma io non ti sto seguendo stiamo facendo la stessa strada. E poi ti sei scordata che stasera tua madre mi ha invitata a cena?» replicò lei rivotandogli contro il suo alibi di ferro. Alla madre piaceva da matti Nami, diceva che la metteva di un contaminante buonumore come un campanellino al collo di un gatto, per questo la invitava una volta a settimana a casa sua.
E non che a lei non piacesse passare del tempo con la vispa ragazza, era solo che in quel momento, aveva bisogno dei suoi spazi.
«Questo lo so, ma il dover mangiare a casa mia stasera non implica che tu devi stare con me tutto il giorno»
«Non avevo niente da fare» si discolpò genuina. Quella sua candida affermazione riuscì a farla sentire in colpa.
A maggior ragione perché a Saeko era da poco spuntata un’abnorme coda di paglia – figurativa - sul di dietro.
«D’accordo, vieni» permise in conclusione, tirando fuori un sospiro di rinuncia.
«E dopo la libreria passiamo a ritirare le foto» sottolineò poi con voce scostante. Era più forte di lei. Proprio non ce la faceva a fare l’infame bugiarda. E poi avrebbe potuto disfarsi di quella foto “compromettente” e le foto “incriminanti” del Senpai in un modo più nascostamente ferrato.
«Evviva» Nami fece il gesto gioioso della vittoria, per quindi aggiungere.
«Tanto lo sapevo che nonostante la deviazione in libreria, i tuoi piani originali non erano affatto cambiati» la ricciolina decise di fingere che il suo udito fosse stato disturbato da un’interferenza urbana e proseguì verso il viale.
Si trovavano in uno dei quartieri più famigerati di Chiyoda: Jinbocho.
Quando due anni fa, aveva saputo dell’ubicazione di quel posto, si era detta che era un regalo troppo astronomico della vita per poter essere considerato vero.
Così, volendone tastare la credibilità, aveva chiesto alla gemella di accompagnarla durante un pomeriggio privo di impegni e rendersi conto una volta per tutte della sua reale esistenza.
E beh, una volta poggiati i suoi piedini in quel luogo surreale, aveva come avuto la sensazione di essersi addormentata profondamente dentro un mondo eternamente incantato: quello dei suoi sogni.
In quel quartiere si respirava l’odore e il senso ancestrale dei libri. Se Saeko avesse potuto, avrebbe affittato barra comprato una casa nei suoi pressi.
“Forse chissà, quando sarò indipendente con una carriera avviata, lo farò davvero”. Pensò in grande.
Le iridi cioccolata luccicanti che si deliziavano di quei rari oggetti fatti di carta e parole di cui ne andava ghiotta la mente.
Un sorriso si disegnò sulle sue labbra nell'immaginare il suo iniziale aspetto.
La storia che riguardava quel luogo era incantevole tanto quanto quello che stava ammirando con occhi estasiati: l’origine veniva datata al diciottesimo secolo dove vennero fondate le prime librerie, ma a causa dell’orripilante grande incendio, venne compianta più della metà di quel prezioso patrimonio culturale.
La storia però, nell'ovvio, non finiva certo qui perché una delle librerie trovò il modo di risorgere dalle sue ceneri, diventando in seguito una casa editrice patriarca di tutte le librerie attualmente attive.
All'oggi il quartiere contava la bellezza di ottanta librerie, ma non solo, perché erano presenti anche altri negozi, bar a basso costo e università ed editorie di prestigio.
A Jinbocho nessuna storia antica veniva dimenticata, né libro di poco credito abbandonato.
Se non sapevi dove cercare una qualsiasi opera letteraria introvabile o inimmaginabile, avevi la certezza di poterla trovare lì.
Jinbocho era infatti diventato di voga tra scrittori e appassionati di letteratura, ad un punto tale di divenire il loro ufficiale luogo di ritrovo.
Saeko amava così follemente quel posto che se ci arrivava rigorosamente alle cinque, era di ritorno a casa verso le otto.
Però stavolta, aveva un altro posto dove passare, quindi si sarebbe concessa di gironzolarci per un’ora e mezza.
Per il tempo in cui rimasero, le due amiche se la spassarono interamente.
Nami andava in cerca di romanzi da proporre all'amica cercando di adeguarsi ai suoi gusti personali, per tanto che quando Saeko lo aggiungeva alla sua mini torre di carta, festeggiava con il pugno sollevato manco se avesse fatto un’impossibile canestro da tre punti.
Alla fine, Saeko acquistò quattro classici nella loro vecchia edizione e un nuovo romanzo che cominciò a divorare appena salite sulla metro.
Quando giunsero alla fermata in cui si trovava il negozio di fotografia dove avrebbe ritirato le foto, le due amiche fecero il loro tipizzato ingresso.
Il negozio non era enorme, bensì ristretto e trascurato. Però non mancava di nessun materiale fotografico o sussidio professionale.
A destra dell’entrata, su una scrivania, perciò davanti una sedia a rotelle, si trovava un macintosh classic acceso nella sua schermata home.
Ai lati di entrambe le pareti laterali erano esposti gli esempi di stampa grafica personalizzati, quali magliette, calendari, cuscini, cappelli.
Al centro un bancone bianco con vetrina sfoggiava una cassa datata di anni, ma ancora perfettamente funzionante, dietro viceversa, la teca straripava di ogni arnese fotografico – macchine fotografiche, polarodi, obbiettivi, rullini - che avrebbe fatto gola a qualunque fotografo alle prime armi e non.
Per finire, subito dopo alla sua metà, uno stanzino sbarrato da una tenda nera ti portava nella camera usata per scattare le foto tessere e quella obscura.
Ritrovandosi in quel luogo piccolo, ma fornito, fece pensare a Saeko che se avesse avuto la passione della fotografia più spiccata di quella della scrittura, non gli sarebbe dispiaciuto fare un mini stage in quel posto.
«Prego?» domandò il proprietario. Un uomo delle mezza età stempiato, scarno di costituzione quanto allappato, in compenso però possedeva una cordialità e parlantina che permetteva ai clienti di lanciarsi in discorsi ricreativi nell’attesa di ricevere il loro ordine.
«Sono venuta a ritirare le foto a nome di Saeko Mori» rispose lei appoggiandosi sul bancone con entrambe le braccia incrociate. Nami curiosava per i pochi metri di larghezza del negozio, troppo iperattiva per stare ferma.
E ovviamente Saeko la teneva sott'occhio come se fosse una bambina combinaguai.
«Si, vediamo» asserì raccogliendo da sotto il bancone una torre di buste contenenti le foto sviluppate di ogni richiedente.
Man mano che le passava al setaccio, Saeko afferrò due o tre cognomi passeggeri, ma nessun di loro apparteneva ad un suo conoscente.
«Eccola Mori» disse euforico spingendogliela davanti. 
«Ah, che bello» fece Nami raggiungendo l’amica con uno zompo da salto della corda. Saeko strinse la busca al suo costato, allungando simultaneamente la grana al proprietario.
Dopo aver ricevuto il resto e fatti i beneducati saluti, giunte fuori per riprendere la strada del ritorno, Nami si emozionò quasi come se dentro quella busta ci fosse la lettera d’amore di un ammiratore segreto di Saeko.
«Ah, finalmente. Vediamole. Vediamole»
«D’accordo. Ti darò le tue» concesse la ricciolina, sentendo rigarsi la fronte da una goccia di sudore. 
«Allora, uno» contò, consegnandogli la prima foto che Nami aveva scattato al suo prode atleta Sendoh: con entrambe le mani atte a custodire la palla dagli avversari, aveva disegnato sulle labbra quel suo molesto sorriso da schiaffi.
«Due» proseguì Saeko. Stavolta l’obbiettivo che l’amica aveva congelato, era stato il taciturno Rukawa che rientrava in campo dopo i pochi minuti accordagli per rigenerarsi di fiato.
Dalla maniera pacata in cui procedeva verso il campo di “guerra” e si aggiustava la gomitiera, dava l’impressione di essere già nel girone agonistico dei perni del basket.
«Tre» Saeko completò il suo conteggio con la foto in cui Nami, fotografato entrambi: Rukawa che gli correva dietro con un braccio proteso verso il pallone, Sendoh in possesso dell’oggetto a spicchi arancioni, che schizzava inafferrabile verso il canestro.
«Ah. Belle, favolose, belle» piroettò in totale escandescenza. Poi si fermò di botto come se il meccanismo vorticante del suo cervello di fosse inceppato.
«Hey, aspetta un attimo» gelò quindi l’amica al suolo, parandosene davanti.
«Ne manca una. E non dire di no, perché sono sicurissima di questa cosa» la accusò puntandogli l’indice all'altezza del naso. 
«No, erano solo queste, le tue» Saeko diede ad intendere di non aver la minima idea a cosa di preciso si stesse riferendo Nami.
«Non fare la finta tonta con me, ne manca una e sai di quale foto in particolare sto parlando» 
«Nami, quella foto finirà nella spazzatura» la ricciolina decise di essere crudelmente sincera a priori. Nami si portò una mano al cuore e indietreggiò di un passò come se fosse stata mortalmente ferita allo stomaco.
«Come fai a dire una cosa così perfida? Quindi mi stai dicendo che fa schifo?» 
«No, oggettivamente è molto bella, ma soggettivamente sono i protagonisti ad essere sbagliati»
«La stai sparando grossa. Io li trovo perfetti» obbiettò Nami andandogli dietro per riappropriarsi insolentemente della celebre foto. Saeko si scansò, ruotò di trecentosessanta gradi per poi ritrovarsi di faccia a lei.
Le due amiche si erano quindi scambiate di posizione. 
«No, che non lo sono perché il momento in cui li hai immortalati non ha nessun fondamento» tenne duro Saeko, posando la busta giallo tuorlo dentro la borsa.
«Invece si» si incaponì Nami.
«No» replicò Saeko facendo la boriosa sapientona.
«Si»
«No»
«Si» contestò Nami. A Saeko allora venne in mente di usare il caro e vecchio trucchetto della parola rovesciata.
«Si» disse perciò con l’imbroglio sedimentato sulle labbra carnose.
«No» rispose automaticamente Nami.
«Ecco vedi?» la canzonò Saeko riprendendo a camminare verso casa.
«Ma così non vale. Mi hai imbrogliata. Uffi! Dammi la foto» si lagnò quest’ultima.
«La mia risposta rimane sempre no. Ora andiamo a casa» la persuase Saeko, velocizzando il passo di qualche spanna.
Nami seguì l’amica con la metratura di un frigorifero a distanziarle. E senza mai smettere di reclamare la foto di cui era stata ingiustamente rapinata.

