Storie originali > Romantico
Segui la storia  |      
Autore: AkaMayu    08/09/2020    0 recensioni
[Editato il capitolo zero poiché i codici hanno fatto storie con i dialoghi!]
Il fenomeno degli Hikikomori coinvolge persone che non vogliono più saperne di vivere, estraniandosi dal mondo ed auto recludendosi nella propria dimora. Non tutti hanno la forza di uscirne da soli.
Questo racconto un po' dolce ed un po' amaro vuole accompagnarvi nella vita di Noemi, una giovane donna che non sa cosa fare della sua vita, vede in se stessa unicamente difetti e non riesce a far pace con sé stessa. Non è una storia dove la forza dell'amore vince su tutto, ma dove si cresce e si aiuta l'un l'altro ad andare avanti e trovare il proprio posto nel mondo anche quando si crede di aver sprecato tanto, troppo tempo.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

DISCRAIMER: Ho studiato molto questo fenomeno di reclusione sociale che viene affrontato in questa storia. So che per molti risulterà nuovo e strano, ma spero gli darete un'opportunità! In un mondo di storie avvincenti dove sogniamo di essere la protagonista troppo bella per essere vera, volevo dar voce anche a chi è meno affasciante ma non per questo meno interessante! Augurandomi che qualcuno gradirà, buona lettura!

0.



Il vecchio orologio a parete scoccava le 17 in punto. La sua forma giocosa da gatto nero che fa oscillare la coda al ritmo di ogni secondo stonava un po' con il resto della stanza per niente allegro: vestiti -specialmente pigiami e biancheria- sparsi ovunque, finestre chiuse con tapparelle abbassate, tende scure ad imprigionare ogni possibile raggio di sole che mai avrebbe avuto l'ardore di sferrare un proiettile di luce contro quelle quattro pareti fatte di oblio, dove le forme dei soprammobili venivano delineate dalla sola luce di un computer fisso sopra ad una scrivania piena di scartoffie, confezioni di cibo vuote, bicchieri e spazzatura varia. Di fronte a quello schermo enorme veniva proiettata la realtà dei fatti, ovvero una protagonista che non aveva niente di “figo”, nessun modello da seguire, nessuna fonte di invidia, nessuna vita su cui fantasticare ma solo una semplice ragazza dai lunghissimi capelli neri lasciati sciolti sulle spalle, con ciocche casualmente disposte qua e là senza un'acconciatura precisa se non per una frangetta a coprirle la fronte e le sopracciglia scure come la sua crine. Una sagoma piccola sia nella statura che nella fisionomia molto snella, se non per qualche eccesso di gonfiore tra pancia e fianchi, tipico di chi non si muove da quella sedia se non per le urgenze di tutti i giorni. Un pigiama a maniche corte con dei pantaloncini rosa di qualche taglia più grande le agevolava una giornata come un'altra, ovvero quello di non uscire di casa, di non vivere, di portare la sua mente altrove ed estraniarsi dal resto del mondo, puntando i suoi occhi grigi solo verso il computer o il frigorifero. Un'esistenza silenziosa e volutamente nascosta di chi non aveva più il coraggio di mettere un piede fuori di casa, senza che mai le venisse chiesto il vero motivo.

Lei, agli occhi di tutti, era semplicemente pigra.

Forse anche pazza, un po' strana.

Da un giorno all'altro aveva deciso di abbandonare la sua realtà per chiudersi a guscio sotto le coperte del suo letto, ed ogni qual volta le venisse anche solo la più piccola tentazione di varcare la soglia oltre la porta di ingresso, il suo malessere mentale si rifletteva su quello fisico, facendola star male.

Non respirava, le girava la testa, la gola era morsa da una grande mandibola invisibile e le articolazioni si facevano sempre più pesanti mentre nella sua testa riecheggiava sempre e solo una frase: “perché mai dovrei farlo?”.

