Serie TV > Poldark
Segui la storia  |       
Autore: lady lina 77    11/09/2020    3 recensioni
La storia dei Romelza riscritta in modo del tutto nuovo, partendo da zero...
Lui è un giovane disilluso dall'amore che dopo aver trascorso tre anni a combattere in Virginia, torna in Cornovaglia e scopre che tutto il mondo che aveva lasciato è in distruzione, suo padre è morto lasciandolo pieno di debiti e il suo grande amore, Elizabeth, è in procinto di sposare suo cugino Francis.
Lei è una giovane ragazza povera di Illugan che viene presa per caso alle dipendenze dei Boscawen e finisce per sposare il nipote di Lord Falmouth, Hugh Armitage, un giovane dalla salute malferma che ha perso la testa per lei...
Ross e Demelza, anime sconosciute, lontane, le cui strade si incrocieranno in modo del tutto imprevisto scardinando ogni loro convinzione sull'amore, sulla vita e sul futuro...
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Demelza Carne, Elizabeth Chynoweth, Francis Poldark, Ross Poldark
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Era strano come a volte la pioggia fosse la compagna prediletta dei momenti peggiori della vita di un uomo. Raccontata nei romanzi come portatrice di sventura, la pioggia difficilmente era legata a momenti felici dell'esistenza, nell'immaginario comune...

Ed era ancor più strano che fosse a questo che Ross pensasse, mentre scendeva disperatamente in quei cunicoli bui e pieni di polvere, alla ricerca degli uomini che vi erano rimasti intrappolati. Non era uomo da pensare alla filosofia, ma si trovò a pensare a quanto fosse strana la mente umana nei suoi percorsi nei momenti più disperati. Pensò alla pioggia, a suo padre che aveva aperto la Grace e le aveva dato il nome di sua madre, alle tante disgrazie della sua vita, alla sua infanzia per certi versi solitaria, alla speranza di rinascere assieme ad Elizabeth, alla disillusione, a Francis e alla sua morte, a come volesse lasciar perdere tutto e a come Falmouth gli avesse fatto cambiare idea. Ne era valsa la pensa? Rischiare, morire o trionfare valevano davvero la vita dei suoi minatori e la sua? Eppure quella terra e le sue miniere spesso sembravano emanare un'energia che attirava chi vi era nato ed era difficile rimanere lucidi e dire di no. E allora il pericolo diventava parte del gioco, un azzardo che si poteva tentare e ci si ributtava sotto, nel buio e nell'oscurità, consapevoli che era più facile fallire che trionfare e che qualcuno avrebbe potuto non rivedere più la luce del sole. Ma si scendeva lo stesso, ancora e ancora... Anche dopo aver detto di no si continuava a farlo ed era questa la maledizione degli abitanti di quelle terre... Aveva avuto senso accettare di riaprire, si chiese ancora Ross...? Non lo sapeva e sperava di non doverlo scoprire nuovamente a un prezzo troppo alto. Aveva paura ma si rendeva conto che non era il momento... Ora doveva scendere, scavare a mani nude, trovare i suoi uomini e riportarli su, dalle loro famiglie.

Zachy e Ned lo raggiunsero, sporchi di fango e acqua come lui, con la paura negli occhi e la determinazione nel cuore di salvare i tre dispersi. "Capitano".

Ross annuì, era tempo di agire senza rimuginare. Affrettarono il passo con il rischio di cadere, scesero scalette infide e scivolose, si addentrarono nell'oscurità più nera in un'aria sempre più irrespirabile e sfidarono la sorte, la miniera e quella roccia che poteva franare da un momento all'altro sulle loro teste.

Arrivarono fin dove l'acqua gelida arrivava alla loro vita o anche al collo, nuotarono sperando di battere il gelo legati l'uno all'altro da delle corde e infine, dopo vari calcinacci franati sulle loro teste, attenti a non far rumore per non creare nuovi crolli, li trovarono. Feriti, coperti di macerie e rocce ma vivi. I loro lamenti dolorosi erano il suono migliore che Ross avesse mai sentito.

Con la forza della disperazione li estrassero dai calcinacci, se li caricarono sulle spalle e iniziarono la loro salita infernale. Un nuovo crollo li colse alle spalle, spingendoli ad allungare il passo, facendo sentire su di loro il proprio alito di morte, nuove rocce franarono sulle loro teste e risalire la scala viscida con quegli uomini sulle spalle fu disumano.

