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Autore: Lacus Clyne    07/09/2020    4 recensioni
Una notte d'inverno. La città che non dorme mai.
Un'ombra oscura al di là della strada, qualcosa di rosso. Rosso il sangue della piccola Daisy.
Kate Hastings si ritrova suo malgrado testimone di un efferato omicidio.
E la sua vita cambia per sempre, nel momento in cui la sua strada incrocia quella di Alexander Graham, detective capo del V Dipartimento, che ha giurato di catturare il Mago a qualunque costo.
Fino a che punto l'essere umano può spingersi per ottenere ciò che vuole? Dove ha inizio il male?
Per Kate, una sola consapevolezza: "Quella notte maledetta in cui la mia vita cambiò per sempre, compresi finalmente cosa fare di essa. Per la piccola Daisy. Per chi resta. Per sopravvivere al dolore."
Attenzione: Dark Circus è una storia originale pubblicata esclusivamente su EFP. Qualunque sottrazione e ripubblicazione su piattaforme differenti (compresi siti a pagamento) NON è mai stata autorizzata dall'autrice medesima e si considera illegale e passibile di denuncia presso autorità competenti.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Buon pomeriggio!! Dopo una parte di capitolo lunghissima... ecco finalmente la prima parte del capitolo IX! Grazie per il supporto e buona lettura!!



IX ◊

 

 

 

 

 

L'indomani, Jace e io apprendemmo che la riunione si era conclusa intorno alle 5:00 e Harriet Cruise e Varban Petrov erano già stati presi in custodia. Per loro si sarebbero aperte le porte della prigione. Data la situazione, la Cruise sarebbe stata quasi sicuramente assegnata a una prigione federale, mentre Petrov, che non aveva rinnovato il visto, avrebbe avuto problemi con l'Immigrazione e avrebbe rischiato un prematuro rimpatrio. Intervenuto a risolvere le cose, il detective Graham aveva fatto sfoggio di un'interessante capacità retorica che mi fece ricordare che la sua capacità di bluffare non dipendesse solo dalla sua faccia tosta e da un'indole votata al male per natura, ma anche dai suoi studi. Se avesse mai deciso di lasciare la Polizia, avrebbe avuto un futuro in un tribunale. Se da principe del foro o da imputato, quello sarebbe stato demandato al destino. Così, dopo aver spalleggiato Vaughn, i due erano riusciti a far trattenere Petrov e avevano proceduto all'interrogatorio. Tutto ciò che avevamo scoperto collimava, a prescindere dai tentativi di quest'ultimo di sviare o alleggerire le sue colpe. Aveva ucciso Alphonse Reyes, era, vero, ma aveva anche consegnato Karina in mano ai suoi aguzzini. Immaginai che se anche fosse riuscito a ottendere l'estradizione, non l'avrebbe mai passata liscia.

Per quanto riguardava la Cruise&Sons Pharma, l'FBI si sarebbe occupata del resto e Alejandra Ortega, finalmente nel suo vero aspetto, carrè spettinato e occhi nerissimi, oltre ad un abbigliamento molto meno ricercato di quello che aveva quando si fingeva Sarah Reyes, ci garantì che gli ignari dipendenti sarebbero stati trattati col dovuto riguardo. Rimaneva soltanto una questione da risolvere e che, data la sua importanza, richiedeva la massima delicatezza.

– Sei pronto ad andare, Nicholas? – domandai, sistemando le maniche del giubbino di almeno una taglia più grande.

Il suo sguardo insicuro fu una risposta abbastanza eloquente. Sorrisi. – Non avere paura. Ci sono io con te. –

– E io. – intervenne Jace, riservandogli un gran sorriso dei suoi, poi gli fece l'occhiolino.

– Siamo i buoni, sai? Quelli che combattono e sconfiggono i cattivi! –

– E cercano di arrivare in orario prima che un certo bel tenebroso con complesso di superiorità cominci a sbroccare. – aggiunsi, ridacchiando, poi rimisi a posto qualche ciuffetto ribelle. Era veramente un bel bambino. – Ecco fatto! Ieri ti sei fidato di noi... vorresti fare lo stesso oggi? – gli domandai e per risposta, Nicholas mi prese per mano.

– Però, sembra proprio che tu l'abbia conquistato, Katie... – mormorò Jace al mio orecchio.

– Piantala... è solo che ci capiamo, vero? –

Nicholas annuì appena, poi, affidato il mio trolley a Jace, dato che Alexis aveva già provveduto durante le prime ore della mattina, scendemmo nella hall, trovando ad attenderci il detective Graham, ancora ammaccato, così come Vaughn, la stessa Alexis, Alejandra e, inaspettatamente, Selina e il dottor Howell. Non mi sfuggì il sorriso di Selina nel vedere Nicholas, tanto più che fu la prima ad avvicinarsi.

– Lui è... –

– Nicholas. Nicholas, lei è il dottor Clair. –

– Selina! Solo Selina, Kate. – si affrettò a correggermi, mentre Nicholas si nascose dietro di me, intimidito.

– L'ho spaventato? Oh cielo, scusami, piccolino... –

Sorrisi. – Credo sia solo un po' timido... – spiegai, poi guardai i colleghi e Alejandra.

– Cosa si fa, ora? – chiesi.

Jace, dopo averci lanciato un'occhiataccia bieca, si avvicinò a Nicholas e gli arruffò i capelli che tanto avevo impiegato per mettere in ordine.

– Ti va di fare un ripassino della colazione? Ho visto come hai divorato quei deliziosi croissant alla crema! Non so tu, ma io un altro giretto lo farei... –

Nicholas guardò Jace, visibilmente combattuto, poi rivolse lo stesso sguardo a me. Aveva bisogno di essere rassicurato. Assentii e solo dopo aver avuto il benestare, accettò e lasciò la mia mano per quella di Jace.

– Hai capito... – commentò Selina, sorridendo.

– Ha capito chi è il migliore. Vero che zio Jace è il migliore, Nicholas? –

Per tutta risposta, il bambino indicò il bar. Mi misi a ridere. – Credo che il migliore sia il barman. –

Così, il povero zio Jace col cuore infranto, ma sicuramente più giudizioso di noi tutti e Nicholas ci lasciarono momentaneamente, ma rimanendo sempre in vista, tanto più che notavo i suoi occhioni azzurri volgersi guardinghi spesso dalla nostra parte, come se volesse sincerarsi che non ce ne saremmo andati lasciandolo lì.

Furono Alejandra e Vaughn, intanto, a darci risposta.

– Considerando la situazione, la prassi imporrebbe di affidare il bambino ai servizi sociali. Non avendo più i genitori ed essendo nato qui, è un cittadino americano a tutti gli effetti. Vaughn e io abbiamo parlato dell'eventuale ricerca di parenti in Bulgaria, ma questo richiederebbe comunque tempo. –

– Esatto. Certo, ciò non toglie che indagherò, dato che sarebbe la soluzione più logica affidare il bambino ai suoi parenti, ma dobbiamo considerare anche il fatto che è stato esposto ad agenti chimici sviluppando un certo grado di immunità e non sappiamo se questo potrebbe essere pericoloso. –

– Aspetti... sta dicendo che andrebbe messo in quarantena? Volete davvero rinchiuderlo da qualche parte?! – chiesi, alterandomi.

– Hastings. – la voce di Graham, a cui rivolsi un'occhiataccia.

– No. Mi oppongo. Quel bambino ha perso sua madre, non parla perché probabilmente non è mai stato in grado di elaborare il trauma di quanto accaduto, è rimasto al giogo di quella famiglia di folli dal giorno stesso in cui è nato e voi volete trattarlo esattamente allo stesso modo?! State scherzando, spero! –

– Dottoressa Hastings, la prego di essere ragionevole. C'è la concreta possibilità che quel bambino abbia in sé qualcosa di potenzialmente pericoloso... – disse Alejandra.

– Cos'è, una bomba ad orologeria? Crede che chiudendolo in qualche laboratorio scoprirete qualcosa? Questa è inumanità! Dica qualcosa, dottor Howell! – protestai, guardando il Procuratore, che si irrigidì. Non volevo che Nicholas finisse per trascorrere i suoi giorni nuovamente rinchiuso. Quel bambino aveva la sola colpa di essere nato nel luogo sbagliato, ma non era giusto che pagasse per questo. Mi infervorai, nel vederli così remissivi, come se avessero già deciso e si stessero limitando a darmi la notizia. Guardai Nicholas, che mangiava il suo croissant fissando lo sguardo verso di me e mi si strinse il cuore. Mi sforzai di sorridergli, poi tornai a guardare gli altri.

