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Autore: Carme93    11/09/2020    3 recensioni
Rolf Scamander viene incaricato dalla madre di andare a recuperare due ippogrifi abbandonati nella foresta amazzonica e il giovane non esita a coinvolgere anche Luna.
Finalmente i due ragazzi riusciranno ad amarsi superando ogni imbarazzo e senza indugiare oltre.
[Questa storia si è classificata undicesima a pari merito al contest "Tre incantesimi " indetto da Juriaka sul forum di EFP]
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Luna Lovegood, Rolf Scamandro | Coppie: Luna/Rolf
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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[Questa storia si è classificata undicesima a parimerito al contest "Tre incantesimi" indetto da Juriaka sul forum di EFP]


 




Questa favola bella
 





 
 
 
 
“Odi? La pioggia cade
su la solitaria
verdura
con un crepitio che dura
e varia nell’aria
secondo le fronde
più rade, men rade”.
("La pioggia nel pineto" di Gabriele D'Annunzio)
 
 
 
 





Rolf mugugnò mantenendo appena l’equilibrio e invidiò Luna per la sua eleganza e la sua naturalezza; per darsi un contegno recuperò la vecchia scarpa, che avevano usato come passaporta, e la conservò nello zaino.
Luna ruotò su sé stessa sorridendo. «Non è magnifico?».
La sua voce risuonò nella foresta amazzonica. Rolf sorrise a sua volta, non riusciva a farne a meno in sua presenza: lei oscurava persino la bellezza di quel luogo ameno e incontaminato.
Si trovavano in una piccola radura, nella quale il solo segno umano era una lastra di pietra parzialmente celata dal muschio, probabilmente punto d’arrivo delle passaporte.
Rolf ispirò l’aria umida, il caldo era insopportabile: avevano lasciato la fine di un rigido inverno in Gran Bretagna e avevano trovato la fine dell’estate dall’altra parte del mondo. Lanciò un’occhiata a Luna, lieta come una bambina, e sorrise mentre alcune gocce d’acqua cominciavano a ticchettare sulle fronde degli alberi.
 
 
 


 
[…] piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude
novella […]
 
 
 