Ma finalmente furono fuori, coperti di macerie e sangue. Vivi...

Appena Ross sentì la pioggia sferzante che gli bagnava il viso, si sentì quasi rinato nonostante i grandi sensi di colpa che provava per aver messo i suoi uomini in quella situazione di pericolo. Era colpa sua e non avrebbe cercato attenuanti a questo. Cosa dovevano aver provato quei giovani uomini mentre si trovavano la sotto, coperti di rocce? Quanta paura avevano sentito? Era la stessa paura provata da Francis prima di morire? Qualcuno era morto, qualcuno ci era andato vicino per colpa sua. E non poteva trovare scuse e il fatto che ce l'avesse messa tutta per rendere la Grace qualcosa di promettente, non alleggeriva le sue responsabilità. Aveva la miniera nel sangue, tutti quegli uomini erano colpiti dalla medesima maledizione ma il proprietario della Grace era lui e a lui solo spettava il compito di mandare a lavorare i suoi minatori in un posto sicuro. Cosa che, per mancanza di denaro da investire in travi che sorreggessero il soffitto dei cunicoli più traballanti, non era stata fatta.

Dwight Enys, un giovane medico che lo aiutava a curare quei poveri disperati senza chiedere alcunché, corse accanto a lui e ai feriti. Era stato Henshawe a chiamarlo correndo a casa sua mentre loro si trovavano di sotto e il giovane non aveva esitato a correre in soccorso di Ross, che aveva conosciuto anni prima durante la guerra in America e a cui lo legavano un profondo rispetto e una sincera amicizia.

Sam Clittford e Joe Jughes si ripresero quasi subito, terminando la loro brutta avventura con dei colpi di tosse secca e qualche ammaccatura qua e la. Adrian Keller invece aveva la gamba rotta e i polmoni pieni d'acqua e Dwight dovette dannarsi per salvarlo.

Ross, inginocchiato accanto a lui sotto la pioggia battente, con gli altri uomini attorno, osservò il volto bianco di quel giovane ragazzo che aveva solo diciott'anni e lavorava per mantenere la sua famiglia e sentì la morte su di lui, intenta a strapparlo da un'esistenza che forse poteva essere felice.

Dwight gli praticò il massaggio cardiaco e in quel momento arrivò anche Demelza, che aveva messo al riparo i bambini in ufficio, a dargli manforte.

Incurante della pioggia che le aveva completamente infradiciato i capelli e i vestiti, la ragazza si inginocchiò accanto al medico e senza che nessuno le dicesse nulla, prese il polso di Adrian fra le mani, alla ricerca di un battito.

"Respira?" - le chiese Dwight, che nemmeno la conosceva ma che a istinto sentiva di potersi fidare.

Demelza scosse la testa. Non sapeva molto di medicina ma da piccola era lei che si occupava dei malanni dei suoi fratelli e sapeva che il cuore poteva far sentire il suo battito anche nel polso. "No".

Ross la osservò, ammirato. Sembrava non sentire il freddo, l'umidità e la pioggia su di se... Ed era una lady abituata ad ogni comodità ormai da qualche anno eppure pareva aver mantenuto in se il fiero temperamento di monella nata all'ombra di una miniera. La guardò con insistenza e si sentì improvvisamente meno sperso con lei accanto... E silenziosamente ringraziò Dio, a cui non si rivolgeva quasi mai, per i suoi amici, per Dwight e per aver incontrato sulla sua strada Lady Boscawen.

Dwight riprese il massaggio cardiaco con vigore, alternandolo alla respirazione bocca a bocca. Aveva in se la passione per la medicina e sentiva fosse una sua missione aiutare con tutte le sue forze chiunque ne avesse bisogno. Non era interessato al denaro e alla ricchezza, non sarebbe mai diventato ricco, ma di certo sarebbe stato un medico molto amato da chiunque avesse incrociato la sua strada.

Improvvisamente Adrian emise un singhiozzo strozzato e poi prese a tossire acqua mista a sangue. Dwight tirò un sospiro di sollievo, Ross si sentì rinascere e baciato dalla fortuna nonostante tutto, Zachy aiutò il ragazzo a voltarsi di lato affinché potesse espellere tutta l'acqua che aveva nei polmoni e Demelza, incurante del freddo e della pioggia, si tolse il cappotto e lo mise addosso al ragazzo.