Se fosse stata chiusa per sempre dentro le mura di casa sua non sarebbe cambiato nulla ma anzi, la gente si sarebbe aspettata sempre meno da lei. Se invece avesse reagito le aspettative sarebbero salite ed insieme ad esse l'ansia di affrontarle ed esserne degna mentre sprofondava inevitabilmente negli insulti velati della sua famiglia.

Già a 15 anni aveva ridotto la sua attività sociale ma dopo il diploma e chiusa la parentesi liceale durata sei anni, aveva totalmente abbracciato l'idea di diventare un essere socialmente reclusa. Anzi, a dire il vero non lo aveva mai scelto, semplicemente ci era finita senza nemmeno accorgersene, rimandando ogni giorno gli impegni, trovando giustificazioni per stare a casa, dando le colpe ad ogni malessere fisico.

All'età di 23 anni era infine totalmente dipendente dall'ambiente domestico, costretta ad uscire solo per visite mediche, veniva sostenuta dai genitori nella vecchia casa di famiglia, mentre il fratello maggiore cercava ogni giorno di opporsi di più, senza mai riuscirci.

Una volta alla settimana ovvero il mercoledì alle 17 in punto passava qualche famigliare a portarle una scorta di viveri e farmaci e dopo qualche domanda pronunciata con estremo imbarazzo per sincerarsi che stesse bene, si defilava con uno sguardo sempre più marcato di pena.

Non le pesava più.

O forse sì, le scivolava sulle spalle, le cadeva sui piedi ma come una secchiata addosso rimanevano comunque le macchie sui vestiti. Ma sicché oramai era convinta di non poter tornare indietro o andare avanti seguendo una strada differente, non le restava che alzarsi come tutte le settimane, infilarsi le pantofole ed asciugarsi un po' il sudore dalla fronte che affrontava le ultime settimane d'estate. Con passi lenti uscì da camera sua e percorrette il corridoio verso il salotto poggiando le mani contro il tavolo illibato che sarebbe dovuto servire per mangiare e cucinare ma effettivamente era lì a prendere polvere.

Le sue mani tremavano, i polpastrelli si strofinavano sul legno laccato attendendo con il canino destro a sfregarsi sul labbro inferiore il suonar del campanello così da poter chiudere anche per questa settimana, lo scenario più irritante ed ansiogeno. Passarono cinque minuti in cui sempre in piedi, aggrappata a quella superficie fresca in una casa quasi del tutto buia, fissava un altro orologio colorato, questa volta con motivi floreali, segnare le 17:05. Odiava i ritardi, temeva che in quel lasso di tempo potesse sentirsi male e non poter aprire la porta. Pensava sempre che nei momenti più delicati le sarebbe venuto un malore per stroncarle quella poca decisione che le era rimasta.

Eppure, quando sentiva il fastidioso rumore del campanello le sue labbra irritate da continui contatti nevrotici con i denti si increspavano in una smorfia di dolore più mentale che fisico, con gli occhi spalancati e le pupille dilatate.

I suoi occhi erano piccoli e la sua pelle chiarissima, di una tonalità certamente non proprio simile a quella di una persona in salute, così per quei pochi che ancora potevano guardarne il volto lei veniva sempre accostata ad un'asiatica mancata, con tanto di risate.

Ogni volta era una sfida cercare di trascinarsi fino alla porta di ingresso, mettere la chiave sulla serratura, girarla e poi afferrare la maniglia nello stesso istante in cui il suo volto mascherava insofferenza.

Quando la luce del sole la colpì in pieno volto, notò subito qualcosa di differente: solitamente la sagoma del fratello o della sua ragazza coprivano sì la luce ma con meno intensità, dovuta alla loro stazza contenuta. Si sentiva come colpita a sangue freddo dai raggi del sole e finiva immancabilmente per coprirsi gli occhi qualche istante... eppure... eppure no, quella volta non lo fece, perché pur avendo aperto l'uscio di casa sua le tenebre erano ancora quasi interamente sue amiche con un'enorme scudo umano di fronte a sé.