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Tornate a casa ebbero una seratina sonoramente spumeggiante.
Dopo aver spazzolato via la cena che la madre di Saeko - o rinominata Saeko 2.0 versione matura da Nami – aveva preparato, presero posto nel confortevole soggiorno e giocarono a Mah Jong.
Nel gioco da tavolo potevano giocare solo quattro giocatori, indi per cui Saeko era stata per cedere il posto a Nami, ma lei glielo aveva impedito stabilendo di giocare come una sola persona.
Combinare due menti, le portò a un buon punteggio, anche se a dirla tutta, la partita si ridusse ad una competizione all’ultima combinazione tra Saeko e la gemella Ayako.
Dopo l’ultima sfida, Nami si allontanò dal salotto con la scusa di dover andare in bagno, quando invece il suo obbiettivo era di appropriarsi della quarta fotografia che Saeko le aveva “confiscato”.
Intrufolandosi furtivamente nella stanza della ricciolina, accese l’abasciur viola posizionata a terra del letto, quindi si fiondò sulla borsetta penzolante dalla maniglia dell’armadio.
Perdonami, Saeko”. Pensò con la stizza che l’amica potesse coglierla sul fatto. Si sentiva peggio di una ladra, ma se lei non voleva la foto allora era doveroso farlo.
“Ma se non la vuoi tu,  va consegnata al suo plausibile secondo proprietario” Si legittimò, prendendo a setacciare una per una le foto.
Per una straordinaria botta di culo di Saeko, la fotografia si trovava tra le prime quattro – perciò Nami non poté domandarsi del perché in mezzo alle loro foto di vita amatoriale, si trovasse un intero servizio fotografico dedicato al senpai – e una volta impossessatasene, usci dalla stanza, completandone il passaggio nella sua di borsetta.
Missione compiuta” saltellò, progettando nel momento di andare a trovare il suo plausibile secondo proprietario durante le ore di buco prima dei club pomeridiani.
Poi tornò al piano di sotto come se niente avesse combinato.
Fatta un’altra partita e riaccompagnata a casa l’amica, Saeko attese il momento più adeguato per godersi le sue adorate fotografie.
E cioè, a notte fonda quando tutti se la dormivano alla grande.
Silenziosa come un gufo durante la sua caccia notturna, accese l’abasciur, si sedette a gambe incrociate sul pavimento, quindi estrasse le foto dalla busta giallo tuorlo.
La prima foto, in cima a tutte, era quella scattata a tutti e quattro la volta in cui era tornata a scuola per affrontare Nobu e la sua banda.
Gli amici gli stavano andando incontro, ma non avevano avuto il tempo di accorgersi dello scatto, perciò sui loro visi era stato immortalato un sorriso naturalmente rilassato.

