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Autore: therealbloodymary01    10/09/2020    3 recensioni
I cavalieri sono stanchi dopo una missione particolarmente difficile, ed hanno bisogno di relax.
Quale posto migliore della fantomatica taverna di Camelot?
In pratica la storia di come Galvano abbia fatto ubriacare tutti i suoi amici (a spese di Artù).
Genere: Comico, Demenziale, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: I Cavalieri della Tavola Rotonda, Merlino, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Salve, avevo scritto questa storiella in un momento di noia tempo fa e, visto che stava nel mio computer a marcire, ho deciso di pubblicarla tanto per farvi fare (spero) una risata. Se vi piace e vi va lasciate una recensione che fa sempre piacere!
Buona lettura :)
 

There’s no such thing as a poetry club

Dopo tre giorni di spedizione, finalmente la terribile creatura che stava terrorizzando il regno era stata annientata, o per meglio dire, Artù credeva di aver fatto il lavoro sporco mentre in realtà gran parte dell’opera era merito di Merlino che, come sempre, metteva a servizio del regno la sua magia e in cambio non riceveva nemmeno un riconoscimento. Tuttavia, il servitore era ben abituato a stare nell’ombra. Ciò a cui non era abituato era l’alcool, per questo quando Galvano aveva proposto di andare tutti insieme a festeggiare la vittoria alla taverna aveva prontamente rifiutato, con sommo stupore del principe.

“Ma come, passi tutto il tuo tempo libero in quel postaccio, ed ora mi vieni a dire che non reggi il vino?” gli chiese, guardandolo con fare inquisitorio.

Merlino scambiò un’occhiata preoccupata con Lancillotto, vedendo la propria copertura vacillare. 

Altro che taverna mio caro, gli avrebbe voluto dire, se solo sapeste tutte le volte che ho salvato il vostro reale fondoschiena!

“Non ci vado per bere ma… ehm… per l’atmosfera” rispose invece. Artù non sembrò molto convinto, ma lasciò correre, essendo abituato all’atteggiamento misterioso e sfuggente del suo servitore.

“Ma quindi? Chi ci sta ad andare alla taverna? Ho voglia di ubriacarmi!” continuò ad insistere Galvano, guadagnandosi un’occhiataccia da parte del principe, il quale non approvava la sua devozione agli alcolici, probabilmente perché era certo superasse quella verso il regno.

“Per me va più che bene” rispose Elyan, felice di avere una distrazione dopo giorni di battaglie e appostamenti.

“Anche per me” confermò Lancillotto.

“Tu, Percy?”

“E va bene, basta che non finisca come il giorno del mio compleanno.”

“Perché che è successo?” domandò Merlino, incuriosito dalla reticenza dell’amico.

“Non ne voglio parlare…”

“Galvano era ubriaco fradicio e ha cercato di baciare Percival” confessò Lancillotto, trattenendo a stento una risata nel ricordare l’accaduto.

“Ero più di là che di qua! Prometto solennemente di non molestare nessuno oggi, va bene così?” replicò sdegnato il più scalmanato dei cavalieri.

“Non mi sembra molto appropriato per noi andare… in certi posti” disse Leon, ricordando l’ultima volta che si era lasciato convincere da Galvano a fare serata e si era risvegliato in mezzo alla foresta, derubato dei suoi averi e con un’emicrania degna dell’altro mondo.

“Oh andiamo Leon, giuro che stavolta mi comporto bene!” insistette l’altro, praticamente facendogli gli occhi dolci.

Il cavaliere sospirò, sapendo che si sarebbe pentito di quella decisione.

“Fatemi capire, quindi abbiamo tutti dei ricordi traumatici legati alle uscite serali con Galvano e gli stiamo permettendo di trascinarci in un’altra folle avventura?” constatò Elyan.

Per tutta risposta, il cavaliere in questione alzò le spalle e si rivolse all’unica persona che non aveva ancora espresso un parere in merito all’uscita.

“Voi siete dei nostri, Principessa?”

Artù alzò gli occhi al cielo per il nomignolo e fece un gesto d’assenso, più per tenere sotto controllo i suoi uomini che per divertirsi. Non voleva di certo ritrovarsi senza difese perché la sera prima aveva lasciato i suoi migliori cavalieri giocarsi le facoltà mentali e la dignità. Merlino provò a svignarsela prima di essere notato, ma fu prontamente fermato da un contrariato principe.

“Dove credi di andare, scusa? Se pensi di potermi lasciare da solo con loro alla taverna, ti sbagli di grosso mio caro… se devo sorbirmi un Galvano ubriaco fradicio, lo farai anche tu.”

Così i sette amici, tra una chiacchiera e l’altra, giunsero al Rising Sun, l’unico locale, se così si poteva veramente chiamare, presente sul territorio del regno. L’aspetto esteriore della bettola lasciava molto a desiderare, e l’interno non era certo migliore. Un mucchio di vecchi tavoli di legno traballanti erano sparsi alla rinfusa nell’angusto spazio rettangolare, apparecchiati in modo decisamente spartano. L’igiene del posto era altamente discutibile, tanto che Artù, non abituato a luoghi di quel genere, aveva assunto un’espressione schifata sin dal primo momento in cui aveva messo piede nel locale.