– Molto bene, al diavolo quello che pensate. Sicurezza nazionale? Beh, avete già quello che vi serviva. Immigrazione? Se proprio volete fare qualcosa di concreto, trovate i parenti di Nicholas. Quanto a voialtri e parlo anche di lei, detective Graham, lei per primo ha visto lo stato in cui versava quel bambino, cos'hanno passato lui, sua madre e tutti coloro che sono stati soggiogati dai Reyes! Io mi sono fidata di lei e Nicholas si è fidato di noi ieri notte. Se osa dirmi ancora una volta che è la prassi, oppure che è meglio per lui... o magari che questo è quanto e che posso cominciare a scegliere un'altra carriera, beh... giuro che farò tutto quanto in mio potere per distruggere lei e tutti coloro che proveranno a fare del male a Nicholas! –

Non so se fu tanto per le mie parole o per il tono con cui le pronunciai, ma ebbi la conferma di averli sconvolti, a cominciare proprio dal mio capo, che, a differenza della notte del funerale di Trevor, non seppe come rispondere. Avevo il cuore che batteva tamburellando, tanto ero infuriata e con loro e sarei stata pronta a lasciarli lì dov'erano, prendere Nicholas e andare via se si fossero opposti, se non fosse stato per il provvidenziale intervento di Selina.

– Kate ha ragione. – disse, affiancandomi. Ero abituata a vederla scherzare, ma stavolta, era seria. La guardai e mi guardò a sua volta, poi si rivolse agli altri.

– Se il problema è tenere d'occhio la sua situazione clinica, vi ricordo che sono un medico, prima di tutto. Dunque posso benissimo occuparmene io. Poi, non dimentichiamo che la dottoressa Hastings è una psicologa e la sua opinione in quanto specialista è fondata. –

Alejandra, Vaughn e il dottor Howell si guardarono tra loro.

– Selina, non è possibile. Non è qualcosa di cui non possiamo non tener conto. – disse quest'ultimo.

Lei si tenne salda. – Hai un'idea migliore del trasformare un bambino in una cavia per il governo? A meno che non vogliate che scomodi la Corte per i Diritti Umani... e sapete che ho i mezzi per farlo. –

Quelle parole li indispettirono. Selina non indietreggiò per alcun motivo. Non avrebbe permesso alcuna replica. Guardai il capo di sottecchi e ottenni in risposta un'espressione inintelligibile.

– Cerchiamo almeno di prendere tempo. Non mi sembra il caso di decidere ora il destino di Nicholas. Nè tantomeno siamo noi a doverlo fare... poi, se lo scopo è garantire il bene del bambino, credo che la prima cosa da fare sia aiutarlo a superare il suo blocco. In seguito, magari, potremo pensare a cosa fare. – continuò Selina, correggendo il tiro. In realtà compresi che lo faceva per non tirare eccessivamente una corda che sembrava piuttosto fragile.

– Io sono d'accordo con voi. – aggiunse Alexis, a sorpresa. Vaughn e Howell erano increduli.

– Credo che la vita umana venga prima di ogni cosa. Quel bambino è soltanto una vittima e non mi sembra il caso di infierire oltre. Lei ha trascorso qualche mese con Nicholas, vero, agente Ortega? Se dovesse mettere il dovere e il tempo passato con lui sulla bilancia, cosa direbbe questa, eh? –

Alejandra non si aspettava una domanda del genere, ma ugualmente, ci pensò. Guardò Nicholas, che continuava a guardare dalla nostra parte, incurante di Jace che cercava di catturarne l'attenzione, poi si voltò verso di noi. – Una settimana. –

– Cosa? Non posso nemmeno attivare le ricerche in una settimana! – protestò Vaughn.

– Di quanto tempo hai bisogno? –

Vaughn scosse la testa, pensandoci. – Non lo so, non posso fare stime ora. –

– E tu vorresti diventare Direttore dell'Ufficio Immigrazione... – borbottò Alexis.

– Cosa c'entra ora? –

Alexis fece spallucce. Howell sospirò. – Credo che ora come ora sia meglio tornare a casa e ragionarci su. Dal momento che siete irremovibili e c'è un certo grado di apertura da parte delle agenzie, ritengo sia meglio agire così. Nicholas verrà con noi, ma sarà necessario trovargli una sistemazione. Lei che ne pensa, dottoressa? Data la sua condizione psicologica, come sarebbe preferibile muoversi? –

Stupita di quel cambio di rotta inatteso, su due piedi mi ritrovai in crisi, ma poi feci mente locale. – Credo che abbia bisogno di stare con qualcuno di cui si fida. –

– E poi finirà con l'affezionarsi. – borbottò Graham.

– Dal mio punto di vista, il fatto che dimostri attaccamento non è negativo. Clinicamente parlando, vorrebbe dire che sarà in grado di sviluppare relazioni positive e soddisfacenti da adulto. Sarebbe una grande vittoria, dato ciò che ha vissuto. – spiegai, non comprendendo come mai fosse diventato così restio nei confronti di Nicholas.

– Se si tratta di questo... mi sembra che la risposta alla sua sistemazione sia abbastanza ovvia, allora. – ribattè Alejandra.

Guardai Jace, che ormai, si era trasferito a casa mia e di Lucy. L'idea di vederlo alle prese con un bambino che, nonostante la simpatia, non sembrava granché intenzionato a dargli retta non mi sembrava delle migliori.

– A casa tua c'è posto, Kate? – mi domandò Selina.

– Eh? Ehm... a dire il vero non c'è posto per un bambino... a meno che Jace non torni a casa sua... –

– Jace? Vuoi mettere un bambino nelle mani di Jace? Tanto varrebbe affidarlo ai servizi segreti! – osservò, scettica.

– Intende dire che... dovrebbe stare con me? –

Selina sorrise, stavolta. – Si fida di te, l'hai detto tu stessa. –

– S-Sì, ma... un bambino... io non... non so se... non ho idea di come... ecco... – cercai l'appoggio del detective Graham, la cui espressione era l'equivalente di un “Hai voluto la bicicletta e ora pedala”. Tuttavia, nel suo modo assurdo e saccente, mi venne incontro.

– Ha una casa piccola e disorganizzata che condivide con quello squinternato di Jace e con la coinquilina. Ti sembra che sia il caso di mettere un bambino in mano a tre ragazzi che non hanno la minima idea di come crescerne uno? –

Mi accigliai per il modo barbaro con cui si ostinava a definire il mio appartamento, ma in qualche modo, aveva ragione. Casa mia non era adatta a un bambino e soprattutto, non avevamo esperienza.

– Potremmo chiedere all'agente Jones... –

– Ha già tre figli piccoli di cui uno neonato e, per quanto sia d'accordo sull'importanza della socializzazione, non credo che esporre Nicholas così precocemente agli altri sia di giovamento... senza contare che Eleanor ucciderebbe Daniel. – ribattè Selina.

Era passata dal supportarmi al bocciare ogni mia proposta.

– E allora come si fa? Ha un'idea migliore? – chiesi.

Selina mi rivolse un perfetto sguardo sardonico, poi guardò Graham, che aveva capito il gioco dell'amica già dall'inizio, a quanto pareva.

– No. – sentenziò, laconico.

– Lex, per favore. –

– Puoi scordartelo. –

Voleva affidare Nicholas al detective Graham? Per qualche ragione, quel pensiero mi fece ridere.

– Non ridere. Sei stata tu a dire che si fida di voi due. Quindi, la soluzione migliore per Nicholas è che ve ne occupiate voi, almeno finché non si risolverà questa situazione. –

Per poco mi venne un accidente. – Cosa?! I-Io e il detective Graham? Occuparci di Nicholas?! –

– Beh, casa tua lo permette, Alexander... – osservò il dottor Howell.

– Non provarci nemmeno, Marcus. –

– Sarà solo per qualche giorno... Alexander, per favore. Fallo per quel bambino... so che non sei così senza cuore da non fornirgli un'alternativa. – incalzò Selina.

Non mi sfuggì la nota di ira nello sguardo di Graham. Selina stava toccando delle corde importanti. – Se proprio ci tieni, perchè non... – non andò oltre, perchè un luccichio negli occhi della nostra collega dovette fermarlo.