Era alto, per una nanerottola che a malapena toccava il metro e cinquanta tutto ciò risultava quasi sproporzionato. Non per cattiveria ma perché effettivamente la differenza tra quelle due persone era enorme, un po' come cercare di trovare delle similitudini tra il sole e la luna.

-Noem...- quando sentì definitivamente qualcosa andar storto, ovvero una voce sconosciuta tentare di pronunciare il suo nome, ella scattò per chiudergli la porta in faccia ma il suo interlocutore era molto più veloce e probabilmente anche preparato a tutto ciò, così posizionò il piede destro oltre la porta per impedirle di tornare in prigione senza prima averla ascoltata. Dopo essersi assicurato di aver scongiurato quel pericolo e nonostante il dolore al piede, gli fu semplice usare una mano per aprirsi uno spiraglio ancora maggiore in quella porta che più che mai sembrava essere diventato uno scudo.

-Potresti ascoltarmi per un minuto senza sbattermi la porta in faccia? Mi mandano i tuoi genitori, ecco- una voce calma, pacata, del tutto rilassata, forse anche fin troppo tirò fuori dalla tasca dei suoi pantaloni una lettera chiusa e sigillata come se fossimo tornati indietro di vent'anni... una cosa talmente obsoleta che sì, poteva essere senz'altro opera dei genitori di Noemi anzi, senz'altro una cosa tanto scema poteva essere soltanto loro. Ad allungargliela però era un volto sconosciuto di un altissimo giovane ragazzo dai capelli biondi, chiari, chiarissimi, probabilmente effetto accentuato dalla prepotente luce del sole. Erano lisci e gli coprivano un po' il volto con un taglio medio e molto curato, sembrava quasi uscito da qualche copertina di gruppi coreani tutti messi in tiro ed un po' effeminati, però i suoi tratti erano assolutamente occidentali, con degli occhi azzurri placidi, di una imperturbabilità tale da far credere a Noemi che i due si conoscessero già ma lei se ne fosse totalmente dimenticata.

Afferrò così la lettera senza nemmeno tentare di aprirla, anche perché una mano teneva ancora stretta la maniglia della porta senza troppi convenevoli iniziò a scrutarlo malissimo, se ne avesse avuto potere avrebbe tentato di fulminarlo con lo sguardo ma poteva solo sembrare una sorta di piccolo gatto nero che cerca di intimidire un'enorme cane che gli si è parato davanti. A differenza della voce gentile di lui, lei aveva la gola secca ed un parlato un po' incerto, come se non fosse abituata a fare chissà quale discorso.

-so che i tuoi genitori sono preoccupati per te, da quando avete deciso di vivere separati, perciò...- il ragazzo sembrava recitare un copione ben scritto, non tremava se non per muovere le sue belle labbra curate, persino le punte delle sue lunghe ciglia non parevano spostarsi mai e tutto ciò dava sui nervi a chi invece di fronte a lui si tratteneva dal non fuggire.

-45 secondi- come una martellata in testa la sua interlocutrice non solo era spaventata ma anche spietata, facendo seriamente tesoro del “un minuto” pronunciato da lui.

Un ragazzo che a sentirla rispondere così finalmente mostrò un po' di scontento, sospirando pesantemente e prendendosi qualche secondo per formulare al meglio le ultime parole che gli avrebbe fatto dire prima di scappare chissà dove.