La seconda raffigurava Jin e Kiyota che si davano il cinque nello spazio di un allenamento.

La protagonista delle seguenti quattro fu lei: in una stava seduta sulla sua panchina a leggere un libro esiliata dall’indiviso universo.

Nell'altra sorrideva con un sorriso sfolgorante in merito alle buffonate imperiali di Sakuragi.

La terza era la famosa celebrativa di lei con il segno della vittoria e il taccuino aperto quando aveva ricominciato a scrivere.

Nella quarta, Saeko non poteva crederci, ma i soggetti fotografati erano lei e il senpai: il senpai con la lattina ferma a mezz'aria che dava le spalle al campo di basket della palestra, lei messa di profilo intenta a gesticolare per esprimersi meglio nel linguaggio.
Entrambi avevano un’espressione fulgidamente gioiosa in viso, ed entrambi erano vicendevolmente rapiti delle parole pronunciate dall’altro.
Saeko trovava quella foto di una bellezza autentica. Ma non certo perché potevano passare per una coppia super innamorata, bensì per il risultato percettivo che arrivava all’osservatore.
Dalla foto infatti, si poteva cogliere quanto affiatati e bilanciati fossero i loro caratteri.
Non sapeva bene il perché Nami l’aveva scattata, tuttavia per una volta, era grata alle sue improvvisate non richieste.
Rimirandola per un altro minuto buono, la ragazza proseguì il suo itinerario fotografico.

Le altre foto nell’ordine a seguire furono: lei e la gemella inquadrate a metà viso in modo da dare l’illusione che fosse uno solo.

Kiyota bloccato in volo, un attimo prima di fare una delle sue superbe schiacciate.

Jin che tirava un elegante tiro da tre punti.

Rukawa che sbarellava la difesa di allenamento dello Shohoku usufruendo di una geniale mossa delle braccia.

Il Senpai Akagi e uno dei suoi mastodontici dunk.

Sakuragi che andava a canestro con il terzo tempo.

La gemella che sbraita ordini alla squadra agitando il ventaglio come se fosse una bacchetta magica.

Di nuovo Sakuragi, ma stavolta occupato a parlare frizzantemente in compagnia della sottoscritta.