– Te ne prego. Non te l'avrei chiesto se non fossi stata certa del fatto che avresti capito. –

Qualcosa nel tono di Selina mi fece intendere che ci fosse altro, ma in quel momento, nessuno parlò. Howell distolse lo sguardo, mentre Alejandra, scusandosi, si allontanò per rispondere a una telefonata improvvisa. Alexis e Vaughn si guardarono, mentre Jace e Nicholas tornarono da noi. Nicholas corse a prendermi per mano e mi ritrovai a guardare sia lui, col suo musetto sporco di crema, che il detective Graham, che ricambiò. Ciò che Selina gli aveva chiesto non era un semplice favore e il suo dilemma era più profondo. Ospitare un bambino significava far entrare nella sua vita qualcun altro che non fosse sua figlia. Eppure, per un caso fortuito, Nicholas condivideva con Lily qualcosa. Sperai che si rendesse conto del fatto che avessi compreso il suo dramma, quando si decise a parlare.

– Quanto ci metti a fare i bagagli? –

– I bagagli? – chiesi, incerta.

– Non vorrai davvero che venga a stare nel tuo affollato appartamento, no? Casa mia è più grande. –

– Eeeeeh?! –

– Sapevo che sarebbe finita così. Mi devi un favore che non potrai mai ripagare, Selina. – borbottò contrariato, poi si chinò e prese un fazzolettino dalla tasca del suo Peuterey nero. Guardò Nicholas, che aggrottò le sopracciglia. – Era buono il croissant, eh? – chiese al piccolo, poi gli arruffò i capelli e gli ripulì il musetto.

Incredula, guardai i presenti e Selina, che sorrise.

– Grazie... – mormorò.

Sorrisi di rimando e sospirai, pensando che il rientro a Boston sarebbe stato davvero movimentato.

 

***

 

– Ti trasferisci a casa del detective Graham?! – La voce di Lucy, seduta sul mio letto, uscì più alta di un tono quando, tra la raccolta delle mie cose e uno sguardo all'orologio, le comunicai della mia temporanea sistemazione.

– Sarà soltanto per qualche giorno. Jace ti spiegherà tutto per bene. –

Lucy portò indietro una ciocca liscia dei capelli corvini, che ormai raggiungevano le scapole. – Non puoi tornare a casa dopo un'operazione e dirmi “Ehi, sono tornata! PS. Vado a vivere col mio capo!” e sperare di non darmi uno shock! –

Presi il mio beauty case e lo ficcai velocemente nel trolley. – Non sto andando a vivere con il mio capo. Stiamo cercando di risolvere una situazione complicata. –

Stavolta roteò gli occhi cervoni. – Complicata. Poco, ma sicuro. –

– Smettila, scema. Sai benissimo che non c'è un secondo fine. A dirla tutta non mi aspettavo una cosa del genere, ma adesso che c'è di mezzo un bambino, non posso fare altrimenti... secondo te dovrei portare anche un altro spazzolino? –

Per poco non le venne un colpo. – Frena, frena!! Un bambino? Kate, sei incinta?! –

Avvampai fino alla punta dei capelli e il mio Oz, il peluche che avevo portato da casa e che avevo in mano, mi cadde a terra. – No! Te l'ho detto, si tratta di una questione delicata... –

– Sì, e Jace mi spiegherà tutto. Ma io voglio sapere da te... sei la mia migliore amica e mi preoccupo per te... Kate, da quando sei in Polizia sei diventata davvero sfuggente... –

Aveva ragione, ma c'erano cose che potevo dirle e cose che sarebbe stato meglio tenere per me. Nicholas era una via di mezzo. Raccolsi Oz e la raggiunsi, sedendomi accanto a lei. Sapevo che il detective Graham mi stava aspettando in auto insieme a Nicholas, avendo riposato durante il viaggio, durante il quale era stato Jace a guidare, ma Lucy aveva diritto a una qualche spiegazione.

– Scusa... hai ragione. So che non è semplice starmi accanto e, probabilmente, nemmeno io vorrei stare accanto a una come me, ma stavolta non c'è nulla di pericoloso. Durante l'ultima operazione, abbiamo salvato un bambino, il figlio della donna sulla cui morte stavamo indagando. È saltato fuori che anche il padre è morto, lo scorso anno. Ora Nicholas è solo al mondo e non riesce ad esprimersi. Prima che venga affidato ai servizi sociali perchè gli venga trovata una nuova famiglia, abbiamo il dovere di aiutarlo. Io posso farlo in quanto psicologa, mentre il detective Graham ha a disposizione una casa più adatta alle sue esigenze. –

– E ha quell'esperienza con i bambini che a te manca... –

Annuii, stringendo la mia scimmietta. – Secondo te sto sbagliando? –

Lucy posò le mani sulle mie, rivolgendomi uno sguardo preoccupato. – Non credo... volete solo aiutare quel bambino... è solo che mi preoccupano le implicazioni di questa convivenza forzata... Trevor è morto solo da poche settimane... –

Mi morsi le labbra, sentendo il solito dolore nel petto. – Lo so, Lucy... lo so e il fatto di andare a stare per un po' dal detective Graham non comporta nulla di personale... lo faccio solo per Nicholas. Se Trevor fosse stato ancora qui, di certo avrei chiesto di affidarlo a entrambi. –

La mia migliore amica fissò gli occhi su di me, come se stesse cercando di scrutarmi dentro. Sapevo che lei per prima si era accorta del fatto che il detective Graham non mi fosse mai stato del tutto indifferente, ma entrambi avevamo ben chiaro quanto fosse ampio lo spessore di quella soglia da non superare. Avevamo molto in comune, lui e io, ma c'era rispetto per il rispettivo dolore e per le rispettive situazioni personali.

– Va bene... se lo dici tu mi fido. E comunque non è perché non lo ritenga una brava persona... quando non c'eri, ho avuto modo di parlarci. Ho notato il suo modo di parlare di te... ti ritiene un membro insostituibile della sua squadra. –

Sorrisi. – Vedi? I suoi riguardi nei miei confronti sono puramente professionali. Ed è così anche per me. Tanto più che non riesco nemmeno a chiamarlo per nome. Cioè... non sempre. –

Stavolta toccò a Lucy sorridere, poi mi dette un buffetto col polpastrello sulla fronte.

Alexander non può proteggermi per sempre... parole tue. –

Arrossii, ricordando di averlo chiamato per nome anche quando era venuto a recuperare me e Nicholas. – Beh... è così. Quell'attaccabrighe di un capo si caccia sempre nei guai... quindi sta a me garantire la sicurezza di quel bambino per i prossimi giorni! –

Lucy fu d'accordo. – Porterai con te Oz? –

– Se vuoi te lo lascio. È bravissimo a proteggere! – esclamai, muovendo le sue braccia morbide a mo' di inchino, poi camuffai la voce. – Mademoiselle, il qui presente Oz è al suo servizio! –

Lucy si mise a ridere. – Oh, di certo mi proteggerà meglio di Jace... che oltretutto, è in ritardo... –

Mi misi a ridere anch'io. – Quello schiavista l'ha mandato a recuperare qualche altro cambio per Nicholas da casa dell'agente Jones. Avendo già tre bambini, di cui uno più o meno della sua età, si è offerto di darci il suo aiuto in questo modo, ma al momento abbiamo giusto un cambio. –

La mia amica sorrise, poi accarezzò la testolina di Oz. – Non lo conosco ancora, ma credo proprio che Nicholas sarà un bambino fortunato... –

Dopo tutto ciò che aveva vissuto, la prospettiva di potergli dare un po' di serenità era di conforto. – Ci verrai a trovare? –

– Potrò farlo? –

– Assolutamente sì. Oppure minaccerò il detective Graham di tornare a casa. A quanto pare detesta il nostro appartamento... lo trova... –

– Piccolo e disorganizzato. – concluse lei e scoppiammo a ridere insieme.

Così, dopo quel doveroso momento di chiarimento e di vicinanza, Lucy mi aiutò a sistemare le ultime cose e ci congedammo con la promessa di sentirci e di vederci a breve. Sulla soglia di casa, ci abbracciammo forte, come quando si partiva. Una piccola parte della mia mente si focalizzò sul fatto che in meno di un mese era già la seconda volta che lasciavo il mio appartamento e Lucy, ma almeno in questo caso, la ragione non era triste. Dopo averle raccomandato di non fare troppa baldoria con Jace che, a sua volta, stava per raggiungere Lucy col proposito di rimanere con lei fino a che non fossi tornata a casa, ci salutammo e presi l'ascensore che mi portò sino al pianterreno, due piani più sotto. Provavo quell'inquietudine di quando si stava per affrontare un grande cambiamento, sebbene fosse smorzata dal fatto che si sarebbe trattato di una soluzione temporanea. Quando uscii, la Veloster di Graham era parcheggiata di fronte all'ingresso e lui sembrava impegnato in una conversazione a senso unico con Nicholas. Anche se era stato medicato e aveva riposato, si vedeva che era piuttosto stanco. Oramai era pomeriggio e, immaginai, avrebbe avuto davvero bisogno di riposare. Quando mi avvicinai all'auto, Nicholas si voltò verso il finestrino e i suoi occhi si accesero di un'espressione sollevata. Graham scese ad aiutarmi con il trolley, non senza avermi rimproverato per il ritardo, del quale mi giustificai, poi salii dietro. Nicholas si voltò sul sedile, guardandomi.