-non mi interessa minimamente cosa fai della tua vita, per me puoi anche continuare così in eterno, anzi, ne trarrei soltanto vantaggio siccome da oggi in avanti mi pagheranno per farti da casalingo personale- una verità detta veloce, se ci fossero state le rime sarebbe potuta serenamente passare per una strofa di una canzone rap. Così irrealistica, così assurda da far sbigottire quella piccoletta in pigiama che a sentir dire una cosa tanto stupida mollò persino la presa dalla maniglia della porta per aprire la lettera e confermare che sì, dentro la lettera nella pessima calligrafia di una madre anziana ed analfabeta funzionale capace di scrivere male come nessuno, vi era scritto in parole povere che erano preoccupati, non avrebbero mai voluto lasciarla sola ma nemmeno tenerla incollata al fratello poiché troppo cattivo con lei. Perciò, dopo aver incontrato un ragazzino bisognoso di soldi e soprattutto di una famiglia affidabile che conoscevano da un numero di anni indefiniti, avevano deciso di chiedergli di occuparsi della figlia finché non ne sarebbe stata capace da sola.

Ma per quanto l'orgoglio d'ella fosse ormai stato sepolto già da anni, non poteva accettare di avere addosso uno sconosciuto che sicuramente voleva solo scroccare un posto dove stare.

-Vuoi dirmi che sei davvero così disperato? E che secondo te dovrei esserlo anche io?- ancora senza peli sulla lingua, provò quasi a dissuaderlo utilizzando la carta dell'insulto velato, ma quella faccia così distaccata non dava segni di crollare ma anzi, annuì in maniera vigorosa senza proferire parola, ancora incastrato con un piede in avanti ed una mano che poteva benissimo spalancare del tutto la porta ma voleva evitare di traumatizzare quella che sarebbe stata... la sua cliente? Assistita? Non aveva ancora deciso come catalogarla.

-In pratica ti sta bene passare le tue giornate a fare la spesa, cucinare, pulire, ordinare le stanze, rispondere al telefono, aprire la porta ai corrieri ed i venditori ambulanti, fare le riunioni del vicinato, cambiare le lampadine, cacciare gli insetti di cas-...- il monologo di Noemi che oramai diventava un'interminabile lista di cose più o meno realistiche sembrava non aver più fine e quel tipo senza nome annuiva, scuoteva il capo come se nulla di tutto ciò elencato fosse strano o difficoltoso per lui. Così, una volta confermato che sì, era disposto a tutto per guadagnarsi onestamente soldi, finalmente decise di aprire del tutto la porta di quella casa e sentirne a pieni polmoni l'aria viziata. Per fortuna quella ragazza non sembrava fumare o bere, ma rimaneva comunque un ambiente inospitale per quasi ogni essere umano.

-Chiamami pure Lucas- come se fosse oramai già stato ufficialmente assoldato la lasciò di sasso entrando con aria disorientata e camminata tranquilla, mentre si lisciava un po' la camicia bianca contro la pelle diafana del petto ed alzando il volto, cercava di capire da dove iniziare.

Andò ad aprire le finestre ed aprire le tende, mostrando così che oltre l'entrata c'era un grosso salotto che faceva anche da cucina con spazio aperto, il tutto fin troppo ordinato. Non c'era praticamente nulla se non delle confezioni di lampadine aperte e mai usate.

-...- Noemi evitò di dire quanto fosse inutile ovvero, che non riuscisse nemmeno a salire le scale per mettere le lampadine nuove e quasi a leggerle nel pensiero, Lucas prese una sedia dal tavolo per salirci sopra ed avvitarla nel grosso lampadario in porcellana bianco. Uno spazio grande e sempre oscurato diventò in una manciata di secondi ancora molto triste ma grazie alla luce del sole, acquisì un po' dell'ospitalità dei vecchi tempi.

I due così iniziarono a guardarsi negli occhi: uno fermo, immobile senza nulla da dire pronto ad attendere ordini, un'altra irritata, disordinata, semplicemente un disastro che pian piano, inquadrandola sempre di più, iniziava a dar sempre più fastidio. Sarà che Lucas era il completo opposto, ma non amava vedere qualcuno così trascurato.