Adrian, ancora inebetito e confuso, ci si strinse dentro, alla ricerca di calore. Il cappotto era bagnato all'esterno ma era di ottima fattura e all'interno era caldo e morbido. Una dolce culla per le ossa congelate del ragazzo. "Che è successo?".

Henshawe sorrise mentre i bambini si affacciarono alla finestra dello studio incuriositi. "Succede che hai portato a casa la pellaccia, ragazzo".

Ross si inginocchiò, meno propenso a scherzare rispetto a Henshawe. "C'è stato un incidente e ne sei rimasto coinvolto. Un crollo... Ti farò accompagnare a casa e ti pagherò i giorni che ci metterai a riprenderti come se avessi lavorato. Mi dispiace, la colpa è mia. Spettava a me mettere delle travi nei cunicoli per rendere sicura la miniera".

Il ragazzo, nonostante tutto, scosse la testa. "Capitano, il costo di quelle travi avrebbe tolto risorse per assumere qualcuno di noi. Sappiamo i pericoli che corriamo quando scendiamo la sotto ma siamo disposti a correrli, abbiamo bisogno di lavorare e in fondo un giorno saremo tutti morti, è così importante il modo in cui questo avviene? Siete un ottimo padrone, mille volte migliore di un Warleggan e delle sue ottime travi".

Ross non rispose e anche se le parole di Adrian erano un balsamo per il suo animo tormentato, di certo non affievolivano le sue responsabilità.

Dwight gli tastò la fronte. "Sono d'accordo, ma ora basta parlare. Devi riposare...". Si alzò in piedi ed occhieggiò Zachy. "Accompagnalo a casa, dite alla famiglia di metterlo a letto e di dargli del brodo caldo. E poi riposo, a oltranza, finché non si sarà ripreso del tutto".

Zachy annuì e aiutato da Ned, sollevò il ragazzo. "Sarà fatto". E mestamente, anche se grati a Dio che nessuno ci avesse rimesso la vita, lo portarono via.

Ross rimase ad osservarli pensieroso. Era andata bene ma il prezzo da pagare poteva essere altissimo e non sapeva cosa fosse più opportuno: il sollievo per non aver perso nessuno o il rammarico per aver giocato d'azzardo, ancora una volta, con la vita dei suoi uomini?


...


Per quel giorno nessuno più lavorò. C'erano da decidere i passi successivi, fare delle perizie sulla natura del crollo, ci si doveva riprendere dallo spavento, cercare soluzioni e soprattutto serviva tempo perché gli animi di tutti ritrovassero la tranquillità necessaria per prendere decisioni importanti.

Continuò a piovere tutto il giorno e nel pomeriggio i bambini tornarono a casa. Anche Dwight, appurato che tutti stessero bene, se ne andò e così pure i pochi minatori rimasti che, dopo aver tolto un pò di macerie dai livelli superiori, avevano guadagnato la strada verso casa.

Solo Demelza rimase, incerta sul da farsi. Ross, cupo e taciturno, si era messo seduto sulla veranda fuori dall'ufficio ad osservare il vuoto, incurante della pioggia. La ragazza lo osservò preoccupata e nel frattempo rimase in ufficio a sistemare i fogli con gli scritti dei bambini e alcune carte lasciate in disordine da Ross. Lo tenne d'occhio, da lontano, rendendosi conto che i suoi migliori amici se n'erano andati lasciandolo solo e che lo conoscevano meglio di lei e avevano capito che era di questo che aveva bisogno... Forse avrebbe dovuto farlo anche lei ma non se la sentì.

Quando ormai era buio e la pioggia sembrava ancora più battente, spense la candela dell'ufficio e uscì da lui, sulla veranda. "Capitano Poldark, vi prenderete una polmonite se continuate a rimanere quì".

Ross, coi capelli neri appiccicati al viso e fradici, la osservò senza vederla realmente, rendendosi conto solo in quel momento che era rimasta. "Che importerebbe?".

Demelza capì che si sentiva in colpa ma non voleva che fosse così. Come Dwight Enys, Ross non era mai stato interessato al profitto ma era da sempre spinto dal desiderio di aiutare chi gli era più caro. "A tanta gente che crede in voi, signore".