“Un tavolo per sette!” gridò entusiasta Galvano ad una delle cameriere della taverna, lanciando un bacio nella sua direzione. Dallo sguardo che quest’ultima assunse, i suoi compagni ebbero la conferma che nessuno in quel posto fosse particolarmente felice di vederlo di nuovo. Con un gesto affrettato, la donna indicò loro un tavolo libero e si avvicinò per prendere le ordinazioni.

“Cosa prendete?”

Ancora una volta, fu Galvano a precedere tutti ed a parlare.

“Sette birre, grazie. E per voi, ragazzi?” 

Il cavaliere scoppiò a ridere da solo per la sua battuta, ma quando vide che nessuno gli stava prestando attenzione decise di tacere.

Alla fine optarono per ordinare tre birre piccole, che presero Artù, Merlino e Leon, due medie per Lancillotto ed Elyan, una grande per Percival ed una “Bevanda del campione”, specialità della casa, per Galvano, la quale consisteva in una normale birra rinforzata con dell’alcool extra di dubbia provenienza. 

“Desiderate altro?” chiese loro la cameriera.

“No, grazie, è tutto” rispose Artù.

“Per ora…”

La ragazza fissò Galvano con un’espressione mista tra il divertito e l’esasperato, conoscendo le sue abitudini alcoliche.

“Segna tutto sul mio conto, piccola” gli disse lui sorridendo a trentadue denti e facendole l’occhiolino.

“Ma se avete un debito di quaranta monete!”

“Ah. Beh fortuna vuole che abbiamo qui con noi il solo ed unico erede al trono di Camelot che pagherà per i suoi adorati amici, non è così Principessina?”

“Smettila di chiamarmi così. Comunque non si preoccupi per il conto, garantisco io” disse il principe rivolgendosi alla cameriera. Erano in quella locanda da nemmeno dieci minuti e già stava cominciando ad innervosirsi, aveva veramente bisogno di alcolici per superare indenne quella serata.

Per fortuna, pochi minuti dopo gli vennero servite le rispettive ordinazioni, e fu da quel momento che iniziarono i guai.

Dopo essersi scolato quella mezza schifezza, infatti, Galvano aveva ordinato un giro di shottini di rum per tutti quanti, ai quali poi si era andato ad aggiungere un altro giro offerto dalla casa, dato che il gestore della taverna, una donna sulla quarantina, a quanto pare trovava Merlino un gran bel pezzo di ragazzo.

In sintesi, dopo appena un’ora che erano lì, erano già tutti più che alticci.

“Facciamo un gioco!” esclamò entusiasta il più scalmanato del gruppo, immediatamente spalleggiato da Percival ed Elyan. Artù si accorse di non essere più tanto lucido quando acconsentì senza protestare all’assurda proposta degli amici, lottando per rimanere sveglio e non addormentarsi sulla sedia. Dal canto loro, Merlino e Leon si scambiarono un’occhiata perplessa, non sapendo che aspettarsi da quel gruppo di squinternati.

“Sì ma niente giochi da bambini, abbiamo pur sempre una reputazione, diamine!” sentenziò un imbronciato Lancillotto, e gli altri lo avrebbero quasi preso sul serio se non fosse stato per il fatto che nel parlare si era sporto troppo in avanti ed era stato tradito dal suo equilibrio compromesso, cadendo rovinosamente a terra. Scoppiarono tutti a ridere rumorosamente, finchè Percival non si accinse a tirare su l’amico, che non sembrava granchè consapevole di ciò che stava succedendo.

“Allora che gioco proponi, genio?” 

Lancillotto ci pensò su un attimo, cercando di riordinare i suoi pensieri, al momento altamente offuscati dall’alcool. Poi, d’un tratto, si illuminò.

“Facciamo obbligo o verità!!!” disse eccitato, guadagnandosi però solo occhiatacce da parte dei suoi compagni di bevuta.

“Menomale che non dovevamo fare giochi infantili!” disse Leon, scuotendo la testa.

Un coro di proteste si levò dal tavolo, finchè non fu lo stesso Artù a riportare la pace.

“Io voglio giocare.” Constatò, e nessuno osò contestare la sua autorità. O forse erano tutti troppo ubriachi per avere la forza di opporsi. Da parte sua, il principe pensava che tenendoli occupati con il gioco avrebbe almeno scongiurato il pericolo che si ubriacassero del tutto, divenendo poi non idonei a svolgere il loro lavoro il giorno seguente. Del resto, era solo un gioco innocente, cosa sarebbe mai potuto succedere?

“Allora, chi vuole cominciare?”

Con stupore di tutti, Elyan alzò la mano. Di solito era il più silenzioso del gruppo, ma l’alcool che aveva in corpo doveva aver contribuito a disinibirlo. Il cavaliere spostò lo sguardo da una persona all’altra intorno al tavolo, fino a soffermarsi su Galvano. Sapeva che per colpa sua l’indomani avrebbe avuto un’emicrania pazzesca, ed intendeva vendicarsi in anticipo.