-Se vuoi farti un bagno, io nel mentre preparerò la cena e scaricherò tutto quello che mi hanno fatto portare la tua famiglia- non era facile inserirsi in casa altrui come se nulla fosse, ma doveva pur rompere il ghiaccio prima che quella giornata di fine estate improvvisamente divenisse inverno.

-Per caso vuoi involontariamente dirmi che dovrei lavarmi? Tu devi solo badare alla cas-...- prima che Noemi terminasse la frase sentendosi già a disagio poiché un ragazzo decisamente più attraente di lei iniziava a nutrire probabile disgusto verso la sua figura marcia sia fuori che dentro, si sentì toccare la testa dalla mano di lui, un po' sconsolato, un po' finalmente imbarazzato e con qualche emozione in corpo.

-Sì, penso tu abbia bisogno di darti una rinfrescata. Ed immagino che tu non faccia una cena normale da mesi, se non anni- con il tono di voce che utilizzerebbe una zia che viene da lontano a trovare la nipote e si sente quasi in colpa per non essere arrivata prima, le lasciò una piccola carezza prima di spingere quella testolina, la cui altezza toccava metà del petto di lui, fino al corridoio oltre il salotto. Sicuramente non era stato troppo gentile a sottolineare che una giovane donzella avesse bisogno di lavarsi, ma non poteva di certo lasciarla così, con la testa più scompigliata di una matassa ingarbugliata ed il pigiama sporco di cioccolata. Eppure lei sembrava essersi calmata non appena Lucas aveva confermato di non gradirla fisicamente, anche se non era proprio quello il suo obbiettivo.

-Hai dei bei capelli, non deve essere facile quando ti superano le spalle, inoltre si vede che la frangia te la tagli tu a caso... dai, dopo ti aiuto e tranquilla, so già che volevi chiederlo e no, non dormirò qua, so che l'intrusione di un maschio deve essere terribile per te- detto ciò, senza esitare oltre le lasciò la testolina e tornò al suo solito modo di fare senza emozioni, anche se in lui c'era quel modo di fare che ricordava una persona che non aveva motivo di fingere. Sia in positivo che in negativo.

Non necessitava di farle complimenti ed assecondarla ma nemmeno di insultarla o svilirla. Soprattutto perché era giusto lasciarla un po' sola. Noemi sola, di spalle in un corridoio in penombra mentre si trattiene le lacrime.

In cuor suo le dispiace tantissimo che i suoi genitori siano arrivati a spendere soldi per assicurarsi che lei non muoia chiusa da sola in una casa buia e trasandata, dall'altra versa il suo dispiacere nel terrore che ha provato nel farsi toccare la testa in maniera innocente, nell'essere incapace di cambiare una lampadina, di essersi fatta vedere così brutta davanti ad uno sconosciuto. La paura che lui poi vada a raccontare a tutti di lei, il timore che si renda conto che ogni giorno è uguale e niente cambia. Però... però c'era una parte di lei che era felice di essersi sentita finalmente toccata in maniera innocente e senza secondi fini da qualcuno che non fosse imparentata con lei. Come se finalmente avesse avuto l'approvazione di chi non era obbligato a dargliela perché legato di sangue con lei.

Lei che non sapeva bene cosa fare se non strofinarsi gli occhi e correre davvero verso il bagno e fare ciò che le era stato detto.

Non per compiacerlo, ma perché non poteva di certo essere così testarda da rifiutare una mano che le veniva tesa, anche se questa era stata pagata. Anzi, un po' apprezzava che non ci fosse stata in mezzo qualche strana recita per farle credere che quella persona fosse piombata dal nulla per salvarle la vita, perché era ovvio che certi miracoli non esistessero, soprattutto per una persona come lei, così imbruttita, spaventata, trascurata e sottomessa dalle sue stesse paure. Timori a decine e centinaia ad urlarle di scappare, di rifiutarsi, di nascondersi prima di adescare all'imbroglio.

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: AkaMayu