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Autore: Sheep01    14/09/2020    1 recensioni
[IT, Principalmente Movieverse, possibili accenni a Doctor Sleep]
Ogni giorno gli sembrava andasse un po' meglio, fino a quando non si trovava di nuovo a pensare a cosa avrebbe potuto fare per impedire quell'orribile, definitivo epilogo.
Se solo quel drammatico giorno avesse interpretato in modo fulmineo quello che le luci gli avevano suggerito. Quello che aveva visto, attraverso l'infinito mistero dei Pozzi Neri. Ma Eddie lo aveva strappato al suo tragico destino troppo presto, troppo rapidamente perché potesse assorbire appieno quello che la sua coscienza sul futuro gli stava rivelando.
Genere: Dark, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Cross-over, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 6

 

Richie si era reso conto di non essere più solo non appena aveva sentito Eddie imprecare.
Se c'era qualcosa a cui si poteva associare Eddie era il turpiloquio. Era sempre stato un ragazzino così rispettoso delle regole e delle imposizioni di sua madre che esprimersi in modo volgare era stato il suo primo vero e innocuo atto di ribellione. Influenza o meno di Richie, non era così certo di potersene prendere il merito.

«Ci baci tua madre con quella bocca, Eds?»

'Mia madre è morta... imbecille.'

Richie si ritrovò a sorridere, mentre lo stomaco faceva un verso strano, carico di sollievo. Danny se ne stava in disparte. Non era sicuro che potesse sentirlo anche lui, ma poco gli importava. Quella sottospecie di veggente aveva ragione: Eddie era davvero lì. Cercò di reprimere l'impulso di piangere di nuovo o di vomitare, ancora. Non era felice alla prospettiva di rendersi ridicolo al cospetto di Eddie o di Danny.

Si voltò appena in tempo per cogliere un'ombra, alle sue spalle. E poi il suo intero mondo fremere come scosso da un terremoto. Per un istante si sentì mancare la terra sotto ai piedi. Quello dopo fu come essere atterrato, stordito, dopo un salto nel vuoto. Lo stomaco fece un verso strano, le orecchie fischiarono, assestandosi.

«Ma che cazzo... ?»

«Richie.»

Sobbalzò alzando lo sguardo e Eddie era a un passo. Offuscato, come dietro a un sottile velo di organza, uno strato di nebbia. Dietro di lui si ergeva, imponente, la casa di Neibolt, così come la ricordava, così come compariva ogni dannata volta, nei suoi incubi più oscuri.

«Merda!» indietreggiò, incespicando sui suoi stessi piedi. Fu come viaggiare al rallentatore, in un cubo di gelatina. Tornò a guardare Eddie solo quando fu certo che tutto fosse troppo reale per essere solo un sogno.

«Come diavolo ho fatto a... ? E tu come diavolo sei... ? E...» percorse in pochi istanti la distanza che lo separava da Eddie, ma quando allungò una mano per toccarlo le sue dita non sfiorarono che aria. Dalle sue labbra emerse un gemito di delusione.

«C-che sta succedendo?» disse osservandosi le dita e poi l'atmosfera tutto intorno che sembrava coperta di una patina irreale.

«Non lo so», esalò questi, con occhi così enormi che quasi Richie poteva vedercisi riflesso.

Aveva Eddie a un passo. Questa volta non dietro a uno specchio; eppure, ancora, non poteva toccarlo. Lo stomaco gli fremette di frustrazione.

«Devo essere svenuto, è l'unica soluzione.»

«Se sei svenuto tu, sono svenuto anche io.»

«Se siamo svenuti in due per sognarci a vicenda, siamo proprio alla frutta.»

Non sapeva se ridere o piangere. Richie si voltò per cercare Danny con lo sguardo, per ricevere una spiegazione. Danny che, al contrario di Eddie, sembrava limpido e presente.

«Li vedi anche tu?» gli chiese.

Danny scosse il capo ma lo incalzò a continuare, qualsiasi cosa fosse. E solo allora si rese conto che c'era qualcun altro con loro: un uomo che se ne era rimasto in disparte per tutto il tempo.

«Ho fatto male i conti o qui siamo più di quanti dovremmo essere?»

«Sei... sei Richie, vero?» disse l'uomo facendo un passo nella loro direzione, «non credevo davvero ti avrei rivisto.»

Richie lo scrutò per qualche secondo, una sensazione familiare e improvvisa. La rivelazione arrivò l'istante successivo, senza farsi attendere.

«Non può essere...» esalò, guardando Eddie con aria accusatoria.

Eddie scosse la testa: «Non guardare me, ho scoperto questa cosa poco fa.»

«Stanley?»

