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Autore: SilverDoesNotKnow    14/09/2020    2 recensioni
A Salogern tutto è perfetto e niente funziona. La corruzione ai piani alti è all’ordine del giorno. Una persona complicata vive in un presente in cui si tende a semplificare tutto, dove l’arte si sta estinguendo e l’amore è in fin di vita. Per riuscire a tirare avanti ha solo se stessa e qualche spicciolo e lasciarsi cadere nell’abisso sembra ogni giorno l’alternativa più allettante.
Spero che gli insignificanti esseri viventi incazzati con il mondo (o meglio con il genere umano) trovino un po’ di rifugio e conforto, come ho fatto io, tra le righe di questa mia prima avventura.
Buon viaggio
El
Tematiche delicate: omo e transfobia, violenza di genere, accenni di depressione (EFP non ha tag specifici per questi argomenti)
Genere: Introspettivo, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Mi ero addormentato sopra le coperte del letto con un sapore amaro sulle labbra e le lacrime salate ormai asciutte sulla faccia. Dopo essermi rintanato in casa avevo mangiato degli avanzi per poi passare la serata suonando il violino, o meglio lamentandomi con il violino: i suoni bruttissimi che riusciva ad emettere quello strumento diabolico mi riempivano la mente senza farmi pensare ad altro. Era un valido sostituto dell’alcol. Sentivo un’ombra nera gravare sulla mia anima che nascondeva ogni spiraglio di luce e di speranza. “Ci risiamo”, pensavo. “Caliamo giù a picco nell’abisso.”
Avevo passato due giorni nella mia tana mangiando pochissimo e parlando con gli oggetti, i miei capelli ridotti a un ammasso nero che mi solleticava le spalle. Questa sorta di depressione mi riduceva a questo; cercavo sempre di lasciar passare tutto, ma alla fine arrivavo al punto di rottura e la situazione precipitava.

