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Autore: FlowerLisbon    11/09/2020    0 recensioni
[altri attori/film/musicisti]
La storia è ambientata a Roma, prima delle conferenze stampa relative alla promozione del film Call me by your name /Chiamami col tuo nome.
Armie Hammer è chiuso nella sua stanza d'albergo e non vuole uscire per la conferenza stampa in programma a causa della mancata nomination agli oscar, solo un altro membro del cast [Timothée Chalamet] riuscirà a farsi aprire la porta, facendolo ragionare.
Genere: Erotico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri
Note: Lemon, Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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“Armie?”
“Armie... apri la porta..?”
Era Timmy, fuori dalla porta. Io, chiuso nella mia stanza dell’albergo a Roma, dove il nostro tour di promozione del film stava cominciando.
Alle prime ore dell’alba, la comunicazione. Niente nomination all’Oscar. Per me, ovviamente. Timmy era su un altro piano, quando si parlava di recitazione. La sua nomination non era nemmeno in discussione.
“Armie? Per favore..”
Clack.
“Posso tenere chiusa la porta a Luca. Posso tenere chiusa la porta a Elizabeth. Ma a Timmy, no, non posso tener chiusa la porta, tutto questo non ha niente a che vedere con lui.” Pensai.
“Sono un idiota.”
Timmy mi guardò con apprensione, chiudendo delicatamente la porta dietro le sue spalle. Le sopracciglia inarcate.
“Armie.. no, non sei un’idiota. Sai benissimo come funzionano le cose all’Academy. Meglio di me, di sicuro”.
“La meritavo, Timmy. Cazzo, la meritavo la nomination!”
Dissi, mentre ero seduto sul letto, con la testa tra le mani.
In silenzio, Timmy lentamente mi sedette accanto, posando la sua mano destra sulla mia spalla.
Siamo lì, solo io e lui, in silenzio, guardando il pavimento. Di colpo la situazione mi sembrò surreale, quasi ridicola, e mi misi a ridere, una risata leggera, sommessa. “E’ l’effetto che mi fa Timmy, lo so, è lui. Sempre.  Solo il saperlo vicino mi mette di buon umore, e mi fa vedere le cose da un’altra prospettiva” pensai.
“Hai ragione, la meritavi” disse, sospirando.
Lo guardai fugacemente. I suoi occhi indugiarono sul mio sguardo, abbassandosi poco dopo.
Il mio sorriso, appena accennato di poco prima, scomparve. Mi sembrò che la stanza, all’improvviso, fosse diventata più buia.
Cercai di intercettare di nuovo il suo sguardo, ma niente, era fermo, lì, piantato saldamente a terra.
Attesi.
“Se ho avuto la nomination è solo merito tuo. Non avrei potuto dare il meglio di me con qualcun altro al tuo posto”.
“Non dire cazzate, Tim. Sei fenomenale. Lo sai. Io piuttosto...” esitai.
“Lo sai, odio riguardare le mie performance. Ma non con questo film. Credo di non aver mai recitato così bene in vita mia, e questo *sì*, è davvero grazie a te. Immagino che sia per questo che sono così, diavolo, arrabbiato. Deluso”.
Scossi la testa, in disapprovazione, sentendo di nuovo la rabbia di poco prima. Decisi di alzarmi in piedi e colpendo leggermente il muro con la mano a pugno, spostai il mio sguardo su Timmy che era ancora seduto sul letto.
Stavolta era lui quello con la testa tra le mani.
“Tim? Tutto ok?”
“Oh Armie..” scosse la testa. “Vorrei poterti dire di sì”.
Colpo basso. “Io son qui che faccio il coglione come un bambino di 5 anni a cui non hanno dato la caramella, e Timmy... cos’ha?” Sparita l’allegria, sparito il sorriso. Caddi dal cielo come se mi avessero tirato una secchiata d’acqua ghiacciata. C’era qualcosa che non andava? Come potevo non essermene reso conto?
“Tim, non scherzare, mi fai preoccupare”. Mi sedetti vicino a lui e stavolta fui io a passargli un braccio intorno alle spalle.
“Armie” alzò lo sguardo. Non l’avevo mai visto tanto serio prima.
“Armie, Armie... Armie”. Nelle mie orecchie, mi sembra quasi di sentire “Elio, Elio, Elio, Elio...”
“Ci aspettano lunghi mesi insieme, di tour. Dobbiamo promuovere questo film, a tutti i costi. Non è una questione tua, mia, o degli Oscar. Non più. Questo film... questo film ti entra dentro ed è capace di raggiungere luoghi, nel cuore delle persone, che noi non possiamo neanche immaginare. Dobbiamo fare il tour. Dobbiamo promuovere il film, il più possibile.”
Timmy è sempre dannatamente bravo con le parole. Lo ascoltai, rapito, e annuii.
“Perchè se fosse una questione tua, o mia, beh, ti assicuro che le cose sarebbero molto diverse”.
...Di che stava parlando?
“Neanche a me entusiasma l’idea di un estenuante giro in Europa, io, te, Elizabeth”
Inarcai le sopracciglia... Elizabeth?
“ovviamente Luca..e gli altri. Vorrei che questo sogno rimanesse tale, e vorrei che potesse finire bene. Ma non per me, per me non finisce bene. Non in questo caso. Nemmeno con una nomination all’Oscar. Nemmeno se riuscissi a vincerlo.”.