L'uomo annuì una sola volta, venendo avanti con passo incerto. Per Richie fu come osservare una fotografia. L'immagine dello Stanley ragazzino poteva sovrapporsi a quella dell'uomo che ora gli stava di fronte, pochi centimetri di differenza in altezza, ma lo stesso viso, la stessa espressione, lo stesso identico modo di muoversi.

«Tutto questo è assurdo...»

Stan sorrise appena, stringendosi nelle spalle.

«Ho smesso da un po' di pensare all'assurdità di questa storia.»

«Da quanto tempo sei... ? Dio, non so nemmeno da dove cominciare». E non lo sapeva davvero. Sentiva le gambe molli, il respiro corto, gli occhi di nuovo umidi, assolutamente contro la sua volontà. Lacrime che faticavano ad esaurirsi, nonostante tutto. L'emozione incontrollabile.

Eddie si spostò di lato, il viso arrossato come quando era ragazzino e la situazione si faceva un po' troppo complicata o incomprensibile. L'eccitazione e l'aspettativa gli accendevano il viso.

«Tu non sei qui con noi, questo riesco a dirlo», disse Stan, alludendo a se stesso e Eddie, «devi essere dall'altra parte, non è così?»

«Dall'altra parte... sì, ovunque sia questa altra parte...» si passò una mano sul viso, un principio di nausea. Il mondo era avvolto da una nebulosa, come fossero rinchiusi in una bolla. Era convinto fosse a causa di quel suo potere. Era riuscito a raggiungere in modo virtuale quel mondo che stava nascosto, sotto la superficie. Quello a specchio di cui gli aveva parlato Danny.

Riaprì gli occhi dopo aver pateticamente cercato di calmarsi, di frenare il tumultuoso battito del proprio cuore. Due dei suoi migliori amici, due delle persone a cui aveva tenuto più di qualsiasi altra cosa al mondo erano lì, a portata di mano. Eppure così dannatamente lontani.

«D'accordo. Non so esattamente per quanto temo durerà questa cosa. Questa connessione, come l'ha chiamata Danny...»

«Chi è Danny?» domandò Eddie, non meno confuso dalla situazione.

«Una lunga storia», tagliò corto Richie, «una persona che sta cercando di aiutarmi a capire come farti...», guardò Stan, «come farvi uscire da lì. E tornare qui.»

«Pensi che si possa fare?» domandò Eddie, speranzoso, i suoi occhi carichi di fiducia, cieca fiducia. Richie se ne sentì sopraffatto. Non voleva nemmeno pensare alla possibilità di non riuscire a riportarli indietro.

«Ne sono sicuro», preferì confermare, piuttosto che tentennare, «ho solo bisogno di un po' della vostra collaborazione.»

Tornò su Stan, «La storia di come Eddie sia finito lì la conosco...» fin troppo bene. Pensò, dolorosamente, «la tua no. O meglio...»

Stan fece una smorfia, alzando gli occhi al cielo.

«Possiamo saltare i convenevoli. Mi pare evidente che sappiamo tutti cosa mi è successo».

Richie si zittì e Eddie abbassò il capo.

«In un modo o nell'altro qualcuno deve aver deciso che non era ancora arrivato il mio momento. Non definitivamente almeno.»

«Tua moglie ci ha detto che...»

«Sì. Sono morto», replicò sbrigativo, in un modo in cui solo Stan riusciva a non renderlo cinico, «E non so come sia possibile che io sia qui, e respiri... ma è quello che è accaduto. Mi sono risvegliato in una fogna. E ho seguito una tartaruga.»

Eddie fece un verso strano e Richie riconobbe nel racconto di Stan la stessa identica dinamica.

«E mi sono ritrovato all'uscita della cisterna. E poi ai Barren. Mi ci è voluto un po' per capire dove fossi, o chi fossi», si umettò le labbra, «ero solo, infreddolito, con un sacco di pensieri oscuri nella testa. E nudo come un verme.»

«Nudo come un verme?»

«Bè, suppongo che chiunque si sia divertito a riportarmi in vita mi abbia ripescato esattamente dov'ero nel momento della mia morte: a mollo in una vasca da bagno.»

«Cristo santo», biascicò Eddie, portandosi una mano alle labbra. Stan gli rivolse uno sguardo comprensivo, ma affatto propenso a lasciarsi andare a stupidi sentimentalismi. Stan sembrava aver accettato quella realtà. Quanto tempo aveva avuto a disposizione, per farlo?

«Mi sono trascinato fino a Derry, nel cuore della notte. Ho cercato un posto dove nascondermi, dei vestiti con cui coprirmi... per poi scoprire che niente di quello che avevo fatto aveva davvero importanza. Nessuno sembrava vedermi o sapere che fossi lì. Ho passato giornate intere a cercare di capire se ero un fantasma, uno zombie; ero convinto di essere impazzito.»