Il terzo giorno arrivò il salvagente. Sentii bussare ma feci finta di niente finché la persona sulla soglia prese a tirare calci alla porta.
«Non c’è nessuno!», urlai e una voce tranquilla mi rispose: «Ah si? E quando torni?»
Spalancai la porta e abbracciai goffamente la magra figura nella penombra del pianerottolo.
«Ho bisogno di te», dissi senza rendermene conto.
«Mi ha chiamato Arryah, ha detto che non ti vede da più di due giorni. A giudicare dal tuo stato nessuno ti ha visto per due giorni, a parte il tuo riflesso nello specchio.»
«Lo sai che sono come Cristo, il terzo giorno resuscito». Mi scappò una leggera risata per l’assurdità di cosa avevo appena detto e mi feci da parte per far entrare l’ospite.
«Solito motivo, Silver?», chiese Valesir osservandomi con le mani in tasca.
«Si, tesoro», sospirai facendo finta di riordinare la zona cucina. Valesir si avvicinò fino ad arrivare ad un niente dalle mie spalle e parlò con calma giocherellando con una ciocca dei suoi lunghi capelli neri.
«Lo sai che sono solo persone», abbassò il suo tono di voce.
«Si, persone stronze», strinsi l’impugnatura di un coltello ma lui non si mosse di un soffio.
«Shhh non essere così diretto, non è elegante.»
Il suono di quell’aggettivo coniugato al maschile mi attraversò come una scarica elettrica e subito dopo i miei muscoli si rilassarono permettendo alle mie mani di appoggiarsi al banco allargando le dita.
«Posso Sil? Posso mandare a quel paese quella gente e farti diventare più bello?»
Mi girai e trovai i suoi occhi, così scuri che si distingueva a malapena l’iride dalla pupilla, a distanza di un battito d’ali di farfalla dal mio viso. Lo guardai per un momento: i suoi capelli corvini con dei meravigliosi riflessi blu gli arrivavano a metà schiena e nel suo elegante viso la sottile bocca rosea dava un accenno di calore alla pelle molto chiara. Scivolai via verso il bagno e attraversando la camera lasciai ad uno ad uno i miei indumenti dietro di me. Entrai nella doccia e lasciai scorrere l’acqua caldissima sul mio corpo stanco; sentivo frugare tra le varie boccette colorate sopra il lavandino, un’imprecazione sussurrata e la porta che si chiudeva.
Uscendo dal bagno indossai una veste leggera, probabilmente lino, e vidi Valesir che mi aspettava in piedi dietro ad una sedia.
«Finalmente, pensavo tu fossi affogato.»
Mi fece l’occhiolino e appoggiò le mani sullo schienale. Mi sedetti pesantemente e lo guardai rovesciando la testa all’indietro. «Hai trovato ciò che cercavi o hai soltanto distrutto i miei smalti?», chiesi alzando un sopracciglio. «Perché odi così tanto il bordeaux?»
«Perché odi il fatto che io odi il bordeaux?», rispose a tono e versò qualche goccia di olio profumato sui miei capelli ancora bagnati per poi pettinarli con le sue dita. «Guarda che casino, sembri Bob Dylan, non Loki.»
«Non è possibile», mugugnai. «Acca ha convinto anche te? Questo incubo non finirà mai.»
«Devi ammettere che le sue ipotesi sono soddisfacenti», ridacchiò lui tirando leggermente una ciocca per districare un nodo. Una volta pettinata la chioma ribelle le sue mani scivolarono sulle mie spalle lavorando con le dita per sciogliere i muscoli. Chiusi gli occhi e respirai lentamente ma un grugnito sfuggì dalle mie labbra quando Valesir insistette su un punto particolarmente contratto.
«Tesoro non smontarmi le scapole non- hey!», scattai in avanti per il dolore.
«Silver piantala di lamentarti come un bambino. Ho finito, ok?», disse con la sua infinita pazienza. «Posso intrecciarti i capelli?»
«Impiegherò sette minuti a rovinare l’acconciatura e sette giorni a disfarla del tutto», risposi appoggiandomi allo schienale di nuovo.
«Dai, sai quanto mi diverte. Qualcosa di semplice, solo due trecce che partono dalle tempie per contenere questa cascata nera che ti ricade sulle spalle.»
Sorrisi e alzai le mani in segno di resa: «Va bene, va bene, ma niente nastri oggi.»
In realtà adoravo quando qualcuno curava i miei capelli, era una sensazione calmante. Non poteva farlo chiunque, praticamente nessuno a parte lui: una volta avevo morso Arryah perché voleva farmi una coda di cavallo con un elastico fucsia e si notò il segno rosso dei denti sul suo avambraccio per quasi una settimana.
«Ho finito», constatò Valesir accarezzandomi la nuca e circondandomi con le braccia posò le dita sul mio petto fieramente piatto e con un accenno delle linee dei pettorali. Alcune gocce di sangue spiccavano sulla veste di lino come delle coccinelle.
«Ti fanno male, Sil?», sussurrò gentilmente.
«Non ti preoccupare, stanno migliorando molto. Tra qualche mese avrò solo cicatrici»
Le ferite dell’intervento chirurgico per la rimozione del seno facevano male ogni tanto, ma era sopportabile. Avrei fatto di tutto pur di essere veramente in armonia con il mio corpo e apparire come mi sentivo dentro.
«Devo dire che hanno fatto un lavoro grandioso», disse. «La farfalla finalmente è uscita dal bozzolo. Usciamo dalla tua tana adesso, hai bisogno di stare all’aperto.»
«Beviamo un goccio all’angolo?» lo guardai di nuovo a testa in giù con occhi imploranti, in modo molto più drammatico del necessario.
Valesir grugnì ma non riuscì a nascondere del tutto un sorriso. «Ti aspetto fuori, muoviti.»
Balzai verso l’armadio per prendere una camicia di seta nera e dei jeans scuri e, una volta indossati, afferrai il mio cappotto. Scendendo le scale mi infilai un paio di mezzi guanti di pelle e per poco non volai oltre la soglia a causa di uno stivaletto slacciato: il risultato fu uno spintone alla schiena di Valesir che fortunatamente non cadde in mezzo alla strada.
«Adori le entrate a effetto, vero? O meglio le uscite. Non puoi farne a meno», mi guardò divertito nonostante il rischio appena passato di finire sotto un camion. «Sei una primadonna!»