– Ho qualcosa per te! – esclamai, mentre il detective Graham richiudeva lo sportello del bagagliaio e tornava in macchina. Per saziare la curiosità del piccolo, che mi guardava trafficare nella borsa, tirai fuori Oz. Per un attimo, mi sembrò che Nicholas aprisse la bocca, come per dire qualcosa, ma si fermò prima di poterlo fare e rimase a guardare. Sorrisi e mossi le braccia di Oz in segno di saluto.

– Ciao Nicholas! Io sono Oz! – dissi, camuffando la voce come avevo fatto prima con Lucy.

Nel frattempo, il detective Graham salì in auto e assistette alla scena. – E quello? –

Mentre cedevo Oz a Nicholas, che lo strinse forte a sé prima di risistemarsi al suo posto, aggiustando la cintura di sicurezza come aveva fatto Graham, risposi a quest'ultimo.

– Oz. – dissi.

– Come il Mago di Oz? – ribattè, partendo.

– Già... ce l'ho da quand'ero piccola. –

Incrociai per un istante i suoi occhi nello specchietto retrovisore. – Davvero? –

– Sì. Un regalo del mio papà per il mio terzo compleanno. – spiegai.

– Ah. – fu il suo unico commento.

Un po' offesa dal suo disinteresse, pensai che fosse ancora seccato per la decisione di ospitarci, ma desistii dal proposito del chiedergli se fosse effettivamente così. Avrei avuto tempo per parlarci, magari non in presenza di Nicholas. Al contrario, mi dedicai a lui, osservandolo mentre studiava il suo nuovo amico con attenzione. Sembrava attratto dalla sua morbidezza, nonostante fosse un vecchio peluche, ma stava ben attento ad averne riguardo. Doveva essere abituato ai giochi e quello mi fece piacere. Durante il viaggio, rimanemmo in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri, inoltrandoci nel traffico di Boston fino a raggiungere, con mia sorpresa, Beacon Hill, il quartiere in cui risiedeva Graham, lo stesso del Four Seasons. Ero affascinata da tutte quelle case in stile vittoriano. Sembrava di essere in un altro mondo, rispetto alla zona di Downtown in cui risiedevamo Lucy ed io e in cui si trovava l'appartamento di Trevor. Graham parcheggiò davanti a una palazzina a tre piani con ali arrotondate, mattoni rossi, alte finestre bordate di persiane verdi che si affacciavano su dei balconi.

– Eccoci qui. – annunciò, dopo aver raggiunto l'abitazione e aver aperto il grande portone verde scuro.

Onestamente, non mi ero mai chiesta in che tipo di casa potesse vivere quell'uomo. Probabilmente il fatto che, ormai, ero abituata a vederlo nel suo ufficio e consideravo quel luogo spartano una specie di sua estensione e, per giunta, avevo visitato la casa in cui aveva vissuto con Elizabeth e con Lily, non aiutava. Certo, in quel caso, avrei potuto dire che l'artefice dell'arredamento classico era l'ex moglie di Graham, ma non riuscivo a immaginarlo diversamente da come facevo. Pertanto, ero pronta a trovarmi alle prese con la tipica casa di uno scapolo, sul genere dell'appartamento di Trevor, alla peggio, tutto tecnologia e modernità. C'era un ascensore, che prendemmo per raggiungere il terzo piano. A quanto pareva, viveva in un loft. Avevo preso per mano Nicholas, che si guardava intorno probabilmente stupito quanto me. Arrivammo davanti al portoncino nero, accanto al quale faceva bella mostra di sé il campanello dorato con su scritto il cognome Graham e il capo aprì.

– Prego. – disse, facendoci entrare.

Quando entrammo, superato un piccolo ingresso, accese dei faretti che illuminarono l'ambiente circostante. Si trattava perlopiù di un ampio open space in stile moderno, con parquet in contrasto con i rustici mattoni carminio e travi in legno al soffitto. Le finestre erano alte e bordate di tende bianche. Un largo tappeto dai colori chiari era sormontato da un divano angolare che troneggiava al centro assieme a un piccolo tavolino da caffè. Su di esso, c'erano libri e un posacenere, i primi presi sicuramente dalla liberia a muro in legno scuro che faceva bella mostra di sé, fornitissima, insieme a un paio di Klimt, sparsi qua e là. Non c'erano molti mobili, solo l'essenziale, con funzione di stipo, pensai. Sul lato sinistro, dietro al divano, si apriva una cucina moderna con un tavolo in legno e acciaio da quattro posti. Sul lato destro, frontalmente al divano, vi era una parete attrezzata con un televisore in modalità cinema, una Xbox One, una scacchiera, poche suppellettili tra cui i suoi trofei e, soprattutto, delle foto di Lily. Ciò che mi stupì di più, in realtà, fu la presenza di un giradischi e dei vinili, probabilmente uno dei pochi oggetti realmente stagionati presenti in casa. Poi, c'era un corridoio che, di lì a poco, avrei scoperto aprirsi sulla zona notte. Qualcosa nella mia espressione dovette aver catturato l'attenzione di Graham, che, dopo aver chiuso la porta dietro di noi, si rivolse a me con un tono sottintendente.

– Ti aspettavi qualcosa di più spartano, vero? –

Scossi la testa, guardandomi intorno. – A dire il vero non immaginavo che potesse permettersi qualcosa del genere... la pagano così bene? Oppure... c'entra quello che sappiamo? – domandai, di rimando.

– Ok, questa te la concedo. Scoprilo da te, detective. – rispose, con l'evidente intenzione di stuzzicarmi.

Nicholas intanto, senza lasciare né la mia mano né Oz, osservava ogni cosa. Graham ci fece strada, illustrandoci i vari ambienti, tutti rigorosamente lustri e in perfetta commistione di stili, per poi arrivare alla stanza padronale, anch'essa in mattoni carminio. Una grande finestra in legno scuro, quasi nero, con vista sul parco e bordata di un'ampia tenda dai toni caldi garantiva alla stanza tanta luce naturale. Il letto a due piazze sembrava estremamente confortevole, tra diversi cuscini e un piumino a far volume e un pouf rettangolare ai piedi. Oltre ai due comodini, c'era un grande armadio a muro semiaperto. Intravidi, appesi con cura, gli abiti di Graham. Sul lato, proprio vicino alla porta, ma frontale rispetto al letto, c'era un alto specchio dalla cornice nera. E dall'altra parte, accanto alla finestra, la poltrona in pelle che avevo già visto qualche tempo prima, su cui erano adagiate un paio di camicie.

– Alla fine è riuscito a riprendersela... – osservai, indicandola.

Graham annuì, non senza celare tutto il suo sarcasmo. – Non potevo permettere che Maximilian sedesse sulla mia poltrona preferita. –

Mpf. –

– Ad ogni modo... datemi un attimo, procuro tutto quel che serve e potete sistemarvi qua dentro. – disse, raccogliendo i suoi abiti.

– E lei? – domandai, considerando che la stanza che, tecnicamente, avrebbe dovuto ospitare me e Nicholas, era una sorta di mini ufficio con qualche attrezzo da palestra che mi servì a capire il motivo di quel fisico allenato.

– Il divano andrà benissimo. Capita spesso che mi ci addormenti sopra ed è comodo. –

– Potrei dormirci io. E lei potrebbe tenere il suo letto, dormendo con Nicholas. –

Nel dirlo, il piccolo mi si strinse al braccio. Graham se ne accorse e mi guardò.

– A quanto pare lui ha già deciso. – disse, conciliante.