"Se vi riferite alle parole di Adrian, era confuso, straparlava! Come potrei essere un buon padrone dopo quanto è successo?".

"Io non credo che Adrian straparlasse e anzi, sono certa che il suo pensiero fosse il pensiero di tutti quelli che oggi erano quì. Per la maggior parte dei proprietari di miniera, i minatori non sono che carne da macello da sacrificare in nome del profitto. Ma non per voi... Sono vostri amici, lavorate al loro fianco e dividete la vostra vita con loro... Hanno ragione, il rischio vale la candela. Meglio con voi, in questa piccola miniera che da poche garanzie, che schiavi di un uomo come George Warleggan. Potete fidarvi dell'opinione della figlia di un minatore di Illugan?".

Ross le sorrise, trovando pace in quelle parole. "Ve l'ha mai detto nessuno che avreste potuto diventare un buon avvocato? Sareste capace di difendere egregiamente pure il demonio".

Lei rise. "E' un complimento?".

"E' un dato di fatto, Lady Boscawen" – le rispose. E solo in quel momento si accorse che era rimasta senza cappotto, che i suoi capelli erano ancora umidi e che era tardi ed era rimasta lì, al suo fianco. Sentì il bisogno di proteggerla e scaldarla, sebbene sapesse che non ne aveva bisogno... E una grande ammirazione per lei. "Quella che si prenderà una polmonite sarete voi, siete rimasta senza cappotto".

Lei si guardò, come ricordandosi solo in quel momento di quel particolare. "Oh, non sono così delicata".

Ross si alzò in piedi, entrò in ufficio e ne uscì con una vecchia coperta di lana che teneva per le emergenze in un piccolo baule. Gliela poggiò sulle spalle e poi le sorrise gentilmente. "Non voglio di certo avere anche la vostra salute sulla mia coscienza. E nemmeno sentire i rimproveri di Falmouth nel caso vi venisse un raffreddore".

"Che il cielo ci aiuti, in quel caso!" – rise lei, dimostrando la sua simpatica ironia.

C'era qualcosa di speciale in lei, qualcosa che riusciva a rasserenare pure una giornata drammatica come quella appena vissuta. Lady Boscawen sapeva portare il sole anche nei giorni di pioggia ed era straordinario che non se ne rendesse conto e non se ne vantasse come ogni altra donna avrebbe fatto... E fu allora che pose la più indelicata delle domande, la più sfrontata... Ma non se ne pentì mai, né in quel momento né lo avrebbe fatto in futuro. "Come avete fatto a sposare un uomo come Hugh Armitage?".

Lei smise di ridere di colpo a quella domanda e lo guardò confusa, senza forse capire appieno il vero significato nascosto di quanto le aveva appena chiesto. "Volete dire... come ha fatto Hugh a voler sposare una donna come me?".

Ross scosse la testa. Era la più logica delle domande forse, quella che lei aveva formulato, la domanda che forse la maggior parte della gente si era fatta, ricamandoci su storie fantasiose e infiniti pettegolezzi... Ma non lui. "No, intendo proprio ciò che vi ho chiesto! Come può una donna solare e vivace come voi, aver sposato un uomo pacato e passivo sognatore come Hugh Armitage?".

Improvvisamente l'aria si fece pesante fra loro e Demelza comprese bene, dallo sguardo, che Ross era terribilmente serio stavolta. Avrebbe potuto offendersi, ricordargli che non erano affari suoi o chiedere perché gli interessasse ed invece si trovò a pensare a come rispondere... A lui e forse a se stessa e a quei dubbi sul suo matrimonio che mai aveva permesso di venire alla luce. "Ero una ragazzina inesperta. E lui un bravo ragazzo che mi adorava...".

"E voi lo adoravate?".

Demelza si strinse nella coperta. "Mi piaceva, sì... Per la prima volta qualcuno mi trovava bella e teneva a me e questo era così straordinario...".

"Non avete risposto alla mia domanda, però" – le fece notare Ross, con una strana insistenza.

Lei si accigliò, forse un pò irritata da quel pressing di domande che la mettevano in difficoltà. Avrebbe potuto sottrarsi facilmente a quella conversazione ma stranamente non lo fece, non del tutto almeno. "Hugh non vi è mai piaciuto, vero?".