Nami che legava scrupolosamente i capelli a Kiyota in una coda alta.

I tre atleti raggruppati vicino a una finestra del corridoio con la luce del sole pomeridiano che ne indorava gloriosamente le sagome.

Kiyota imbronciato, seduto a gambe incrociate sul parquet della palestra.

Nami che faceva la super girl con una super posa da fumetto Americano con un mantello viola. 

Jin più che mai sorridente.

Ancora un’altra dei tre compagni di squadra, ma stavolta disposti in ordine per una foto ricordo.

E infine, fu la volta del servizio fotografico privato fatto al senpai. Saeko contò in tutto dodici fotografie. Ne aveva perciò contate due in più.
Nella prima l’aveva folgorato in uno scatto superlativo che lo ritraeva come un veterano del basket durante un assiduo allenamento: addosso aveva un pantaloncino bianco - non aderente, ma abbastanza da fasciarne i muscoli atletici della gambe - abbinato a una canottiera nera a spalla larga con scollo a V e dei polsini dello stesso colore.
La chioma castana era ondeggiante sulla fronte per lo scatto fulmineo che stava intraprendendo, lo sguardo e il sorrisino stampato sulle labbra erano fascinosamente rilassati, guizzavano di un’impetuosa luce allietata dal muoversi all’interno della sua passione, le braccia toniche e tese stavano la destra sospesa a mezz’aria con il pallone ben fissato sotto al palmo e l’altra piegata sulla metratura del torace, pronta a prenderne il comando, mentre le gambe una l’aveva ben inchiodata a L a sospingerlo sul parquet lustrato, l’altra invece si distendeva per tutta la sua lunghezza in perpendicolare.
Appena la vide Saeko seppe di amare alla follia quella fotografia, e quando sarebbe stata spavaldamente coraggiosa, a tempi propizi, l’avrebbe piantata al muro per esporla nella sua stanza come un vanto, quindi contemplarla tutte le volte che gli andava.
Mettendola da parte, Saeko prosegui con la sua riservata galleria fotografica.

La seconda foto del senpai che Saeko vide, fu quella di tre quarti che sorseggiava da una lattina fresca. Nell’azione del bere, il suo pomo d'Adamo diveniva tenacemente marcato e nel piegarsi i suoi i muscoli del suo braccio destro ne evidenziavano il calco scultoreo di bronzo. Per non parlare degli occhi semichiusi che in quei tratti virili del viso gli donavano un’aura di monumentale pace.

Nella terza, Saeko si era spinta a tentare l’esperimento della macrofotografia del suo profilo sinistro dove sotto l’occhio faceva capolino il tanto amato neo.

Nella quarta, era stata lesta a scattarla e scrupolosa nel non farsi beccare.
Saeko aveva bloccato il tempo un’istante dopo che il senpai aveva controllato l’ora nell’orologio.
Le sue pupille ardesia appena sollevate e le sue labbra carnose schiuse erano per un’aspirante scrittrice qualcosa di non metaforicamente descrivibile.
Saeko si imbambolò a fissarla per un bel po’.

Nella quinta il senpai aveva finito di allenarsi e stava seduto in panchina con la tovaglia poggiata sulla testa.

Nella sesta, Saeko gli aveva scattato una foto sportiva. Spiccato in volo come una tigre pronta ad afferrare la sua preda, era stato immobilizzato il secondo antecedente al lancio della palla: la sua massa muscolare inarcata a cresta di sensu giapponese e le sue iridi scagliate fissamente sul canestro come se potesse vedere il futuro canestro con dieci secondi di anticipo.

Nella settima era stato colto a considerare il cielo di un azzurro spiazzante.
La sua atletica silhouette catturata di profilo, la mano sinistra distesa lungo il fianco, quella destra infilata in tasca e il suo volto pensieroso, raffiguravano qualcosa di artisticamente pregevole per un pittore.
Saeko avrebbe tanto voluto che fosse un quadro che avrebbe avuto piacere di esporre in un museo di rarità.