Sospirai e lo ringraziai per la gentilezza, poi, mentre preparava la stanza, Nicholas e io tornammo ad attenderlo nel soggiorno. Mentre lui si sedette sul grande divano, stretto forte a Oz, io mi soffermai a guardare le fotografie di Lily. Ce n'erano diverse e tutte restituivano l'immagine di una bambina piena di vita, bellissima. In una foto era neonata, tra le braccia di Elizabeth, che sorrideva con la luce negli occhi che solo una neomamma poteva avere. Pensai a Karina, che aveva dovuto rinunciare a Nicholas così presto e anche alla stessa Elizabeth. Una aveva perso la vita per suo figlio. L'altra aveva perso sua figlia e la sua vita non sarebbe mai più stata la stessa. Vidi anche una foto in cui Graham, nella sua ventina, teneva le mani della sua bimba, che stava imparando a camminare. Aveva un viso radioso, divertito e felice, mentre guardava l'obiettivo. Mi chiesi se sarebbe mai più stato in grado di sorridere così, un giorno. Mi sembrò quasi di vederli e sentirli. Elizabeth che tendeva le mani a Lily, in una bella giornata al parco, Graham che rideva, dicendo qualcosa come “Mamma, arriviamo” e Lily che si impegnava a raggiungerla, sicura delle forti mani del suo papà che la sostenevano. Quel pensiero faceva quasi male, nel realizzare che quei ricordi dovevano essere la sola cosa che permetteva a Graham e ad Elizabeth di non impazzire. Accarezzai la foto di Lily da sola, con una bambola dai codini, proprio come li portava lei. I suoi occhi erano davvero identici a quelli di suo padre, due zaffiri di un blu profondo, ma con una vivacità che a lui mancava, almeno da che lo conoscevo. Fu allora che mi sentii tirare il maglioncino. Nicholas era tornato dietro di me, con un'aria mesta. Mi chinai e lo abbracciai forte.

– Hai ragione, tesoro, scusa... – dissi, poi gli posai le mani sulle piccole spalle. – Speriamo che il detective Graham si sbrighi... non so tu, ma io ho una fame da lupi! –

Nicholas arrossii e annuì. Doveva decisamente aver fame anche lui.

Pochi minuti dopo, Graham si affacciò. Si era messo in libertà, in tuta Nike grigia e in ciabatte.

– Fatto. Ne ho approfittato anch'io, già che c'ero. Potete gestirvi come volete, io nel frattempo preparo qualcosa da mangiare. Non ho granché in frigo, ma se per oggi siete disposti ad accontentarvi, domani provvederò a qualcosa di meglio. – disse.

– Non mi dica... sa anche cucinare? – chiesi, inarcando un sopracciglio.

Mi oltrepassò, guardandomi di sottecchi, ma sollevando l'angolo della bocca, dove aveva l'escoriazione, in un sogghigno. – Pensavi che mi nutrissi d'aria? –

– No, del sangue delle sue vittime, signor vampiro. – risposi sottovoce, ricambiando con la stessa espressione.

Graham non rispose, optando per un diplomatico mugugno, poi andò in cucina.

Se da una parte l'idea di vederlo in versione casalingo mi intrigava, dall'altra, c'erano esigenze più importanti. Così, dopo che ebbi aiutato Nicholas a lavarsi e a mettere il pigiama, lo mandai da Graham con la scusa del controllare che facesse tutto per bene, poi mi detti una rinfrescata anch'io e mi cambiai, optando per un leggins nero e una felpa extralarge verde e bianca. Mi chiesi se fosse il caso di mettere il mio spazzolino da denti nel bicchiere, per comodità, ma quel pensiero mi riportò alla mente il fatto che non lo facevo nemmeno a casa di Trevor. Così, mi limitai a mettere soltanto lo spazzolino che avevo portato per Nicholas. In seguito, mi guardai allo specchio, notando che ero davvero pallida. Mi lavai di nuovo il viso e mi pizzicai le guance, sperando di dare un po' di colore. Un'espressione così sbattuta non era da me. Dovevo darmi un po' di tono.

– Dai, Kate, davvero non riesci a far di meglio? – chiesi al mio riflesso. Poi sospirai. Come se potesse rispondermi... tirai su i capelli legandoli in un'alta coda, pensando che non appena avessi visto Alexis, avrei dovuto farmi dare qualche maschera per il viso. Una volta finito, vidi che il mio smartphone era intasato dei messaggi di Lucy e Jace, delle chiamate di mia madre e del messaggio di Selina, che mi chiedeva se fosse tutto a posto. Pazientemente, risposi a tutti, liquidando per primi i piccioncini, poi rassicurando mia madre sul fatto che fossi sana e salva e infine, dicendo a Selina che tutto stava procedendo per il meglio e che Nicholas sembrava sereno e affamato.

Quando tornai in cucina, un delizioso profumo di carne grigliata mi solleticò il naso. Graham stava finendo di impiattare e Nicholas, già seduto al tavolo, nel vedermi, mi indicò il posto accanto a sé.

– Wow... – commentai, nel vedere la tavola imbandita con insalata, pane, ketchup e maionese e, tra le bevande, anche della birra.

– Nicholas mi ha aiutato. – disse Graham, facendomi cenno di sedermi.

Presi posto accanto al piccolo. – Non lo metto in dubbio. E comunque non la facevo tipo da ketchup e maionese. – dissi.

– Sta' zitta e mangia. – controbattè, servendoci.

Dovevo dire che aveva tutto un buon aspetto, complice, forse, anche la fame che avevo in quel momento. Attendemmo che si sedesse anche lui, scegliendo il posto di fronte a Nicholas, poi mi resi conto che, dopo quei giorni di trambusto, stavamo finalmente mangiando decentemente, a casa. Guardai Graham, per una volta così poco formale, rilassato, e quasi mi sembrò più giovane del detective capo del V Dipartimento, tutto lavoro e ossessioni. Smessi quei panni, era davvero soltanto Alexander, un uomo che come tanti altri, era rientrato a casa e si stava godendo un momento di tranquillità.

– C'è qualcosa che non va? – mi chiese, perplesso.

Scossi la testa. – Tutto ok. Buon appetito! – esclamai, inforcando le posate.

Mpf. Buon appetito. – rispose.

E Nicholas, a modo suo, sollevando le posate, volle comunicarci lo stesso.

 

Dopo la cena, Graham e io ci mettemmo a lavare i piatti. Inizialmente, mi aveva detto che se ne sarebbe occupato lui, ma volevo rendermi utile anch'io. Se dovevo trascorrere qualche giorno in una casa che non era la mia, avevo tutta l'intenzione di non farlo a scrocco. Nicholas, bene in vista, si era seduto sul divano ed era impegnato a sfogliare un libro che Graham gli aveva messo a disposizione.

– A quanto pare gli piace la lettura. – osservai, passando l'ultimo piatto al capo, che lo asciugò.

– Ha sei anni, ma dubito che sappia già leggere. – disse, finendo di rassettare. – Probabilmente sta soltanto osservando le figure. –

– Che libro è? –

– Il Piccolo Principe. A mia figlia piaceva ascoltare quella storia. –

Sorrisi. – È una bella storia, ma un po' triste. –

Graham fu d'accordo, poi entrambi raggiungemmo Nicholas, sedendoci sul divano insieme a lui.

– Ti piace, Nicholas? – domandai, accarezzandogli i capelli. Il piccolo mi guardò e mi mostrò la pagina che raffigurava il Piccolo Principe seduto insieme alla volpe. Quel passo, da quel che ricordavo, parlava dei legami, in particolare dell'amicizia.

– “Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l'uno dell'altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo... la mia vita sarà come illuminata. Conoscerò un rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi faranno nascondere sotto terra. Il tuo mi farà uscire dalla tana, come una musica... Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice. Col passare dell'ora aumenterà la mia felicità. Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e ad inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità!lesse Graham, intonando perfettamente il passo.

Nicholas e io lo guardammo, stupiti, ricevendo in risposta un'espressione perplessa.

Che c'è? –

Sorrisi. – Bravo detective Graham! –

Nicholas gli porse il libro, speranzoso. – Vuoi che ti legga qualcos'altro? – domandò il capo e il bambino annuì.

E così, libro alla mano, tono da romanziere, Graham si cimentò nella lettura dei primi capitoli, fino a che Nicholas, cullato dalla sua voce calda e dalle coccole, si appisolò tra di noi. Fu solo allora che chiuse il libro e lo posò sul tavolino. Dalle ampie finestre filtrava appena la luce della sera. Non era particolarmente tardi per noi, ma lo era per il piccolo. Ero incantata da quel visetto immerso nel sonno, con le guanciotte rosse.