Eddie, poco distante annuì consapevole. Richie non poté far altro che sovrapporre le due storie in maniera immediata.

«E poi cos'è successo?» gli chiese Eddie, più desideroso di sapere di quanto non lo fosse Richie, come se da lui, più che da chiunque altro, dipendesse la responsabilità di uscire da quel posto.

«Ho tentato di tornare indietro...» esalò Stan, inspirando a fondo, come a prendere coraggio per raccontare qualcosa di ben più consistente.

«Per le fogne?» chiese Richie, avanzando di un passo, ancora incredulo ma piuttosto certo di non poter vacillare. Non a un passo dal capire come muoversi.

«Per le fogne» confermò Stan, osservando la casa di Neibolt con preoccupazione, «ma come capirete non è andata esattamente come mi aspettavo».

Il fatto che fosse ancora lì, intrappolato in una Derry che tanto somigliava alla loro, ma che non lo era per niente, era una prova molto più che sufficiente alle sue parole.

«Ci ho pensato anche io di tornare indietro» intervenne Eddie, visibilmente preoccupato, «ma mi è mancato il coraggio di farlo. Quel tunnel è spaventoso. E tutti quelle...»

«... voci», confermò Stan.

Per un istante Richie si sentì come un intruso, qualcuno che sta ascoltando una conversazione al tavolo di fianco al ristorante, senza riuscire a capire del tutto l'argomento in questione.

«Non avevo alternative. O non credevo di averne. Sono tornato ai Barren. Mi sono fatto coraggio. Ho pensato che tornare indietro sarebbe stato un atto di fede, niente di meno di quello fatto per finire in questo posto, seguendo una tartaruga. Quanto difficile avrebbe potuto essere, dopotutto? Un tunnel, oscuro e spaventoso, ma solo un tunnel. Ma appena mi sono affacciato ho sentito l'alito fetido di Derry in quelle cavità oscure. Come una bocca spalancata sull'inferno. E le voci, tutte quelle voci che gridavano... come anime perdute.»

«È questo che credi che siano?» domandò Eddie, «anime perdute?»

«Non lo credo. Penso... di esserne pressoché sicuro dopo quello che mi è successo quando ho tentato di tornare indietro.»

Il volto di Eddie si fece cadaverico, più di quanto già non fosse, a seguito di quella confessione. Richie, dal canto suo, non poteva far altro che sperare che Stan incalzasse con il suo racconto, che gli svelasse che diavolo di impedimento ci fosse al loro naturale ritorno. Perché ebbe come l'impressione che la sua vista riprendesse a vacillare, il mondo attorno a sé a fremere come scosso dalla vibrazione di un tuono lontano.

«Stan, non vorrei interrompere l'enfasi del tuo racconto ma non credo mi sia rimasto molto tempo. Ho bisogno che tu mi dica cosa è successo. Ho bisogno di avere più informazioni possibili, prima che questa... finestra o vattelappesca che si è innescata per parlare con voi, svanisca...»

«Non credo sia possibile tornare indietro» disse allora Stan, saltando qualsiasi altro convenevole, «non per le fogne almeno. Quando ci ho provato ho ripreso a sanguinare» mostrò i polsi, le lunghe cicatrici che lo decoravano macabramente, «quando sono arrivato qui non le avevo. Ho ricordato in seguito le incisioni... che mi ero procurato. E... la vasca piena di...» si interruppe, vinto dall'emozione. L'idea di dover riportare a galla, ad alta voce, il giorno in cui aveva deciso di togliersi la vita troppo doloroso. Gli ci volle qualche istante per riprendersi, ma quando lo fece, la sua voce era di nuovo salda.

«I miei polsi si sono aperti, il sangue ha cominciato a sgorgare copioso. E le voci che ho sentito si sono fatte così intense da divenire assordanti. Ho sentito le forze abbandonarmi. Sono riuscito a tornare indietro prima di restare intrappolato in quel tunnel. Di morirci... di nuovo, lì dentro. Come tutte le anime perdute che gridavano da dentro il tunnel. Tutte le persone che non sono riuscite a uscire da quel tunnel o che ci sono tornate e sono morte nel tentativo... io credo.»

Richie fece scattare immediatamente lo sguardo su Eddie. Aveva gli occhi sgranati, una maschera incredula. Tanto quanto doveva sembrarla la sua. La confessione di Stan che altro poteva voler dire se non che tentare di tornare indietro significava rivivere la propria morte? Se a lui si erano riaperte le ferite ai polsi, Eddie a quale macabro destino sarebbe corso incontro? Avrebbe ripreso a sanguinare? Quella sua ferita si sarebbe riaperta, avrebbe dovuto vomitare sangue come quando Pennywise gli aveva infilato un artiglio nello stomaco, disfacendogli le viscere?

