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Autore: Sabriel Schermann    14/09/2020    7 recensioni
«Da qui si vede Il Cigno, guarda!» aveva detto rivolta a Isabella, indicando il ponte con un ampio sorriso. L'oscurità ne risaltava le luci colorate, di cui era particolarmente distinguibile il colore bianco.
«È bellissimo» l'aveva udita sussurrare, senza tuttavia muoversi dal cornicione. «È persino più bello di quanto lo sia da vicino...»
Aveva notato qualcosa, anche se non sapeva dire che cosa, negli occhi di Isabella quando le aveva afferrato la mano, in quel momento di distrazione. Il suo sguardo era puntato sul paesaggio e lei ne aveva approfittato per trascinarla con sé sul tetto, salvandole la vita.
Nella spinta, la ragazza le era caduta addosso, facendola rovesciare sulla schiena, ma non si alzò. Rimasero così per qualche istante, Isabella con l'orecchio puntato contro il cuore di uno sbirro.
[Storia partecipante al contest "Wish upon a star" indetto da inzaghina.EFP sul forum di EFP]
[Storia partecipante al contest "Seasons Die One After Another II edizione" indetto da Laila_Dahl sul forum di EFP]
Genere: Introspettivo, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'La Casa di Cristallo'
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Disclaimer: non sono consapevole di come funzioni una centrale di polizia nel particolare, né di come sia il lavoro delle forze dell'ordine, per cui mi arrogo la “licenza poetica” sul testo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Isabella non voleva morire

 

 

 

 

 

 

 

 