Luna non sembrò infastidita e Rolf le si avvicinò sfiorandole le mani con le proprie. Avrebbe voluto abbracciarla e danzare con lei, ma fortunatamente si trattenne: in quel momento apparve una piccola delegazione.
«Benvenuti» li accolse sorridente un uomo con capelli e barba grigiastri. «Io sono Valdemar Fernandes, preside della Scuola di Magia e Stregoneria di Castelobruxo».
Era accompagnato da alcuni ragazzi, apparentemente tra i sedici e i diciotto anni, che indossavano una veste verde brillante, probabilmente la divisa della Scuola.
Il preside prese tra le sue le mani di Luna, poi quelle di Rolf. «Sono molto contento che abbiate accettato il nostro invito».
«Questo posto è meraviglioso» dichiarò Luna con gli occhi scintillanti.
«Il piacere è nostro» replicò, invece, Rolf sorridendo più per il comportamento di Luna che per cortesia.
«Vi prego, seguitemi» li invitò Fernandes.
L’uomo li guidò fuori dalla radura, durante il cammino Rolf sfiorò più volte la mano della ragazza e si scambiarono sguardi fugaci. Erano trascorsi diversi mesi dal loro primo bacio, ma nessuno dei due aveva tentato di definire il loro rapporto: Rolf aveva paura di sbagliare, mentre Luna non sembrava sentirne la necessità. A volte, però, era così difficile per il ragazzo comprendere che cosa pensasse lei. Continuavano a baciarsi quando erano da soli, le loro labbra sembravano cercarsi indipendentemente dalla loro volontà. Dopo una giornata di duro lavoro, Rolf bramava l’abbraccio di Luna, come se avesse un effetto taumaturgico su di lui.
Rolf non aveva ben idea di che cosa aspettarsi da quel viaggio, ma, quando sua madre gli aveva detto dell’invito, aveva immediatamente coinvolto Luna.
Fernandes li condusse fino a un ampio ponte dall’aspetto robusto ed elegante: era stato costruito con tronchi e aveva una copertura che li protesse dalla pioggia, che sembrava essere aumentata d’intensità. Si fermarono per qualche minuto per osservare il fiume che scorreva quietamente.
«Questo è il nostro porto» spiegò il preside indicando uno stretto pontile sulla sponda opposta del fiume.
Il paesaggio era incantevole: la foresta pluviale dominava l’ambiente e il fiume sembrava quasi dividerla a metà.
«Spesso si trova attraccato il battello a vapore con cui i ragazzi arrivano a scuola, peccato che oggi non possiate vederlo. Questo fiume è un affluente navigabile del Rio delle Amazzoni ed è un importante snodo di comunicazione per noi».
Dall’altra parte del ponte la foresta sembrava ancora incontaminata, come se non vi fosse mai stata presenza umana, eppure era evidente che il luogo fosse frequentato dai maghi. Rolf espresse a voce alta la sua meraviglia e il preside sorrise.
«Per noi è fondamentale il rispetto della Natura e cerchiamo di vivere in perfetta armonia con essa».
Ripresero il cammino, approfittando di un momento in cui smise di piovere, e procedettero per almeno un quarto d’ora scambiando qualche battuta sul viaggio, sul luogo, sulle creature e sulle piante tipiche.
«Mi raccomando, state attenti ai caipora» disse Fernandes a un certo punto.
«Oh, sì non vedo l’ora di vederne uno» disse Luna.
Rolf si trattenne a stento dallo scoppiare a ridere: la sincerità e la spontaneità di Luna sorprendevano sempre le persone che non la conoscevano.
I caipora, piccoli e maliziosi spiriti, proteggevano i confini di Castelobruxo ed erano noti per essere particolarmente fastidiosi: secondo alcuni predecessori di Fernandes erano persino peggio di Pix il Poltergeist, il cui passatempo preferito era creare il caos a Hogwarts.
«Lo vedremo» sorrise a sua volta Fernandes, probabilmente iniziando cogliere il vero spirito della sua ospite.
Rolf si era informato e sapeva che Castelobruxo si presentava come un edificio in rovina agli occhi dei Babbani, proprio come Hogwarts, tanto che le due scuole si contendevano il primato di questa scelta.
Riprese a piovigginare, questa volta più forte, così eressero degli scudi magici per non bagnarsi, ma l’effetto era impressionante: poiché le gocce colpiva le foglie, c’era un rombo continuo.
«Siamo arrivati» annunciò Fernandes, proprio mentre il sentiero si apriva in una radura, di gran lunga più ampia di quella della passaporta, al cui centro si ergeva una costruzione enorme di cui Rolf faticò a scorgerne la cima.
«Magnifica, vero?» chiese il preside orgoglioso di fronte alle espressioni al tempo stesso sconvolte e meravigliate degli ospiti.
Era una piramide mesoamericana in pietra chiara, la base era venata di verde a causa del muschio. Solitamente questo tipo di costruzioni erano a gradoni ˗ questa ne aveva sette ˗, con templi costruiti sulla sommità ˗ in questo caso una struttura a due piani a base rettangolare, ma la seconda dal perimetro più ristretto e alta cinque piani e Rolf intravedeva anche una torre a suggello. In realtà era anche molto simile a una ziqqurat mesopotamica.
Tutto intorno vi erano una serie di edifici minori e un campo da Quidditch; in lontananza si scorgevano delle strutture in vetro, probabilmente le serre.
«Temo che dovremmo rimandare la visita, la pioggia è troppo forte» disse Fernandes seguendo lo sguardo di Rolf.