Mentre continuava a scorrere le foto, ad un certo punto, si fermò a analizzare la decima in cui il Senpai sprigionava un sorrisino compiaciuto in merito al gioco affinato di un suo compagno, e fu li che nella sua mente prese forma una nitida domanda.
Cosa me ne farò di queste foto fra dieci anni?magari una volta sposata con un uomo che non era lui, le avrebbe nascoste in un doppio fondo di un cassetto per tornare ricordare il suo tenero primo amore.
E magari, prese strade diverse, si sarebbero rincontrati dopo dieci anni e le avrebbe consegnate al suo legittimo proprietario, trovando finalmente il coraggio di espellere dal suo cuore l’indelebile sentimento che tanto l’aveva tormentata in quegli anni di adolescenza.
Senpai” sussurrò mestamente nella penombra della stanza. Subito dopo però si innervosì.
Ma che dico, perché rincontrati?” Saeko sperava avidamente che la loro fosse un’amicizia prolungata e stabile. Una di quelle che anche se intraprese strade disgiunte sarebbe comunque durate nel tempo mediante cene organizzate con i rispettivi figli e coniugi.
Saeko riprese quindi a sfogliare l’arsenale di foto, approdando così all’ultima che era la famosa scattata quella domenica pomeriggio in spiaggia quando lei l’aveva scattato al surfista senza riconoscerlo a causa della sua miopia.
Nel rivedere il carapace bronzeo di muscoli del senpai, la ricciolina arrossì, sentendosi un po’ pervertita. Ma poi scosse prontamente il capo, dicendosi che non potesse definirsi tale solamente perché il senpai era in costume da bagno.
E poi ad analizzarla con occhio da professionista, avrebbe potuto benissimo essere una foto usata nel magazine sportivo per rappresentare l’inizio del torneo di surf.
Riappacificata da quella convinzione, raccolse tutte le foto insieme, ma, un pensiero gli suonò forte in testa come una trombetta da tifoseria.
Un momento. Dov...dov’è la foto con quell’idiota spaccone?” il cuore di Saeko si agitò mentre ricontrollava la lunga serie di foto, tuttavia, quella di lei e Sendoh che Nami aveva accidentalmente scattato il giorno dell’amichevole con lo Shohoku, si era come, vaporizzata.
No, non può essere, era...era qui….in mezzo a tutte le altre” Saeko ricontrollò la raccolta di foto una seconda, terza, quarta volta. Fece lo stesso anche con la busta giallo tuorlo - dimenandola un po’ dove gli pareva - per fare cadere quello che conteneva: il nulla cosmico.
No. No. no. Dove può essere finita?” a quel punto, essendo Saeko una ragazza intelligentemente intuitiva, e avendo ripercorso con una meticolosa precisione la giornata ormai andata, non ci mise molto a scoprire cosa e chi fosse stato il colpevole del misfatto.
Nami” sussurrò piano come se l’amica fosse l'Arsenio Lupin della situazione che aveva ingannato lo Sherlock Holmes della situazione con una dei suoi astuti travestimenti. Il che lo rese ancora più raccapricciante.


La notte il suo sonno fu disturbato da un orrendo sogno.
La scena partiva serena con le onde del mare che danzavano lente a destra e lei e il senpai che erano sul punto di confidarsi i rispettivi sentimenti, ma all’ultimo secondo, questo veniva distratto da qualcosa alla sua sinistra.
«S – senpai?» gli chiese sconvolta da un bruttissimo presentimento. Quando anche lei si volto verso ciò che aveva attirato la sua attenzione, Saeko avrebbe quasi voluto gettarsi in mare per vivere eternamente nei suoi abissi più irraggiungibili.
Davanti a loro un cartellone pubblicitario che festeggiava la giornata di San. Valentino con la gigantografia della foto sua e Sendoh.
«A quanto pare il tuo filo rosso del destino è legato a me» parlò una voce alla quale Saeko associò un sorriso da schiaffi.
La ricciolina si alzò d’improvviso come se un conato di vomito l’avesse colta nel sonno.
«Mai. Mai nella mia vita. Mai.» mormorò serrando la mano sinistra sulla parte equivalente del volto. Saeko era decisa come non mai, se era stato scritto così, a recidere il filo rosso del destino che la univa a Sendoh. Di qualsiasi sentimento questo si fosse trattato, non gli importava.
Doveva sbozzarsene quanto più velocemente poteva. Non voleva più vederlo davanti ai suoi occhi. Eccezione fatta per le partite ufficiali della prefettura, si intende.
Perciò corse in bagno a lavarsi i denti e tutto, facendo erase totale delle immagini contenute nel suo sciagurato sogno.
Inutile aggiungere che anche stavolta saltò la colazione a causa della sua incazzatura già salita a livelli esponenziali di prima mattina. Correndo come una pazza, si fece a rotta di collo i gradini delle scale e lasciare una scia di fuoco divampante durante la strada del liceo.

 