Sindy si mosse tra le lenzuola per l'ennesima volta quella notte, spalancando gli occhi nel buio: la sveglia che Rickard le aveva regalato segnava ora le 04:47; l'ultima volta che aveva chiuso gli occhi erano le 02:30 circa, il che significava che doveva aver dormito poco più di un paio d'ore. Decisamente non male per uno sbirro che, solamente qualche ora prima, aveva provveduto a salvare una ragazzina con palesi istinti suicidi. Tale Isabella – così si chiamava la giovane – aveva deciso di passare la serata in modo alternativo, evidentemente in cerca di un po' di adrenalina, scalando il palazzo in cui abitava nel tentativo di gettarsi di sotto, senza avere realmente il coraggio di farlo. Sindy aveva appena obliterato il tesserino quando un agente l'aveva richiamata quella sera, ordinandole di recarsi in fretta in Prinsenstraat, a venti minuti di distanza dalla centrale, costringendola a un paio d'ore di lavoro straordinario.
Appesa al cornicione di un palazzo di dieci piani, per un istante maledisse Derek e la sua abitudine di andare in ferie in autunno; era toccato a lei quel lavoro sporco, lei che non aveva figli da cui dover tornare, ma solo un ghiaccio da scalfire con le proprie lame.
«Se avessi voluto buttarti a quest'ora l'avresti già fatto» aveva detto quasi sprezzante alla giovane, «O ti saresti inventata un modo per ucciderti prima».
Pensò che probabilmente Isabella voleva soltanto attirare l'attenzione, forse era una delle tante ragazze costrette a prendersi cura di se stesse senza alcun supporto da parte della famiglia, ma decise di tenerselo per sé.
04 e 59 minuti. Tra due ore avrebbe dovuto nuovamente infilare la divisa e un nuovo caso sarebbe stato aperto alla centrale di polizia di un anonimo quartiere di Rotterdam; fortuna che, questa volta, ci sarebbe stato anche il suo partner con lei.
Sentì il coinquilino muoversi tra le lenzuola, rovesciandole un braccio sul collo. Sindy sbuffò: accadeva spesso quando si addormentava supina. Quando aveva accolto Rickard in casa sua, col pretesto di ospitarlo in attesa di una sistemazione più comoda e un lavoro sicuro, non aveva preso in considerazione l'idea che il ragazzo con cui divideva il letto potesse essere un cavallo imbizzarrito durante la notte.
Si volse su un lato e, prima che se ne accorgesse, Morfeo l'accolse nuovamente tra le sue braccia, restituendola al mondo solamente dopo che qualche trillo le penetrò violento i timpani.
Rickard allungò il braccio nella sua direzione, cingendole involontariamente le spalle per silenziare l'aggeggio infernale che avrebbero entrambi volentieri bandito dalle loro esistenze.
«Mi hai di nuovo rubato le coperte stanotte» l'udì brontolare con voce roca, tornando sul proprio materasso e voltandosi dall'altra parte. «È colpa tua se mi prendo sempre il raffreddore!»
«Tu invece mi hai di nuovo tirato un pugno» replicò la giovane tirandosi a sedere a fatica. Nonostante la pigrizia, Sindy aveva ormai fatto l'abitudine ad alzarsi presto al mattino; merito senz'altro degli anni passati ad allenarsi al palaghiaccio prima che la pista si riempisse di ospiti indesiderati.
«Sai che non lo faccio apposta» udì piagnucolare il coinquilino dalla camera da letto. In verità, ciò che più la turbava era il sogno che aveva fatto quando si era riaddormentata, troppo inquietante perché riuscisse a dimenticarlo appena sveglia.
Sindy strisciò fino al bagno, addentrandosi poi in cucina per preparare una grande tazza di latte caldo, annegandoci all'interno un po' di polvere scura. Per Rickard, invece, decise di usare la macchinetta che il proprietario dell'appartamento le aveva lasciato, nel rispetto dei gusti sofisticati del ragazzo in materia di caffè.
Una voce assonnata interruppe il suo flusso di pensieri: «Anche oggi giornata infernale?»
L'amico prese posto di fronte a lei, come ogni mattina, sussurrando un «grazie» alla vista della tazzina piena.