Si sentì male al pensiero. La sola immagine, il solo ricordo, gli procurò un conato di vomito.

E di più, si sentì frustrato al pensiero di non poter afferrare entrambi e trascinarli lì, nella Derry in cui erano cresciuti, nella Derry in cui avevano sconfitto quel mostro di IT; una Derry odiosa, violenta, nauseabonda, ma la stessa Derry che li aveva fatti conoscere.

«Che è successo una volta che sei riuscito a tornare indietro?»

«Le ferite hanno ripreso a rimarginarsi. Non immediatamente, ma più rapide del previsto. Nel giro di un paio di giorni non erano rimaste che due cicatrici bianche. Immagino perché non sono rimasto dentro al tunnel poi così a lungo.»

Richie annuì distrattamente.

E se quello in cui erano finiti fosse l'unico universo a cui Eddie e Stan potessero aspirare pur di restare in vita? Se quelle finestra, quello specchio in cui Richie riusciva a sbirciare non fosse che l'unico modo per poterli rivedere... per sempre?

Dopotutto Danny aveva scelto le parole in modo molto specifico, solo qualche manciata di minuti prima: una morte in questo universo, per una vita... nell'altro.

Il fischio nelle orecchie divenne intenso.

«Richie...» la voce di Eddie lo riscosse dal tornado emotivo di quella pseudo rivelazione «stai scomparendo».

Richie si guardò attorno, osservando i contorni del loro universo farsi meno nitidi.

Di nuovo sentì il mondo fremere come scosso dal tremore di un tuono, la stanchezza che gli si caricava addosso come un manto: il tempo stava per terminare.

«Non sono sicuro di avere ancora tutte le informazioni necessarie...» disse, e improvvisamente sentì il bisogno di rassicurare Eddie. E forse, anche un po' se stesso, «ma riusciremo a capire che sta succedendo e come riportarvi qui».

Guardò Eddie annuire, e Stan, vicino a lui, osservarlo serio e imperturbabile. Se conosceva abbastanza Stan, così come credeva di averlo fatto per la sua intera infanzia, sapeva che gli stava dando la sua placida fiducia. Sentì addosso tutta la responsabilità di quegli assurdi avvenimenti, ma nello stesso istante, guardando i suoi amici divenire inconsistenti, ma pulsanti di vita in un altro luogo, capì che doveva tentare, con tutte le proprie forze.

Allungò una mano, come se potesse toccarli. Quando Eddie fece lo stesso vide le sue dita sfiorare le proprie e passargli attraverso. Lo stomaco gli fece un verso strano.

E poco prima di vederli svanire, fissando a fondo negli occhi di Eddie, seppe che avrebbe fatto di tutto, per potergli stringere ancora la mano.

 

*

 

Eddie sentì il bisogno di mettersi a sedere. Per essere un fantasma – ancora non era poi così convinto di non esserlo – sentiva il proprio corpo reagire alle emozioni in modo fin troppo reale.

«Ti senti bene?» gli domandò Stan, raggiungendolo sui gradini della casa diroccata, sedendogli accanto, dopo aver spazzato via qualche foglia rinsecchita.

«Non direi, no», gli rispose, prendendosi la testa fra le mani, inspirando a fondo. Si sentiva improvvisamente catapultato indietro nel tempo. La difficoltà nel respirare che aveva sempre creduto un attacco d'asma che non era altro che l'avvento di un insensato attacco di panico. Se c'era un momento in cui farsi prendere dal panico, nessuno lo avrebbe biasimato se avesse scelto proprio quello.

«Se avessi seguito l'istinto e fossi tornato ai Barren... per tornare in quel tunnel, avrei fatto proprio una fine di merda, non è così?». Eddie sapeva che non era solo quella la preoccupazione che lo dilaniava. L'aver rivisto Richie, averlo sfiorato di nuovo, averci parlato, molto più a lungo di quanto non avesse fatto l'ultima volta, gli aveva scatenato dentro una tempesta emotiva che ci avrebbe messo molto a smaltire. Per non parlare dell'aver ritrovato Stan.

L'uomo al suo fianco si strinse nelle spalle.

«Non saprei» gli confessò con un sorriso triste, «non sono stato messo al corrente di come tu sia finito qui. Di come tu sia morto. Perché suppongo sia stata quella la tua fine, giusto?»

Eddie rialzò lo sguardo. Un po' inebetito, un po' sorpreso.

Come aveva fatto a non pensarci prima? A meno che Stan non avesse sviluppato delle capacità telepatiche non c'era modo per cui sapesse cosa era successo a Derry dopo la sua morte.

«Cazzo. Cazzo, cazzo!»

Stan scosse la testa reprimendo un sorriso.

«Già, direi che cazzo racchiude in sé tutto ciò che c'è da dire su questa faccenda.»

