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Autore: LatazzadiTea    14/09/2020    9 recensioni
Dal testo: Violet era la persona più sola che avesse mai conosciuto, per questo andava protetta. Invece, accecato dalla propria arroganza Dietfried l'aveva presa e strappata alla sua terra, pagando quella scelta disumana con la vita dei suoi uomini. Così, comprendendo solo troppo tardi la gravità di quell'errore, al fratello non era rimasto altro che sbarazzarsene.
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Claudia Hodgins, Dietfried Bougainvillea, Gilbert Bougainvillea, Violet Evergarden
Note: OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Cap.5

Due importanti verità a confronto.


Dietfried cenò da solo nello studio, con lo sguardo incendiato dal fuoco scoppiettante del camino. Per fortuna la stanza era piccola e si scaldava in fretta, pensò, stentando a mandare giù un altro boccone. Niente a che vedere con la fredda e umida cabina della sua nave quand'era per mare si disse, posando l'attizzatoio. Poco dopo imprecò per la frustrazione, tutta quella faccenda lo stava facendo impazzire: aveva passato anni a cercare una prova tangibile della morte di Gilbert e ora, semplicemente spiando Hodgins, in pochi mesi aveva scoperto un intero mondo di bugie e sotterfugi degni di un vero e proprio romanzo giallo.

Dopo quello che aveva saputo dai suoi sottoposti, Dietfried si era fatto un'idea più precisa sulle ragioni che avevano spinto il fratello a mentire, ma per esserne certo doveva trovarlo. La sua paura più grande era che avesse ricevuto un altro incarico dall'esercito dopo la battaglia alla cattedrale Gardarik, e questo perché malgrado la schiacciante vittoria ottenuta quel giorno, le sorti della guerra non erano ancora state decise. C'era ancora da combattere, vista la moltitudine di fazioni di ribelli e rivoluzionari che tramavano nell'ombra, e l'attacco al treno n'era stata la prova. Se Gilbert avesse accettato di scendere nuovamente in campo senza porre condizioni, Violet sarebbe stata costretta a seguirlo, cosa che non era successa.

Aveva ceduto se stesso in cambio della libertà della ragazza? Era plausibile, ma a quel punto Gilbert poteva essere ovunque. Se era come pensava, era stato certamente promosso e trasferito altrove, probabilmente per consentirgli di guarire nell'attesa di fare la sua parte, assicurando al governo la firma di quel trattato di pace. Le possibilità erano così tante che ognuna di quelle elencate avrebbe avuto senso per lui. Il problema era un altro: come avrebbe reagito Violet di fronte alla verità. Avrebbe sofferto ancora di più o avrebbe compreso? Magari entrambe le cose, si disse Dietfried, fissando ancora le fiamme. Era stanco di pensare e rivangare il passato: col suo ritorno, Gilbert avrebbe messo fine a ogni suo dubbio.

Con quella consapevolezza nel cuore e la spossatezza che da un po' lo attanagliava, Dietfried s'appoggiò allo schienale della poltrona dimenticando completamente la cena. Violet... Erano ore che cercava di togliersela dalla testa, ma quel bacio così dolce e pieno d'affetto continuava a tormentarlo. Bevve un generoso bicchiere di vino per stordirsi e smettere di pensarci, felice di potersi finalmente appisolare. La piccola tremolante fiammella che si era accesa fra loro rischiava di divampare e trasformarsi in un rogo, o meglio, in un inferno, si disse prima di addormentarsi.





Il fumo che usciva da comignolo della piccolo cottage sulla spiaggia, indicava chiaramente che il padrone era in casa. Hodgins emise un sospiro di sollievo, aveva fatto due giorni di viaggio per raggiungere quel luogo dimenticato da dio in mezzo al nulla, e non aveva nessuna voglia di rimanere all'aperto. Non ebbe però nessun bisogno di bussare alla porta, Gilbert lo aveva accolto sull'uscio con una espressione decisamente preoccupata in volto.

"Che significa questa lettera?", gli chiese l'amico, visibilmente sconvolto.

"Fammi entrare dai, hai del caffè?", lo fermò subito Hodgins, salendo le scale del piccolo basamento esterno altrettanto di malumore.

"Sì, scusami...", rispose Gilbert facendolo entrare.