«Non lo so, spero di no» riuscì solo a sospirare, e l'altro rispettò il suo silenzio. Sapeva quanto Sindy detestasse conversare, specialmente di prima mattina e in particolar modo di qualcosa che cercava di nascondere persino a se stessa: lavorare in polizia le piaceva, non poteva negarlo; il crimine l'intrigava, e la possibilità di potersi rendere utile ancora di più. Tuttavia, dopo due anni passati a relegare il pattinaggio al proprio tempo libero, non poteva più eludere il bisogno di tornare a competere sul ghiaccio.
Per quanto amasse la sua squadra, sentiva qualcosa affievolirsi in lei ogni giorno di più, come una fiammella su cui cade persistente una pioggia leggera, o una piantina che nessuno si preoccupa di innaffiare durante il torrido caldo estivo.
Ecco, la sua essenza era come un vegetale nel deserto, senza sapere come o perché: anche se non voleva ammetterlo, da quel deserto lei voleva uscire con ogni fibra del proprio essere.
«Hai dormito bene?»
La voce di Rickard interruppe nuovamente i pensieri mattutini, gli stessi che ormai occupavano la maggior parte dei momenti morti della sua giornata, compresi quelli che passava al palaghiaccio, allenandosi con Jan fino a notte fonda.
E, ogni volta, i dubbi tornavano più forti di prima, senza che lei fosse in grado di risolverli.
«Più o meno, ho fatto un sogno strano» replicò, sebbene non avesse alcuna voglia di parlarne. Per quanto si sforzasse, nel tentativo di adattarsi, l'animo socievole del ragazzo faticava a reprimersi davanti al carattere riservato di Sindy.
Prima che se ne accorgesse, però, le venne una gran voglia di renderlo partecipe del proprio malessere: «Ho sognato della gente impiccata. C'erano dei corpi appesi dalla testa, tutti morti, tutti sembravano uomini. E la terra sotto i loro piedi era arida come quella delle campagne...»
Parlare con Rickard le aveva sempre fatto bene; lui si sforzava di comprenderla, per quanto non sempre ci riuscisse appieno. Eppure, in qualche modo riusciva a guardarle dentro come solo Jan, che l'aveva cresciuta, sapeva fare.
«Dovresti capire il significato» le suggerì, «o forse è solo colpa del documentario che abbiamo visto sugli ebrei...»
«Ma l'abbiamo visto una settimana fa! E poi non c'era gente impiccata» bofonchiò Sindy con un ghigno divertito: solo Rickard poteva uscirsene con motivazioni simili a un sogno che certamente non aveva nulla a che fare con qualche anonimo documentario. «Comunque ora devo andare» aggiunse facendo per alzarsi, tentando così di porre fine a una conversazione che, lo sapeva, avrebbero certamente ripreso quella stessa sera.
Appena una decina di minuti dopo si presentò sulla porta, intenta ad allacciarsi le scarpe per incamminarsi verso la centrale. Tra tutto ciò che la rendeva meno olandese di quel che era, il suo genuino astio per quell'aggeggio infernale che era la bicicletta, era senz'altro la caratteristica che più risaltava: chiunque lo scoprisse non poteva trattenersi dall'emettere d'istinto un sospiro di stupore.
Eppure, Sindy preferiva di gran lunga affrettarsi a camminare piuttosto che montare su due ruote e pedalare, col rischio di scontrarsi con qualche altro ciclista incallito e frettoloso.
Quando obliterò il tesserino, il suo udito poté chiaramente distinguere la voce del capo provenire dalla sala riunioni.
Come aveva immaginato, fece appena in tempo a poggiare la giacca sull'appendiabiti che Derek la trascinò fuori dall'ufficio in gran fretta. «Hanno già iniziato» l'ammonì, «Appena rientrato e già un nuovo caso!» sbuffò.
Il capo, o signor Hitler, come l'aveva soprannominato per la somiglianza col dittatore, era in realtà un uomo dall'aria dura e severa, ma dall'indole estremamente buona: Sindy aveva avuto occasione di rendersene conto più volte nel corso di varie indagini, specialmente quando le permetteva di assentarsi per settimane intere per pattinare a qualche spettacolo.
Stavolta, però, la questione sembrava particolarmente seria: un'espressione preoccupata campeggiava sui volti dei presenti, incluso il proprio partner.
Fu l'agente supervisore Langeland, alias signor Hitler, a risolvere ogni dubbio: «C'è un altro caso, e a quanto pare c'entra con la ragazza che l'agente Sindy Schermann ha salvato ieri sera, ossia Isabella Hendriks. Pare sia scomparsa».