«No, proprio per un... cazzo! Dio, non ti ho nemmeno chiesto come tu abbia fatto a riconoscermi o capire che fossi qui o...»

«Non sei cambiato poi così tanto, Eddie. Certo, non ero sicuro fossi proprio tu. Ma...»

«Da quanto mi tenevi d'occhio?»

«Dal giorno in cui sei finito al parco di Bassey.»

«Perché non ti sei fatto avanti subito? Ero così... così spiazzato! L'unico che sembrava vedermi era quel vecchio che...»

«Il signor Taylor. Sì.»

«Lo... lo conosci?»

«È stata l'unica persona a rivolgermi la parola dacché siamo finiti qui. Credo che possieda un potere speciale. Per vedere la gente come te e me. Quelli venuti dall'altra parte

A Eddie non sembrò un discorso così campato per aria.

«Sì... mi ha fatto un discorso strano, non sono riuscito a capirlo. Non del tutto.»

«Credo che la gente pensi che sia un po' suonato. Dice di averne visti tanti andare e venire. Da anni. Credo siano le ondate di ragazzini che cadevano nelle grinfie di Pennywise.»
«Ha parlato di una tempesta...»

«Sì, credo che sia la tempesta che ha quasi rischiato di trascinarsi via Derry, poco prima che tu ed io arrivassimo qui. Dice di non aver mai visto tanta gente essere vomitata fuori dal tunnel. Come se qualcosa avesse scosso Derry dalle fondamenta» guardò Eddie, «Pennywise è morto, non è vero?»

Eddie sgranò gli occhi e si ritrovò ad annuire. Stan non sapeva con certezza nemmeno quello, come avrebbe mai potuto? Se ne era andato prima. Realizzò la cosa solo in quel momento. Dopotutto nemmeno lui era riuscito ad assistere alla fine del clown. Ma Richie glielo aveva confermato e di Richie si fidava, più di chiunque altro al mondo.

«Allora è possibile che questa tempesta e questa ondata di anime sia stata scatenata dalla sua morte. O qualcosa... qualcosa del genere», concluse l'uomo. Ma Eddie non lo stava più davvero ascoltando.

«Perché lo hai fatto, Stan? Perché ci hai abbandonati? Avevamo bisogno di te. Avevamo... promesso.»

Lo sguardo di Stan sembrò vacillare per un istante. La sua calma, la sua sicurezza, offuscata da un'ombra terribile. Come non si aspettasse una simile domanda, a bruciapelo.

Eddie riuscì a leggergli addosso il terrore. La disperazione. Come quel giorno in cui, ancora ragazzini, si erano addentrati nelle fognature per andare a cacciare IT per la prima volta.

Allungò una mano e, dopo un istante di esitazione afferrò quella di Stan. La sola possibilità di poterlo fare gli sembrò incredibile. Sentirlo solido e caldo al contatto gli scaldò il cuore. Il primo vero contatto umano dacché aveva ripreso coscienza di sé.

«Ci sei mancato, Stan», si ritrovò a dire, per giustificare la sua mancanza di tatto o solo la sua velata accusa che tale poi non voleva davvero essere. Probabilmente avrebbe lui stesso valutato la possibilità atroce, all'alternativa di tornare a Derry. Sapere che sarebbe finita comunque a quel modo...

«Anche voi mi siete mancati. Non sapete nemmeno quanto» mormorò questi, un sorriso sghembo a illuminargli il viso.

Mike aveva detto loro che Stan era stato il primo a ricordare. Il primo ad essere investito da un'ondata irrefrenabile di ricordi. Forse ne era stato sopraffatto. Forse era quello ad avergli impedito di portare a termine una promessa durata quasi trent'anni. Stan era sempre stato quello più sensibile fra loro, quello più razionale, meno propenso a credere. Ma anche proprio per questo motivo il più soggetto a farsi crollare addosso un mondo intero per aver realizzato quanto potesse essere reale il pericolo.

«Come facevi a sapere che Richie si sarebbe trovato a Neibolt?» gli venne in mente tutto d'un tratto, guardandolo con aria interrogativa.

Stan scrollò le spalle.

«Non lo sapevo. Non sapevo nemmeno fosse Richie a richiamarmi in quel luogo. A volte ho come l'impressione che la città comunichi con me. La città o qualsiasi altra cosa sia. Quando sei arrivato qualcosa mi ha spinto a venirti a cercare al parco. Ed è lì che ti ho trovato. Ma volevo essere assolutamente certo che fossi tu. Magari restare qui per troppo tempo ti fa diventare parte di questo posto. Essere e non essere vivi... forse ha qualcosa a che fare con questa condizione.»

«Mi sta salendo il mal di testa.»

Stan rilasciò la prima vera risata da quando l'aveva rivisto.

