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Autore: Yuphie_96    10/09/2020    2 recensioni
Tratto dal Primo Capitolo:
L’ultima cosa che aveva colpito il biondo Kaiser era il nome.
Il nome del ristorante era Vienna.
Come la capitale austriaca… e servivano piatti bavaresi… non dovevano avere tanto le idee chiare, ma Karl ci aveva mangiato bene e quindi aveva continuato ad andarci, soprattutto quando il suo frigo era desolatamente vuoto, come quel mezzogiorno.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Altri, Karl Heinz Schneider, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Angolino della Robh: Oh buonasera! :3
E la Robh è tornata ancora... con una long principalmente het... roba da non credere, vero? xD
Lo so, non è da me, ma anch'io qualche volta pubblico etero e il Kaiser, ormai, me lo immagino in tutte le salse, het, yaoi, bisex, quello che volete, io Karl ce lo vedo u.u, è strano ma con certi personaggi mi capita xD.
Comunque, parliamo della storia, come sempre è già finita (era finita già a luglio, a dire il vero, ma non vi ho voluto rompere durante le vacanze xD) quindi gli aggiornamenti saranno regolari di giovedì sera, perchè di giovedì? Perchè è il giorno di Thor! U.U *Robh e Serè si battono il cinque* 
Dicevamo >.>''', non sarà tanto lunga, perchè mi sono accorta di non riuscire a scrivere capitoli 'perditempo' (passatemi il nome pls) solo per allungare il tutto, se avrete l'impressione che si svolga tutto un po' velocemente è anche per quello, mea culpa... ma è così, chiedo venia u.u'''.
Sarà ambientata dopo il World Youth, poco meno di un anno dopo e... niente, non credo di aver altri avvertimenti da specificare, stranamente O.o, spero solo che vi piaccia l'OC che ho creato, io mi ci sono affezzionata particolarmente ♥ .
Detto questo chiudo qui l'angolino e vi lascio alla storia, augurandovi buona fortuna ♥.


Ps: provate ad indovinare da chi ho preso spunto per la seconda OC che compare xD.



 

Un sorriso amorevole e una carezza tra i capelli biondi.
Karl Heinz Schneider tornava a casa dagli allenamenti sempre dopo aver ricevuto entrambi dal padre che, smettendo per qualche secondo di vestire i panni di allenatore del Bayern Monaco, ci teneva a dirgli – con i gesti – quanto fosse orgoglioso di lui e del suo impegno costante per la loro squadra.
Di solito quei gesti aiutavano a far scivolar via la stanchezza dalle spalle del Kaiser, riuscivano a farlo tornare a casa con un sorriso, e con la promessa che il giorno dopo avrebbe fatto ancora di più per non deludere Rudi e tutti i suoi compagni.

Di solito, ma non quella mattina.

Quella mattina, finiti gli allenamenti, nemmeno i gesti del padre riuscirono a sollevargli il morale, non sapeva cos’avesse di preciso, si era svegliato con ancora la stanchezza del giorno prima addosso e con la testa sovrappensiero, aveva fatto fatica a concentrarsi del tutto durante gli allenamenti e per questo era stato, giustamente, ripreso – era il figlio dell’allenatore, ma Rudi non aveva mai usato con lui un trattamento diverso da quello degli altri -, stare attento in macchina per evitare un incidente fu un’impresa quasi titanica e, quando giunse a casa, arrivò il colpo di grazia che segnò quella come giornata no.
Aveva finito gli avanzi che gli aveva portato la madre qualche giorno prima, nel frigo non c’era più niente di già pronto che potesse riscaldare senza combinare disastri.
Disastri, sì.
Perché lui non sapeva cucinare.
Alzò gli occhi al soffitto, sospirando con un grosso broncio, no, quella non era decisamente la sua giornata migliore.