L'uomo lasciò il fascicolo sul tavolo per poi dileguarsi. Quando veniva denunciata una scomparsa, era normale procedura parlare con i familiari, poi i conoscenti, gli insegnanti se la vittima era ancora uno studente; poi si sarebbero analizzate le tracce presenti nei luoghi che frequentava maggiormente, infine si sarebbe abbozzato un misero profilo psicologico basato sulle attitudini della vittima e sulle cause dell'eventuale rapimento.
E subito si fiondarono in auto, lei e Derek, discutendo un poco su chi avrebbe dovuto guidare, per poi immettersi nel traffico mattutino di un anonimo quartiere olandese.
Sindy non avrebbe mai creduto che, in un comune tranquillo di una città come Rotterdam, alcune persone maturavano pensieri così ostili e malvagi, arrivando a mettere in pericolo la propria vita e quella degli altri; aveva conosciuto il crimine quando ancora non era in grado di riconoscerlo, e ora che la violenza le tornava prepotente davanti agli occhi, si stupiva del proprio stesso stupore; aveva conosciuto presto la cattiveria degli uomini, eppure c'era sempre qualcosa di nuovo, qualcosa che avrebbe sempre avuto un inizio, ma mai una fine.
«Vedo che ti sei abbronzato» scherzò Sindy, alludendo alla carnagione naturalmente mulatta dell'uomo.
«Simpaticona» brontolò l'altro in tutta risposta, «Sei solo invidiosa perché io sono andato al mare e tu no!»
Sindy si volse a guardarlo con una smorfia: «Il mare che c'è qui fa schifo, ma non è lì che vorrei essere, comunque...»
Di nuovo, si ritrovò a sospirare senza potersi dominare: gli alberi spogli che scorrevano fuori dal finestrino le ricordavano che l'inverno era alle porte; una settimana più tardi avrebbero avuto inizio le gare del Grand Prix¹, e sperò con tutto il suo cuore che qualche emittente televisiva le trasmettesse in un orario in cui le fosse possibile seguirle.
«Beh, che cosa mi racconti? Non dimenticarti che hai salvato una vita ieri sera, nonostante tutto!»
Sindy posò nuovamente lo sguardo sul proprio partner: Derek le era sempre sembrato forte e sicuro di sé, con la sua stazza imponente a proteggerlo dai malintenzionati, eppure anche lui doveva avere dei punti deboli nascosti. Anche lui doveva sentirsi afflitto di tanto in tanto, e non solo per ciò che riguardava il lavoro che non riusciva a portare a termine con successo.
«Credo di non aver salvato proprio nessuno. Isabella non voleva morire, altrimenti a quest'ora sarebbe già sotto terra» replicò glaciale la giovane agente, più di quanto realmente avesse intenzione di fare. «Piuttosto, mi chiedo come sia possibile dichiarare scomparso qualcuno che hai visto fino a ieri sera...»
«Pensi che se ne sia andata volontariamente?»
Derek svoltò in una stradina sterrata e vuota, la stessa che Sindy aveva percorso con la volante quando era già buio. Una fila di foglie secche si sollevò in aria al loro passaggio.
«Non ne ho idea» ammise, «ora lo scopriremo».
«Che c'è, fatina? Sei spenta... Non stai bene?»
C'era qualcosa di genuino nelle parole del collega, che suonava come un reale interesse al proprio umore; eppure, al tempo stesso, il suo tono le risultava estremamente fastidioso, pregno di qualcosa di cui Sindy avrebbe fatto volentieri a meno. Detestava quando le persone non rispettavano i propri spazi, quando la forzavano a dire e fare cose che non desiderava fare e dire.
Non appena Derek parcheggiò l'auto fuori dal palazzo in cui abitava Isabella, Sindy ne approfittò per svincolarsi dalle sue attenzioni, cercando in fretta il cognome della famiglia sul campanello.
L'appartamento, un misero trilocale come il suo, era abitato dal padre e dalla sorella della ragazza, che aveva avuto occasione di incontrare la sera precedente, quando l'uomo volle stringerle la mano in segno di gratitudine. Ora, sul suo viso si poteva scorgere soltanto un'ombra di avvilimento e confusione.
Ovunque nella casa si percepiva un'atmosfera di oppressione, come se i muri si rimpicciolissero ad ogni passo di più; Sindy pensò che non sarebbe riuscita a starci a lungo; più vi si addentrava e più i suoi polmoni reclamavano aria che non percepiva.
Dopo una breve perlustrazione della casa, come di norma, Derek si fermò a conversare col padre, mentre la collega s'intrufolò in fretta nella camera che la vittima condivideva con la sorella.