"Penso che vivesse una vita vuota, priva di emozioni e aspettative. Aveva tutto, nulla per cui lottare e ogni cosa a portata di mano. Era viziato, forse, come lo sono tutti quelli appartenenti al suo rango. Non fraintendetemi, so bene che era una brava persona ma voi... voi non avete apparentemente nulla in comune con un uomo così e davvero, a guardarvi da fuori, mi sono spesso chiesto cosa vi abbia spinto a sposarlo".

Lo sguardo di Demelza si indurì. "Pensate che lo abbia fatto per i soldi?".

"No, di questo ne sono certo e non oserei mai nemmeno pensarlo". Non voleva che pensasse una cosa simile e sicuramente non voleva offenderla o che ci fossero fraintendimenti su una cosa che per lui era certezza.

La donna sospirò, appoggiandosi al muro. Sun, che era rimasto al caldo nello studio, la raggiunse e le fece delle fusa e lei lo prese in braccio, perdendosi in pensieri talmente potenti che le fecero quasi paura. Era la prima volta che qualcuno chiedeva così sfrontatamente di lei e Hugh e questo metteva a nudo i suoi pensieri più intimi ed era così strano che stesse succedendo con un uomo che – e ne era consapevole – la attraeva tanto. "Come vi dicevo, ero giovane. E quando l'ho conosciuto, ho voluto credere alle fiabe perché lui sembrava un principe e io non avrei mai potuto immaginare, da bambina, di potermi sentire una principessa. E Hugh un principe lo è stato in un certo senso, sempre gentile, attento, premuroso, non mi ha mai fatto mancare nulla".

Ross la bloccò, perché era evidente che..."Ma?". Perché le frasi che comprendevano un 'ma' si potevano avvertire a parecchie leghe di distanza.

Demelza fece un sorriso stanco ma consapevole di quanto il suo matrimonio fosse stato piacevole ma allo stesso tempo imperfetto, imprimendosi nella mente le cose belle di Hugh ma ammettendo anche che qualcosa di importante mancava al loro rapporto. "Non so, a volte ho pensato che tutto quello che si dice dell'amore, siano concetti sopravvalutati".

"Che volete dire?".

Scosse la testa. "Paragonano l'amore al fuoco, alla passione, a qualcosa di totalizzante e unico. Io non ho mai sentito nulla del genere ma solo un piacevole modo di vivere la quotidianità". Avrebbe potuto allargare il discorso al mondo intimo del matrimonio ma non era di certo il caso. Eppure anche lì, per lei, valeva lo stesso discorso. Faceva l'amore con Hugh perché era ciò che una moglie doveva fare, perché nonostante all'inizio sentisse dolore poi aveva imparato anche a provare piacere, ma non era...non era come lo raccontavano, non era nulla di tutto questo. A volte aveva pensato di essere sbagliata o che lo fosse Hugh o che semplicemente, gli altri mentivano.

Incurante dei suoi pensieri così confusi e disordinati Ross la guardò assorto, rendendosi conto che non era d'accordo con lei. "Quindi, pensate che l'amore sia una favoletta per bambini?".

"Sì, in fin dei conti".

"Non la penso così".

Demelza strinse forte Sun. "Non ne dubito, per voi è diverso e avete amato intensamente, a quanto dicono...".

Ross sospirò. "Ed è andata male e ne ho sofferto proprio perché è un qualcosa di totalizzante... Ma non parlavo di me, parlavo in generale. L'amore è quella cosa inebriante di cui tutti parlano ed esiste, bisogna solo trovare la persona giusta. O almeno credo...". In quel momento si sentì un pò idiota ad affermare con tanta certezza quei concetti, soprattutto davanti a una donna che era stata sposata alcuni anni e benché più giovane, di certo aveva più esperienza di lui. Ma in fondo non era forse vero che era dotato di una grande faccia tosta?

"Come fosse facile" – borbottò lei.

Ross la guardò intensamente, chiedendosi cosa dirle per farle cambiare idea. "Non avete mai pensato di aver semplicemente sposato l'uomo sbagliato?". Era la seconda cosa sfacciata che le diceva in quella giornata, ma non se ne pentì nemmeno questa volta. L'aveva sulla punta della lingua almeno da due anni...