Alla fine decise di uscire di nuovo, dopo aver preso portafoglio e occhiali da sole, e si diresse a passo svelto verso la sua – momentanea – fonte di salvezza: il ristorantino tipico bavarese vicino a casa sua, fosse lodato chi l’avesse aperto, aveva tutta la riconoscenza del suo stomaco.
L’aveva notato una sera, dopo una partita particolarmente stancante, e ci era entrato spinto dalla curiosità e dalla voglia di provare a mangiare qualcosa che non fosse il solito cibo d’asporto, era un locale piccolo, con al massimo una trentina di posti a sedere, i tavoli e le sedie erano tutte in legno – anche il bancone vicino alla cassa lo era -, i tavoli erano coperti da tovaglie bianche con qualche decorazione in pizzo, e così lo erano anche i tovaglioli e le tende – in quel periodo quasi sempre raccolte per far entrare la luce del sole -, non era niente di così bello o chissà che, ma aveva colpito Karl per tre cose.
La tranquillità, era un ristorante appartato e piccolo, quindi poteva andarci tutte le volte che voleva senza la paura di qualche paparazzo o fan in agguato.
Le pareti… piene di foto in bianco e nero e di cartoline, si era avvicinato per osservarle – una volta – e aveva visto nelle foto una cantante che sorrideva al suo pubblico e a chi le stava facendo lo scatto, mentre le cartoline provenivano da quasi tutto il mondo e alcune sembravano anche molto vecchie.
L’ultima cosa che aveva colpito il biondo Kaiser era il nome.
Il nome del ristorante era Vienna.
Come la capitale austriaca… e servivano piatti bavaresi… non dovevano avere tanto le idee chiare, ma Karl ci aveva mangiato bene e quindi aveva continuato ad andarci, soprattutto quando il suo frigo era desolatamente vuoto, come quel mezzogiorno.

Si sedette al bancone – che fungeva anche da piano bar – vicino alla cassa, al suo solito posto, isolato ma non troppo, e si tolse con un sospiro gli occhiali da sole.
“Birretta?”
Gli chiese, arrivando, la cameriera.
Ecco un’altra cosa che aveva colpito Schneider, la cameriera… o meglio, i capelli della cameriera… erano corti e… rosa, e non un rosa chiaro, no, era un rosa forte, accesso, che la ragazza sfoggiava con naturalezza, accompagnata da un sorriso malizioso che raggiungeva anche gli occhi azzurri, che lo osservavano – in quel momento – con un pizzico di curiosità.
“Meglio un thè freddo, grazie”
“Sicuro? La tua faccia urla che hai bisogno urgente di alcool”
“Sicuro”
Disse, sorridendole leggermente mentre lei gli faceva l’occhiolino.
“E thè freddo sia, allora, torno più tardi per l’ordinazione”
E se ne andò, ancheggiando con sinuosità i fianchi – ci scommetteva, Karl, che lo faceva per attirare la sua attenzione -, in perfetto equilibrio sui suoi tacchi alti.
La degnò di una leggera occhiata, il biondo, poi prese il menù posto sulla tovaglietta del bancone e prese a sfogliarlo, domandandosi quale piatto sarebbe riuscito sia a tirargli su il morale, sia a prepararlo per gli allenamenti che lo aspettavano nel pomeriggio.

“E’ tornato~”
Esclamò la rosa, tornando in cucina con un sorrisone che non finiva più.
“Davvero?!”
Urlò l’aiuto cuoco, distogliendo per un attimo l’attenzione dalle sue padelle.
“Ho mai detto una bugia, Axelino mio dolce?”
“Vuoi la lista intera o quella ridotta, Cordula… o meglio, Cordelia?”
“Chiamami ancora come la tizia dei cartoni e ti ficco il menù in un posto che potrebbe anche piacerti”
Minacciò Cordula, smettendo di restare nella sua posa ‘sognante’ – ovvero schiena inarcata e mano posata teatralmente sulla fronte – per sventolare un menù in direzione del castano con gli occhi verdi.
Axel la guardò male e la rosa ghignò, abbassando la piccola raccolta di fogli.
“Dico davvero, è seduto al bancone come sempre, per ora vuole un thè freddo, anche se la sua faccia urla ‘datemi dell’alcool o a fine giornata non ci arrivo!’”
“Questa settimana è già la terza volta che viene”
Commentò l’aiuto cuoco.
“Sarà rimasto folgorato dalla mia bellezza e continua a venire perché non riesce a confessarsi~”
“Ti piacerebbe, eh?”
“Più a te che a me scommetto, lo vedo come rodi che io posso parlargli e tu no!”
Si vantò la cameriera, ricevendo in risposta un gesto decisamente poco carino da parte del ragazzo.
“Non si offendono in questo modo le signorine!”
“Signorina? Non vedo nessuna signorina!”
Prima che Cordula potesse rispondergli per le rime – e l’avrebbe sicuramente steso con la sua risposta, come sempre succedeva -, una terza voce si mise in mezzo in quel ‘conflitto’.
“La zuppa per il tavolo 3 è pronta!”
Gli occhi azzurri di Cordula e quelli verdi di Axel si addolcirono, posandosi sulla terza persona presente in cucina, che non aveva fatto per nulla caso al loro discorso, non smettendo neanche per un attimo di cucinare, come sempre.
Era inutile, alla loro rossa non importava di avere un calciatore famoso – e non uno qualunque, ma addirittura il Kaiser, stella del Bayern Monaco – che mangiava i suoi piatti.