Come aveva immaginato, l'aria lì era un poco più respirabile; uno dei letti era disfatto e il disordine presente sulla scrivania lasciava presagire che qualcuno doveva averci armeggiato sopra di recente.
Libri di varie materie scolastiche erano spalancati e alcune pagine piegate; sulla parete di destra campeggiavano vari poster di mete esotiche e volti di cantanti che non conosceva.
Doveva essere il letto rifatto quello su cui dormiva Isabella: non aveva avuto occasione di addentrarsi in casa la sera precedente, ma in tutta probabilità la giovane non aveva nemmeno passato lì la notte.
«Questa camera sarà vuota senza di lei...» sentì qualcuno mormorare alle sue spalle, e le forme di un'adolescente dai capelli chiari si materializzarono davanti ai suoi occhi.
La vide fare qualche passo verso di lei, osservandola con sguardo spaesato. «Mi chiamo Gisella» aggiunse, forse per smorzare l'imbarazzo che aveva creato tramite il suo ingresso.
Poi Sindy la vide dirigersi a testa bassa verso il letto disfatto, gettandocisi sopra. Dunque aveva indovinato: probabilmente era stata la sorella ad appendere quei poster dalla propria parte della parete.
«Quanti anni hai, Gisella?» domandò di punto in bianco, un po' per curiosità, un po' per indagare.
«Quindici» l'udì mormorare, e un rapido calcolo ebbe luogo nella sua mente, attribuendo a Isabella appena qualche anno in più.
Sarebbe bastato osservare i documenti, oppure chiedere ai parenti; eppure, non era difficile intuirlo dal comportamento degli abitanti della casa, dalla disposizione degli oggetti e dei mobili: Isabella stava crescendo, si stava scontrando con l'età adulta e i suoi sogni stavano divenendo a poco a poco più palpabili.
Doveva provare le stesse sensazioni che aveva provato lei alla sua età: avrebbe cominciato a competere nella categoria senior e sarebbe stata l'unica atleta a rappresentare il suo paese; dai campionati nazionali sarebbe giunta a quelli europei, poi ai mondiali e infine, forse dopo qualche tempo e certamente attraverso parecchi sacrifici, sarebbe giunta alle Olimpiadi, e chissà che cosa avrebbe potuto riservarle la vita.
«Vostra madre dov'è?»
Non avrebbe dovuto chiederlo, ne era consapevole: eppure era la prassi e prima o poi la questione sarebbe venuta ugualmente allo scoperto.
Una smorfia si dipinse sul volto di Gisella, ancora seduta sul letto a testa bassa: «Con qualche amante, che ne so» e il tono in cui espresse il proprio dubbio contribuì a risolvere quelli di Sindy, sempre più convinta che Isabella fosse fuggita di propria spontanea volontà, alla ricerca di qualcosa che in quel luogo sentiva di non poter più trovare.
Quando i due agenti tornarono in auto, Derek tentò di riprendere la questione che aveva lasciato in sospeso.
«Tu non mi convinci, fatina» osservò con le mani appese al volante. «Tre settimane fa non ti ho lasciata così cupa. Cos'è, ti sono mancato?» scherzò.
«Dove stiamo andando?»
Il collega svoltò a sinistra, immettendosi nuovamente nel traffico della strada principale.
«Il padre mi ha parlato di una scuola di ginnastica, forse è il caso di dare un'occhiata».
«Isabella mi aveva parlato del suo amore per la ginnastica ritmica ieri sera. Mi aveva detto che a dicembre il suo gruppo avrebbe potuto partecipare ai campionati nazionali».
A dicembre si sarebbero svolti anche i campionati nazionali di pattinaggio artistico. Rammentava bene l'ultima volta che vi aveva preso parte, due anni addietro, ancora piena di aspettative per il futuro.
Derek esitò. «Il padre mi ha detto che non avrebbe partecipato... Non hai preso ferie quest'anno, vero?» insisté, ma Sindy non se ne curò, lasciando scorrere lo sguardo sul paesaggio autunnale che li circondava.
Il cortile della scuola di ginnastica le ricordava quello della sua vecchia scuola elementare, che in autunno si ricopriva di foglie secche e scivolose. Nonostante la stagione, il clima non era pungente come negli anni passati; avrebbe passato volentieri qualche ora all'aria aperta, respirando la brezza del mare mista al profumo degli alberi nudi.
Ai lati della porta d'ingresso campeggiavano due grandi zucche intagliate, forse in occasione dell'imminente festa di Halloween.