Demelza impallidì. Nessuno le aveva mai detto la verità – e lei sapeva che era tale – con tanta brutalità. Aveva voluto bene a Hugh, tantissimo. Ma negli anni aveva capito che l'amore era altro ed era un sentimento che per quanto la riguardava, non apparteneva al suo matrimonio. "Può darsi, ma il passato non si può cancellare".

"Ma il futuro è tutto da costruire" – le disse.

"Anche il vostro, capitano Poldark".

Ross assunse un'espressione amara, rendendosi conto che si era atteggiato da maestro per quanto riguardava Demelza ma che non aveva certezza alcuna su di lui. Guardò quella miniera foriera di debiti e tragedie e la sua realtà, che per qualche istante aveva dimenticato, improvvisamente lo colpì con violenza. Il viso cianotico di Adrian e il ricordo di quanto vicino fosse andato alla morte, lo fecero sussultare. "Io ogni volta che ci provo, fallisco".

"Non è vero e lo sapete".

"E quello che è successo oggi, come lo definireste?".

Demelza lo vide tremare, i pugni stretti, il viso contratto e il dolore negli occhi. Se fino a poco prima era stato sfacciato e quasi arrogante, ora pareva smarrito e preda di grandi sensi di colpa. "Una disgrazia accaduta mentre tante persone di buona volontà cercavano di fare del loro meglio col poco che avevano a disposizione. E quando si cerca di fare del proprio meglio, non ci si deve mai pentire di nulla".

Ross alzò lo sguardo, disperato. Le si avvicinò e con un gesto veloce le prese le mani, costringendo Sun a saltare a terra. "E Adrian? Non dovrei essere pentito per quanto gli è successo?".

Demelza rispose alla sua stretta. "Adrian scenderebbe ancora anche domani, in quei cunicoli".

"Questo non alleggerisce le mie responsabilità".

Demelza gli sorrise e poi, con un gesto gentile, liberò dalla stretta di Ross la sua mano destra per accarezzargli la guancia. "Ma dovrebbe... Come vi hanno detto i vostri amici, non vorrebbero lavorare per nessun altro che non siate voi. E quindi, o loro sono folli oppure voi vi sottovalutate".

Ross sentì sul viso il calore di quella mano e provò l'istinto, tenuto a malapena a bada, di baciarla. Disperazione, stanchezza, paura e spossatezza non chiedevano altro che di disperdersi nel calore che emanava da quella strana ragazza. Non la baciò, non avrebbe potuto permettersi di fare nulla del genere ma per un attimo crollò contro di lei, facendola arretrare fino alla parete, affondò il viso nel suo collo, fra la coperta che le aveva dato, e poi rimasero lì, fermi, immobili, con in sottofondo il battito veloce dei loro cuori e il rumore della pioggia battente che non smetteva di cadere.

Demelza lo strinse a se, accarezzando i suoi ricci scuri, cercando di rincuorarlo con la stessa tenerezza usata spesso per calmare Hugh nei momenti peggiori. Ma Ross era diverso, non era come Hugh e viveva tutto più intensamente, sia le vittore, sia le sconfitte. Aveva un animo sempre in guerra contro se stesso e sentiva sulle sue spalle il peso del mondo ed era affascinante il suo modo di vivere, ma allo stesso tempo doveva essere così logorante per lui...

Ross rimase immobile per lunghi minuti, quasi in tranche, chiedendosi se mai nella vita si fosse trovato meglio di così. Poi si rese conto che non poteva approfittarne, che poteva apparire infantile e che si stava prendendo confidenze che non gli erano concesse. "Perdonatemi" – le disse, fra i capelli.

"Non avete nulla di cui chiedere scusa" – rispose lei che, al suo pari, si sentiva bene ad averlo così vicino. Ne era attratta, da tanto, di quell'uomo tanto sfrontato ma affascinante, del suo corpo statuario, del suo fisico asciutto e muscoloso che aveva visto di nascosto quasi due anni prima, scrutandolo mentre nuotava nel mare. Ma ora c'era altro, in lei, per lui... Era la sua anima tormentata e generosa ad attrarla, oltre a tutto il resto, le sue battaglie, il suo dolore da lenire, la sua passione in tutto ciò che faceva. Come avrebbe potuto gestire tutto questo?

