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Autore: Giuda_Ballerino    08/09/2020    3 recensioni
Salve a tutti, è da un po' che non aggiornavo questa storia. Il tempo non mi è amico. Ho apportato delle modifiche a tutti i capitoli, sia per ragioni di sintassi che di contenuto. La storia ora è completa, ma nel caso la gradiste, fatemi sapere se avreste piacere ad un possibile continuo.
"...lo avrebbe distrutto, spogliandolo di tutto ciò di cui fosse certo. Gli avrebbe dimostrato che neanche lui era in grado di amare nessuno...", "...Cuore e mente. Di Edward non doveva restare più nulla."
Ciao a tutti! Sono una vecchissima lettrice di fanfiction ma è la prima volta che mi cimento nello scriverne una. Anzi è la prima volta che scrivo una storia in generale. I primi capitoli saranno incentrati su quanto accaduto nella serie sviluppando la parte introspettiva dei personaggi. Dal terzo capitolo parte l'idea partorita da me. Chiedo a tutti i lettori, gentilmente, di lasciare commenti che possano aiutarmi a capire se c'è qualcosa che non funziona, se la storia è noiosa o qualsiasi altro suggerimento.
Vi ringrazio in anticipo e vi auguro una buona lettura!
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Edward Nygma, Oswald Cobblepot
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Esistono nodi difficili da districare.        

Quello di Gordio era una matassa talmente aggrovigliata che nessuno era mai riuscito a scioglierlo. La leggenda narra che Alessandro Magno lo tagliò di netto in due parti. Così, senza perder tempo in inutili indugi.
Da qui la tipica frase “diamoci un taglio”.          

Riflettendoci, esistono due tipi di persone: i risolutori drastici come “Alessandro Magno” e chi si arrovella una vita intera nel tentativo di sciogliere quei benedetti nodi, mandando in malora tutto il resto.

Edward non era mai stato un Alessandro Magno.         

Trovava ci fosse qualcosa di maledettamente attraente nei nodi.           

Era stato cresciuto con l’idea che ci fosse sempre una soluzione ad ogni problema e questa idea, ormai, era la sua: un’ossessione, un pensiero compulsivo che lo tratteneva ad esitare oltremodo su qualsiasi questione gli si parasse avanti fintanto che non riuscisse a trovarne la stramaledetta soluzione.

Nessuno gli aveva mai detto, né lui stesso aveva mai contemplato l’idea di poter lasciar perdere. Chissà, magari la risposta di questa ossessione si sarebbe potuta trovare in qualche scorcio della sua infanzia. In qualche angolo rabbuiato della sua stanza di bambino, dove relegava gli inutili giocattoli che non avrebbe mai più utilizzato ma ai quali era troppo legato per potersene disfare.  

“Legato”.                     

Come già detto, esistono nodi difficili da districare.       

Nella periferia “bene” di Gotham, in un’ampia stanza di un’imponente villa in stile ottocentesco, la luce calda di un’abat jour illuminava lo scenario di lui seduto ricurvo su di una sedia di legno scuro, poco ergonomica.
D’avanti a sé una grossa scrivania in legno antico, di quelle composte da vari scaffali e mensole sulle quali era solito depositare libri, perlopiù di chimica e fisica, quaderni, appunti e fogli sparsi qua e là. Qualche strano congegno si nascondeva nel marasma confuso di quei fogli svolazzanti.       

Non era tipico di lui.     

Era ordinato al limite del maniacale. Un ordine necessario per una persona tanto metodica quanto pragmatica come lui.
Quest’ordine pareva essergli sfuggito di mano dopo aver compiuto la sua ultima vendetta su quella banchina del molo. Aveva sparato al suo più caro amico.

Oswald Cobblepot, il famigerato Pinguino.

Quest’ultimo di certo non era stato uno stinco di santo.
Gli aveva praticamente ammazzato la donna per una mera questione di “gelosia”.
 
Cosa avrebbe potuto fare se non vendicarsi nel peggiore dei modi?

1. distruggergli l'impero finanziario e politico che aveva creato;
2. distruggergli gli affetti a cui era legato;
3. distruggere lui stesso.
 

Tuttavia, ben presto diventò conscio che questa vendetta altro non aveva portato che confusione e malessere nella sua debole psiche.       

Batteva, in maniera compulsiva, la penna che aveva tra le dita sul foglio bianco.