Dopo aver trascorso qualche minuto in attesa di qualcuno con cui parlare, una donna dalle lunghe gambe si avvicinò ai due agenti: «Sono l'insegnante di Isabella... mi dispiace molto per la sua scomparsa» e così dicendo si strofinò il naso più volte, mantenendo lo sguardo fisso sul pavimento.
Di nuovo, Derek le rivolse alcune domande di routine e Sindy preferì concentrarsi sull'ambiente che la circondava: alla sua destra poteva intravedere qualcuno scaldare i muscoli dentro una grande sala; due rampe di scale, invece, parevano condurre ad altri piani.
«Stiamo organizzando un saggio per il trentuno» sentì dire alla giovane insegnante, «Ma Isabella non voleva partecipare... in verità, è almeno una settimana che non la vedo né la sento. Non so proprio dove sia» terminò, tormentandosi nuovamente le narici, passando poi a lisciarsi il mento. «Mi dispiace» aggiunse, forse per risultare più credibile di quanto realmente fosse.
Non riuscendo a ottenere ulteriori informazioni, Sindy e Derek dovettero tornare sui propri passi, nel tentativo di ricostruire le ultime ventiquattro ore della vittima.
«La sorella ti ha detto qualcosa, per caso?» domandò il partner una volta accomodatosi al posto di guida. «Ho visto che ti ha seguito in camera».
Sindy annuì. «Mi ha detto che quando si è svegliata il letto era rifatto e Isabella non era da nessuna parte».
«Dev'essere successo qualcosa stanotte, all'insaputa di tutti... suo padre mi ha detto che nella sua stanza non mancava niente, nemmeno la biancheria» ragionò Derek, parcheggiando nuovamente l'auto davanti alla centrale.
In sala riunioni, i colleghi non erano ancora arrivati né avevano provveduto a informarli di eventuali sviluppi. L'agente avvisò il capo del loro ritorno, per poi accomodarsi al tavolo osservando una foto della ragazza fornitagli dal padre.
«Pensi che possa essere stato lui a ucciderla?»
Sindy sollevò la testa dal rapporto che stava leggendo: aveva dovuto scriverlo lei stessa una volta lasciata l'abitazione di Isabella, la sera precedente. Il signor Hitler le aveva permesso di farlo a casa e, in verità, le aveva concesso qualche giorno di tempo per portarlo a termine. Lei, però, aveva preferito scriverlo dopo una breve doccia rinfrescante, per togliersi di dosso l'ansia che aveva provato su quel tetto nel vedere la città sotto di sé.
«Da qui si vede Il Cigno², guarda!» aveva detto rivolta a Isabella, indicando il ponte con un ampio sorriso. L'oscurità ne risaltava le luci colorate, di cui era particolarmente distinguibile il colore bianco.
«È bellissimo» l'aveva udita sussurrare, senza tuttavia muoversi dal cornicione. «È persino più bello di quanto lo sia da vicino» continuò, e Sindy non poté che essere d'accordo.
Aveva notato qualcosa, anche se non sapeva dire che cosa, negli occhi di Isabella quando le aveva afferrato la mano, in quel momento di distrazione. Il suo sguardo era puntato sul paesaggio e lei ne aveva approfittato per trascinarla con sé sul tetto, salvandole la vita.
Nella spinta, la ragazza le era caduta addosso, facendola rovesciare sulla schiena, ma non si alzò. Rimasero così per qualche istante, Isabella con l'orecchio puntato contro il cuore di uno sbirro.
Sindy non ci aveva dato peso, credendolo solo l'istinto di una bambina cresciuta a cui mancava troppo la madre; era probabile che avesse momentaneamente visto in lei una figura materna rassicurante a cui potersi affidare.
«Pensi che sia morta?»
Il collega alzò le spalle in una smorfia. «Che cazzo ne so di cosa passa per la testa di questi ragazzini» sospirò. «Sei tu che mi preoccupi, Sindy Schermann. Mi devi dire che cos'hai perché non ho intenzione di continuare a vederti così».
Di nuovo, Derek stava invadendo la sua personalissima sfera privata fatta di desideri annientati, dubbi e insicurezze, forzandola a tirare fuori il proprio malessere. Il suo sguardo era severo e penetrante e in altre circostanze quell'interesse l'avrebbe senz'altro rassicurata.
«Dovresti smetterla di farti gli affari miei» sibilò la giovane agente in tutta risposta. Normalmente avrebbe tentato di trattenersi, ma la confidenza che aveva col partner le permetteva di essere quasi sempre sincera con lui. «Non so che cos'ho, sarà questo caso, o forse l'arrivo dell'inverno» tentò di giustificarsi, tornando a fissare i fogli che aveva in mano.