“Ci vediamo domani!”
“Uhm, a domani!”
Salutò Cordula, sorridendo ad Edmund - il ragazzo che andava ogni tanto ad aiutarla a servire i tavoli – intanto che lasciava il ristorante.
Avevano da poco finito il turno serale, il ristorante era finalmente chiuso e loro potevano godersi il meritato riposo dopo un’intensa giornata di lavoro tra padelle, piatti e tavoli.
“Ottimo lavoro anche oggi”
Commentò Axel, stiracchiandosi un poco la schiena.
“Hai bisogno di un passaggio a casa?”
Chiese, poi, rivolto alla cameriera.
“A cosa devo questa gentilezza improvvisa?”
“Io sono sempre gentile”
“E io sono miliardaria… comunque no, aspetto Saph che finisca”
“Posso aspettare anche lei, non ho fretta”
Mormorò Axel, un leggero rossore iniziò a diffondersi sulle gote coperte da leggere efelidi.
Cordula alzò un sopracciglio, scettica, incrociando le braccia sotto al seno prosperoso – che le piaceva evidenziare mettendo camice e magliette attillate -.
“A malapena senti la sveglia normalmente, figurati domani mattina se aspetti davvero che finisca, non se ne parla, sloggia a casa e riposa, tanto andate insieme al mercato”
“Non puoi darmi ordini, non sei mia madre”
“Tesoro, io sono meglio di tua madre, posso picchiarti senza avere i suoi sensi di colpa”
Ghignò Cordula, alzando leggermente la gamba per mettere in mostra uno dei suoi tacchi.
Da 12 cm.
Axel aveva ancora il segno di quello da 10…
“A domani”
Borbottò in maniera funebre, prendendo la via d’uscita del ristorante.
“A domani~♥”
Cinguettò la rosa, sventolando la mano.
“Bene, adesso occupiamoci della mia piccola rossa”
Mormorò - poi – una volta rimasta sola nella sala, dirigendosi verso il bancone/piano bar per prendere due birre, recuperate queste, andò verso il piccolo studio privato vicino alla cucina, trovandoci – come si aspettava – Saphira intenta a fare i conti della giornata.
Era lei, Saphira Heinrich - chiamata Saph da tutti -, la proprietaria del piccolo Vienna.
 Ed era anche la capo cuoca.
E la contabile.
L’idraulica, a volte, prima di far intervenire Axel.
E la donna delle pulizie.
Detta in parole povere, la ragazza dai capelli rossi si occupava praticamente di tutto lì dentro e Cordula aveva paura che, prima o poi, le sarebbe venuto un crollo nervoso se avesse continuato in quel modo, per questo cercava di alleggerirle il carico come meglio poteva, in quel caso con un po’ di compagnia e una bella birra da bere.
“Allora? Stiamo per fallire?”
Le domandò, sogghignando, mentre si sedeva con poca grazia sulla poltrona vicino alla sua.
Un paio di occhi azzurri simili ai suoi la guardarono allegri.
“Già, temo proprio che non potrai più permetterti i tuoi amati tacchi”
“Ouch! Saph, questo è un colpo al cuore!”
Risero insieme, e la rosa approfittò dello stacco per passarle la bottiglia.
“Sta andando bene, domani vado a pagare le ultime bollette, se continua così potrei riuscire a dare un piccolo aumento a te e Axel”
Rivelò il vero andamento, Saphira, dopo aver preso un sorso dell’alcolico ed essersi appoggiata allo schienale della poltrona.
“Yeah, più soldi per la mia pensione!”
“Ah, non per il tuo shopping?”
“Non giudicare, almeno morirò contenta e ben vestita”
Saph rise ancora, poggiando la bottiglia su un angolo libero del tavolo perennemente occupato dai fogli, e prendendo in mano qualcuno di questi.
“Sono le bollette?”
Domandò Cordula.
“Già, le ultime, pagate queste possiamo respirare per un po’”
Mormorò la rossa, sistemando i fogli con ordine.
“Posso andare io a pagarle, domani, ho anch’io la firma sul conto del ristorante in banca”
“Ma-“
“Saph”
La richiamò la rosa con tono serio.
“Allenta un po’ la presa, ci penso io alle bollette”
“… Va bene”
“Brava bimba ♥”