Il resto era buio e solitudine.    

In realtà, lui stesso si sarebbe definito come la rappresentazione vivifica della solitudine. Ed ora, questa si riversava inesorabilmente su quel maledetto foglio bianco, vuoto. Doveva mettere giù qualcosa, doveva pianificare qualche geniale impresa per far ricordare al mondo lui chi fosse:

“L’ Enigmista”. 

Se il nome proprio alle persone, generalmente, viene dato prima ancora di nascere e mostrare al mondo le proprie peculiarità, Edward aveva deciso di attribuirsene uno lui stesso. Un nome che realmente lo rappresentasse, affinché le persone, prima ancora di averlo veduto, lo avrebbero potuto riconoscere ed identificare.

Non che lui assegnasse una qualche valenza significativa al giudizio altrui; non era di certo interessato ad essere classificato nella dicotomica distinzione tra bene e male.           

Il suo unico interesse era quello di essere riconosciuto per quello che era poiché è risaputo che “il peccato più sciocco del diavolo è la vanità”. 

Sollevò, con il pollice e l’indice della mano sinistra, gli occhiali dal setto nasale ed iniziò a massaggiarsi in maniera circolare le palpebre affaticate. Una lacrima, probabilmente dovuta alla stanchezza, fece debolmente capolino dall’occhio destro e restò ferma fino al suo completo assorbimento.

Cosa gli stava prendendo? Aveva sicuramente dovuto riconoscere negli ultimi anni di essere affetto da un grave disturbo della personalità, ma non gli era mai capitato di avere difficoltà nel mantenere la sua attenzione focalizzata sui suoi impegni.          

Sarà forse la dose quotidiana di psicofarmaci, che si era costretto ad ingerire, a fargli perdere colpi?
Eppure, la ragione per cui aveva deciso di assumerli era proprio quella di far dissolvere nel buio dell’oblio quella ridicola vocina posizionata in qualche sezione del suo complesso cervello. Era diventata, ormai, un’ossessione, un nodo che non riusciva né a scogliere né a tagliare di netto, come tempo addietro aveva consigliato al suo amico più caro.       

Ma lui lo aveva ucciso il suo amico più caro. Ed ora quei suoi maledetti occhi tristi erano diventati il suo nodo personale. Il nodo cruciale la cui risoluzione non poteva essere logica, perché non c’era nulla di logico in tutto ciò che quegli occhi rappresentavano.         

Lui non ci capiva niente di quelle cose; tanto intelligente quanto stupido nelle emozioni. Questo era Ed: un miserabile sociopatico, incapace di portare avanti relazioni sane con altri esseri umani.      

Strinse in un forte pugno la penna che aveva in mano fino a spezzarla. Il liquido contenuto in essa schizzò fuori violentemente andando a macchiare in maniera irregolare tutto ciò che era presente in quell’angolo di stanza illuminato dalla calda e tenue luce dell’abat jour: libri, appunti, progetti. Lui stesso fu macchiato, i suoi occhiali, la sua camicia.      

Girò lo sguardo verso il piccolo specchio antico appeso al muro alla destra dello scrittoio e ci ritrovò dentro un suo pallido riflesso: i capelli tirati a lucido all’indietro, la bocca tesa in un ghigno nevrotico, gli occhi inespressivi ricoperti dalla tradizionale montatura d’occhiali rettangolare poggiata sul suo naso greco.       

Iniziò a focalizzarsi su quest’ultimo, probabilmente, coadiuvato dalla sostanza psicoattiva che circolava nel suo organismo e gli rimbalzò alla mente un insulso ricordo.      

In un noioso pomeriggio di lavoro, quando ancora prestava servizio alla Stazione Centrale di Polizia a Gotham, gli capitò di ascoltare i discorsi di due colleghe mentre, ad alta voce, leggevano uno sciocco articolo nella sezione della cronaca rosa del giornale.         
Tale articolo suggeriva la possibilità di definire le caratteristiche della personalità di un individuo in base alla forma del suo naso.
Rifacendosi alla propria memoria, che era il suo punto forte, l’articolo recitava più o meno così:
“pare che le persone con il naso greco siano brillanti e determinate, ma un po’ timide. Non sono neanche inclini a confidarsi, a meno che non si fidino ciecamente dell’altra persona. Infine, sono i più leali”.         