"Volevo che fossi preparato Gilbert, per questo l'ho inviata... Dietfried sa tutto!", lo informò Claudia, sedendosi esausto al tavolo della piccola cucina.

"E Violet?", domandò in ansia l'altro.

"Non è al corrente di nulla, tranquillo! Ha promesso di non metterla in mezzo anche se si trova alla Villa con lui... Ha detto di dirti di sbrigarti a tornare, o se la prenderà lui... Credi che fosse serio? Per me gli ha dato solo di volta il cervello!", affermò Hodgins, bevendo avidamente un'abbondante tazza di caffè nero fumante.

"Mio fratello, ha veramente detto questo?", replicò Gilbert incredulo.

"Già! Caro amico mio, hai un rivale in amore, urrà! Festeggiamo?", ironizzò tristemente Claudia.

"Violet alla villa con lui, eh? Mi sta proprio mettendo alle strette, vedo... Sa dove sono?", volle sapere Gilbert.

"No, ma è solo questione di tempo. Tuo fratello è peggio di un segugio... Che intendi fare con lui, lo incontrerai?", gli chiese spassionatamente Hodgin, con un'espressione decisamente tirata sul viso.

"Certo, ho molta voglia di riabbracciarlo. Come sta? Era arrabbiato?", chiese premurosamente Gilbert.

"Arrabbiato? Bellicoso, direi! Ma sì, nonostante tutto penso stesse bene!", scherzò Claudia, impallidendo solo all'idea di averci di nuovo a che fare.

"È sempre stato una testa calda: non si smentisce mai! Cosa sta facendo Violet a casa nostra, lo sai?", lo interrogò ancora Gilbert.

"Scrive lettere per lui, credo... ", rispose titubante Hodgins.

"Credi? Va' da Dietfried, Claudia! Digli dove sono e che voglio vederlo... In quanto a Violet, quando avrà finito alla Villa mandala pure da me!", aggiunse Gilbert.

Hodgins annuì, sollevato. Sapere che quel momento fosse finalmente arrivato lo rendeva felice. In particolare, era ansioso di mettere fine a quella spinosa faccenda quanto lo era di iniziare a vivere una nuova vita senza quel fardello sulle spalle. Dopotutto, quel segreto taciuto così a lungo aveva finito per logorarli tutti, sopratutto lui e Cattleya, che malgrado non fosse mai stata d'accordo sul mentire a Violet alla fine era stata costretta ad appoggiarlo lo stesso. Avevano imparato a voler bene a quella ragazza, e questo, malgrado il suo terribile passato. In fin dei conti, Violet lo meritava visto che aveva sempre avuto un buon cuore. Poteva dire con certezza che tutti alla società postale tenessero a lei, del resto si erano sempre considerati una grande famiglia allargata, pensò Claudia, salutando l'amico sulla via del ritorno. L'unica cosa che temeva era la sua reazione: Violet aveva sofferto talmente tanto per la morte di Gilbert che sapere la verità sui motivi che l'avevano spinto a lasciarla, l'avrebbero potuta sconvolgere. Era stata ingannata da tutti, e per ben quattro anni, anche se a fin di bene. Come avrebbe reagito di fronte a una realtà così crudele? Come avrebbero rimediato? Hodgins sbuffò, facendo un ultimo cenno di saluto a Gilbert, che ormai lo osservava da lontano. Nonostante tutto doveva sbrigarsi, o avrebbe perso sia il traghetto che il treno.





Violet si sistemò il vestito sedendosi al tavolo della veranda, pronta a scrivere la seconda lettera che l'era stata commissionata dalla Signora Bougainvillea, quella per Gilbert. Anche in quel caso non avrebbe dovuto far altro che ascoltare attentamente le parole della donna e riportarle fedelmente sulla carta, né più né meno di quello. Era stato lo stesso per quella destinata a Dietfried, dove la Signora aveva ampiamente dimostrato di non aver bisogno di consigli su come esprimere i propri sentimenti al figlio. Una madre sapeva cosa dire perché l'aveva già scritto nel cuore, e lei lo sapeva. Nel richiederla come Bambola di scrittura automatica la Signora Bougainvillea aveva semplicemente voluto condividere con lei le proprie emozioni, rendendola partecipe del suo dolore e dei suoi rimpianti, come avrebbe fatto con un qualsiasi altro familiare. Ciò che lei e Gilbert avevano vissuto insieme, l'aveva indissolubilmente legata a lui e alla sua famiglia per sempre.