Mi guardai attorno, allarmato. Improvvisamente mi venne in mente l’ultima scena che avevamo girato a Bergamo, di notte. Le ultime sequenze dove i nostri due personaggi si lasciavano andare a un lungo bacio d’addio. Avevamo mangiato al “Via Vai” esagerando un po’ tutti con il vino, Luca voleva che la sbronza fosse realistica, e diavolo se lo era stata.
Timmy quella sera aveva pianto, dopo quella scena. Un pianto lungo, inconsolabile, nessuno di noi sapeva cosa fare o dire per alleggerire il suo dolore,ovunque esso provenisse. Pensavamo fosse colpa del vino, a volte si sa, le sbronze non vanno troppo bene. [A1] Quindi l’ho riaccompagnato in hotel, appena si era riuscito a ricomporre un po’. In taxi si era addormentato, di un sonno profondo. Arrivati all’albergo, con delicatezza, come se fosse una bambola di porcellana, lo avevo raccolto dal sedile e trasportato fino alla sua camera, come un bambino che aveva fatto troppo tardi  guardando la TV, e andava portato nel suo lettino.
Mi sorpresi a pensare al Piccolo Principe.
...“ Incominciava ad addormentarsi, io lo presi tra le braccia e mi rimisi in cammino. Ero commosso. Mi sembrava di portare un fragile tesoro. Mi sembrava pure che non ci fosse niente di più fragile sulla Terra. Guardavo, alla luce della luna, quella fronte pallida, quegli occhi chiusi, quelle ciocche di capelli che tremavano al vento”...
Mi sembrava davvero di portare un fragile tesoro. In stanza, l’avevo steso dolcemente sul letto togliendogli le scarpe e i calzini. Eravamo davvero alla fine del viaggio. Lo guardavo nella luce soffusa della stanza e in quello mi accorsi che lo stomaco mi si stava contorcendo. Forse era davvero il vino..
Dopo averlo coperto con le lenzuola, mentre dormiva, gli ho scostato una ciocca di capelli dal viso. E me ne sono tornato nella mia stanza, con il cuore in subbuglio.
 “Armie.. ci sei?”
Scossi la testa, allontanando i ricordi di quella sera come qualcosa di poco gradito, ma sui quali avrei voluto indugiare ancora un po’.
Mi guardò con il suo solito sguardo aperto, e limpido. Sembrava essere tornato in sè.
 “Timmy, lo sai che se hai bisogno di parlare... io ci sono? Sempre?”
Sorrise.
Ecco il mio Timmy.
Alzandosi in piedi, guardandomi, mi diede una sonora pacca sulla spalla, esclamando “Andiamo?”
Rimasi un momento fermo, ripensando alle sue parole. Evidentemente non voleva aggiungere altro, ma io non volevo mollare la presa, non stavolta.
Avanzai di un passo verso di lui . I nostri visi erano a poche spanne l’uno dall’altro. Lo guardai negli occhi, ma lui distolse lo sguardo.
“Dài, andiamo! Altrimenti facciamo tardi e poi Luca si incazza. Lo sai quanto è preciso su queste cose”.
Lo guardai con aria interrogativa, sapeva benissimo che non mi sarei mosso fino a quando non avesse sputato il rospo. Ora eravamo tremendamente vicini e sentivo di nuovo il mio cuore pulsare nel petto come quella sera, in hotel a Bergamo. Quale altro essere sulla terra ha degli occhi così incredibili da guardare? Verdi, screziati di azzurro, nocciola e oro, il bordo dell’iride quasi blu scuro.
Da quanto tempo stavamo guardandoci negli occhi? Timmy sosteneva il mio sguardo, cosa ci vedeva dentro?
 All’improvviso, con il cuore che batteva sempre più velocemente, chinai la testa verso di lui e sfiorai le sue labbra con le mie. Eravamo abituati a baciarci, lo facevamo praticamente prima di ogni ripresa... "e non mi sono mai sentito così come ora." O ..sì? Cosa.. diavolo..?
Mi scostai delicatamente, cercando col mio sguardo una sua reazione.
“Armie...” iniziò.
Ma non lo feci finire. Presi la sua testa tra le mani e incontrai la sua lingua con la mia, Dio? Cosa mi stava succedendo, mi sentivo completamente al di fuori del mio corpo. Elizabeth era ancora lì fuori? Fanculo, non me ne fregava niente.
Come una foglia che cade al suolo, Timmy si era lasciato andare tra le mie braccia. Gli morsi il labbro inferiore, era così dannatamente morbido, e scesi lungo il suo collo. La sua mano tra i miei capelli. Quante volte l’avevo già sentita? Quante volte avevo già ricacciato indietro quelle sensazioni che ora stavano straripando?
D’un tratto mi fermai, allontanandomi di un passo, mentre Timmy emetteva un piccolo gemito di disapprovazione.
Ci guardammo a lungo, soppesando i nostri sguardi.
“Quindi le cose stanno così...mh?” dissi io.
Timmy si grattò la testa, come faceva sempre quando si sentiva in difficoltà, e mi guardò con un mezzo sorriso e gli occhi che brillavano.
Gli sorrisi.
“Andiamo? C’è una intervista che ci aspetta..!” Dissi, infine.
Timmy mi sorrideva e io... io non capivo più nulla.
 
Raggiungemmo l’ascensore, quando notai qualcosa cadergli da una mano.
“Timmy, ti è caduto l’elastico” gli dissi, raccogliendolo da terra.
“Me lo tieni tu per favore?” mi disse, sorridendomi di rimando. E me lo misi al polso. Ora, ero legato.

   
 
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