Non ti stanca mai, vero? – mormorò Graham, con quella voce dolce di quando parlava di Lily. Alzai lo sguardo, incontrando il suo e annuii. – Potrei rimanere a guardarlo per ore... –

Però, lui ha bisogno di riposare in modo più confortevole. – aggiunse, scostandosi con delicatezza e prendendolo in braccio con cura. Non era la prima volta che accadeva, dato che quando aveva salvato la piccola Julie Dawson, afferrandola al volo, l'aveva stretta con fare protettivo. Vederlo così, con un bambino addormentato in braccio, attento a non svegliarlo, era un toccasana per il cuore. E poi, ci sapeva davvero fare.

Lo porto di là. – mi disse e io annuii, seguendoli con lo sguardo mentre si allontanavano. Quando furono nascosti alla mia vista, mi rannicchiai sul divano, dando un'occhiata ai libri presenti. C'erano diverse storie per bambini, sia classici che non, che immaginai avesse portato con sé come ricordo di quel che era stato e di quel che sarebbe potuto essere e un paio di manuali di Criminologia e di Psicopatologia, che stava leggendo prima di partire, evidentemente. Presi l'ultimo, sfogliandolo. Quante situazioni avevo avuto modo di studiare nel tempo. C'erano annotazioni veloci, scritte nella sua grafia, nella sezione sulle perversioni. Il Mago?, recavano alcune di queste. Anche lui, come me, ipotizzava qualcosa del genere sulla base del suo modus operandi. Quando tornò, posai il libro e presi Oz, che era rimasto sul divano. Tornò a sedersi accanto a me e, sotto le luci soffuse, notai per la prima volta le sue occhiaie.

Dovrebbe dormire anche lei... – dissi.

Per tutta risposta, si stiracchiò, poi si appoggiò al morbido e largo schienale.

Sto bene. Ora che siamo soli... ti va di dirmi che ne pensi? –

Come? – feci eco, non sapendo a cosa si stesse riferendo.

Di Nicholas, intendo. –

Oh... beh... ho detto quel che pensavo stamattina, in realtà... ma se mi chiede cosa penso della sua situazione clinica, le dico quel che già avevo detto a Jace: credo possa essere un caso di mutismo selettivo. –

Sarebbe a dire? –

Lui comprende perfettamente tutto quello che gli viene detto e ha un tipo di comunicazione non verbale. Generalmente, si tratta di una forma ansiosa, caratterizzata dall'incapacità di parlare tranquillamente al di fuori dei contesti sicuri. Questi sono perlopiù famiglia e una ristretta cerchia di persone di fiducia, nel migliore dei casi. L'agente Ortega ha detto che Nicholas ha smesso di parlare da un anno, dopo la sparizione di Karina. La sua mamma era certamente tutto per lui, a dispetto di quello che i Reyes volessero far credere. Probabilmente, lei gli parlava nella sua lingua madre, dunque c'è la possibilità che perdere quel legame l'abbia mandato in ulteriore confusione e abbia contribuito a generare la sua ansia. Poi, non sappiamo ancora cos'abbia subito di preciso dai Reyes. Infatti, spero che Selina potrà darci qualche indicazione in più, in proposito... –

Lui sembrò pensieroso, poi si tirò un po' in avanti, incrociando le mani. – Credi che potrebbe non parlare mai? –

Guardai verso il manuale di Psicopatologia. – Un anno è un lasso di tempo importante... e di certo, non sono stati compiuti sforzi né interventi per permettergli di superare questo blocco... dunque, allo stato attuale, non me la sento di sbilanciarmi in positivo. Però, in macchina, per un attimo mi è sembrato che volesse dire qualcosa. Solo che poi si è fermato immediatamente, come se si sentisse improvvisamente in colpa. –

Strinse le mani. – E questo cosa comporterebbe? –

Strinsi forte Oz. Sapevo dove voleva andare a parare. Avrei potuto chiedergli di più, ma non me la sentii. – Che dovremo fare del nostro meglio per aiutarlo. –

Vidi il suo sorriso, di profilo. – Chissà perchè... non avevo dubbi sul fatto che mi avresti risposto così. –

Lei mi aiuterà, detective Graham? –

Stavolta si voltò appena verso di me. Dovevo avere un'aria piuttosto seria, perché aggrottò per qualche secondo le sopracciglia scure, poi le rilassò. – Non credi che lo stia già facendo, avendo accettato il vostro out-out? –

A questo proposito... grazie. – dissi.

Si lasciò andare a un lungo sospiro, non so se più per stanchezza o per le mie parole. – Non ringraziarmi. L'ho fatto soltanto perché non avevo altra scelta. –

Orgoglioso. Posai Oz e mi alzai, ma sentii il suo sguardo seguirmi. – Grazie comunque. –

Vai a dormire? –

Annuii. – E deve farlo anche lei. –

Stavolta toccò a lui annuire. Sciolse l'intreccio e prese la coperta che aveva appoggiato accanto ai cuscini. – Buonanotte, allora. –

Sorrisi. – Le lascio Oz. Cerchi di trattarlo bene e di non schiacciarlo. –

Mi guardò perplesso. – Fai sul serio? –

Certo. Non mento mai quando si tratta di Oz. –

Quindi menti sul resto? –

No! Cioè... lo tenga lei e ne abbia cura! Buonanotte! – esclamai e mi affettai a lasciare la stanza prima che potesse dire altro. Aveva davvero un pessimo tempismo, quando voleva.

Mi rifugiai in camera, pensando che non ci fosse altra persona al mondo in grado di punzecchiarmi come faceva lui. Posai la mano sul cuore, calmando la sensazione di agitazione che sentivo, poi, quando ci riuscii, mi cambiai velocemente e mi infilai nel letto, che trovai incredibilmente morbido e caldo. Nicholas, nel sentirmi, si mosse istintivamente e in breve me lo ritrovai attaccato al petto. Sorrisi e lo abbracciai, sperando nel suo sonno pacifico.

Sogni d'oro, piccolino... – sussurrai, baciandogli la testolina, poi chiusi gli occhi anch'io, accettando di lasciarmi andare a un sonno ristoratore.

Così fu per qualche ora, fino a che non mi svegliai improvvisamente a causa di un incubo. Avevo sognato di essere ancora chiusa con Nicholas nello sgabuzzino in cui l'avevo trovato e che, nel momento in cui avevo risposto alla chiamata di Graham, dall'altra parte non c'era lui, ma Petrov. Questi mi diceva di starmi aspettando e che presto sarebbe venuto a prendermi. Allora, temendo per Nicholas e per Graham, avevo deciso di fuggire insieme al piccolo. Tuttavia, nell'aprire la porta e nel raggiungere le scale, sentivo un rumore di passi in salita. Nicholas era spaventato e piangeva, nonostante cercassi di rassicurarlo. Nella mano libera avevo in mano la Beretta d'ordinanza del detective Graham e la puntavo contro il buio, tremando come una foglia, malferma sulle mie stesse gambe. Un attimo e da quell'oscurità compariva un braccio recante una vistosa cicatrice sul polso. Non vedevo altro, ma sapevo di chi si trattasse. Percepivo il suo sorriso aprirsi terrificante, mentre il suo dito indice mi faceva segno di voltarmi. Terrorizzata, obbedivo e sul muro, non più della Cruise Pharma, ma dell'appartamento di Trevor, la scritta che era ormai impressa a fuoco nella mia memoria. Vuoi sposarmi? In quel momento, urlando, mi voltavo nuovamente verso il Mago, che era apparso di fronte a me, imponente, vestito con una cappa nera che lo oscurava del tutto. Urlavo, sparando un colpo e lui cadeva, rivelando il suo volto: Trevor. Solo in quel momento mi rendevo conto di avere ucciso il mio fidanzato e di non avere più Nicholas accanto a me. All'improvviso, sentivo la voce del piccolo, in lontananza, catturato dal Mago, quello vero, ed era stato quello l'istante in cui mi ero svegliata, ansimando. Col cuore in gola, mi resi conto che Nicholas non era nel letto.

Nicholas! – esclamai, con la voce che mi uscì impastata. Sollevai le coperte, ma lui non c'era. Oltretutto, il materasso era freddo, quindi doveva essersi alzato da un po'. Mi ci volle qualche minuto per rendermi conto che, con tutta probabilità, dovette essersi alzato per andare in bagno. La sveglia sul comodino mi informava del fatto che non fosse nemmeno l'una di notte e cercai di darmi una calmata, pensando che avrei dovuto essere più razionale. Mi passai le mani sul viso, poi mi alzai per controllare. Il bagno era al buio e non c'era ombra del bambino. Mi voltai allora in direzione del soggiorno, percorrendo il breve corridoio, ma non entrai. La luce era accesa, soffusa e seduti sul divano, c'erano Graham e Nicholas, svegli. Graham aveva Oz in mano e stava raccontando qualcosa a Nicholas, che si era appollaiato su di lui. Prestai orecchio, mentre la tensione lasciava il posto a un meglio accetto calore umano.