Chissà cosa avrebbe scoperto quel pomeriggio, si domandò, preparandosi a battere quella lettera a macchina col cuore a mille. Lo conosceva abbastanza da sapere che era stato una brava persona, ma a parte quello, di Gilbert non sapeva niente. Che uomo era stato il Maggiore prima di conoscerla? Che genere di figlio o di fratello? Era già stato innamorato o quel "Ti amo" era il primo che avesse mai pronunciato? Violet esitò, tremando. Gilbert se n'era andato senza rivelarle nulla di sé. Ciò che avrebbero dovuto e potuto sapere l'uno dell'altra s'era annullato proprio quella sera, spazzato via da quella pioggia di bombe, sangue e lacrime.

"È tutto a posto, cara? Vuoi aspettare ancora un po', prima di iniziare?", le chiese con apprensione la Signora Bougainvillea.

"No, è solo che: il Capitano non è sceso a colazione, così mi chiedevo se stesse bene...", esordì imbarazzata Violet.

Dietfried... A dispetto di tutti i suoi buoni propositi non aveva fatto altro che pensarci, arrivando addirittura a sognarlo quella notte. Riflettendoci, non lo vedeva dalla sera precedente, notò la giovane, volgendo speranzosa lo sguardo verso la finestra del suo studio. Il Capitano Bougainvillea non era certo un campione di simpatia, tuttavia, l'alterato stato umorale non ne spiegava affatto il pallore. Quando lo aveva abbracciato e baciato sulla guancia Violet ne aveva avvertito il bruciante calore, quasi fosse febbricitante mentre la stringeva. Dietfried era accaldato, ansante e sudato oltre il consentito per essere perfettamente in salute, pensò la ragazza. E come spesso accadeva, quando si sentiva turbata da qualcosa, Violet si portò una mano al petto.

"Beh, non sarebbe la prima volta che si attarda nel suo studio. Anche se in effetti, saltare due pasti di seguito non è proprio da lui.", assentì la donna.

"Due pasti? Credevo avesse cenato nello studio...", replicò confusa.

I timori di Violet si rivelarono fondati, Dietfried aveva passato la notte in bianco finendo per perdere conoscenza a causa di una febbre altissima. Nemmeno il dottore era stato in grado di fare una diagnosi certa, si sarebbe potuto trattare di qualsiasi cosa, anche di Scarlattina, e di conseguenza andava assistito. Violet guardò la Signora, in piedi accanto al letto del figlio. Aveva un'espressione crucciata e pensierosa anche se al contempo tenera e premurosa: poteva solo immaginare come si dovesse sentire non avendo la minima idea di cosa lo affliggesse.

"Penserò io al Capitano! Resterò con lui e farò tutto il possibile! Per favore dottore, mi dia istruzioni...", si propose Violet con sorpresa di tutti.

"Non è compito tuo, bambina mia... Penserò io a mio figlio!", la redarguì dolcemente la donna.

"Mi perdoni Madame, ma alla sua età preferirei che si astenesse dal correre certi rischi... La signorina è giovane capace e forte, sono certo che se la caverà più che egregiamente!", intervenne il dottore, dandole man forte.

Distogliendo l'attenzione dalla donna - che non avrebbe mai voluto contraddire - Violet posò lo sguardo zaffireo sull'uomo, ringraziandolo con un breve cenno del capo. Quel medico sembrava conoscere bene la famiglia, ma soprattutto, doveva essere al corrente dello stato di salute della donna per sconsigliarle la fatica di dover assistere il figlio in quel delicato frangente. Dietfried sembrava davvero sofferente; era stato molto male quella notte, e lo odore acido del vomito lo dimostrava. Era la prima volta che assisteva un malato, ma abituata com'era a eseguire ordini, seguire le poche preziose indicazioni del dottore non sarebbe dovuto essere un problema per lei.

"È molto gentile da parte tua: mi raccomando, lo lascio nelle tue mani, cara...", la ringraziò la Signora, esprimendole con un lieve sorriso tutta la sua gratitudine.

"Non la deluderò Madame, conti pure su di me!", la rassicurò Violet.