“Vedi di non fare troppo tardi”
Le disse Cordula, ancora una volta, prima di lasciare anche lei il ristorante.
Saphira la salutò sorridendo, ma quando la porta si chiuse, il sorriso si perse in un sospiro.
Forse aveva ragione la rosa, pensò scostandosi i lunghi capelli rossi dalle spalle e per massaggiarsele, forse doveva davvero allentare un po’ la presa, da quanto non andava per negozi insieme all’amica? Da quanto non faceva una delle sue famose maratone di film a casa? Da quanto non prendeva appuntamento dal parrucchiere? Da un bel po’, a giudicare dalla lunghezza che avevano raggiunto i suoi capelli – ormai sfioravano il fondoschiena – e dalle doppie punte, ma non poteva farci nulla, gestire un ristorante, pur se piccolo, non era una cosa facile e bisognava starci dietro in modo costante, bastava un secondo sbagliato per fallire, e lei non avrebbe mai permesso che succedesse una cosa del genere.
“Anche oggi è andata bene, nonno”
Mormorò, sorridendo piano ad una delle foto in bianco e nero, che mostrava un uomo davanti alle porte del ristorante.
Si perse ad osservarla con dolcezza per qualche istante, poi chiuse gli occhi azzurri e si girò, tornando nella sua cucina.
Tempo due minuti e della musica iniziò a risuonare nella stanza piena di fornelli e padelle.