«Non si preoccupi» disse il giovane, ora preso dalla contemplazione della ripida scalinata. Il preside e i suoi studenti, però, non sembravano nutrire le stesse preoccupazioni, tanto che cominciarono a salirla. «Ma non avete un modo più veloce per raggiungere l’edificio centrale?».
«Oh, no. Perché voi sì a Hogwarts? Mi pare di ricordare che il castello ha sette piani o sbaglio? È la stessa cosa».
Rolf non era molto convinto: le scale di Hogwarts non sembravano così ripide e soprattutto scivolose per la pioggia.
L’ascesa occupò più di dieci minuti e Rolf non invidiò gli studenti della Scuola, che dovevano sottoporsi quotidianamente a quella tortura.
«Guardate il panorama» disse Fernandes.
Sullo spiazzale non c’era nessuno, evidentemente gli studenti si erano rintanati all’interno per evitare di bagnarsi. Luna sembrava avere leggermente il fiatone. Rolf si voltò e scrutò il paesaggio davanti a sé a occhi sgranati: erano davvero in alto e dominavano l’anfratto all’interno della foresta.
Una simile posizione può far sentire potenti, ma, allo stesso, tempo minuscoli se rispetto alla grandezza della natura.
Ciò che fece perdere un battito al ragazzo, però, fu la mano piccola e morbida che si strinse alla sua. Deglutì e perse il controllo dell’incantesimo scudo, bagnandosi. Si voltò lentamente verso Luna, lei gli sorrise prima di tornare a osservare il meraviglioso paesaggio. Rolf ricambiò la stretta temendo che gli sfuggisse.
«Ti stai bagnando» disse con voce vaga la ragazza, proteggendolo con il proprio incantesimo.
Rolf non rispose: poteva essere così felice di essere in capo al mondo, sulla cima di una piramide antica, ma a fianco a lei?
«Accomodatevi».
Distolsero gli occhi da quel meraviglioso paesaggio ed entrarono: l’atrio era grande e decorato da stucchi antichi e vivaci e un’altra scalinata di pietra si ergeva di fronte a loro.
«Venite» disse il preside indicando il corridoio a destra. Li condusse in un ufficio sobrio, ma ampio e arieggiato: vi erano delle piante appese al soffitto, che emanavano un odore piacevole. «Prego, accomodatevi».
Rolf e Luna presero il thè in compagnia del preside e della vicepreside, che si presentò poco dopo. In seguito ebbero la possibilità di visitare l’intero edificio, prima di essere accompagnati nell’Aula Magna, dove gli studenti più grandi si erano radunati.
Luna non ebbe difficoltà a parlare con i ragazzi e coinvolgerli parlando di creature strane e alcune inesistenti. Rolf la lasciò fare e si rilassò. Erano stati chiamati lì perché, a quanto sembrava, dei bracconieri inglesi avevano liberato degli ippogrifi nella foresta e il loro compito era quello di riportarli a casa. Il preside ne aveva approfittato chiedendo loro di parlare della propria esperienza con gli ippogrifi ai ragazzi degli ultimi anni, che erano particolarmente interessati a Cura delle Creature Magiche e che, molto probabilmente, avrebbero in futuro approfondito gli studi di Magizoologia.
Dopo un rapido spuntino, si misero nuovamente in viaggio per raggiungere il punto della foresta in cui si era rifugiati i due ippogrifi: li avrebbero osservati per un po’ per comprendere quanto fossero aggressivi e se fossero feriti; la mattina dopo li avrebbero avvicinati e, almeno se lo auspicavano, li avrebbero convinti a seguirli. Aveva smesso di piovere e, poiché avrebbero dovuto dormire all’aperto, Rolf sperò che non avrebbe ripreso, ma sembrava che fosse l’unico a preoccuparsene.
Il gruppo, oltre loro e il preside, era composto da una decina di studenti.
S’inoltrarono nella foresta, secondo Fernandes gli ippogrifi non erano troppo distanti dalla Scuola e li avrebbero raggiunti nel tardo pomeriggio, così da poterli osservare prima del tramonto. Effettivamente non ebbero problemi e nessuno sembrava disturbato dalla lieve pioggerellina che, nonostante le preghiere di Rolf, ogni tanto cadeva tra le fronde degli alberi.
Trovarono le due creature senza difficoltà – evidentemente non avevano avuto necessità di spostarsi ˗, per fortuna non sembravano ferite in modo preoccupante, in compenso erano alquanto agitate. Uno dei due ippogrifi era un esemplare imponente, l’altro era molto più scarnito, probabilmente era stato tenuto prigioniero più a lungo. Li osservarono per un po’ a distanza e Rolf si chiese perché sua madre non fosse andata di persona o il Ministero non avesse mandato una squadra della Divisione Bestie, sarebbero stati tutti più adatti di lui e Luna, specialmente di lui che era partito più con l’idea di stare un po’ da solo con la ragazza che per svolgere il compito assegnatogli. Sospirò e condusse la sua osservazione proprio come gli era stato insegnato dalla madre e all’accademia di Magizoologia.
Era stata una pessima idea approfittare di quell’occasione per provare a far chiarezza sui suoi sentimenti per Luna e sul loro rapporto. Come aveva potuto pensare che avrebbero avuto del tempo per sé? No, doveva risolvere quella questione al più presto e tornare a casa, lì l’avrebbe portata da qualche parte dove avrebbero potuto stare veramente da soli.
Ormai era quasi buio e riprese a piovere con rinnovata intensità, così si spostarono in una radura poco distante per montare le tende.
 