«Benvenuto nel mio mondo.»

«No, dico sul serio... è pazzesco. Riusciremo mai a capire come funziona questo posto?»

«Lo spero davvero. Credo che Richie avrà bisogno di una mano. Anche se ancora non mi è chiaro come sia possibile che riesca a comunicare con noi.»

«Credo sia merito delle luci. Dei pozzi neri. Ricordi di come Beverly ci è rimasta intrappolata quando eravamo ragazzini?»

«Beverly, certo che me lo ricordo. Ricordo anche che ci aveva detto di aver intravisto il futuro...»

«Già. Ci sono cose che però non ci ha davvero detto», Eddie non dovette fare uno sforzo per capire che Stan aveva intuito che Beverly sapeva già delle sua morte e che non l'avesse presa sul serio come avrebbe dovuto, «bè, anche Richie ha subito la stessa sorte, quando siamo tornati a prendere quel cazzo di Clown.»

«Catturato dalle luci?»

«Già... poco prima che io...» fece una smorfia, ricordando esattamente quell'istante. Il dolore, lo sconcerto. L'inesorabile accettazione della sua stessa fine. Lo avrebbe rifatto. Oh sì, lo avrebbe rifatto eccome pur di sottrarre Richie all'influenza di quella mostruosità. «Credo che Richie sia rimasto intrappolato il tempo sufficiente per vederci anche lui qualcosa in quelle luci. O per sviluppare non so che abilità speciale. Pennywise gli ha lasciato un regalo. Forse l'unica cosa utile che quel mostro abbia fatto per noi.»

«L'unica sì. Perché non credo ci sia niente di positivo nell'aver incontrato quel mostro.»

Eddie gli rivolse uno sguardo consapevole.

«A parte averci permesso di conoscerci.»

L'unione data dalla determinazione di sconfiggerlo. Un'amicizia che era stata loro sottratta perché troppo forte ed efficace. Una maledizione per permettere a IT di dormire sogni tranquilli, prima di tornare a colpire, ventisette anni dopo, ignaro della loro promessa.

«Non avrà mai un ringraziamento da parte mia, in ogni caso. Anche da morto continua a crearci problemi» si indicò come a rendere evidente la loro situazione.

«Su questo non posso darti torto, Stan... ma sono sicuro che se daremo una mano a Richie riusciremo a uscire da questa situazione.»

«Richie», esalò questi, alzando lo sguardo al cielo, «se mi avessero detto che la mia vita sarebbe dipesa da Boccaccia, un giorno, non ci avrei creduto...»

Eddie sbuffò una risata.

«Per questo ho detto che gli daremo una mano. Non può farcela senza di noi, quel perdente» ma lo disse con tutto l'affetto possibile.

 

*

 

«Stai d-dicendo s-sul serio? S-Stan? Il n-nostro Stan?» Bill aveva ripreso a balbettare. Forse la troppa eccitazione o il solo pensiero di dover, per l'ennesima volta, affrontare qualcosa di sovrannaturale, sembrava riportare in vita quel suo vecchio difetto.

Richie non sapeva dire se fosse una cosa positiva o meno, ma di certo era più familiare di qualsiasi altra cosa fosse stato costretto ad assistere in quegli ultimi giorni.

«Non conosco altri Stan. Non ne ho conosciuti altri in questi anni, quindi sì, direi proprio che è il nostro Stan quello che ho visto. Aveva anche lo stesso ciuffetto idiota. Era proprio Stan.»

Beverly si era portata le mani alle labbra, indecisa se piangere o meno, Ben le aveva passato un braccio attorno alle spalle.

Mike, dalla parte opposta del cortile, non sapeva più come gestire le sue stesse braccia.

«Dunque... da quello che ci hai detto il passaggio dai Barren è escluso. Il fatto di poterlo eliminare dalla liste dai luoghi oscuri da esplorare devo dire che mi rincuora», disse avvicinando Richie per avere una conferma.

«Chi ha detto che sia escluso?» ribatté, guardandolo con aria perplessa.

«Bè, hai detto che tornando indietro Stan ha rischiato di morirci... di nuovo. Insomma.»

«Sì certo. Ma questo non esclude il fatto che non sia una possibilità a prescindere.»

«Sono... confuso.»

«Ding, mettiti in fila Mike!» lo apostrofò prima di voltarsi di nuovo verso Danny, «ancora non ci hai detto che ne pensi di questa cosa, Doc.»

Danny si strinse nelle spalle, con la pacatezza che lo contraddistingueva.

«Credo che, se sia stato possibile finire laggiù, possa e debba esserci un modo anche per tornare indietro», confermò e Richie lo indicò come se avesse appena detto una verità imprescindibile, «hanno entrambi parlato di una tartaruga, i tuoi amici. Tu stesso hai parlato di una tartaruga, il giorno in cui hai sentito la voce di Eddie per la prima volta.»