Chiuso.
Il ristorante era desolatamente chiuso, così come il suo stomaco e il suo frigo erano vuoti.
“Dio, che giornata…”
Bisbigliò Karl, imprecando mentalmente.
Gli allenamenti del pomeriggio erano andati leggermente meglio – se non si contava quel pallone tirato per sbaglio in testa al povero Levin -, ma si erano prolungati molto più del previsto, dato che si era messo in testa di rimediare a quello che non aveva combinato la mattina, e così era rimasto anche oltre l’orario, finendo per essere l’ultimo a lasciare sia il campo che l’intera struttura.
Non si era reso subito conto di che ore fossero, quando aveva finito, solo una volta in macchina aveva gettato uno sguardo sul cruscotto e, scoprendo l’ora tarda, aveva premuto leggermente sull’acceleratore per tornare a casa, aveva parcheggiato anche in malo modo pur di fare in fretta… ma niente, era troppo tardi.
Il Vienna era chiuso.
E il suo stomaco vuoto.
Si stava per rassegnare a tornare a casa, per cercare di dimenticare quella giornata del piffero – e cercando, nel frattempo, d’ignorare la sua pancia che brontolava per la fame -, quando notò un piccolo bagliore provenire dall’interno del locale.
Avvicinò il viso alla piccola finestrella della porta in legno, anche se era coperta da una delle tende in pizzo, riuscì comunque a vedere che c’erano delle luci accese, segno che qualcuno – all’interno – dovesse esserci ancora, un qualcuno che, magari, avrebbe avuto pietà di un povero (?) cliente affamato… nel caso poteva sempre far leva sul suo fascino da calciatore famoso, non che gli piacesse farlo, ma era una questione di priorità, ormai.
Bussò, ma non ricevette risposta.
Provò una seconda volta, ma ancora niente.
Prese in mano la maniglia per appoggiarsi e bussare una terza volta in maniera più forte, ma la porta si aprì prima che lui potesse farlo.
Sbatté gli occhi sorpreso, chi era l’ingenuo che non chiudeva a chiave? Si domandò, per poi ritrovarsi a ringraziarlo, almeno così poteva entrare senza aspettare che qualcuno lo sentisse.
“C’è nessuno?”
Domandò a voce alta, dopo essersi chiuso la porta alle spalle.
Non ci teneva a fare la figura del ladro – anche se, pensandoci bene, la stava facendo eccome… ma lui aveva fame! -, quindi era meglio manifestare subito la sua presenza dentro il ristorante.
“C’è qualcuno?”
Chiese ancora.
Anche in quel caso non ricevette una risposta, ma sentì una leggera musica fuoriuscire dalla porta che portava alla cucina – era sicuro che fosse quella, ci vedeva sempre sparire dietro la cameriera dai capelli rosa -, così decise di andare a vedere lì.
Si trovò davanti agli occhi azzurri l’ennesima cosa bizzarra di quel ristorante.
Una ragazza dai lunghi capelli rossi legati in una treccia laterale, vestita con un maglioncino nero extralarge che le lasciava scoperta una spalla e un paio di jeans, stava sfornando una torta – dal profumo che emanava, doveva essere al cioccolato -.
Una torta.
A quell’ora.
… Gli sarebbe andata bene pure quella, vista la fame che aveva.
“Ah! Stavolta sembra avere proprio la giusta consistenza, forse è la volta buo-“
Esclamò felice la ragazza, bloccandosi a fine frase perché si girò per andare a posare la teglia… trovandosi davanti Karl… Karl che indossava una felpa bordeaux con il cappuccio tirato in testa, e gli occhiali da sole.
Gli occhiali da sole.
A quell’ora.
“UN LADRO!”
“Cos-?!”
Saphira lasciò cadere la teglia con la torta per terra, per correre a recuperare uno dei suoi fidati coltelli e puntarlo contro l’attaccante del Bayern.
“Un ladro! Cosa vuoi?! Non ci sono soldi qui, li ho già fatti depositare tutti in banca! Vattene via!”
“Asp- calmati! Non sono un ladro!”
“Mi prendi per scema?! Vestito in quel modo che cosa puoi essere?! Un fattorino?!”
In effetti… Karl, allora, decise di abbassare il cappuccio e togliersi gli occhiali, rivelando così il suo volto alla rossa.
“Adesso capisci perché ero imbacuccato in quel modo?!”
A giudicare dall’espressione perplessa che la ragazza assunse in viso… no, non capiva.
“Tu… non mi conosci?”
Domandò, sgranando gli occhi sorpreso, il Kaiser.
Com’era possibile? Era famoso in tutta la Germania, se non in tutto il mondo! Il suo volto era apparso più di una volta in televisione, per non parlare poi di tutti i manifesti pubblicitari, delle riviste sportive e altro!
“Sei seria?!”
“Chiedi a me se sono seria quando tu vuoi derubare il mio ristorante?!”
“Non voglio derubare il tuo ristorante, non sono un ladro! Come devo fartelo capire?!”
“Ah! Questa è una frase tipica dei ladri!”
“E tu come fai a sapere le frasi tipiche dei ladri?!”
Prima che Saph potesse rispondere con una frase campata per aria – tutto per prendere tempo per potersi avvicinare al telefono senza essere vista -, un rumore abbastanza forte da sovrastare la musica, che era continuata ad andare avanti, interruppe le loro urla.
Gli occhi azzurri della rossa – sgranandosi – passarono dal viso allo stomaco del biondo, il quale si ritrovò, forse per la prima volta in tutta la sua vita, ad arrossire furiosamente.
“Senti ma… non è che hai fame?”
Karl si calò  il cappuccio sulla testa, intanto che il suo stomaco rispondeva nuovamente per lui.