 
 





 
“E immersi
noi siamo nello spirto
silvestre,
d’arborea vita viventi;
e il tuo volto ebro
è molle di pioggia
come una foglia,
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre […]”
 
 
 






Luna sembrò divertirsi un mondo e Rolf fu costretto a riconcorrerla tra le piante, fortunatamente lontani dagli occhi indiscreti dei compagni di viaggio che si erano già rifugiati nelle rispettive tende.
A Rolf la pioggia non piaceva, ma s’inebriò al suono della risata di lei, che quasi si perdeva nel rumore assordante della pioggia, che cadeva sugli alberi. Rischiò di scivolare un paio di volte, ma alla fine la raggiunse e la strinse tra le sue braccia.
«Presa» le sussurrò all’orecchio. Lei sembrò ridere più forte.
«Siamo tutti bagnati».
Rolf sbuffò: «Lo vedo, chissà perché mi sono messo a correre nella foresta!».
«Sei carino. Assomigli a uno snaso bagnato, a cui hanno appena sottratto il suo bottino».
«Uno snaso?» ripeté fingendosi offeso.
«Già» replicò lei accarezzandogli la guancia, percependo la barba sottile e umida sotto le dita.
Le sue guance solitamente pallide erano rosse probabilmente per la corsa e risaltavano sul pallore del resto del viso, ma i suoi occhi brillavano come sempre. Rolf si chinò e le sfiorò le labbra con un lieve bacio. Luna sorrise e poggiò la testa sul suo petto. Rimasero stretti in quell’abbraccio colmo di parole non dette, divenendo un tutt’uno con la foresta.
«È meglio tornare alla tenda» disse a malincuore il ragazzo, quando la pioggerellina si tramutò in un vero e proprio temporale. Luna assentì e lo seguì, tenendo stretta la propria mano nella sua.
Affrettando il passo trovarono ben presto rifugio da quello scatenarsi degli elementi e dire che da inglesi avrebbero dovuto esserci abituati!
«Dovremmo cambiarci».
«Senti come cade l’acqua? Sembra quasi un’orchestra» sussurrò Luna o forse parlò con tono normale, ma sembrava di trovarsi in una discoteca babbana con la musica ad alto volume.
«Già» disse Rolf. Luna gli si avvicinò e lo aiutò a togliersi la veste umida. «Ce la faccio» borbottò imbarazzato. Alle volte gli sembrava di non comprendere le sue intenzioni, altre che tutto fosse perfetto tra loro. La tenda era fin troppo grande per due persone, quindi si cambiarono senza difficoltà. Dopo si ritrovarono in una specie di letto basso.
Luna lo abbracciò con la mente persa, forse intenta a seguire quell’orchestra così particolare, e ogni tanto muoveva il capo quasi al ritmo di quella melodia.
Rolf si chinò e la baciò ancora, attirando la sua attenzione.
«Fa un po’ freddo» sussurrò Luna e il ragazzo la strinse a sé.
Si baciarono con dolcezza ma più a lungo del solito, forse era la prima volta che rimanevano così tanto da soli. Ben presto la pioggia non fu altro che un sottofondo piacevole. Quella notte si amarono per la prima volta e, ancora una volta, Rolf si rese conto che tra loro non servivano parole, a entrambi bastava amarsi.
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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