Richie annuì e incontrò lo sguardo di Mike prima e quello di Bill, poi.

La dannata, benedetta tartaruga. La tartaruga che era morta. E risorta? Oppure... oppure.

«Pensate che un essere antico più dell'universo possa aver lasciato degli eredi, prima della sua fine?» domandò Richie, cercando di rielaborare il suggerimento di Danny.

«Eredi?» domandò Ben.

«Eredi sì, piccole uova. Uova che si sono dischiuse e hanno generato tanti piccoli tartarughini celestiali...»

«In grado di creare infiniti universi», concluse Mike colto da un'improvvisa ispirazione.

La storia di Maturin, che vomita un intero universo. Maturin che muore nel tentativo di creare altre galassie. Storie che avevano sentito dalle stesse labbra di Mike, solo poche settimane prima.

«Un dio tanto potente da creare galassie e universi può aver generato figli altrettanto potenti», incalzò Richie, «gli stessi che hanno creato l'universo in cui Eddie e Stan sono finiti.»

Si voltò a osservare Danny per avere una conferma o un barlume di essa.

Danny che si era tenuto in disparte fino a quel momento, annuì.

«Penso che ci sia solo un modo per scoprirlo», gli occhi di tutti erano adesso su di lui, «ed è quello di cercare un contatto con questa fantomatica... tartaruga.»

 

*
 

Richie non aveva altro modo per scaricare lo stress se non finendo quasi un intero pacchetto di sigarette. Aveva bisogno di dormire, anche. Lo sforzo che aveva fatto per mantenere il contatto con Eddie e Stan lo aveva spossato oltre ogni misura. Gli ci sarebbero volute almeno dieci ore di sonno per smaltire quella stanchezza. Forse tutta la vita per riprendersi davvero da tutto quanto.

Danny aveva deciso di fermarsi a Derry più a lungo del previsto e Richie aveva scoperto di non avere nulla in contrario. Il ragazzo – se così si poteva chiamare un rampante quarantenne – cominciava davvero a stargli simpatico. Inoltre sembrava avere sempre le giuste intuizioni o a dare i corretti suggerimenti per la risoluzione di quell'intricata faccenda.

Lo Shining non doveva essere un dono così inutile, dopotutto.

Le scale di fronte alla biblioteca erano diventate il suo luogo di ritiro preferito. L'appartamento di Mike era davvero troppo affollato. Il fatto che fossero arrivati tutti insieme e che nessuno di loro sembrasse volersi separare, questa volta, aveva portato Mike ad allestire un vero e proprio accampamento nell'appartamento ormai praticamente vuoto. Il letto e il divano letto e qualche branda recuperata per l'occasione. Una in più per Danny.

Spense l'ennesima sigaretta contro uno degli scalini, rilasciando uno sbuffo di fumo nell'aria quando la porta alle sue spalle si aprì. Era così convinto fosse Beverly che vedere Danny fu per lui una sorpresa.

«Mike si chiedeva dove fossi finito» disse.

«Puoi dire a Mike che sto solo cercando di non impregnargli di fumo l'appartamento». Non poteva gestire le paranoie di Mike sui suoi vizi, non quella sera.

Danny sorrise e si infilò le mani nelle tasche.

«Non mi ha mandato lui, se è questo che credi. Sono uscito solo per prendere una boccata d'aria. Serate del genere sono rare, a settembre, nel Maine.»

Richie alzò la testa: sporadiche nuvole e un cielo che, nonostante le luci cittadine, rivelava il suo manto trapuntato di stelle.

«Ti senti romantico, Doc?»

«Se godersi una bella serata è da considerarsi romantico, allora sì» lo vide abbassare lo sguardo al pacchetto che stringeva fra le mani, «Fumavo anche io un pacchetto al giorno...»

Richie alzò di nuovo lo sguardo, sorpreso. Accartocciò fra le mani il pacchetto ormai vuoto.

«Mi spiace, non ne ho più da offrirtene, magari può esserti d'aiuto Bev.»

«Oh no. Non fumo. Non più. Ho smesso, come ho smesso di bere.»

Richie inarcò un sopracciglio.

«Spero tu non abbia rinunciato anche al sesso o comincerò a pensare di trovarmi al cospetto di una specie di entità sovrannaturale, amico.»

Danny rise e gli si sedette accanto.

«Eppure...»

«No, ti prego, non dirmelo!»

Lo sentì ridere più forte.

«No, solo i primi mesi agli alcolisti anonimi», disse stringatamente, «era sconsigliato. Ma ormai sono sobrio da diciotto anni, quindi, sai...» non concluse la frase, sicuro che Richie avrebbe compreso dove andasse a parare il discorso.