Nel frattempo sulla strada della scuola, Nami accompagnata dai tre fenomenali atleti, era ignara della sorte che la attendeva.
«Saeko non era con te?» le chiese Jin gettando l’occhio dietro di se come per sorvegliare l’angolo dal quale solitamente compariva l’amica in sella alla sua bici.
«A quanto pare, NO» Nami disse il NO in una maniera nervosamente acuta che fece sobbalzai i ragazzi per lo spavento.
«Ma che c’hai stamattina?» commentò Kiyota già tediato della cosa perché percepiva che c’era qualcosa di losco sotto.
Nami invece aveva stampato sul viso tronfio il sorriso di chi avrebbe avuto vita comoda, ma la convinzione si spense, quando il senpai pronunciò il nome “Saeko” e lei vide la sua faccia imbestialita ad aspettarli all’entrata del liceo.
«C – ciao, Saeko» la salutò pimpante.
Saeko non parlò. Accorta come una spia sotto copertura se la tirò da parte, nella fiancata sinistra della scuola che a quell’ora era sempre in ombra, facendo del detto “Andiamo dritti al sodo” un vero e proprio tempo d’azione.
«Dammi la foto» le ordinò gelidamente.
Nami emise un sogghigno appariscente. Non gliene fregava niente di litigarci, anzi, la competizione tra loro due, la incentivava a fargli la battuta pungente di rito. 
«Vediamo, hai per caso intenzione di incorniciarla nella tua camera come una prestigiosa laurea?»
«No» Saeko fu tacitiana.
«Oh, beh, allora starà meglio nella mani di qualcun altro» sentenziò l’altra con il piede già orientato verso gli amici che si chiedevano cosa stessero tramando là dietro.
Saeko la afferrò rozzamente per il polso per impedirgli di farlo.
«Nami, ti prego, dammela» ripeté con uno sguardo di ghiaccio affine a quello minatorio e inamovibile della super matricola Rukawa.
Più passava il tempo, più Nami rivedeva in Saeko alcuni dei suoi atteggiamenti spassionatamente arroganti quanto attraenti.
«Facciamo caso che io ho intenzione di consegnartela, ma facciamo anche il caso che in cambio della foto tu mi dirai il nome e cognome del Senpai di cui sei innamorata. Che dici è fattibile come cosa?» le fece una proposta scorretta. E difatti le labbra e occhi di Saeko ebbero un leggero tremito di terrore.
Il suo nome e cognome.
Sarebbe bastato pronunciarli a voce alta per chiudere in uno schiocco di dita quell'irragionevole tafferuglio. Già, peccato che Saeko aveva deciso fissamente che il suo nome non sarebbe mai sdrucciolato fuori dalla sua lingua per nessuna ragione al mondo, né che i suoi sentimenti per lui sarebbero mai stati confessati.
«Non posso farlo» le disse a capo basso, ma voce ferma.
«Oh, perciò, la mia risposta è NO» le rispose Nami percuotendo un no di gola accentuatamente grintoso.
«Tu lo sai vero che non lascerò perdere questa storia e alla fine me la riprenderò?» la avvertì la ricciolina scura in volto.
Il messaggio era cristallino. Essendo ai ferri corti, le stava lanciando una sfida compensativa all'urgenza spericolata di stracciare quella foto, non ricordando che la competizioni facevano gola a Nami come una carpa nella stagno la faceva ad un gatto randagio di passaggio da quelle parti.
«Provaci. Accetto la tua sfida, ma se entro la fine di questa giornata non riuscirai a riprendertela, allora sarà di mia esclusiva proprietà e potrò farci quello che mi pare» Nami le presentò le clausole e i termini di scadenza quasi ad essere abituata a siglare trattative di questa portata.
Saeko si addentò l’interno guancia frenata dagli schiamazzi della ragione, ma non certo titubante.
Sapeva che si stava imbarcando in una cosa più grande e sconsigliabile della stesura del suo romanzo, tuttavia era di priorità che quella foto tornasse nella sua raccolta.
Nami era scriteriata a tal punto da ordinare delle gigantografie per attaccarle nelle pareti della scuola, a ogni fermata della metro e palo della luce.
Ad immaginare simili scenari catastrofici, il corpo di Saeko vibrò come se si fosse di colpo ritrovata nel sentiero buio di un cimitero sprangato.
Non devo farmi intimorire. In fondo dalla mia ho un cervello brillante“
Sarebbe stata la classica sfida tra una mente primatista e un corpo versatile, e come ogni favola del forcole assimilata o esperienza tastata, si sapeva che ad averla vinta era sempre l’astuzia irraggiungibile della mente.
Era matematico che la ricciolina dalla sua aveva un’intelligenza quotata al centodiciannove.
Questo sproloquio mentale le diede la tenacia di acconsentire vigorosamente.
«Beh, che vinca il migliore» le auspicò Nami porgendogli la mano così da dare il via alla loro elettrizzante sfida.
«Vedremo chi l’avrà vinta» la stretta di Saeko fu energica.
E il suo sguardo si andò a mutare lentamente in quello ardimentoso e feroce del senpai Maki che pietrificava istantaneamente un avversario nel corso di una partita.

 