– … allora Dorothy, insieme allo spaventapasseri e all'uomo di latta, si ritrova in una foresta tenebrosa e piena di bestie selvatiche, quando all'improvviso, salta fuori un leone pronto ad attaccarli. Però, proprio in quel momento, Toto, il cagnolino di Dorothy, si mette ad abbaiare e il leone si rivela per quel che è: un fifone che ha perso il coraggio. Una squadra piuttosto sgangherata, non trovi? Uno spaventapasseri senza cervello, un uomo di latta che è rimasto senza cuore e un leone pavido... l'unica sana di mente sembra essere Dorothy, alle prese con compagni che per una ragione o per l'altra, sembrano essere tutto tranne che d'aiuto... come potrebbero mai farcela loro quattro, contro la malvagia Strega dell'Ovest? –

Abbassai lo sguardo, nel sentire le sue parole. In qualche modo, mi facevano pensare alla nostra situazione. Eppure, nonostante tutto, loro ci erano riusciti. Fu allora che mi feci avanti.

In realtà... lo spaventapasseri aveva dimostrato di essere molto intelligente, facendo scappare tutti dalle grinfie delle guardie della Strega. Il leone aveva salvato Dorothy dimostrando il suo grande coraggio e l'uomo di latta era stato buono e generoso, a dimostrazione che non avere un cuore non necessariamente significa non essere in grado di amare... e così, alla fine, erano stati più forti della Strega malvagia, perché avevano capito cosa fare... per chi combattere. –

Sia Nicholas che Graham mi guardarono. Li raggiunsi, sedendomi accanto a loro. Nicholas mi prese per mano.

T'abbiamo svegliato? – chiese il detective Graham.

Feci cenno di no, ma non gli rivelai la ragione. – Mi chiedevo solo cosa steste complottando senza di me. –

Ah, beh... Nicholas non può stare senza Oz, a quanto pare. E ha ben pensato di sfidarmi coraggiosamente per riaverlo. –

Davvero? E bravo Nicholas... e la storia del Mago di Oz in tutto questo dove si colloca? –

Graham alzò gli occhi al cielo, poi sorrise. – Tu che dici? –

Per farlo addormentare di nuovo. – Magari avrei scelto qualcosa di meno impegnativo... – commentai, accarezzando la testa del bambino. – Qualcosa come la storia di un eroe coraggioso e intelligente, ma dal cuore infranto e colmo di dolore. Un eroe che, nonostante la vita fosse difficile e ponesse sulla sua strada sfide sempre più dure, non si arrendeva e, ogni giorno, combatteva contro il male... –

Intravidi Graham posare Oz sul divano, ma continuai a guardare Nicholas, che ricambiava.

A volte, quell'eroe incontrava persone cattive, al punto tale da arrivare a pensare che forse, quello che gli era accaduto, lo meritava... e più pensava qualcosa del genere, più soccombeva a colui che aveva lanciato su di lui un anatema. Eppure, in fondo al cuore, nascosto agli occhi di tutti, persino a lui stesso, come la speranza nel Vaso di Pandora, albergava un luccichio che, nei momenti peggiori, gli ricordava di non darla vinta a chi lo voleva distrutto. E allora, sapeva che c'era qualcosa per cui valesse la pena combattere e che un giorno avrebbe spezzato quel maleficio, riportando la giustizia dove non c'era. –

Alzai lo sguardo solo allora, incontrando quello di Graham, silenzioso e tremendamente consapevole. Deglutii, sentendo d'improvviso un familiare dolore al cuore, che sembrava voler esplodere in un forte calore. Avevo le guance in fiamme. Graham continuava a guardarmi, senza proferire parola. Mi sforzai di sorridere, ma non avevo idea di cosa stessi facendo, in realtà. Stavo ancora sognando, magari? Fu Nicholas a riportarmi alla realtà, nel momento entrambi lo sentimmo sbadigliare. Lo guardammo, poi Graham rialzò lo sguardo su di me.

Sembra proprio che la tua storia l'abbia annoiato... –

Arrossii e annuii. – O magari gli ha messo sonno... è tardi, Nicholas... torniamo a letto? – chiesi. Il bambino prese con sé Oz e mi guardò, annuendo.

Bene... – dissi e mi alzai, prendendolo con me.

Buonan---

La voce del detective Graham si spezzò nel vedere la manina di Nicholas afferrargli la maglia nera a maniche corte che portava come pigiama. Ci guardammo perplessi.

Vuoi rimanere qui col detective Graham? – gli chiesi. Il piccolo scosse la testa, rivolgendomi un broncio. Tornai a guardare il capo, che battè le palpebre, poi gli accarezzò i capelli.

Hai Oz con te. E lui proteggerà sia te che Kate. – disse.

Quel commento mi strappò un sorriso, ma Nicholas fu irremovibile. Mi affidò Oz e prese Graham per mano, tirando affinchè si alzasse. Quando comprendemmo cosa volesse ci rivolgemmo uno sguardo incerto e imbarazzato.

N-Non... Nicholas, il detective Graham non può dormire con noi... – balbettai, cercando di dissimulare il mio disagio, del tutto indifferente al bambino, che prese per mano anche me.

Graham guardò Nicholas, poi me. – Non otterrai nulla a parole... tanto vale tenerlo contento almeno fino a che non si addormenterà. – bisbigliò.

Eh... – commentai, sospirando, con buona pace del mio cuore in subbuglio. Cominciavo a capire cosa avesse voluto intendere Lucy.

Così, nella speranza di rassicurare Nicholas, ci recammo tutti insieme, Oz compreso, nella stanza padronale. Il piccolo fu il primo a fiondarsi nel letto dopo aver ripreso il peluche. Sembrava entusiasta. Graham non trattenne una risatina e poi mi guardò, inarcando le sopracciglia.

Immagino mi toccherà dormire dal lato finestra. –

Distolsi lo sguardo. – Generalmente dorme dall'altra parte? –

Posso dormire sulla poltrona. –

No! No, non c'è... non c'è bisogno... – dissi, sedendomi sul letto e alzando lo sguardo verso di lui, sperando di sdrammatizzare con una battuta. – Purché non scalci. –

Oh? Beh, questo non posso garantirlo. – rispose e gli fui grata, perché le sue parole mi aiutarono a tranquillizzarmi.

Entrò anche lui nel letto, che si piegò appena sotto il suo peso. Non appena l'ebbe fatto, mi misi sotto le coperte anch'io, grata del fatto che Nicholas fosse tra di noi, stringendo Oz. Spegnemmo le luci, sebbene il fatto che l'ampia tenda non fosse del tutto chiusa permettesse una leggera penombra che rendeva visibili tutti e tre. Posai la mano sulle manine di Nicholas, mentre Graham inclinò un braccio sotto al cuscino, voltato verso di noi. Da sopra la testolina del piccolo, potevamo vederci tranquillamente in viso. Mi ritrovai a sperare che non si rendesse conto di quanto il mio cuore, in quel momento, avesse ripreso a battere forte, nell'averlo praticamente di fronte a me, così vicino, in un contesto tanto intimo. Continuavo a ripetere a me stessa di non lasciarmi imbambolare dal pensiero di qualcosa che non solo non sarebbe mai accaduta, ma anche che non era giusta, né perché fossimo colleghi e lui era, di fatto, il mio superiore, né a livello personale. Lui teneva ancora alla sua ex moglie, lo sapevo bene. E io non potevo fare qualcosa del genere a Trevor. Il ricordo dell'incubo avuto solo poco prima tornò a farsi sentire. Com'era possibile che avessi immaginato Trevor al posto del Mago? Lo uccidevo utilizzando la pistola di Graham e questo era simbolico del senso di colpa che provavo. Non avrei mai potuto fargli qualcosa del genere. Eppure, non riuscivo a calmare la tempesta che si agitava dentro di me. Non osai alzare lo sguardo, ma non era facile nemmeno prender di nuovo sonno, sapendolo così prossimo da riuscire quasi a sentire il suo respiro. Forse, i miei sensi allertati avvertivano le sensazioni con più intensità. Decisi allora di concentrarmi su Nicholas, che, poco a poco, si rilassò fino a riaddormentarsi. Non so dire quanto tempo gli ci volle, ma fui davvero invidiosa di quanto semplice fu la cosa. Solo quando sentii la presa delle sue manine su Oz allentarsi, rivolsi una timida occhiata oltre lui, non sapendo cosa aspettarmi. E quello che vidi, fece sì che il mio cuore ballerino saltasse un battito. Alexander Graham si era addormentato. Il suo viso era rilassato e il suo respiro si era fatto più profondo e regolare. Fu allora che mi concessi di guardarlo apertamente, sistemandomi un po' per avere una migliore visuale. La luce che filtrava dall'esterno illuminava leggermente parte del suo volto, che appariva incredibilmente innocente, quasi vulnerabile. Indugiai su quei capelli scuri ribelli con i ciuffi che coprivano in parte i tratti spigolosi, su quelle labbra ben definite appena socchiuse e ancora ammaccate in seguito allo scontro della notte precedente. Mordicchiai le mie labbra, pensando che forse, esausto com'era, al sol contatto con il suo letto caldo e morbido, si doveva essere lasciato andare al sonno. Ripensai alla sensazione che avevo provato poco prima, ai suoi occhi che cercavano di dare una spiegazione al perché mi fossi inventata quell'assurda storia. Già... perchè lui tutto era tranne che un eroe. Anzi, a dirla tutta, aveva più scheletri nell'armadio lui di chiunque altro. Eppure, in quel momento, la sua presenza, sapere che c'era lui accanto a noi, mi tranquillizzò, a dispetto della tensione precedente.

