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Quando si era accorta che Giroro avesse incastonato nella fibbia della sua cintura una fotografia di Natsumi, nel suo animo era germogliata una sensazione strana - un connubio di rancore e stizza, velenoso come il morso di una serpe che striscia nell'erba alta.

Quando si era accorta che Giroro avesse impresso in quella piccola custodia un'immagine che ritraeva la medesima ragazza dai capelli magenta che sembrava averlo stregato e ammaliato profondamente, nel suo animo era sorto un malessere pungente, a tratti acido, qualcosa di non dissimile dal livore.

Quando si era accorta che Giroro avesse sigillato, al pari di una reliquia preziosa, un semplice scatto che immortalava, nella sua innocente e candida grazia, colei che era riuscita a solleticare le corde del suo cuore, a scuotere in lui i primi battiti e a risvegliare il tepore del mese di Aprile, nel suo animo si era insinuata un'emozione difficile da decifrare, sospesa in bilico tra gelosia e rabbia.

Piegando il volto in una smorfia contrariata, si domandò mentalmente per quale motivo non fosse stata lei l'obiettivo da inquadrare e mettere a fuoco.
Turbata, si domandò mentalmente per quale motivo non la guardasse nello stesso modo in cui lei lo vedeva: era abbastanza evidente che la considerasse meno importante della rossa, la quale il più delle volte ignorava le sue attenzioni e, tranne in rare occasioni, nemmeno lo salutava.
Chiudendosi in un silenzio di ghiaccio, si domandò mentalmente per quale motivo continuasse ad ardere di un amore tanto intenso quanto inutile, ad elemosinare i suoi apprezzamenti e ad osservarla di nascosto, in segreto, tra le pagine della vita e lo svolgersi del fato, sebbene avesse intuito anche lui che fosse irrimediabilmente attratta da un'altra figura maschile, da una zazzera argentea e due iridi celesti che non gli appartenevano.

Non capiva cosa lo trattenesse dal rassegnarsi all'illusorietà dei suoi sentimenti, all'impossibilità di una storia di miele a lieto fine, inchiostrata sulle spanne di un fiore.
Non capiva cosa lo trattenesse dal regalare affetto e vicinanza emotiva a lei, timida gatta dal manto chiaro e di natura mite, che aveva tratto in salvo anni prima da un violento temporale, piuttosto che ad una donna poco sensibile alle sue premure.

Si raggomitolò in un angolo della tenda della rana, pervasa da una scarica di irritazione, auspicando che dormendo potesse placarsi una porzione dell'amarezza che, in quanto animale, non era in grado di esprimere pienamente.
Si rannicchiò in un angolo della tenda della rana, sdegnata, auspicando che al risveglio si sarebbe sciolta la ferrea morsa di acredine che le aveva agguantato il petto, senza lasciarlo più andare.






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