A pensarci bene, l’analisi gli sembrava abbastanza fedele. Se non fosse per quel piccolo dettaglio, la lealtà.
“Lo sai bene tu, amico mio, vero? Chissà cosa direbbero del tuo naso aquilino.” 

Da poco era venuto a conoscenza della sua incapacità a mantenere la promessa fatta al suo unico amico: rimanergli sempre fedele.
Solo qualche settimana prima aveva messo a repentaglio la sua stessa vita, dichiarando che sarebbe stato capace di fare qualunque cosa per lui.     

E su quel molo si era trovato ad infrangere quelle promesse, non solo al suo amico ma soprattutto a sé stesso.

Ecco cosa rappresentavano per lui quegli occhi tristi. Quegli occhi cerulei e sempre umidi che lentamente annegavano nelle acque del molo andandosi a mescolare tra lacrime e sale. In essi c’era disegnata la delusione e il disgusto di una mancata promessa.     

“In fondo, se l’è meritato! Quel viscido uccellaccio! Come ha osato privarmi dell’amore autentico?”         

La parte più “razionale” di sé prese vita sotto le sembianze di Oswald dando il via ad un dialogo interno. La voce isterica del corvino tuonò nella sua mente:        

“amore autentico? Tsk! Una donna che conoscevi a malapena da una settimana?         
Sei Patetico Ed! Hai ucciso l’unica persona ti sia mai stata amica e guida nella tua inutile vita per vendicare la morte di una deludente fotocopia della signorina Kringle che un tempo avevi amato e la cui vita avevi già spezzato tra le tue dita.
Non ti bastava distruggere il mio impero?”.
        

Sul molo, mentre teneva la pistola puntata alla bocca dello stomaco di Oswald, quest’ultimo gli confessò definitivamente di amarlo; le parole successive furono una supplica:     

<< mi stai ascoltando? Dì qualcosa Ed, ti prego!  >>     

<< Ti sto ascoltando >> rispose Edward abbassando lo sguardo ed aggiustandosi gli occhiali sul naso. 

Ma da quel preciso momento dentro di lui si innescò un dialogo eterno che stava ancora avendo luogo nella sua testa, di fronte a quel piccolo specchio antico appeso al muro alla destra dello scrittoio. 

Aveva fatto ciò che andava fatto. Di questo ne era sicuro. Non avrebbe dovuto vendicare il torto subito? Non solo gli era stato negato un amore, ma egli stesso era stato tradito, raggirato. Che figura avrebbe fatto? Con quale immagine ne sarebbe uscito dinnanzi agli altri? Soggiogato e manipolato.     

In realtà, soltanto più tardi avrebbe scoperto che sparando all’uomo che lo fissava tremante sul molo ne sarebbe uscito distrutto ed irrimediabilmente pentito. Avrebbe voluto ammazzarlo per poi riportarlo in vita innumerevoli volte. Gli mancava, questo era chiaro. Ciò che non gli era chiaro erano le emozioni legate a tutto ciò.

Dov’era finita la sensazione di gratificazione tipica di cui si inebriava dopo ogni colpo andato a buon fine? Forse era stato persuaso dalle parole di Oswald che lo intimavano non sarebbe valso nulla senza di lui.

“Non dirti sciocchezze, Ed. Sii onesto con te stesso, almeno una volta. Riconosci ciò che provi”. Di nuovo, la voce della coscienza.       

Ma lui non ci riusciva ad essere onesto. Non era capace di tirar fuori una definizione al concetto che andava formulandosi nella sua testa. Le emozioni che provava gli risultavano come delle variabili impazzite, impossibili da inserire nelle classificazioni ben definite della sua mente. “Non ha senso. Non è logico”.        

Questo era il nodo principale sul quale era rimasto a rimuginare da minuti interminabili anziché mettersi all’opera affinché si potesse leggere nuovamente sui giornali che l’Enigmista, la mente geniale di Gotham, era riuscito a fare scacco matto alla GCPD ancora una volta.    

Allontanò di scatto il volto dallo specchio e posò nuovamente gli occhi sul foglio che, ormai, non era più bianco. Una grossa chiazza di inchiostro aveva preso forma su di esso ed era già secca.     

Da quanto tempo stava indugiando su quei pensieri? Quanto tempo ancora gli rubava Pinguino in inutili battibecchi con la sua inesistente proiezione, nonostante fosse morto stecchito nel fondale del porto?

                                            
  
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