“Obbligo o verità?” gli chiese, sorridendo maliziosamente.

“Che domande, obbligo. Non sono mica un codardo.” Rispose lui con nonchalance.

“Ti obbligo a metterti in piedi sul tavolo e a dire che non ti lavi da tre mesi” disse il cavaliere dopo averci pensato un po’. Per tutta risposta, Galvano gli diede del dilettante e, senza scomporsi minimamente, fece quanto gli era stato richiesto, beccandosi in risposta un “anche io” che fece pensare al povero Artù in che razza di posto si fosse lasciato trascinare.

Ora che il turno era passato a Galvano, al tavolo si respirava un’aria di tensione più che palpabile. Il giovane, noto per la sua completa mancanza di pudore e freni inibitori, si prese tutto il tempo del mondo, godendo dell’evidente trepidazione dei suoi amici. Decise infine che la sua vittima sarebbe stata nient’altro che il principino, che non si stancava mai di sfottere.

“Obbligo o verità, Vostra Grazia?” 

L’erede al trono ci mise due secondi in più del dovuto a capire che parlava con lui, complici i suoi riflessi rallentati. Lo osservò con sospetto, sapendo che aveva in mente qualcosa, e decise di andare sul tranquillo.

“Verità”

Il cavaliere fece una smorfia di disappunto, ma non per questo sembrò meno pronto a metterlo in difficoltà. Si lambiccò il cervello per qualche secondo, poi di colpo le sue labbra si schiusero in un sorriso che non prometteva nulla di buono.

"Le 'lezioni di poesia' che fate con Merlino sono un'allusione per dire che fate sesso?"

Si scatenò il panico.

Leon sputò il liquore che stava ingurgitando direttamente in faccia a Percival che, ben oltre il limite della sobrietà, si avventò contro il cavaliere. I due finirono a terra a rotolarsi insieme, in un combattimento che sembrava più una strana danza acrobatica da circo. Intanto, a causa dell'impertinente domanda di Galvano, le orecchie di Merlino erano diventate color porpora e gli occhi gli si erano allargati a dismisura, facendolo assomigliare ad un cerbiatto spaurito.

La mascella di Artù si era spalancata nel momento esatto in cui aveva sentito quelle parole uscire dalle labbra del cavaliere, ed era rimasta in quella posizione. In tutto questo, Lancillotto era ormai sprofondato in un sonno profondo e giaceva con la testa appoggiata sul tavolo, mentre Elyan stava cercando di mantenere un minimo di contegno e non vomitare anche l'anima.

L'unico tranquillo era Galvano, soddisfatto di essere ancora una volta pienamente riuscito in una delle sue attività preferite: creare il caos.

"Allora, rispondete o no?"

"Ok direi che è proprio ora di tornare" disse secco Artù.

"Eddai, così non c'è gusto però!" Protestò il cavaliere indignato.

"Galvano, ti avverto! Non un'altra parola!"

"Tanto lo so che il club di Poesia non esiste!!!"

Il principe, spazientito, sembrava aver recuperato la sobrietà da un momento all'altro. Aveva deciso di averne abbastanza di quella serata.

Aiutò Leon a scrollarsi Percival di dosso, sapendo di non poter andarsene da quel postaccio senza l'ausilio del suo uomo migliore.

"Raduna tutti, Leon, andiamo via" gli ordinò.

"Subito, Sire" obbedì lui. Se c'era una cosa in cui era veramente bravo, era riportare l'ordine. Portò dell'acqua ad Elyan per rimetterlo in sesto, chiese scusa a Percival per avergli sputato in faccia, rimproverò Galvano per essere stato inopportuno con il principe e svegliò Lancillotto - beh, almeno ci provò.

"Il conto l'ho pagato, possiamo andare?"

Chiese Artù acidamente. Si sentiva veramente spossato, voleva solo mettersi a letto e svegliarsi dopo minimo dieci ore. 

"Tutto a posto, Sire" confermò Leon.

"Bene, andiamo"

Lancillotto si era addormentato di nuovo e Percival lo stava portando in braccio, ma a parte questo sembravano quasi un normale gruppo di amici. Gli occhi di Artù incrociarono quelli di Merlino, che distolse subito lo sguardo, arrossendo.

Il principe sollevò gli occhi al cielo. La scusa del club di poesia che si era inventato il suo servitore non era certo una copertura perfetta, ma credeva che avesse messo a tacere i dubbi di Leon, quel fatidico giorno. Invece il cavaliere lo aveva apparentemente raccontato a tutti gli altri! Perchè nessuno si faceva gli affaracci suoi in quella dannata corte? La prossima volta avrebbero dovuto inventarsi una scusa più decente, se volevano continuare a fare… quello che facevano di solito.

Maledetto Galvano e le sue domande scomode, pensò, e si promise di non fare più l'errore di venire alla taverna.
   
 
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