«Oh, Dio, scusa, non... lo sapevo.»

«Scusa, perché?» gli chiese l'uomo, stringendosi nelle spalle, «non ho nulla di cui vergognarmi... ora.»

Richie abbassò il capo, stringendo la mano sul pacchetto di sigarette. Per anni aveva valutato la possibilità di andare a uno di quegli incontri, sebbene fosse più che convinto di non aver davvero un problema con l'alcool. Ma in quei giorni rinunciare era stato più difficile del previsto e se ora non aveva le labbra a ventosa su una bottiglia era solo per amore di Mike e delle sue preoccupazioni a riguardo. E sopra tutto il pensiero di dover rimanere lucido per Eddie. E per Stan, naturalmente.

«No, no certo... non volevo dire che... insomma...» si umettò le labbra, «lascia perdere, sono molto, molto stanco.»

«Comprensibile», lo giustificò Danny dopo qualche istante di silenzio. Poteva sentire il suo sguardo su di sé. Per un istante ebbe paura che potesse leggergli addosso il suo timore di essere scoperto. Come se fra simili ci si potesse riconoscere a pelle. Come avesse potuto annusargli addosso la paura di non riuscire a mettere un fermo a quella sua irrefrenabile voglia di bere. O peggio se glielo avesse letto nella mente. Con quel suo potere terrificante e speciale al tempo stesso.

«Stavo pensando a Eddie e Stan», se ne uscì fuori all'improvviso, imbastendo insieme la prima cosa che gli venisse in mente per deviare l'attenzione sul discorso.

«Riguardo a cosa?»

«Bè... per esempio... che stanno facendo, in questo momento? Dove sono... in questo momento. E quando sarà la prossima volta che riuscirò a vederli.»

«Questo immagino dipenderà da te. Ma se è come penso, sarà sempre più semplice entrare in contatto con loro.»

Richie alzò lo sguardo su di lui.

«Tu pensi?»

Lo vide annuire.

«Man mano che prenderai confidenza con il tuo potere, sarà più facile manovrarlo, usarlo.»

«Immagino che per te sia un gioco da ragazzi ormai... hai detto di avere lo Shining da quando eri un... ragazzino, no?»

Danny si fece vagamente serio, prima di annuire un'altra volta.

«In realtà ho cercato di reprimerlo per così tanto tempo che ho dovuto togliere un bel po' di ruggine prima di poterlo usare di nuovo.»

Richie lo fissò per qualche istante e percepì in qualche modo, il suo tormento.

«Come hai fatto a... ?»

«Il modo più rapido ed efficace per smettere di sentire le cose è stordirle. Fino a quando ho avuto Halloran a farmi da mentore sono riuscito a gestire lo Shining, ad ascoltare e domare le voci nella mia testa, ma quando è venuto a mancare non ero che un adolescente che sentiva troppo che aveva troppa paura e non riusciva ad accettarlo. E poi un adulto che invece di affrontare i suoi problemi ci ballava su, completamente strafatto. Ho innaffiato con l'alcool tutto ciò che sentivo, per così tanto tempo, che alla fine le voci sono praticamente sparite...» lo guardò, «ma non è servito granché, quando poi le cose si sono fatte serie di nuovo.»

«Serie come?»

«È una storia un po' lunga Tozier, ma fidati se dico che se sono ancora qui è perché ho dato ascolto allo Shining. E ho smesso di stordirlo inutilmente invece di imparare ad allenarlo.»

«Io sto cercando di imparare a... gestirlo.»

Danny sorrise.

«Lo so ed importante che continui a farlo. Tu e Beverly a dire il vero. E anche tutti gli altri, visto come si sono messe le cose.»

Richie annuì.

«Beverly però non ha ancora capito come mettersi in contatto con Eddie o...»

«Ci riuscirà. Siete tutti legati da un filo invisibile. Riesco a capirlo solo guardandovi.»
«E questo basterà?»

«Se è stato sufficiente a uccidere il mostro che vi ha tormentato sin da bambini, sono sicuro che sia la chiave per affrontare anche questo.»

Richie guardò Danny con uno sguardo carico di riconoscenza. Aveva bisogno di sentire parole di conforto, nemmeno sapeva quanto.

Arrivate da qualcuno che nemmeno conosceva così bene, e che non aveva motivo di infondergli false sperante, gli sembravano anche più importanti.

Getto il pacchetto di sigarette accartocciate verso il cestino della spazzatura, facendo centro.

Gli sembrò di buon auspicio.

 

Continua...

 

Note: Un po' di spiegazioni in questo capitolo. Avevo bisogno di schiarirmi le idee prima di buttarlo giù. Spero di riuscire a scrivere in modo più spedito, nei prossimo giorni.

A presto.

  
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