Così Valesir mi aveva tirato fuori dall’abisso per l’ennesima volta. Prendo un sorso di birra mentre lo osservo flirtare con la cameriera del pub.
«Lo sai che non è una donna, tesoro?», alzo un sopracciglio appoggiando il mento sul mio pugno. «Scusa, mi correggo. Lo sai che prima non era una donna, tesoro?», sogghigno.
«Pensi che mi importi qualcosa dei fatti altrui?», risponde con una nota aspra nella voce prima di accorgersi di essere preso in giro. «Silver, sei resuscitato con tutto il tuo sarcasmo.»
«Niente di più, niente di meno», dico e mi alzo dal tavolo. «Ti accompagno a casa?»
«Ci vuole più di un’ora a piedi, non vorrei lasciarti da solo in piena notte.»
«Ho proprio paura del grande lupo cattivo», scoppio a ridere, ma la faccia seria di Valesir mi spegne il divertimento sulle labbra. Fuori dal pub si accende una sigaretta. «Solo fino a metà strada, ok? Poi te ne torni a raggomitolarti nelle coperte.»
Ci incamminiamo verso il centro della città in silenzio, ognuno immerso nei possibili pensieri dell’altro. Mentre il sole tramonta la luna è già in cielo con un vestito di nubi e qualche stella come dama di compagnia.
«Mi dai un tiro?», gli chiedo con voce roca. Mi offre la sigaretta ma invece di prenderla tra le dita appoggio i miei polpastrelli sotto il suo avambraccio e porto la sua mano alle mie labbra. Dopo aver aspirato una boccata abbasso lo sguardo e cerco di tirare fuori le parole che la paura mi trattiene in gola.
«Valesir, pensi che ci prenderanno prima o poi?»
Mi trema leggermente la voce e sento i palmi delle mani coprirsi di sudore freddo.
«Non lo so. Nessuno lo sa, tesoro», mi imita lui. «Ma analizzando quel poco che sappiamo dell’organizzazione, è più probabile che ci lascino agonizzanti su un marciapiede per poi portare il nostro scalpo al loro padrone, come trofeo.»
Butto fuori il fumo dalle narici strofinandomi la fronte con le dita. Non mi capita spesso di avere paura, non conosco questo sentimento e non so cosa fare quando mi annoda lo stomaco. Giorno dopo giorno semplicemente camminare per le strade diventa sempre più pericoloso e prima o poi saremo costretti a fuggire, non so dove; forse lontano dalle città, nella natura, forse addirittura in un altro pianeta.
Valesir mi fermò con una mano sul petto. «Devi tornare indietro, i lampioni si stanno accendendo», dice cercando i miei occhi con lo sguardo. È sempre così doloroso separasi da lui.
«Torna presto, però», indico le mie trecce. «Devi aiutarmi a disfare l’acconciatura.»
Porto una mano dietro al suo collo, tra i capelli corvini, e poso un leggero bacio sulle sue labbra. Lui mi lancia un ultimo sguardo ed entrambi facciamo dietrofront per tornare a casa.
Ci salutavamo sempre in quel modo, con un bacio. Non c’era mai stato amore tra noi, ma ognuno era necessario all’altro e una immensa amicizia costruita in tanti anni ci teneva insieme con catene di metallo.


Nota dell'autore: un capitolo piuttosto lungo e difficile a causa dei temi trattati. Aspetto con ansia le vostre recensioni per sapere cosa ne pensate. Buona lettura!

El
   
 
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