Quando la Signora e due dei servitori della casa uscirono dalla stanza, prima di andarsene il dottore affidò a Violet il compito più importante: abbassargli la temperatura. Doveva rinfrescarlo e dissetarlo di frequente, cucchiaio d'acqua dopo cucchiaio, per impedire allo stomaco di ribellarsi e al corpo bollente di disidratarsi mentre era incosciente. Sarebbe stato un lungo pomeriggio quello, si disse, ponendo con cura una pezza bagnata sulla fronte dell'ufficiale. Solo quando si allontanò dal letto sfiorandogli involontariamente una mano con la sua, sentì Dietfried afferrarla. Non era lucido, e probabilmente delirava mentre la chiamava battendo i denti con le labbra che gli tremavano, come se ne avesse avvertito la presenza. Fu a quel punto che la giovane ebbe la sensazione di star ancora lottando, anche se questa volta non c'era solo un nemico da sconfiggere ma anche un uomo da salvare. Preoccupandosi, Violet si domandò se Dietfried non si fosse ridotto in quello stato a causa delle notti insonni passate a cercare Gilbert. Ad ogni modo, qualunque fosse la causa, quella febbre sembrava divorarlo. L'intero mondo di Violet si contrasse, riducendosi a loro due chiusi in una stanza; ne sarebbe uscita certo, ma solo dopo averlo aiutato a vivere.





Gilbert percorse a piedi un lungo tratto di spiaggia, mentre incurante del freddo, del buio e della nebbia che si levava dal mare pensava a Violet. Lasciarla in quell'ospedale sola e ferita era la cosa più difficile che avesse mai dovuto fare benché non ne fosse pentito. Ricordava vividamente ciò che aveva patito durante quella battaglia: se non fosse stato per lui e la sua decisione di trascinarla con sé in quell'incubo che era la guerra, Violet non avrebbe perduto le braccia. Aveva biasimato Dietfriet per il suo cinismo quando lui aveva fatto di peggio: se suo fratello aveva creduto di agire per il bene del suo paese - anteponendo i suoi assurdi ideali al proprio cuore - lui era stato un ipocrita. Non aveva mai approvato i suoi metodi, ma nemmeno esitato a servirsi di lei come un'arma. Violet era la persona più sola che avesse mai conosciuto, per questo andava protetta. Invece, accecato dalla propria arroganza, Dietfried l'aveva presa e strappata alla sua terra, pagando quella scelta disumana con la vita dei suoi uomini. Così, comprendendo solo troppo tardi la gravità di quell'errore, al fratello non era rimasto altro che sbarazzarsene. Ma era solo questione di tempo, un giorno anche lui l'avrebbe lasciata, tanto valeva confidare in una persona come Hodgins per farlo. In quegli anni lui e Claudia avevano parlato spesso del suo progetto di rifarsi una vita lontano dall'esercito: era stato quello a fargli maturare l'idea di scomparire e affidargli Violet.

Aveva perso un occhio e un braccio in quello scontro, tuttavia lo Stato gli chiedeva ancora un altro sacrificio: trovare e distruggere chi ancora minacciava la pace, divenendo un fantasma agli occhi del mondo. Gilbert aveva passato due interi anni a cercare quelle persone, riuscendo nel suo intento solo dopo il terzo. Per questo farsi credere morto era stata la cosa più giusta da fare, sebbene perdere i propri famigliari e la persona che amava fosse stato devastante. La verità era che per quanto lo desiderasse, Gilbert temeva di tornare. Non era stato semplice ammettere che la cosa di cui aveva più paura, era proprio quell'incontro. Il senso di colpa che provava nei confronti di Violet non se n'era mai andato, e non solo perché decidendo di occuparsene l'aveva quasi uccisa. Confessandole il suo amore l'aveva incatenata a sé e a quel ricordo per sempre, costringendola a vivere nel rimpianto di un sentimento mai sbocciato. L'avrebbe mai perdonato per questo? Gilbert si voltò, rivolgendo un ultimo sguardo al piccolo e accogliente cottage che per quattro anni era stata la sua casa. Quella flebile e rassicurante luce nel buio, presto si sarebbe spenta, e lui sarebbe tornato senza sapere che ne sarebbe stato della sua vita senza lei accanto.


 
   
 
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