“Scusa non è molto, ma è troppo tardi per poter far qualcosa di più sostanzioso”
Spiegò Saph, poggiando il piatto davanti al ragazzo.
Era un semplice panino con della carne di manzo – riscaldata nel forno ancora caldo – e del cavolo, ma Karl lo apprezzò lo stesso, divorandolo in pochi, grossi morsi.
“Sì, avevi decisamente fame”
Ridacchiò la ragazza, prendendo nuovamente il suo coltello – lo aveva posato dopo che il biondo era finalmente riuscito a spiegarle com’era entrato dentro il locale, intanto che l’aiutava a ripulire dal disastro della torta – e tagliando a metà il suo di panino, porgendone poi una all’altro.
“Tranquilla, sono a posto”
Il suo stomaco non fu concorde e decise di dire la sua, facendolo vergognare a morte di nuovo.
“Scusa…”
Bisbigliò Schneider, prendendo la metà del panino.
“Non ti preoccupare, stuzzico spesso durante i turni per vedere se manca qualcosa ai piatti”
Spiegò Saphira, sorridendo piano.
Era una situazione strana e imbarazzante, pensarono entrambi, lei stupendosi di come stesse tenendo sotto controllo la voglia di scappare via gattonando per terra com’era solita fare – forse era merito della presenza dei suoi coltelli e dei tacchi di ricambio di Cordula… maneggiati bene potevano diventare delle armi anche quest’ultimi -, lui chiedendosi come fosse seriamente possibile non esser stato riconosciuto.
“Davvero non sai chi sono?”
Le chiese nuovamente, mentre lei prendeva un morso dal panino.
“Ancora con questa storia? Non ti ho mai visto in vita mia!”
Gli disse di nuovo la ragazza una volta che ebbe finito di masticare, alzando un sopracciglio perplessa.
“Non segui il calcio, eh…”
“Come fai a saperlo?... Aspetta, non dirmi che sei uno stalker!”
“No!... No, non sono uno stalker, ho solo tirato ad indovinare, te lo giuro”
Si affrettò a rassicurarla, Schneider, prima che scattasse di nuovo verso il coltello dannatamente affilato.
“Non sono uno stalker, sono… Karl, solo Karl”
“Non hai un cognome?”
Chiese la rossa, inclinando un poco la testa, confusa.
Il Kaiser le sorrise solamente, e forse questo avrebbe dovuto allarmarla… anzi, senza forse, però quegli occhi azzurri non le sembravano cattivi, non riusciva a leggerci dentro delle cattive intenzioni… forse poteva fidarsi… forse… nel caso, aveva coltelli e tacchi a portata di mano.
“Io sono Saphira Heinrich, ma tutti mi chiamano Saph”
Si presentò a sua volta, facendogli un piccolo sorriso, porgendogli la mano dopo essersela pulita con il tovagliolo.
“Piacere di conoscerti, allora, Saph”
Disse Karl, andando a stringergliela con la sua dopo aver fatto lo stesso.
Saphira aveva una mano piccola ma piena di calli, segno che maneggiava pentole e padelle da tanto tempo ormai, mentre Karl aveva una mano grande e liscia, ma soprattutto calda.
Si sorrisero un po’ più apertamente.

“Ti dispiace se vengo ancora oltre orario?”
Le chiese, intanto che la accompagnava alla sua macchina – meglio non farla girare da sola a quell’ora di notte, anche se solo per pochi metri -.
“Con il lavoro che faccio… sai, potrebbe capitare che faccio tardi”
“Basta che la prossima volta non mi fai perdere dieci anni di vita e sei il benvenuto”
Sorrise ironica Saph, reprimendo la voglia di chiedergli perché si fosse imbacuccato nuovamente come prima – chi è che indossava degli occhiali da sole di notte?! -.
“Passa dal retro, la sera non chiudo quasi mai la porta della cucina”
“Ah, allora è un vizio il tuo”
“Una svista! Stasera è stata solo una svista!”
Precisò la rossa, mentre il viso prendeva la colorazione dei suoi capelli.
Karl rise e le aprì galantemente la portiera della macchina, facendole aumentare il rossore.
“Alla prossima, Saph”
“Alla prossima… Karl”
Il Kaiser restò a guardare la macchina che partiva e si allontanava, chiedendosi per l’ennesima volta come fosse possibile che Saphira non lo conoscesse di fama o per sentito dire… a pensarci bene, però, la cosa non gli dispiaceva poi così tanto… prese la strada di casa con un grosso sorriso in volto.
E, soprattutto, con lo stomaco felicemente pieno.

 
 
   
 
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