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Durante la lezione di storia, Jin gettò un’occhiata al banco della ricciolina posizionata due banchi dietro al suo della fila accanto – a Jin piaceva quando l’amica ne ricambiava il sorriso raggiante – ma ciò che vide quella volta fu l’amica con un’occhiataccia che crepitava di scintille killer.
Sollevato il mento dal palmo per lo stupore, il ragazzo ne seguì la traiettoria dello sguardo, finendo per cascare con il suo, nel banco di Nami, che a differenza della ricciolina, aveva per occhi due grandi sdolcinati zaffiri.
Durante la pausa pranzo quella situazione non si chetò, anzi ne prese una caoticamente scatenata.
La prima volta, al piano delle seconde, ovvero il loro, Nami si nascose dietro Jin sfruttando la sua faccia di angioletto per rabbonire l’amica.
«Guarda quanto è adorabile. Non ti viene l’irresistibile voglia di coccolarlo?» le diceva sporgendogli il viso strapazzato tra l’indice e il pollice. Saeko pur trovando effettivamente il viso del ragazzo di una dolcezza indescrivibile, si mostrò plausibilmente impassibile, partendo a rincorrerla non appena lei scattò verso destra, ma non prima di aver poggiato una mano sul braccio dell’amico per porgergli le sue scuse.
La nostra eroina rincorse Nami per tutti i piani con una riserva di resistenza e ossigeno che lei stessa si meravigliò di avere. Ma forse a muoverla era solo l’obbiettivo di appropriarsi di quella compromettente fotografia e farla sparire definitivamente dalla faccia della terra.
Arrivate al piano delle terze, Saeko riuscì a guadagnare terreno afferrandola opportunamente per una caviglia, proprio nel momento in cui lei diceva a vociava stentorea “C’è il senpai”.
Com’è prevedibile, il susseguirsi delle reazioni a catena che ci si verificò non poco dopo, fece desiderare a Saeko di ricorrere ad un intervento chirurgico facciale: essendo agguantata per la caviglia, Nami perse l’equilibrio, trascinando nella colluttazione anche Saeko.
Ma i guai non finirono certo lì perché nel perdere l’equilibrio, a Nami scivolò di mano la fotografia incriminante, quindi si sollevò leggiadra per aria, per poi planare pigramente sul pavimento, proprio davanti agli occhi vigili del senpai.
Quando Saeko si rese conto di ciò che stava per accadere, si vide passare davanti tutta la vita - futura inclusa - cancellata completamente da ogni traccia di dignità e pudore.
Scenari mediocremente apocalittici in cui veniva ripudiata da tutte le persone a cui teneva, vagarono nella sua mente, innescandogli quasi un attacco di panico.
La reazione di Saeko a quel punto fu lecitamente recettiva e cautelativa.
«Ah, non guardare, ti prego, Senpai» e berciatogli il comando, se ne fiondò rocambolescamente addosso sollevandosi sull’estremità delle sue punte per coprigli gli occhi con la maschera delle minuscole mani.
Il senpai, non si smosse di un centimetro sotto il peso della ragazza, né tolse le mani di lei dai suoi occhi, ma lo sbigottimento stillò esplicito dalla fuoriuscita sue parole.
«Saeko!» le disse confuso.
“Oh, no. Che cosa ho fatto?” cacciatasi in quella situazione calamitosa, Saeko non seppe se dover ricorrere a quel famoso intervento chirurgico facciale a causa della sua azione maleducatamente avventata sul Senpai o contemplare la remota – remotissima – ipotesi di essere stata vista da quest’ultimo in atteggiamenti fintamente amorosi con Sendoh.
intanto, in tutto quel guazzabuglio mentale, Nami, approfittava dell’occasione favorevole che gli stava letteralmente planando addosso.
«Ah, presa!» la ragazza afferrò la foto come se fosse una banconota di 1000 yen.
Udendo la voce esuberante dell’amica, la sua spina dorsale fu attraversata da una violenta scarica elettrica che le fece scuotete tutte le ossa.
«Nami, no! Vieni qui!» le ruggì contro con le mani ancora posate sulle palpebre del Senpai.
Dopodiché si decise a toglierle e riprendere la sua caccia al ladro, ma non prima di voltarsi verso di lui per prostrasi in un inchino di umili scuse.
«Ci vediamo in giro, Senpai, e perdona la mia impudenza se puoi» così scattò in direzione di Nami che ormai era sparita in mezzo alla moltitudine di studenti.
Saeko ce la metteva tutta per tenergli testa, ma Nami aveva uno scatto di gambe inalterabile.
Questa è colpa della mia negligenza” si diede un’auto strigliata di capo. Lei era fuori allenamento da una vita, senza contare che il suo più laborioso esercizio fisico fatto .
Da domani farò un calendario di attività motoria, ognuna di un’ora e mezzo circa. Giusto per rassodare i vari muscoli del corpo” e magari avrebbe anche accettato di correre in tondo per la prefettura insieme alla sorella o il padre. Dipendeva da come gli girava quel giorno.
«Oggi le ragazze sembrano parecchio esuberanti» espresse Jin con il sorriso sulle labbra. Tutte e tre gli atleti erano addossati alla parte sinistra del corridoio in attesa di poter passare la ricreazione in loro compagnia. Ma le probabilità persistevano a depennare vertiginosamente.
«Già, sono piene di energia» apprezzò Maki.
«Mi chiedo di che tipo di droga hanno fatto uso ieri sera» commentò Kyota perplesso.
Non solo stavano dando spettacolo da praticamente mezza giornata, ma si comportavano nella maniera di un sovrintendente di polizia che si era iniettato la caffeina direttamente nelle vene.
Inizialmente Kiyota aveva pensato che l’insolita voglia di fare ginnastica di Saeko derivasse dall'inconveniente che Nami gli avesse fregato un pezzo d’intimo, gli altri due però, più razionali, avevano ponderato l’idea veritiera che si trattasse di un foglio del suo romanzo che la ricciolina non voleva fosse assolutamente letto.