«L'arrivo dell'inverno non ti ha mai rattristato, semmai il contrario» ribatté Derek poggiando la fotografia sul tavolo e unendo le mani come un paziente in attesa del medico competente. «È che tu non sei felice ora, Sindy» e la ragazza non poté far altro che fissare le sue iridi scure, cercandoci la verità che non voleva accettare. «Non sei felice da due anni, perché ti stai accontentando di una vita mediocre... il tuo piano B ha funzionato, hai fatto carriera, hai conosciuto persone nuove e ti piace il tuo lavoro. Ma la tua vera vocazione è altro. Ciò che realmente ti spinge ad alzarti al mattino è qualcosa di molto lontano da me e da questo posto».
Fece una pausa, come per darle il tempo di assimilare ciò che aveva appena detto.
«La vita delle persone non deve essere fatta di piani B. Io sono qui perché voglio essere qui, anche se il nostro è un lavoro di merda, e tu lo sai... anche se vediamo le persone morire quasi ogni giorno. Nonostante questo, io penso che questa sia la mia vocazione, perché sto bene al pensiero di dare un contributo a modo mio, e non mi vedrei da nessun'altra parte. E tu? Tu quand'è che ti senti davvero bene?»
Sindy abbassò il capo: conoscevano entrambi la risposta. L'enfasi che Derek aveva riposto sull'ultima frase aveva accelerato i battiti del suo cuore; nonostante avesse smesso di gareggiare, aveva continuato a partecipare ad alcuni spettacoli occasionali che le venivano proposti in quel periodo, gli stessi per cui utilizzava le ferie annuali che aveva a disposizione e che, ogni volta, la facevano tornare al lavoro con grandi punti interrogativi stampati nel cuore.
Perché lei non poteva desiderare qualcosa di più semplice da ottenere? Perché non poteva desiderare di essere lì, su quella scrivania, a cercare qualche persona scomparsa o analizzare il fascicolo di qualche omicidio? Perché non poteva essere come Derek?
«Sarebbe da stupidi, non credi? Passare una vita intera a desiderare qualcosa senza mai agire. Ed è chiaro che tu desideri pattinare, e che di Isabella in realtà non te ne frega un cazzo».
Quell'anno non l'avevano ancora chiamata per la sessione di spettacoli in giro per il Paese. Avrebbe avuto poco più di un mese per prepararsi ai campionati nazionali ma, in fondo, che cosa aveva da perdere?
Poteva provare ad alzarsi nuovamente alle quattro del mattino, a mangiare poco e a soffrire d'ansia tanto da dormire appena un'ora prima di una competizione, ad arrivare in pista con le gambe tremolanti e a cadere in ogni cazzo di loop³, il salto più odioso che aveva dovuto imparare.
La foto di Isabella campeggiava ancora sul tavolo: si trattava di un primo piano simile a quelli utili per i documenti, probabilmente scattato da un fotografo professionista.
Nel suo sguardo non c'era traccia del luccichio che Sindy ci aveva scorto la sera precedente.
Forse, prima di sparire, la ragazza si era fermata a osservare il ponte Erasmus, pensando a quanto la vista fosse più suggestiva dal tetto di un palazzo di dieci piani con un'agente di polizia alle costole.
I colleghi irruppero nella stanza inondandoli di informazioni che Sindy non ascoltò; digitò “significato sogno impiccato” sul motore di ricerca del cellulare, rammentatasi improvvisamente del suggerimento di Rickard di quella mattina.
In attesa dei risultati, alternava occhiate fugaci dai colleghi alla fotografia. Lo sapeva, se lo sentiva: Isabella aveva avuto il coraggio di agire, inseguendo i propri desideri.
Isabella era viva, da qualche parte nel mondo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

¹ Il Grand Prix di pattinaggio di figura è un circuito di competizioni internazionali organizzato dalla International Skating Union (ISU) e solitamente si svolge tra ottobre e dicembre.

² Soprannome del Ponte Erasmus (dovuto alla sua forma), uno dei simboli della città di Rotterdam.

³ Il loop (chiamato anche Rittberger, dal nome del suo creatore) è un salto del pattinaggio artistico.


   
 
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