Ross si tirò su, fronteggiandola viso a viso. "E' così tardi e fa freddo e voi dovreste essere a casa da un bel pò" – le sussurrò, sfiorandole una ciocca bagnata e rendendosi conto solo in quel momento che era ormai buio pesto.

"Sì, forse dovrei. Ma stare con Sun è stato così piacevole" – scherzò lei, per stemperare la tensione creatasi fra loro.

"Lo immagino".

Demelza si accovacciò ad accarezzare il gatto. "Domani sorgerà di nuovo il sole e tutto quello che ora vi appare cupo, lo vedrete sotto una luce nuova".

Ross osservò lei e poi la Grace. "Forse, grazie a voi, mi sembra meno cupo già ora, rispetto a quello che dovrebbe. Ho molto per cui ringraziarvi, stasera".

"Forse anche io" – gli rispose, rendendosi conto che le aveva dato un posto da insegnante, bambini a cui fare da maestra e soprattutto che, forse inconsapevolmente o forse volutamente, l'aveva costretta a parlare di cose talmente dolorose e private che mai aveva avuto il coraggio di esternare. E che questo le aveva fatto bene...

Ross le tese la mano. "Vi accompagno a casa".

Ma lei scosse la testa in segno di diniego. "No, ho davvero voglia di galoppare da sola, in silenzio".

"Insisto".

"No, per favore". Quasi lo implorò ma dopo quanto si erano detti, aveva tante cose a cui pensare e una vita intera da ricostruire dopo aver preso atto forse per la prima volta degli errori commessi in passato. Non era pentita di aver sposato Hugh, era stato a suo modo un matrimonio felice e per suo marito una ragione di vita, ma capiva che non era la strada che avrebbe dovuto intraprendere. Ma era stato giusto così perché ora aveva raggiunto una consapevolezza di se stessa che difficilmente avrebbe raggiunto se avesse fatto scelte differenti.

Ross parve capire il suo desiderio di intimità e solitudine e quindi, dopo averla condotta al cavallo e averla vista dare un bacio a Sun e montare in sella, la lasciò andare per la sua strada. Era una donna cornish forte, una galoppata notturna e un pò di pioggia non l'avrebbero scalfita e forse per lei era meglio così...

Dopo un'ultima occhiata alla sua maledetta miniera, mestamente tornò a casa, consapevole che la sorte e la vita lo avevano ancora messo alla prova col crollo di quella giornata e meno sicuro sul continuare o meno, ma consapevole che Lady Boscawen aveva ragione e che dopo una notte tanto orribile, al mattino con la luce tutto avrebbe assunto altre forme meno spaventose. Aveva solo bisogno di un bagno caldo, di una cena, di una buona dormita e di non pensare a nulla... O al massimo, di pensare a cosa avesse di tanto magico in se quella strana ragazza dai lunghi capelli rossi.

Prese Sun, montò sul suo cavallo e mestamente fece ritorno a Nampara.

Ma quando arrivò a casa, Prudie lo accolse con una lettera che lo avrebbe sconvolto più di quanto potesse sopportare in una giornata del genere.

"Chi la manda?" - chiese Ross, aprendo la busta.

"Arriva da Trenwith" – rispose la donna, quasi intimorita, mentre Jud spariva dietro a una porta borbottando.

Come rendendosi conto di una tempesta in arrivo, Sun anche Sun corse via su per le scale, rifugiandosi in camera.

Ross invece andò nel suo studio, si sedette sul divano e lesse.


"Caro Ross, non trovo e non troverò le parole più adatte per dirtelo, ma a questo punto devo e spero che capirai la mia scelta e non mi biasimerai.

Ho acconsentito a sposarmi con George Warleggan".


Ross non riuscì nemmeno a finire la lettera che con la sua grafia elegante, Elizabeth gli aveva inviato. Tutto divenne cupo, nero attorno a lui. E i sentimenti buoni e puliti respirati con Lady Boscawen sparirono, lasciando il posto a qualcosa di indefinito, rabbioso, cattivo ed incontrollabile... La miniera lo aveva tradito, di nuovo! E anche Elizabeth!

Con un balzo si alzò, superò Prudie che lo rincorse e si diresse verso le stalle, sotto la pioggia battente.

"Signore, dove andate?".

"A Trenwith!" - le rispose, scomparendo come spinto dalla più folle delle pazzie, nella notte.



  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Poldark / Vai alla pagina dell'autore: lady lina 77