Buonanotte, Alexander... – sussurrai appena, poi, finalmente, mi abbandonai anch'io, godendo di un sonno senza sogni.

 

Mi svegliai soltanto qualche ora più tardi, a prima mattina, a causa del solletico gentilmente offerto dai capelli di Nicholas. Non aprii subito gli occhi, perchè il tepore e la sensazione di calma e pace che stavo provando in quel momento erano una gradita beatitudine. Nicholas si muoveva, ogni tanto, ma non riuscivo a spostarmi più di tanto, perché avevo l'impressione che qualcosa mi impedisse di farlo. Non che mi desse particolaremente fastidio, a dire il vero, anzi, sembrava quasi familiare. Quando, riluttante, lo feci, capii il motivo: da qualche parte, durante la notte, Graham si era spostato, abbracciando sia me che Nicholas. A giudicare dalla luce, doveva aver albeggiato da poco. Dovetti fare uno sforzo non indifferente per non farmi venire un colpo. Il suo braccio sinistro era al morbido su di noi. Stavolta, potei osservarlo ancora meglio e notare qualche accennatissima ruga, immaginai data più dalle preoccupazioni che dall'età, che lo rendeva irresistibile. Facendo attenzione a non svegliare né lui né Nicholas e ricacciando indietro quel pensiero, mi scostai e mi alzai.

Dopo aver sciacquato al volo il viso, per riprendermi dalla notte passata, andai dritta in cucina. Pensai che preparare la colazione sarebbe stato un buon modo per tenere la mente occupata e per impegnarmi a non essere di peso. Solitamente, quando dormivo da Trevor, era lui a occuparsene, visto che era incredibilmente mattiniero e adorava viziarmi. Per cui, a casa, almeno quando potevo, mi regalavo un pasto decentemente bilanciato, tra toast con marmellata d'albicocche e caffè. Pensai a Nicholas che aveva adorato i croissant alla crema, ma da quel che potevo vedere, la dispensa di Graham scarseggiava. E così, usando quel che avevo trovato, optai per preparare i pancake che, grazie agli insegnamenti di mia madre nel tempo trascorso a casa, ormai mi venivano piuttosto bene. Mi detti da fare, perché volevo preparare tutto prima che si svegliassero. Ero al quinto pancake, un altro paio appena messo sulla piastra, quando mi ricordai di aver bisogno di qualcosa per decorarli. Mi sollevai sulle punte dei piedi a cercare negli stipi, facendo attenzione a non combinare qualche disastro.

Se cerchi lo sciroppo d'acero non ce l'ho. Troppo dolce. –

Sobbalzai e la scatola di cereali che avevo spostato quasi mi cadde addosso. Il braccio di Graham si tese, decisamente più lungo del mio, salvando la situazione. Mi voltai di colpo, trovandolo a praticamente un passo da me, scarmigliato, assonnato, scalzo e, cosa non meno importante, con uno dei miei pancake in bocca. – Mmmh. Buono. –

D-Detective Graham! – esclamai, balzando indietro.

Lui posò la scatola di cereali sul piano di lavoro e poi prese un barattolo di crema alle nocciole, che depositò accanto alla scatola. Solo in quel momento tornò a guardarmi.

Ieri notte ero Alexander. – disse, l'immagine della verecondia, mentre si passava il dorso dell'indice sulle labbra per pulirle.

Quel gesto mi fece deglutire, soprattutto perchè mi ritrovai a fissarle nuovamente. Scossi la testa, riflettendo sulle sue parole. – Non stava dormendo?! –

Roteò appena lo sguardo, appoggiandosi al marmo nero del piano di lavoro dietro di lui e incrociando le lunghe gambe. – Mi sono addormentato dopo di te. –

Lei è... –

Mi rivolse un sorrisetto, che lentamente lasciò il posto a un tono di richiesta. – Ascolta... so che ti viene difficile, ma... che ne dici di provare a togliere quel lei? Mi rende nervoso sentire questa formalità anche adesso che abbiamo persino condiviso il letto. –

Istintivamente, feci per dire qualcosa di improponibile, ma nelle sue parole, stavolta, non c'era volontà di sfida. Si trattava di una richiesta tutto sommato legittima. Per me, però, non era così facile. Se mi fossi rivolta a lui in modo più confidenziale, cosa sarebbe cambiato? Pensai che, dopotutto, nel Dipartimento, erano abituati a darsi tutti del tu, pur mantenendo la professionalità, dunque, alla fine, non sarebbe stato poi così drammatico se ci avessi provato. Certo, avrebbe anche potuto evitare di usare il pretesto dell'aver dormito insieme, ma trattandosi di lui, non potevo aspettarmi nulla di diverso. Nel rifletterci, non mi ero resa conto dell'odore di bruciato che proveniva dalla piastra. Ci guardammo entrambi, rendendoci conto all'istante del guaio.

I pancake!! – esclamai, nello stesso momento in cui lui si sporse a spegnere il fornello e, inavvertitamente, quasi a toccare il manico della piastra.

Non farlo! – urlai, sporgendomi a bloccare le sue mani prima del fattaccio.

Graham... Alexander, mi guardò. – È sicuro, non brucia. – disse, perplesso.

Cosa? –

Stavolta si mise a ridere, poi sciolse le nostre mani e mi fece vedere che, in effetti, non bruciava, ma era appena caldo. – Oh... –

Però, grazie. – aggiunse. Se si riferisse al fatto che avevo acconsentito, inconsciamente, alla sua richiesta oppure avevo evitato (vanamente, dato che il rischio non sussisteva) che si bruciasse, non lo sapevo.

N-Non c'è di che... –

E ora... come si fa con i pancake? – domandò, con il tono di chi, evidentemente, li apprezzava. Lo guardai. – Uno a lei... a te e gli altri a Nicholas. –

Oppure puoi prepararne qualcun altro mentre io preparo il caffè. –

Con quel residuato bellico? – domandai, indicando la moka. Ormai, mi ero abituata a bere il caffè della macchinetta, tanto più che Lucy e io ne avevamo comprato una per casa.

Porta rispetto, eh? Vecchia è vecchia, ma fa benissimo il suo dovere. – borbottò, spostando intanto la piastra dal fuoco spento e dandosi da fare per pulirla.

C'era un che di vigoroso nel modo in cui le sue braccia e le sue mani si impegnavano. Sospirai, ma non riuscii a trattenere un sorriso, che sperai non vedesse, al pensiero di aver rotto le formalità. Non mi ero resa conto di quanto lo sperassi fino a quel momento e, a dispetto di quanto pensassi, non sembrava essere poi così difficile. – Anche lì. Vedi, c'è un'incrostazione. – indicai, raggiungendolo.

Sì sì... vedo. –

Mi misi a ridere.

Sei di buonumore? –

Ha un non so che di divertente vederl-- vederti alle prese con i lavori domestici. Ti rende meno detective Graham e più Alexander. –

Stavolta fu il suo turno di ridere. – Questa è nuova. Che ne dici di finire di preparare la colazione, piuttosto? –

Gli risposi mettendomi sull'attenti. – Sissignore! –

Sì, sfotti. – borbottò, ma con un tono giocoso che ebbe come effetto il far scivolare tutta la tensione fino a quel momento accumulata.

E così, il secondo giorno di permanenza a casa Graham era iniziato. 

  
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