Ora però realizzavano che si trattasse di una foto e ne cercavano di svelare il contenuto immortalato.
Proprio in quel momento di affossata riflessione, la ricciolina dovette fermarsi per fare rifornimento di fiato.
«Deve essere davvero importante  quella foto per portarti ad essere così caparbia» le riuscì a dire al volo Jin.
«No, non lo è. E’ solamente» Saeko stava ancora riprendendo fiato, ma ciò non gli impedì di mordersi nervosamente le labbra.
«Scomoda» e non avrebbe neanche dovuto esistere. Se esisteva era soltanto perché Nami montava su storielline passionali scadenti che manco i registi ridotti alla fame avrebbero mai approvato.
Ma proprio quelle due parole – storielline passionali - fu una lampadina di illuminazione per lei.
Girandosi a tre quarti verso il suo primo asso nella manica che non sapeva di avere.
«Kiyota» lo convocò alla sua attenzione.
«Te lo chiedo per favore. Rincorri quella pazza scatenata e riportami la foto. Ma non sbirciarci» ordinò rispettosamente, vedendo bene di rimarcarne l’ultimo punto.
«Come scusa? Come dovrei fare a...» il numero dieci del Kainan fece per opporsene, ma Saeko non gli diede molto credito.
«Non c’è tempo per le spiegazioni. Te chiedo per favore, Kiyota: acchiappa, ruba, e non sbirciare, intesi?» Kiyota che proprio non riusciva a fare il cuore di stele davanti alle richieste supplicanti della sua sorellina preferita in difficoltà, divenne ben presto un condensato di tenerezza.
«Tranquilla, lascia fare a me» la rassicurò allontanandosi in direzione delle tracce di Nami.
«Grazie, Kiyota» gli disse poggiando testa e spalla al muro per concedersi un doveroso riposo alle membra stremate.
Mettere in campo il suo primo asso nella manica fu un vero fiasco.
Kiyota venne facilmente abbindolato dalla moine da femme fatale di quest’ultima.
Con il senno di poi, Saeko pensò a come gli era potuto venire in mente di contrapporre a Nami, l’unica persona che aveva una cotta stratosferica per lei.
Così, la ricreazione finì e dopo le lezioni, seguirono in ordine uniforme “la pulizia della scuola” e l’inizio dei club pomeridiani.
Oggi quello di letteratura non si sarebbe tenuto e Saeko non perse certo tempo al ripercorrere le traccie intraprese dall’amica ladra, ergo per l’inconveniente che si fosse dileguata dalla scuola.
Presa dall’ansia, si precipitò in palestra così da domandarlo ai ragazzi e apprendendo che Nami avesse lasciato detto di stare andando a recapitare la foto al suo secondo legittimo proprietario.
Non è possibile non può averlo fatto davvero. Non è possibile” malgrado permaneva ad essere un pomeriggio luminosamente soleggiato, a Saeko parve che sopra la sua testa fosse apparsa la nuvoletta piovigginosa porta tristezza.
Nami, sei davvero la peggiore. La peggiore insieme a quella sottospecie di idiota spaccone” la ragazza non si frenò dall'ingiuriare quei due stolti ipocriti.
Proprio quando aveva deciso di andare a pescarla al liceo Ryonan, ecco che compariva in fondo al giardino con una mano sventolante come se non si vedessero da secoli.
Saeko ridusse dapprima gli occhi a due fessure per il nervoso, poi la raggiunse in un nano invisibile secondo che Nami non si seppe spiegare.
«Cavoli, che velocità!» esclamò Nami sbalordita.
«Nami,  dov’è la foto?» la ricciolina andò al sodo, e le tremò la voce nel chiederglielo, perché ahimè conosceva già la risposta.
«L’ho data al suo secondo legittimo proprietario» le disse, impettendosi con le mani sui fianchi nello stile di una super woman.
«Sono sicura che lui ne farà tesoro» le fece l’occhiolino apposta, per non dargli la possibilità di mal interpretare il suo messaggio, ovvero “Io ho smesso di essere il tuo bersaglio,. Forza, vai dalla persona che la possiede. Corri immediatamente da lui”.
«Nami, ma sei impazzita?» urlò fuori di se. La sua pazienza era sull’orlo di trasformarsi in una crisi nervosa, e se avesse raggiunto Mr. Sorriso da schiaffi, di quella parola, pazienza si intende, non sarebbe stata neanche più in grado di riesumare la sua definizione.
«Questo è un colpo basso. P- perché l’hai fatto? Non dovevi» la aggredì a parole, dopodiché la superò e prese a correre come un missile al parcheggio delle bici.
«Non dovevi. Non dovevi. Non dovevi» farfugliò febbrilmente nel mentre che saliva sul veicolo indirizzata di malanimo al liceo Ryonan.
E anche per oggi il mio compito è finito” pensò Nami, ridendosela come se si stesse deliziando del lieto fine di un film sdolcinato.
“Il filo rosso del destino che teneva uniti i due diletti”, si autodefiniva lei.
A dire il vero, Nami non sapeva se coinvolgerli in quella specie di relazione coattiva fosse la combinazione amorosa vincente per entrambi, però il riunirli nello stesso posto, l’immaginarli come una coppia fissa, le faceva sgorgare il cuore di arcobaleni, e per lei questa era una controprova sufficiente a dirgli che stesse svolgendo un buon operato in qualità di divinità dell’amore.



NOTE AUTRICE: Oh, ma guardate un po' chi è tornato? Contenti? Si? No? Va beh, nel dubbio sono tornata con questo nuovo breve progetto di due capitoli, uno speciale su "Change my rules" dedicato alla foto che Nami ha scattato. 
Beh, che ne dite di questo primo capitilo? Quella foto è sede di casini continui vero? Povera Saeko. Nel secondo come avrete compreso appariranno tutti gli altri personaggi tra cui Mr. sorriso di schiaffi e l'intero Shohoku. 
Che dire a presto e spero che apprezziate e vi fate anche due mezze risate.  
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B
yeeeeeeee!

   
 
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